Dicembre 3rd, 2013 Riccardo Fucile
ERA STATA ALLA GUIDA DI ISOLA CAPO RIZZUTO DAL 2008 AL 2013… A MAGGIO LE AVEVANO INCENDIATO LA CASA DI VILLEGGIATURA
E’ sempre stata in prima fila contro la ‘ndrangheta. La stessa ‘ndrangheta che arrivò a incendiarle
la casa al mare per intimidirla. La stessa ‘ndrangheta a cui, adesso, viene accostato il suo nome.
Carolina Girasole, ex sindaco di Isola Capo Rizzuto dal 2008 al 20013, è agli arresti domiciliari con l’accusa di essere stata eletta grazie a voti sporchi, in cambio dei quali avrebbe garantito favori della ‘ndrina Arena.
Una delle cosche più potenti all’interno dell’organizzazione, estesa in altre regioni italiane e all’estero.
La Guardia di Finanza di Crotone ha eseguito 13 ordinanze di custodia cautelare con accuse, a vario titolo, di associazione a delinquere di stampo mafioso, corruzione elettorale, turbativa d’asta, usura, favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio.
Tra gli arrestati ci sono soggetti affiliati alla ‘ndrangheta, un poliziotto che avrebbe passato informazioni alla cosca e il boss Nicola Arena, di 76 anni, capo dell’omonima ‘ndrina, già detenuto.
Le ordinanze sono state emesse dal gip del Tribunale di Catanzaro su richiesta della Procura distrettuale antimafia.
Carolina Girasole, professoressa e attualmente consigliere di minoranza, venne eletta nel 2008 nella lista civica di centrosinistra, alle ultime elezioni politiche era stata candidata alla Camera con Scelta civica di Mario Monti ma non venne eletta.
A maggio la sua casa al mare venne incendiata, una minaccia, si pensò subito, per il suo impegno antimafia.
A Il Fatto Quotidiano denunciò di essere stata abbandonata dal suo stesso partito, il Partito democratico che alle elezioni amministrative di quello stesso mese preferì appoggiare Nuccio Milone, ma venne comunque eletta come consigliere di opposizione.
L’ipotesi di reato a suo carico è corruzione elettorale in occasione delle elezioni amministrative del 2008.
Nei cinque anni precedenti, la Girasole aveva incentrato il suo mandato contro la criminalità organizzata.
Per questo venne accomunata ai primi cittadini di Monasterace e Rosarno, Maria Carmela Lanzetta ed Elisabetta Tripodi (la prima non è più in carica), insieme alle quali aveva partecipato a numerose manifestazioni antimafia.
Ad una di queste partecipò anche l’allora segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, venuto in Calabria per esprimere solidarietà a Maria Carmela Lanzetta dopo un’intimidazione subita.
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Dicembre 3rd, 2013 Riccardo Fucile
IL COMMISSARIO UE: “SCETTICO SU ROMA, HO ANCORA L’INCUBO DEL 2011”
“Ho preso nota delle buone intenzioni del governo italiano su privatizzazioni e spending review. Ma lo scetticismo è un valore profondamente europeo. E io ho il preciso dovere di restare scettico, fino a prova del contrario. In particolare per quanto riguarda i proventi delle privatizzazioni e i loro effetti sul bilancio del 2014». Parla così Olli Rehn, vicepresidente della Commissione europea e responsabile per gli affari economici.
Rehn resta convinto che la Finanziaria messa a punto da Letta e Saccomanni non ci consenta margini di manovra e che per di più debba essere corretta sul fronte del debito.
Ma si dice anche pronto a ricredersi se, entro febbraio, il governo fosse in grado di presentare dati concreti sui tagli effettivi di spesa e introiti delle privatizzazioni.
Che cosa non la convince nel piano di stabilità e nella legge finanziaria italiana?
«Per quanto riguarda il deficit, l’Italia è in linea, anche se di poco, con il criterio del tre per cento e questo ha consentito al Paese di uscire dalla procedura per deficit eccessivo che è importante per la sua credibilità sui mercati finanziari. Inoltre l’Italia deve rispettare un certo ritmo di riduzione del debito, e non lo sta rispettando. Per farlo, lo sforzo di aggiustamento strutturale avrebbe dovuto essere pari a mezzo punto del Pil, e invece è solo dello 0,1 per cento. Ed è per questo motivo che l’Italia non ha margini di manovra e non potrà invocare la clausola di flessibilità per gli investimenti».
Ma il governo assicura che una serie di misure extra-finanziaria, come le privatizzazioni e la spending review, permetteranno di colmare questa differenza. Lei ci crede?
«Come dicevo, io devo essere scettico. Le privatizzazioni daranno un piccolo contributo a migliorare l’efficienza del sistema economico e, forse, a ridurre il debito in parte già l’anno prossimo. La spending review è molto importante, ma sarà ancora più importante se riuscirà a mettere in pratica tagli di spesa che abbiano effetto già nel 2014. Le nostre previsioni di febbraio saranno un appuntamento molto importante per l’Italia. Se il governo per quella data ci fornirà risultati concreti e soddisfacenti, ne terremo conto per calcolare i possibili effetti sui margini di manovra a disposizione del Paese».
Non sembra molto ottimista. L’Italia le pare davvero messa così male?
«A vantaggio dell’Italia, si può dire che ha grandi potenzialità di crescita. Se davvero riuscisse a riformare il proprio sistema economico e giudiziario, potrebbe registrare una crescita superiore a quella di molti altre nazioni. Ma il vostro Paese ha un estremo bisogno di rilanciare la propria economia e la propria competitività ».
La ricetta europea del rigore sembra dare frutti in Irlanda e in Spagna, ma non in Grecia o in Italia. Come potete pretendere di curare tutti i malati con la stessa medicina, quando le malattie sono diverse?
«Ma non è così. I programmi adottati per ogni Paese erano e sono cuciti su misura. In Spagna e Irlanda erano focalizzati sul settore bancario e stanno dando risultati. In Grecia sulle riforme strutturali, ma le resistenze corporative ne hanno frenato il cammino. L’Italia, come la Francia e anche la mia Finlandia, ha un problema di competitività , che però non può essere risolto trascurando il consolidamento dei conti pubblici».
Gira e rigira, siamo sempre al binomio rigore e austerità .
«No. Le cose stanno cambiando. Il peso dell’aggiustamento strutturale delle finanze dell’eurozona l’anno scorso è stato pari all’1,5% del Pil; quest’anno sarà dello 0,75% e l’anno prossimo dello 0,25%. Ma ricordiamoci che questo sforzo può attenuarsi solo perchè l’Europa ha ritrovato credibilità sui mercati grazie all’impegno della Bce e al miglioramento della governance economica».
Vuol dire che Bruxelles sta cambiando politica?
«Le risponderò con le parole del presidente americano John Quincy Adams: la nostra politica non è cambiata, sono le circostanze ad essere cambiate. Oggi l’Europa ha ritrovato più stabilità , che ci consente di ridurre la pressione sul rigore. Ma, all’inizio della crisi non avevamo credibilità e dunque non avevamo alternative. Se io facessi incubi, rivivrei l’angoscia del periodo tra agosto e novembre del 2011, quando l’Italia era al centro della tempesta sui mercati finanziari».
Allora l’Italia si salvò da sola, mandando a casa Berlusconi e chiamando Monti al governo. Ma forse adesso ce lo può dire: sareste stati in grado di salvare dalla bancarotta un Paese grande come il nostro?
Rehn si ferma a riflettere, ma non dà una risposta diretta. «Quello che le posso dire è che avremmo fatto tutto il possibile. E molto in effetti è stato fatto. Ma certo, in quel momento, la dimensione del fondo di stabilità era notevolmente limitata».
Insomma, non ha rimproveri da farsi sulla gestione della crisi?
«Sicuramente oggi l’Europa è più forte di tre anni fa. Adesso c’è una governance economica dell’eurozona che allora non esisteva. Rammarichi? Certo, la gestione della crisi con la regola dell’unanimità è una sfida permanente. E spesso siamo stati costretti a scegliere la soluzione politicamente percorribile invece della soluzione economicamente migliore».
Al vertice di dicembre discuterete degli accordi contrattuali, che prevedono finanziamenti europei in cambio di riforme economiche nazionali?
«Penso che su questo ci sarà una discussione di massima. Gli sherpa ci stanno lavorando. Ma molto resta da fare».
E’ vero che si candida come prossimo presidente della Commissione per i liberali europei in competizione con l’ex premier belga Verhofstadt?
«Sì, mi piacerebbe continuare la battaglia che ho condotto in tutti questi anni per modernizzare l’Europa».
Andrea Bonanni
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 3rd, 2013 Riccardo Fucile
HANNO ALZATO LE ALIQUOTE PER SPREMERE PIÙ RIMBORSI ALLO STATO MA I SOLDI NON ARRIVERANNO E ORA SI APRE IL BUCO
Ormai la figuraccia è fatta, bisogna solo stabilire come gestirla: su questo, o meglio su chi dovrà
subirla di più, dentro governo e maggioranza è in atto uno scontro.
Si parla della cosiddetta mini-Imu, vale a dire quella parte del gettito dell’imposta — all’ingrosso il 40 per cento degli aumenti varati dai Comuni sull’aliquota base del 4 per mille — che il governo non ha rimborsato ai sindaci con l’ultimo decreto: senza interventi, insomma, quei soldi dovranno tirarli fuori i cittadini interessati entro il 16 gennaio (lo stesso giorno, peraltro, scade pure la prima rata della nuova Iuc, imposta unica comunale).
La faccenda riguarda circa 2.700 Comuni — comprese tutte le città più grandi — per un esborso medio che dovrebbe oscillare tra i 30 e i 70 euro per un gettito complessivo che dovrebbe oscillare tra i 200 e i 300 milioni: il conto definitivo lo si avrà solo quando tutti i Comuni avranno fissato l’aliquota (la legge consente di farlo entro lunedì prossimo).
Come si sa, per evitare il tracollo di consensi i sindaci minacciano rivolte e gesti clamorosi contro il governo: “Eppure molti si meriterebbero il pubblico ludibrio — spiega Enrico Zanetti, deputato montiano e vicepresidente della Commissione Finanze — visto che hanno deciso gli aumenti solo dopo aver capito che gli sarebbero stati rimborsati dallo Stato e non ne avrebbero pagato il prezzo politico coi cittadini”. Anche dentro il governo e nella maggioranza in Parlamento, comunque, in molti pensano sia meglio accontentare gli enti locali e non lasciare un arma di propaganda così potente a Silvio Berlusconi.
Ma come trovare 200 milioni? Se lo chiedono al Tesoro (Fabrizio Saccomanni è radicalmente contrario a nuovi inghippi sull’Imu).
Al solito, è sulle coperture che si gioca la partita. Troppo poco tempo per trovarle con tagli di spesa corrispondenti o nuove imposte.
Due deputati renziani — Michele Anzaldi e Luigi Bobba — propongono come copertura di varare in fretta e furia una riforma della tassazione sui giochi da inserire nella legge di Stabilità : “C’è un ampio consenso di tutte le forze politiche su un provvedimento che omogeneizzi le aliquote dei giochi e allinei gli aggi delle lotterie. I presidenti delle commissioni Bilancio si sono detti interessati e abbiamo scritto all’Anci”.
Il problema c’è, visto che l’azzardo online è tassato solo allo 0,6 per cento e l’aliquota media del settore non arriva all’11, cioè meno dei titoli di Stato: “Peccato che non si farebbe mai in tempo a generare quel gettito entro il 31 dicembre — spiega ancora Zanetti — Bisognerebbe immaginare aumenti di un livello che finirebbero solo per stroncare il gioco legale”.
Secondo l’esperto di fisco di Scelta Civica l’unica soluzione — “visto che si è voluto cedere al ricatto sull’Imu di Berlusconi non facendola pagare a nessuno” — è aumentare pure l’acconto Iva del 27 dicembre (ora è all’88 per cento).
A compensare tutti questi acconti quelli Ires e Irap già decisi — ci si penserà l’anno prossimo, quando dovrebbero comunque già aumentare temporaneamente alcune accise per compensare la copertura farlocca dell’abolizione della prima rata (il famigerato condono sulle slot ha avuto un gettito ridicolo).
Il Tesoro, però, continua a fare resistenza: sull’Iva non si può fare niente e meglio sarebbe lasciare le cose come stanno. “Proveremo a trovare un po’ di fondi nella legge di Stabilità — dice un ministro — ma non è detto che ci riusciamo”.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 3rd, 2013 Riccardo Fucile
LA CARTA JOLLY PER AGGIRARE LA CONDANNA E LA PERDITA DELL’IMMUNITA’: POSSIBILI ANCHE LA BULGARIA E L’ESTONIA
Fuga verso Est. La grande tentazione di Silvio Berlusconi. Ungheria, Estonia, Bulgaria.
«Presidente, torniamo a pensare a una tua candidatura alle Europee fuori dall’Italia» gli propongono di nuovo i più solerti amici. Attorno al tavolo da pranzo di Villa San Martino, domenica sera, ci sono Sandro Bondi, Manuela Repetti, Daniela Santanchè. Il Cavaliere nicchia ma a differenza di altre occasioni non esclude a priori il colpo di scena: «Mah, bisognerebbe trovare un Paese che accetti di candidarmi, non è facile». E gli altri: «Sai che non sarebbe un problema».
Ma la carta jolly per aggirare condanna definitiva, decadenza e perdita dell’immunità è alla portata solo sulla carta.
Il leader di Forza Italia è condannato in via definitiva, il regolamento comunitario rimanda alla disciplina nazionale per i criteri relativi alla incompatibilità .
La Severino in Italia la prevede anche per le Europee, ma solo per la candidatura nel nostro Paese, non in altri. Ed è qui che si apre lo spiraglio che Berlusconi potrebbe sfruttare.
La direttiva Ue 109 del ’93 che disciplina la materia pretende un attestato delle autorità dello Stato d’origine che «certifichi che non è decaduto dal diritto di eleggibilità » (art. 10), ma all’articolo successivo ammette ricorsi nel Paese di candidatura.
Insomma, caos (utile alla bisogna) L’entourage del Cavaliere fiuta il colpaccio. C’è il precedente di Giulietto Chiesa in Lettonia nel 2009.
Spiega un dirigente forzista vicino al leader: «Un possibile approdo potrebbe essere l’Ungheria dell’amico Victor Orban», l’ultranazionalista di destra che vanta un ottimo rapporto con Berlusconi (oltre al tifo milanista).
In Bulgaria poi si può diventare cittadino «se si investe 511 mila euro nell’economia nazionale» ma soprattutto, l’ex premier ed ex sindaco di Sofia è Boyko Borisov, altro amico di vecchia frequentazione.
Sulla mappa virtuale che hanno disteso sulla scrivania dello studio di Arcore è stata cerchiata anche l’Estonia. Ma qui il nesso si fa più sfumato: a Talin lavora e investe con gran profitto e radicamento locale Ernesto Preatoni, a capo del gruppo Domina, anche lui legato al Cavaliere. Sebbene, interpellato settimane fa, abbia smentito: «Non ne so nulla, è una notizia degna di un Paese di matti».
Per studiare la «via di fuga» ci sarà tempo, intanto oggi il Cavaliere dovrebbe rientrare a Roma per presiedere l’assemblea dei gruppi parlamentari forzisti nella sede di San Lorenzo in Lucina, dopo il lungo ritiro ad Arcore e la giornata di ieri trascorsa tra pranzo coi figli e solito vertice con i dirigenti Mediaset.
Non che lui avesse una gran voglia di rientrare a Roma, dopo la decadenza e il comizio di giovedì.
Berlusconi resta di pessimo umore, raccontano, i timori per quel che può accadergli prevalgono sul resto. I dirigenti lo hanno tirato per la giacca, c’è da lanciare il partito. Oggi il leader dovrebbe comunicare i nuovi assetti.
Un ufficio di presidenza di 36 componenti, un comitato ristretto, con capi delegazione di vari settori scelti tra i dirigenti. Resterà centrale anche in Forza Italia Denis Verdini. Mentre per Daniela Santanchè si profila un ruolo da responsabile del fund raising, ai vertici anche Fitto, Gelmini, Carfagna e Capezzone.
Non è previsto per il momento un incarico da vicepresidente (era stato promesso ad Alfano prima della scissione), nè di coordinatore unico.
Mercoledì il leadar di Forza Italia potrebbe accettare l’invito di Bruno Vespa per la consueta presentazione del suo libro, ma Berlusconi è già proiettato sull’appuntamento “antiprimarie-pd” di domenica a Roma, il lancio dei mille club “Forza Silvio”.
Una riunione operativa è già in programma per giovedì con il responsabile dei club, Marcello Fiori. «Voglio facce nuove, giovani, sveglie» va ripetendo il capo.
Parla di domenica ma pensa già al restyling di quasi tutta la truppa parlamentare di Forza Italia.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 3rd, 2013 Riccardo Fucile
NEL 2013 DENUNCIATI 5.000 AMMINISTRATORI PUBBLICI PER UN DANNO ERARIALE DI 3,5 MILIARDI… IN TRE ANNI EVASIONE FISCALE ACCERTATA MA MAI RECUPERATA PER 545 MILIARDI
Chi non ha visto il tele-confronto su Sky dei tre candidati alla segreteria del Pd e ne ha saputo
qualcosa soltanto dai resoconti della stampa, del web e dei tg, cioè la stragrandissima maggioranza degli italiani, s’è fatto l’idea che sia andato male per gli ascolti ma bene per i contenuti.
Perchè Renzi, Cuperlo e Civati avrebbero parlato di “programmi”. È vero, ne hanno parlato. Ma con l’aria di chi deve recuperare qualche miliarduccio qua e là , insomma di chi deve guidare il primo partito (almeno stando ai sondaggi) di un paese malaticcio, ma in via di guarigione.
E allora patrimoniale sì o no, taglio delle province, o dei fondi pubblici ai partiti, o dei parlamentari, o del Senato tutto intero (per trasformarlo, fra l’altro, in un poltronificio per consiglieri regionali).
Poi, naturalmente, tutti a ridere di Grillo che chiama Ocsa (o Oxa, come Anna) l’Ocse e vorrebbe addirittura un referendum sull’euro o la rinegoziazione del debito pubblico. Come a dire: quello è matto, mentre noi sappiamo quel che diciamo.
Purtroppo, a giudicare dai sorrisetti, dagli ammiccamenti e dalle battute, non lo sanno neanche loro, quel che dicono.
Perchè dal 2014 gl’impegni assunti dai governi Berlusconi, Monti e Letta con l’Europa (in parte dovuti, in parte no) imporranno di recuperare non qualche miliarduccio, ma decine di miliardi all’anno.
Cifre che nessun taglio fra quelli proposti dai candidati piddini, nè tantomeno le baggianate governative sulle caserme o le spiagge o gli immobili pubblici o le partecipazioni statali da svendere, basterà neppure lontanamente a raggiungere.
Ci vuole ben altro. Cure da cavallo, non brodini e pannicelli caldi.
E la scelta di chi pagherà il conto non è tecnica: è politica.
Deve dettarla il Parlamento, non Saccomanni e i suoi tecnici. E nemmeno Lurch, al secolo Carlo Cottarelli, ultimo commissario straordinario alla spending review. L’altro giorno il Corriere anticipava il rapporto 2013 sulle attività della Guardia di finanza: oltre 5 mila tra funzionari e impiegati pubblici denunciati per corruzione e truffa (dai falsi poveri ai finti consulenti), che nei primi 10 mesi dell’anno han provocato danni erariali da 2 miliardi e 22 milioni di euro, più truffe per 1 miliardo e 358 milioni.
Cioè hanno rubato quasi 3,5 miliardi alla collettività : 350 milioni al mese.
E questi sono soltanto quelli scoperti: immaginiamo a quanto ammonta il totale. Qualche mese fa, il ministero dell’Economia comunicò che i mancati incassi di evasione fiscale accertata dal 2000 al 2012, ma mai recuperata da Equitalia, ammonta a 545,5 miliardi di euro, su un totale di “ruoli” da riscuotere già emessi per 807,7 miliardi.
Una parte dell’enorme buco (107,2 miliardi) è irrecuperabile perchè riguarda soggetti in fallimento.
Ma questo non basta per giustificare la bassissima capacità di riscossione di Equitalia, che non arriva al 5 per cento.
In un paese serio (ipotetica del terzo tipo: un paese serio non avrebbe queste cifre di mancati introiti) si parlerebbe di questo, e solo di questo.
E un governo e un Parlamento e dei partiti seri eviterebbero di perdere tempo appresso a corbellerie come la riforma costituzionale o l’ennesima legge contro la custodia cautelare e contro i giudici; ma concentrerebbero tutto il tempo e tutti gli sforzi disponibili a trovare il sistema per mettere le mani in questo immenso serbatoio di nero.
Che non è numerologia astratta: sono somme accertate, con i nomi e i cognomi dei corrotti, dei truffatori e degli evasori.
Basterebbe recuperarne il 5 o il 10 per cento in più, aumentando l’efficienza della macchina dello Stato, per avere a disposizione decine di miliardi per la mitica “ripresa”.
Invece si continua a cincischiare dietro i falsi problemi e le false soluzioni. E a bollare chi chiede una seria lotta alla corruzione, all’evasione e al riciclaggio come giustizialista manettaro.
Poi uno guarda chi sono i ministri e i politici che dovrebbero occuparsene, e capisce tutto.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 3rd, 2013 Riccardo Fucile
A SEI GIORNI DALLE PRIMARIE IL SINDACO DI FIRENZE IMITA BERLUSCONI: TAGLI ALLA POLITICA, LAVORO E RAPPORTI CON L’EUROPA”… D’ALEMA: “RENZI USA IL PARTITO COME TRAMPOLINO DI LANCIO SU PALAZZO CHIGI, MA QUANDO SI TUFFERA’ SI ACCORGERA’ CHE LA PISCINA E’ VUOTA”
La ‘nuova’ fiducia (da confermare o meno) al governo Letta è già stata calendarizzata. Il passaggio alle Camere si terrà il prossimo 11 dicembre.
Un voto che arriverà tre giorni dopo le primarie del Pd.
Non è un caso, visto che quel voto e il risultato di quelle consultazioni sono legato a doppio filo. Ma a un appuntamento (il primo) che per i democratici farà la differenza, il partito ci sta arrivando sempre più sfilacciato.
E Matteo Renzi, candidato alla leadership del Pd, detta le condizioni – lui la chiama proprio “agenda Renzi” – al premier Enrico Letta al termine di una giornata convulsa e gravida di rimpalli.
Il primo round si gioca da Trieste, E’ da lì, infatti, che Renzi inizia col replicare ad Angelino Alfano sul futuro del governo: “Non tiriamo la corda, sono gli italiani che stanno tirando la cinghia”, dice.
Poi elenca le priorità per il 2014: taglio dei costi della politica, piano per il lavoro e rapporti con l’Europa. “Il Pd va alle primarie, sono aperte, e dopo l’8 dicembre farà le cose annunciate e in particolare dovrà fare dell’Europa il luogo dei nostri sogni e non dei nostri incubi. Se Alfano vuole fare queste cose noi siamo disposti a farle se vuole fare polemica noi non siamo disposti a farla”, sottolinea.
Concetti che ribadirà qualche ora più tardi davanti alle telecamere di Piazza Pulita: “Se domenica sarò io a essere eletto segretario, il Pd che ha 300 deputati e 100 senatori ed è il partito della maggioranza nella maggioranza, chiama il governo Letta e dice: ‘ste cose qui, stavolta si fanno”. E’ una sorta di aut aut.
Ma è sul taglio dei costi della politica che l’attuale primo cittadino snocciola pure le cifre: la sforbiciata necessaria è di 1 miliardo di euro. E poi: “Se prende la maggioranza Pippo Civati – aggiunge Renzi – la fiducia al governo Letta dura tre mesi. Di me dicono che io voglio fregare la seggiola a Letta. Io la mia ambizione la metto da parte. Io dico non mettiamo avanti l’ambizione di Renzi o di un altro. Ma se il Pd è maggioranza, allora si fanno le cose”.
Impegni “che devono essere messi nero su bianco”. Di sicuro, prosegue Renzi, la sera del 9 “partecipo alla riunione dei gruppi parlamentari per decidere quale atteggiamento tenere l’11 quando Letta si presenterà alle Camere.
Non decide il segretario lo decidono quelli che vanno alle primarie.
Meno tasse e più lavoro. Per Renzi è di sinistra chi abbassa le tasse, non chi le alza, magari foraggiando le spese della politica.
Il punto drammatico di questi 8 mesi è che abbiamo perso 8 mesi a parlare di quello che ci hanno imposto Berlusconi e Brunetta. L’Imu sulla prima casa vale 236 euro a famiglia. L’hanno già rimessa in alcuni comuni. Non l’hanno ancora tolta. Ma il punto è che il sistema sia semplice e chiaro. Imu, tasi, tares, iuc. Sembra superpippo. Iuc”. Poi, sempe incalzato da Formigli, risponde sull’occupazione. “Io non faccio lo slogan dicendo: ‘ti prometto 1 milione di posti di lavoro’. Io dico che se ce la mettiamo tutta sul turismo si creano posti di lavoro”.
A questo proposito, sulla riforma Fornero il sindaco di Firenze sottolina che “sulle pensioni è stato giusto intervenire. Perchè noi abbiamo avuto bisogno di allineare l’età pensionabile a quella degli altri paesi europei. Sulla riforma del lavoro bisogna invece ripartire da zero”.
L’Europa del sindaco.
Il candidato alla segreteria democratica, in caso di vittoria, promette una riduzione da un miliardo di euro dei costi della politica, a partire dal Senato, e un “gigantesco” piano per il lavoro.
Lo ha detto oggi in conferenza stampa a Trieste. “Le primarie del Pd devono dire il tipo d’Europa che vogliamo”, aggiiunge il sindaco di Firenze: “Chiederemo alla Bce di contrastare non solo l’inflazione, ma anche la disoccupazione”.
Renzi chiede nuovi impegni: dall’Erasmus al servizio civile, ad una politica dell’immigrazione condivisa. “Se l’8 dicembre vinceremo chiameremo tutti, le regioni ed i sindaci a Trieste, nel mese di marzo, per dire la nostra sulle elezioni e sul semestre a presidenza italiana”.
Civati per il voto anticipato.
Chi chiede a Renzi di tirare effettivamente la corda è il suo sfidante Pippo Civati. “Il destino del governo Letta – sostiene – lo sceglieranno gli elettori. Io ho una posizione molto precisa. Mi sembra che Renzi a volte converga a volte no, se converge siamo in due a dire che si va a votare in primavera”. Civati si dice poi fiducioso sull’esito delle primarie. “Vinceremo noi, siamo in crescita straordinaria. I pronostici del Pd sono sempre sbagliati”.
Cuperlo contrario.
Gianni Cuperlo invece non ci sta e attacca il sindaco di Firenze: “Dico Dobbiamo batterci perchè Letta riesca nel suo intento – ha detto durante un incontro della sua campagna elettorale – compia la svolta e abbia successo, non per seminare trappole e farlo cadere. Io non ci sto a giocare di sponda con Berlusconi. Renzi, a prosegutio Cuperlo “non pensi di fare il segretario nei ritagli di tempo e di oscillare continuamente tra lusinghe e minacce al governo. Dire che si devono fare le cose è uno slogan. Ma bisogna vedere come si fanno”.
L’accusa di D’Alema.
Attacchi al sindaco di Firenze arrivano, però, anche da Massimo D’Alema. “Renzi concepisce il partito come un trampolino di lancio per volare su Palazzo Chigi – accusa l’ex premier – Gliel’ho detto: tu sali sul trampolino per tuffarti. Ma la piscina è vuota perchè le elezioni ancora non ci sono”.
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 3rd, 2013 Riccardo Fucile
NELL’INTERESSANTE EPISTOLARIO DI FINE ANNI ’60, L’ANALISI DEL GIOVANE PENSATORE NON CONFORMISTA SCOMPARSO A SOLI 33 ANNI, NEL 1973: “NOI INTELLETTUALI, VISTI COME NEMICI ALL’INTERNO DEL PARTITO, IN QUANTO OSTACOLO A UN ATTIVISMO FINE A SE STESSO, TRA INUTILI ORPELLI E AMMUFFITE NOSTALGIE”
Gli epistolari dei grandi filosofi e pensatori hanno un’importanza fondamentale non solo per
conoscere aneddoti più o meno rilevanti sulla loro vita privata, ma anche, e soprattutto, per comprendere sia il milieu culturale nel quale essi vivevano e traevano ispirazione per le loro opere, sia la personalità più profonda, che può trasparire solo molto parzialmente nei trattati più marcatamente scientifici.
Ciò vale ancor più per Adriano Romualdi, il “fratello maggiore” di tanti intellettuali della Destra negli anni Settanta: figlio di Pino, per decenni una delle personalità di maggior spicco del Msi. scomparve a soli 33 anni nel 1973, lasciando un vuoto non più colmato nelle esigue file della cultura non conformista.
Ora le Edizioni ArÅ·a di Genova pubblicano, a cura di Renato Del Ponte, una preziosa raccolta di lettere (per la precisione, quarantatrè lettere e una cartolina), inviate da Adriano all’amico genovese Emilio Carbone in un arco di tempo che va dal 20 aprile 1967 al 5 settembre 1971 (per informazioni e ordini: arya@oicl.it ).
Il testo, con una introduzione di Alberto Lombardo e una prefazione dello stesso Del Ponte, è arricchito da numerose appendici contenenti, fra l’altro, alcuni testi rari o inediti di Adriano, e da un’accurata bibliografia.
Copie delle lettere, gli originali essendo andati presumibilmente perduti, che compongono l’epistolario furono consegnate a Renato Del Ponte dal destinatario, Emilio Carbone, poco prima della sua tragica morte, avvenuta nel 1996, ad appena cinquant’anni.
La raccolta ha una importanza notevole, in quanto apre uno squarcio di non poco conto sull’ambiente politico e culturale della Destra, in particolare romana e genovese, a cavallo fra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta: nelle numerose lettere compaiono riferimenti e giudizi su personaggi più o meno noti del tempo, come Almirante (“di buona volontà ne ha tanta, ma non ci arriva con il cervello”); Gianfranco De Turris, allora impiegato alle Edizioni Volpe (“molto in gamba e deciso”) e Giano Accame (“farmacista di villaggio”), per non parlare delle durissime espressioni nei confronti di Giovanni Volpe, il quale aveva bloccato la pubblicazione del saggio di Adriano su Nietzsche, uscito successivamente per le Edizioni di AR.
Ma al di là di tali giudizi, a volte francamente ingenerosi — anche se si deve tener nel debito conto il tono colloquiale delle lettere — ciò che può e deve interessare il lettore di oggi è la descrizione di un ambiente, quello della destra missina, ma non solo, del tutto refrattaria, allora come ora, a un serio lavoro politico-culturale.
La lucidità di Adriano gli fa comprendere, già più di quarant’anni fa, quale sarebbe stato l’infausto esito del percorso di un partito, il “Movimento Sociale Italiano”, nel quale dilettantismo e improvvisazione dominavano senza requie: “prepariamoci ad assistere — scrive nella prima lettera a Carbone, il 20 aprile del 1967 — all’ultimo atto, che avrà luogo nei prossimi anni: il naufragio del MSI.
Il giovane Romualdi, nella sua infaticabile attività di uomo di pensiero e di organizzatore culturale, aveva ben compreso quel che era la tara maggiore dell’ambiente di Destra di quegli anni (e degli anni a venire, aggiungiamo noi…) : l’assenza, cioè, di una classe dirigente che, libera da orpelli e da ammuffite nostalgie, sapesse fare politica con un bagaglio culturale adeguato, poche linee di vetta, se vogliamo, ma chiare e incrollabili.
Adriano si scontra, invece, con un partito nel quale gli “intellettuali” sono visti come dei nemici, dei fastidiosi perditempo che ostacolano uno sterile attivismo fine a sè stesso.
Ecco cosa scrive, infatti, nel giugno del fatidico 1968: “anche noi [come i comunisti] sappiamo esattamente quel che vogliamo, anche se il nostro ambiente ci combatte, invece di sostenerci, come invece il PCI fa con i suoi intellettuali. La nostra tragedia è che noi dobbiamo impiegare tutte le nostre energie per riuscire a parlare e scrivere nel nostro stesso ambiente, prima di proiettarci all’esterno”.
Queste scarne ed essenziali parole valgono più di mille convegni a spiegarci il perchè del disastro attuale, della sostanziale nullificazione della Destra dall’attuale panorama politico italiano.
Ci pongono, tuttavia, anche un’altra fondamentale e inquietante domanda, in quanto Adriano Romualdi non era uno qualunque: non era, cioè, solo l’autore, giovanissimo e già avviato alla carriera accademica, di opere ancor oggi fondamentali, ma pure, come dicevamo, il figlio di Pino, non l’ultimo fra i dirigenti nazionali missini di quegli anni.
E allora, ci chiediamo, se lo stesso Adriano, nella posizione che occupava, trovava tanti e tali ostacoli da indurlo quasi allo scoramento, da cui usciva solo con l’azione, non è forse sbagliato ipotizzare che l’intera storia del neofascismo italiano dal dopoguerra a oggi sia stata volontariamente instradata sin dall’inizio su dei binari morti, che dovevano fatalmente portarlo alla vergognosa abiura di Fiuggi e alla successiva evaporazione?
Non è forse cervellotico pensare che gli impedimenti frapposti a ogni serio lavoro politico-culturale siano stati creati non solo per insipienza e inettitudine — che pure ci sono stati — ma perchè scientemente si voleva impedire l’affermarsi di una classe dirigente seria e attrezzata culturalmente? Il sospetto ci sta tutto
Al di là di tali considerazioni, comunque, il grande lavoro intellettuale di Adriano non è stato per nulla vano, rimanendo per noi, in questi difficili anni, una vera stella polare, sì che quel che scriveva il 18 gennaio del 1968 vale certamente per lui, ma dovrà , come imperativo categorico, valere anche per noi: “Ma sembra che il nostro destino nel momento presente debba essere quello del seme che deve sparire nella terra e macerarsi per germogliare chissà quando e chissà dove”.
Francesco Demattè
ADRIANO ROMUALDI
Lettere ad un amico
a cura di Renato Del Ponte.
Edizioni ArÅ·a, Genova 2013,
pagine: 176 – € 20,00.
argomento: radici e valori | Commenta »