DEBITO, L’ACCUSA DI REHN ALL’ITALIA: “NON STATE RISPETTANDO L’OBIETTIVO: ORA PRIVATIZZAZIONI E SPENDING REVIEW”
IL COMMISSARIO UE: “SCETTICO SU ROMA, HO ANCORA L’INCUBO DEL 2011”
“Ho preso nota delle buone intenzioni del governo italiano su privatizzazioni e spending review. Ma lo scetticismo è un valore profondamente europeo. E io ho il preciso dovere di restare scettico, fino a prova del contrario. In particolare per quanto riguarda i proventi delle privatizzazioni e i loro effetti sul bilancio del 2014». Parla così Olli Rehn, vicepresidente della Commissione europea e responsabile per gli affari economici.
Rehn resta convinto che la Finanziaria messa a punto da Letta e Saccomanni non ci consenta margini di manovra e che per di più debba essere corretta sul fronte del debito.
Ma si dice anche pronto a ricredersi se, entro febbraio, il governo fosse in grado di presentare dati concreti sui tagli effettivi di spesa e introiti delle privatizzazioni.
Che cosa non la convince nel piano di stabilità e nella legge finanziaria italiana?
«Per quanto riguarda il deficit, l’Italia è in linea, anche se di poco, con il criterio del tre per cento e questo ha consentito al Paese di uscire dalla procedura per deficit eccessivo che è importante per la sua credibilità sui mercati finanziari. Inoltre l’Italia deve rispettare un certo ritmo di riduzione del debito, e non lo sta rispettando. Per farlo, lo sforzo di aggiustamento strutturale avrebbe dovuto essere pari a mezzo punto del Pil, e invece è solo dello 0,1 per cento. Ed è per questo motivo che l’Italia non ha margini di manovra e non potrà invocare la clausola di flessibilità per gli investimenti».
Ma il governo assicura che una serie di misure extra-finanziaria, come le privatizzazioni e la spending review, permetteranno di colmare questa differenza. Lei ci crede?
«Come dicevo, io devo essere scettico. Le privatizzazioni daranno un piccolo contributo a migliorare l’efficienza del sistema economico e, forse, a ridurre il debito in parte già l’anno prossimo. La spending review è molto importante, ma sarà ancora più importante se riuscirà a mettere in pratica tagli di spesa che abbiano effetto già nel 2014. Le nostre previsioni di febbraio saranno un appuntamento molto importante per l’Italia. Se il governo per quella data ci fornirà risultati concreti e soddisfacenti, ne terremo conto per calcolare i possibili effetti sui margini di manovra a disposizione del Paese».
Non sembra molto ottimista. L’Italia le pare davvero messa così male?
«A vantaggio dell’Italia, si può dire che ha grandi potenzialità di crescita. Se davvero riuscisse a riformare il proprio sistema economico e giudiziario, potrebbe registrare una crescita superiore a quella di molti altre nazioni. Ma il vostro Paese ha un estremo bisogno di rilanciare la propria economia e la propria competitività ».
La ricetta europea del rigore sembra dare frutti in Irlanda e in Spagna, ma non in Grecia o in Italia. Come potete pretendere di curare tutti i malati con la stessa medicina, quando le malattie sono diverse?
«Ma non è così. I programmi adottati per ogni Paese erano e sono cuciti su misura. In Spagna e Irlanda erano focalizzati sul settore bancario e stanno dando risultati. In Grecia sulle riforme strutturali, ma le resistenze corporative ne hanno frenato il cammino. L’Italia, come la Francia e anche la mia Finlandia, ha un problema di competitività , che però non può essere risolto trascurando il consolidamento dei conti pubblici».
Gira e rigira, siamo sempre al binomio rigore e austerità .
«No. Le cose stanno cambiando. Il peso dell’aggiustamento strutturale delle finanze dell’eurozona l’anno scorso è stato pari all’1,5% del Pil; quest’anno sarà dello 0,75% e l’anno prossimo dello 0,25%. Ma ricordiamoci che questo sforzo può attenuarsi solo perchè l’Europa ha ritrovato credibilità sui mercati grazie all’impegno della Bce e al miglioramento della governance economica».
Vuol dire che Bruxelles sta cambiando politica?
«Le risponderò con le parole del presidente americano John Quincy Adams: la nostra politica non è cambiata, sono le circostanze ad essere cambiate. Oggi l’Europa ha ritrovato più stabilità , che ci consente di ridurre la pressione sul rigore. Ma, all’inizio della crisi non avevamo credibilità e dunque non avevamo alternative. Se io facessi incubi, rivivrei l’angoscia del periodo tra agosto e novembre del 2011, quando l’Italia era al centro della tempesta sui mercati finanziari».
Allora l’Italia si salvò da sola, mandando a casa Berlusconi e chiamando Monti al governo. Ma forse adesso ce lo può dire: sareste stati in grado di salvare dalla bancarotta un Paese grande come il nostro?
Rehn si ferma a riflettere, ma non dà una risposta diretta. «Quello che le posso dire è che avremmo fatto tutto il possibile. E molto in effetti è stato fatto. Ma certo, in quel momento, la dimensione del fondo di stabilità era notevolmente limitata».
Insomma, non ha rimproveri da farsi sulla gestione della crisi?
«Sicuramente oggi l’Europa è più forte di tre anni fa. Adesso c’è una governance economica dell’eurozona che allora non esisteva. Rammarichi? Certo, la gestione della crisi con la regola dell’unanimità è una sfida permanente. E spesso siamo stati costretti a scegliere la soluzione politicamente percorribile invece della soluzione economicamente migliore».
Al vertice di dicembre discuterete degli accordi contrattuali, che prevedono finanziamenti europei in cambio di riforme economiche nazionali?
«Penso che su questo ci sarà una discussione di massima. Gli sherpa ci stanno lavorando. Ma molto resta da fare».
E’ vero che si candida come prossimo presidente della Commissione per i liberali europei in competizione con l’ex premier belga Verhofstadt?
«Sì, mi piacerebbe continuare la battaglia che ho condotto in tutti questi anni per modernizzare l’Europa».
Andrea Bonanni
(da “La Repubblica”)
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