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L’UTOPIA IN FRANTUMI: SEMBRAVA IL CAMPIONE DELLA DEMOCRAZIA, INVECE ERA UN CALESSE

Novembre 28th, 2014 Riccardo Fucile

GRILLO E CASALEGGIO, UNA COPPIA SENZA PIU’ UNA DIREZIONE CHE NON SIA QUELLA DETTATA DALLE PROPRIE PULSIONI

Il vero problema è lui, anzi loro. Grillo e Casaleggio, una coppia senza più una direzione che non sia quella dettata dalle proprie pulsioni.
Ma «questo» M5S così come lo abbiamo conosciuto è ai titoli di coda.
Alla fine dispiace anche. Ci sono tanti modi di chiudere una storia, ma questo è il peggiore.
Lo scandalo non sussiste, in quanto all’interno di M5S esiste un regolamento ben preciso. Certo, il fatto che la cittadina Pinna abbia dato soldi agli alluvionati sardi poteva forse valere come attenuante, ma dalle parti del blog vanno di ghigliottina che è un piacere, figurarsi quando a suggerire il verdetto indicendo un referendum motivato come una scomunica è il capo in persona
Il vero problema è lui, anzi loro. Grillo e Casaleggio, una coppia senza più una direzione che non sia quella dettata dalle proprie pulsioni.
La rivolta dei peones darà  vita a una scissione, ipotesi più probabile. Nel migliore dei casi a una nuova partenza, con una nuova governance interna.
Ma «questo» M5S è ai titoli di coda. Il movimento che nel 2013 aveva interpretato la protesta proponendosi come alternativa, ha fatto della marginalità  autoritaria il suo tratto distintivo.
La creatura di Grillo e Casaleggio era nata come trionfo della partecipazione dal basso, o almeno così era stato percepito da 9 milioni di sostenitori alle elezioni politiche del 2013 che lo votarono sperando nello stravolgimento dei metodi della politica italiana. Le continue epurazioni stanno svelando il trucco.
Sembrava il campione della democrazia, invece era un calesse.
Il crepuscolo è silenzioso. La coppia di M5S non fa più notizia se non come curiosità  da strano ma vero.
Le loro ultime uscite hanno una sconclusionata vena di bizzarria. L’anatema contro le apparizioni televisive arriva durante l’ascesa di Matteo Salvini, costruita anche con la partecipazione a qualunque talk show, e sembra anteporre le fisime sui media di Casaleggio al bisogno di una tribuna per il movimento.
L’analisi di Grillo sulle elezioni in Emilia-Romagna, comica in quanto trionfalista, è stata fatta sui dati delle Regionali del 2010, quando M5S non era noto neppure ai parenti stretti.
Forse è a quello che vogliono tornare. A un piccolo e più governabile movimento di opposizione, felicemente elitario e narcisista.
Oppure all’estinzione per sopraggiunta usura dei due fondatori.
Comunque vada, un fallimento.

Marco Imarisio
(da “il Corriere della Sera”)

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QUESTA VOLTA PERO’ LA TRIADE SI E’ DIVISA: HANNO DECISO CASALEGGIO E FIGLIO

Novembre 28th, 2014 Riccardo Fucile

BEPPE AVREBBE PREFERITO TENERE UNA LINEA PIU’ MORBIDA

Due parlamentari espulsi, altri 13 in lista d’attesa e una decisione che più Beppe Grillo è firmata dai Casaleggio, padre Gianroberto e figlio Davide.
Questa volta, come molte altre, Grillo e Casaleggio non si sono trovati per niente sulla stessa linea.
Il primo era per un approccio morbido — “denunciamo la questione dei rimborsi, ma non mettiamo ai voti subito l’espulsione” — ma da Milano il processo era già  iniziato. E i due appena espulsi erano sulla black list da molti mesi. Poi alla fine, dopo intrecci telefonici, è passata la linea e anche Grillo si è adeguato.
Il Movimento 5 Stelle così ha vissuto ieri una delle sue giornate peggiori, senza che nessuno sapesse niente.
L’allarme è suonato con un post: votiamo l’allontanamento di Paola Pinna e Massimo Artini.
Il motivo ufficiale è quello di una mancata restituzione di una parte della diaria, le ragioni più accostabili alla realtà  riguardano l’essere in contrapposizione col capo. Pinna da sempre, Artini sempre di più negli ultimi mesi, sulle posizioni del sindaco di Parma Federico Pizzarotti che non quelle che Milano, in parte anche Genova (o Marina di Bibbona, dipende dai giorni), seppur in maniera più defilata, dettano.
Artini era sulla lista dei cattivi da tempo. Ma quello che ha fatto saltare i gangheri è stata un’intervista di due giorni fa al fattoquotidiano.it  , dove chiedeva un invito alla riflessione.
Stesse parole usate da Pizzarotti, il vero extraparlamentare rivoltoso che punta a prendere in mano il Movimento 5 Stelle.
Così, alla fine, è iniziato il processo che ha riportato la situazione politica a quasi un anno fa: tu buono, tu cattivo, lui resta, l’altro no.
Ma l’aria, tra Senato e Camera, ieri era quella di smottamento.
Le considerazioni che fanno i parlamentari sono molte. E sanno bene che la restituzione dei soldi è un pretesto. Ma il Movimento 5 Stelle con altre espulsioni non sarà  più in grado di incidere in maniera determinante come voleva sull’elezione del capo dello Stato.
E il Pd, negli ultimi tempi, almeno una delle tante anime del Pd, su questo contavano. Da ieri è tutto da rivedere e ricalcolare.
Quello che succede realmente è difficile da capire.
Casaleggio è presente, ma molto stanco, almeno a quanto dicono i parlamentari. E Beppe è diventato un oggetto misterioso. Non sempre raggiungibile al telefono, molto proiettato sulle questioni europee (sua l’idea di formare un gruppo con una serie di eurodeputati sparsi), ma assolutamente disinteressato alle questioni italiane.
Non ha fatto, per la prima volta, campagna elettorale in Emilia Romagna, laggiù dove Grillo aveva messo in piedi tutto con un vaffanculo.
Si è presentato, senza essere atteso, alla fine, ma non c’erano più telecamere, non più giornalisti. Lontani i tempi in cui parlava alle sei del pomeriggio per finire sui tg della sera.
No, non è Grillo di qualche mese fa. E nessuno sa ancora bene dove voglia arrivare. La prima preoccupazione è che si trovi una linea comune in quella che adesso, con l’ingresso del figlio di Casaleggio, è diventata una triade.
E tenerli insieme, a chilometri di distanza, spesso è un’impresa.

Emiliano Liuzzi
(da “il Fatto Quotidiano”)

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GRILLO, FUORI ALTRI DUE: PROTESTA SOTTO CASA E LUI CHIAMA LA POLIZIA

Novembre 28th, 2014 Riccardo Fucile

ARTINI SI METTE IN MACCHINA CON ALTRI PARLAMENTARI E VA A MARINA DI BIBBONA: “DEVE DIRMELO IN FACCIA”… DIVERSI MILITANTI PRESIDIANO LA VILLA, LUI CI PARLA, MA NON PARE CONVINCERLI

“Voglio che abbia almeno il coraggio di dirmelo in faccia. Io dormo lì fuori, se non ci parla aspetto domattina. Io non sono un pavido, vado fino in fondo. Io voglio tornare a casa pulito”.
Sono quasi le 20 e Massimo Artini sta guidando sulla via Aurelia. Direzione Bibbona, Livorno, buen retiro di Beppe Grillo.
Cinque minuti prima, il blog del fondatore M5S lo ha cacciato dal Movimento. Espulso, senza nemmeno che l’assemblea dei parlamentari avesse modo di decidere che lui e Paola Pinna, deputata sarda dal destino identico, andavano buttati fuori dal gruppo.
Così vorrebbe il regolamento: prima ci si scanna tra eletti (con diritto di difesa), poi parla la Rete.
Ma stavolta la forma salta. “Non rendicontano da nove mesi”, li accusano i vertici Cinque Stelle. “Un’esecuzione sommaria”, rispondono loro.
Poco importa che i soldi li abbiano restituiti, anche se non hanno voluto renderlo pubblico sul sito ufficiale.
Conta di più, evidentemente, che Pinna e Artini nei giorni scorsi abbiano chiesto a Grillo e Casaleggio un mea culpa dopo il disastroso risultato delle elezioni regionali. Il sondaggio aperto ieri mattina si chiude dopo otto ore. Votano quasi in 28mila. Finisce con il 70 per cento favorevole alla cacciata.
È così che sei deputati, di certo non tra i dissidenti storici, si sono messi in macchina verso Bibbona.
Assedio alla villa del capo: Massimo Artini, Marco Baldassarre, Tatiana Basilio, Federica Daga, Silvia Benedetti e Gianluca Rizzo. Un loro collega, Samuele Segoni, toscano come i primi due, era già  fuori dalla villa ieri pomeriggio.
Con lui, una cinquantina di attivisti. Ma dalle finestre della tenuta vista mare, Grillo si è sentito minacciato. E ha chiamato la polizia.
C’è voluto un po’ per potersi avvicinare al campanello: “Gli abbiamo spiegato chi eravamo — racconta il deputato Segoni — È venuto al cancello e ci ha parlato da lì”. Scarsi risultati: “Sembrava un dialogo tra sordi — insiste Segoni — Ripeteva il solito canovaccio: ‘C’è un 20 per cento che sapevamo di perdere, ci sono dei pezzi di merda…’ Sembrava di sentirlo parlare dal palco, non sapeva di cosa stavamo parlando”.
Quando alle 8 di sera arrivano gli altri sei, ci vuole un’ora perchè Grillo si decida ad aprire. Un’ora di attesa e di rabbia. “Se ci stiamo suicidando, ce lo deve dire in faccia. Ormai Beppe sembra lobotomizzato, siamo qui per svegliarlo”, si infuria il deputato Marco Baldassarre.
È fuori dalla grazia di Dio, perchè “ci siamo fatti un mazzo così, ci abbiamo creduto e sul blog, anzichè spiegare quello che proviamo a fare, parlano dell’omicidio Matteotti. Chi c’è dietro? Chi comanda? Chi è che lo permette?”.
Parole inimmaginabili fino a qualche tempo fa. Perchè quelli che accerchiano la villa, sono parlamentari a cui mesi addietro era impensabile scucire una critica ai leader. Artini, per dire, è stato il “responsabile” informatico del gruppo per mezza legislatura (salvo poi venire accusato di aver creato un portale “parallelo”): ogni lunedì pomeriggio, era a Milano per riunioni operative con Casaleggio.
Baldassarre e Segoni gli hanno già  promesso: “Si è iniziato insieme e si finisce insieme”.
Ma al di là  delle eventuali dimissioni solidali, il sospetto che presto verrà  messa all’indice anche il resto della pattuglia che non rendiconta sul sito ufficiale è più che fondato.
Sono una ventina e da settimane chiedono chiarimenti su quel portale (http://www.tirendiconto.it  ) dove dovrebbero pubblicare entrate e uscite. In assenza di risposte, si sono arrangiati da soli, comunicando le note spese sulle loro pagine web personali.
Prendiamo Paola Pinna: gli ultimi due bonifici portano la data del 5 novembre: 5.323,8 alla Caritas sarda per alluvione 2013 e 4.878,28 al Bilancio dello Stato, soldi risparmiati da luglio a settembre 2014.
Che si adombri l’ipotesi che sia una che si tiene il malloppo, la infastidisce parecchio. Soprattutto se le sue cifre vengono messe a paragone con quelle di alcuni fedelissimi M5S.
Per dire, Riccardo Nuti (che ieri tuonava: “Se io faccio un bonifico, esempio, da 2000 euro ma dovrei farlo da 6000 euro vuol dire che prendo per il culo”) nel trimestre che va da aprile a giugno ha restituito, oltre alla parte di indennità  mensile, rimborsi solo per 2.210,67 euro.
Alle 22.30 l’assedio alla villa non è ancora finito. I deputati sono dentro, al cospetto del leader. Fuori, il gruppo di attivisti che è rimasto in attesa, è stato fatto indietreggiare.
Stanno lì, a metà  strada tra l’asfalto e la sabbia.
Per fortuna qualcuno si era portato le torce.

Paola Zanca
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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DIETRO L’ANGOLO DEL CARROCCIO ORA C’È L’ORO DI MOSCA: OBIETTIVO DESTABILIZZARE L’OCCIDENTE

Novembre 28th, 2014 Riccardo Fucile

SALVINI E LE PEN USATI COME QUINTA COLONNA PER INDEBOLIRE L’EUROPA… IL PRECEDENTE UNGHERESE E I RAPPORTI DELLA LEGA CON ALEXEJ KOMOV

Quando undici mesi fa Matteo Salvini venne eletto per alzata di mano segretario della Lega al congresso federale del Carroccio che si era riunito in quel del Lingotto, a Torino, tra gli “amici” osannanti delle destre europee più anti-Ue (fiamminghi, francesi, austriaci, svedesi) c’erano anche Viktor Zubarev, parlamentare di Russia Unita — il partito di Putin che egemonizza la vita politica russa — e il quarantaduenne Alexej Komov, ambasciatore del Congresso Mondiale delle Famiglie all’Onu, noto esponente pro-life della società  cristiana ortodossa, fiero avversario del movimento gay.
La loro presenza era apparentemente formale, l’attestazione di stima nei confronti di Salvini. Il capo leghista, infatti, si era pubblicamente schierato dalla parte di Putin.
Il presidente russo aveva tuonato contro l’associazione dell’Ucraina all’Ue, quella che lui chiamava un’indebita ingerenza dell’Unione nella sfera d’influenza di Mosca. Un’azione “imperialista”, al soldo dell’euro, in combutta con gli Stati Uniti.
Manna, per la Lega salviniana che aspirava a far parte dell’alleanza dei partiti identitari ferocemente schierati contro la moneta unica e alla ricerca di una nuova Europa, quella dei popoli.
Putin era più di uno spettatore interessato: a lui premeva appoggiare concretamente chi poteva sabotare l’Ue, già  in crisi.
Un disegno nemmeno tanto occulto: strumentalizzando la questione delle minoranze, si poteva rimettere in discussione lo stesso equilibrio territoriale dell’Est europeo.
In Ucraina, infatti, la violenta protesta popolare contro il regime corrotto del presidente Viktor Yanukovich, in quella metà  di dicembre del 2013 di lì a poche settimane sarebbe sfociata nella sua fuga.
In Occidente pochissimi immaginavano che la Crimea sarebbe stata inglobata da Mosca, che l’Est dell’Ucraina si sarebbe ribellato a Kiev e che l’Unione europea, insieme agli Stati Uniti, avrebbe imposto sanzioni economiche pesantissime nei confronti della Russia.
No, in quei giorni di tripudio salviniano, pareva che il vero interesse del nuovo segretario leghista fosse quello di rincorrere Beppe Grillo e annodare stretti rapporti con i rappresentanti delle destre europee razziste e xenofobe.
Così, la presenza dei due russi passò in second’ordine.
Invece, qualcosa i russi stavano progettando.
Quale migliore cavallo di Troia, di una innocente associazione culturale?
Nell’inverno 2013/2014 nasce LombardiaRussia. Presidente onorario è Komov. Presidente effettivo è il giornalista Gianluca Savoini, portavoce di Salvini.
L’intento ufficiale dell’associazione è quello di “stringere i rapporti con la Russia”, nonchè quello di dare una “corretta informazione” su ciò che succede in Ucraina.
Consultando il sito, emerge l’enfasi sulle “idee” putiniane, “le ammiriamo molto”, e senza tanti fronzoli lo stesso Savoini spiega che LombardiaRussia serve “per far capire agli italiani che far entrare l’Ucraina, questa Ucraina, in Europa è sbagliato e dannoso per tutti noi”.
In un’intervista , Savoini aggiunge: “Noi facciamo controinformazione. La Russia di Putin viene descritta in un modo assurdo e fazioso dai mass media e dai governi occidentali”.
Più o meno le parole che ha detto un paio di settimane fa Dmitri Kisilev, il direttore dell’agenzia MIA (ex Ria Novosti più Russia Today) foraggiata dal bilancio statale, nell’annunciare il lancio dello “SputnikNews”, il nuovo strumento di propaganda russa all’estero.
Quanto alla Lega, la collaborazione con i partiti euro-critici, a cominciare dal Front National di Marine Le Pen, si intensifica.
Ma con quale carburante si scalda questo motore?
Marina Le Pen ha dovuto confermare di avere ottenuto un prestito di ben 9 milioni di dalla First Czech Russian Bank, un piccolo istituto russo di proprietà  dell’oligarca Roman Yakubovich Popov (amico del premier Dmitri Medvedev e di Putin), banca che prima era appartenuta alla StrojTransGaz, leader della produzione di gasdotti.
La notizia ha messo in fibrillazione il mondo della politica italiana: vuoi vedere che dopo il Pci, anche la Lega attinge alle generose casse di Mosca?
Salvini ha negato di avere avuto quattrini dalla Russia. Se arrivassero, perchè no, li accetterei, ha detto (senza neanche sapere che è un reato…n.d.r.)
È stato di recente a Mosca, e in Crimea.
Ha incontrato Putin (anche a Milano, in margine al Forum Euro-Asiatico).
È noto che negli ultimi mesi, centinaia di piccoli imprenditori e commercianti del Nord Italia, danneggiati dalle sanzioni, hanno visto con molta simpatia le iniziative pro Russia di Salvini e della Lega.
Nel 2013 l’Italia — soprattutto il made in Italy della moda e dell’alimentare — ha esportato in Russia beni per 11 miliardi di Euro (nel 2003, erano 4).
Quest’anno è prevista una sensibile flessione. La lobby dell’interscambio italo-russo punta su Lega. Nel frattempo, LombardiaRussia ha figliato LombardiaCrimea.
Nell’alleanza Europea dei partiti nazionali, Mosca ha stretto legami con numerosi parlamentari ultranazionalisti eletti a Strasburgo, al punto da diventare l’epicentro di una sorta di internazionale nera: miscelando, talvolta — come nel caso di Bela Kovacs, membro del partito neonazista ungherese Jobbik — spionaggio e finanziamenti, secondo l’accusa del procuratore generale di Budapest che ha chiesto di togliergli l’immunità  parlamentare.
Il politologo ungherese Peter Kreko ha pubblicato, lo scorso marzo, un saggio dal titolo abbastanza eloquente: The Russian Connection.
In cui spiega come il Cremlino abbia replicato una strategia d’infiltrazione assai simile a quella che utilizzava l’Urss.
Lo scopo è lo stesso: destabilizzare la scena politica europea: “I partiti di estremisti, tutti anti-Ue, saranno molto utili in questo scenario, per indebolire anche il legame con gli Usa”.
La Lega potrebbe diventare l’efficace grimaldello italiano.
Quanto ai soldi, i canali indiretti per “aiutare” gli amici sono tantissimi, e in questo i russi sono maestri: operano attraverso miriadi di società  in Serbia, Ungheria, Cipro, Finlandia, Spagna, Svizzera, Francia e Inghilterra (a Londra abitano 500mila russi). Pure in Italia.
Dove i russi comprano, acquisiscono e si installano nei consigli di amministrazione.

Leonardo Coen
(da “il Fatto Quotidiano”)

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UN NUOVO PARTITO A SINISTRA DI RENZI? PER I SONDAGGISTI OGGI VALE UN 10%

Novembre 27th, 2014 Riccardo Fucile

SE FOSSE GUIDATO DA LANDINI POTREBBE ANCHE ANDARE OLTRE… SONDAGGIO DATAMEDIA: PD 38%, M5S 17,5%, FORZA ITALIA 13%, LEGA 11,2%, SEL 3,9%, FDI 3,3%, NCD 2,5%

I sondaggisti sono concordi, la minoranza dem vale già  il 10 per cento.
È il Tempo a provare a quantificare il peso della corrente di sinistra del Partito Democratico.
“C’è una parte della popolazione di sinistra, a cui Matteo Renzi non piace, che se i dissidenti fondassero un nuovo partito li voterebbe” spiega Renato Mannheimer dell’Ispo. Questo ipotetico partito da noi viene stimato intorno al 10 per cento”.
Antonio Noto di Ipr Marketing è convinto che la minoranza dem, unita a Sel, possa “conquistare quell’elettorato storico del Pd che adesso è in grande fermento” e raggiungere il 9 per cento.
Per Luigi Crespi determinante sarebbe però la scelta del leader, con Maurizio Landini capace di dare un valore aggiunto e portare il raggruppamento di sinistra a “un risultato a due cifre, intorno alle percentuali che raggiunse Rifondazione Comunista”.
Più cauta Alessandra Ghisleri di Euromedia Research, secondo cui “è troppo presto per ragionamenti di questo tipo”, bisogna aspettare di capire come si evolverà  la situazione interna al Pd.
Il Tempo pubblica poi il sondaggio settimanale di Datamedia Ricerche, che conferma il trend delle ultime settimane.
Lega in corsia di sorpasso su Forza Italia in frenata, tenuta del Pd, flessione di M5S.
Nel dettaglio, nella maggioranza il Pd resta stabile al 38%, così come Ncd che resta fermo al 2,5%.
Fra le opposizioni, la Lega continua a crescere (+1,2 punti) a quota 11,2%, appena due punti sotto il dato di Forza Italia, in discesa (-1 punto) al 13%.
Modesta flessione (-0,5 punti) per M5S, al 17,5%.
In crescita Sel al 3,9%, in calo Fdi al 3,3, mentre Udc è dato all’ 1,2%
In lieve crescita il dato sull’astensionismo, dopo le regionali, al 28%.
Stabile, anche se in sensibile calo rispetto a un mese fa (-5 punti) la fiducia in Matteo Renzi, che si attesta al 48%.
Si tratta comunque del doppio rispetto a Matteo Salvini (24%, +3 punti), il triplo rispetto a Beppe Grillo (16%, -2 punti in una settimana).

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GOVERNI OBBEDIENTI

Novembre 27th, 2014 Riccardo Fucile

FINALMENTE SI REALIZZA IL SOGNO DI AGNELLI

Il sogno di Gianni Agnelli si realizza, e scusate il ritardo.
Il suo cinismo lo portava a pensare, e va bene, ma anche a dire: “La sinistra può fare delle cose che la destra non potrebbe fare”, cioè le cose che piacevano a lui.
E così eccolo, nell’ottobre 1998, che vota al Senato, con moderato entusiasmo (“Avrei preferito De Gasperi”), la fiducia al governo di Massimo D’Alema, primo e ultimo presidente del Consiglio ex comunista.
L’avvocato maramaldeggiava come un Oscar Farinetti qualsiasi sui suoi dipendenti futuri disoccupati: “I conflitti di classe, da quando è caduto il muro di Berlino ed è successo quello che è successo a Mosca, si può dire siano già  finiti”.
Sì, si poteva dire già  allora al Senato, oggi l’Avvocato l’avrebbe ripetuto allegramente alla Leopolda, dove non sarebbe sicuramente mancato, lui che sostenne D’Alema ma anche De Mita e Berlusconi.
Ci voleva Matteo Renzu per realizzare la quadratura del cerchio, la Confindustria che detta, letteralmente, e il governo che trascrive commi scritti altrove.
Agnelli, da presidente della Confindustria, trattava con Luciano Lama e, insieme, imprenditori e sindacati dettavano al governo i termini della loro faticosa intesa.
E lo stesso maestro del collateralismo, Silvio Berlusconi, non è mai riuscito a combinare niente, solo a promettere.
Perchè non è di sinistra come Renzi, è solo di destra, un difetto che impedisce di dire ai lavoratori “lo faccio per voi” e far scattare l’applauso.
Basta ricordare i due momenti chiave, l’alfa e l’omega della sua parabola.
Marzo 2001, nella campagna elettorale che lo porterà  a sterminare il cosiddetto centro-sinistra di Francesco Rutelli, B. va a Parma, al convegno della Confindustria, abbraccia il presidente Antonio D’Amato e proclama: “Il vostro programma è il mio programma”.
Agosto 2011, dieci anni dopo: il governo Berlusconi annaspa tra spread alle stelle, manovre e contromanovre, lettere della Bce e colloqui riservati al Quirinale per preparare l’avvento si super Mario Monti.
Si presenta a Palazzo Chigi una strana alleanza dei produttori capitanata dalla presidente della Confindustria Emma Marcegaglia (oggi nominata da Renzi alla presidenza dell’Eni) che impartisce al Caimano un cazziatone strepitoso: “No all’atteggiamento rilassato del governo”.
Al suo fianco annuiscono padri della patria come il presidente dei banchieri Giuseppe Mussari e leader sindacali come Susanna Camusso della Cgil e Raffaele Bonanni della Cisl, oggi fresco pensionato d’oro.
Berlusconi ci aveva provato, a cancellare l’articolo 18, facendosi teleguidare dalla Confindustria.
Ma c’era l’opposizione, allora, e Sergio Cofferati riempì il Circo Massimo senza che il segretario dei Ds Piero Fassino gli desse del conservatore.
Aveva dunque ragione Agnelli, ci voleva il trionfo politico della sinistra (41 a zero, due a zero etc.) per consentire finalmente alla Confindustria di dare ordini al governo di Renzi.
Che in una cosa è coerente: effettivamente non tratta con le parti sociali, si limita a obbedire agli industriali, tanto i conflitti di classe sono finiti.

Giorgio Meletti
(da “il Fatto Quotidiano“)

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NESSUN RAMOSCELLO D’ULIVO: PRODI E’ GIA’ DIVENTATO UNO SCOGLIO SULLA ROTTA DI RENZI

Novembre 27th, 2014 Riccardo Fucile

INCURANTE DEI SOSPETTI CHE LO VOGLIONO IN CORSA PER IL QUIRINALE E DI ISPIRATORE DI UN NUOVO PARTITO

Nelle ultime settimane la pioggerella si sta trasformando in acquazzone.
C’era una volta il Prodi fuori dai radar, sempre all’estero, sempre pronto a schivare qualsiasi domanda sulla politica italiana.
Era il Prof del dopo 101, quello che aveva deciso di chiudere definitivamente con la politica italiana e che non aveva rinnovato neppure la tessera del Pd.
Nell’ultimo mese, e in particolare nei giorni delle regionali nella sua Emilia, i tg ricordavano invece quelli tra il 2005 e il 2008, con il faccione di Prodi in tutti gli schermi e il suo indimenticabile eloquio emiliano a lanciare stoccate in forma di sorrisi bonari.
Archiviate le regionali, con il boom dell’astensione proprio nella sua terra, il Prof è tutt’altro che tornato ai suoi studi. Anzi, continua a intervenire, ormai quotidianamente, sulla scena politica: prima per difendere l’Ulivo vilipeso, poi per ricordare a Giuliano Ferrara che il Cav di leader della sinistra ne avrà  battuti molti, ma lui no. “Io ho vinto due volte, nel 1996 e ne 2006”, precisa con una nota di agenzia.
E così in tanti cominciano a domandarsi cosa abbia davvero in testa il Professore, che non lascia mai nulla al caso.
Chi lo conosce bene osserva che questo interventismo “dimostra che al Colle davvero non ci vuole andare, altrimenti se ne starebbe zitto”.
Non è un mistero infatti che i papabili veri preferiscono il low profile, soprattutto quando la data delle votazioni per il Quirinale si avvicina, come in questi giorni.
Non per tutti è stato così, a ben guardare.
Nell’estate del 2005, un grande vecchio del Pci-Pds-Ds non lesinò frustate ai titolari di allora della Ditta, Fassino e D’Alema, a proposito dei rapporti troppo confidenziali con i vertici di Unipol nei mesi della tentata scalata alla Bnl. “Hanno sottovalutato il rischio di comportamenti impropri, i partiti non devono tifare per alcun gruppo economico o finanziario…”
Si trattava di Giorgio Napolitano, che pochi mesi dopo arrivò al Quirinale.
L’interventismo del Professore, dunque, potrebbe non impedirgli comunque di salire al Colle.
Ma il profluvio di questi giorni nasce da altre ragioni, che riguardano il legame tra Prodi e il Pd, “che considera come suo figlio,” ricorda chi lo conosce bene.
E quando il figlio sta male, al vecchio padre prudono le mani.
E, nonostante si morda la lingua il più delle volte, ogni tanto Prodi non resiste alla tentazione della dichiarazione.
Come il giorno dopo il flop delle regionali in Emilia. Mentre palazzo Chigi twittava la vittoria per 2 -0 e ridimensionava l’astensione a “problema secondario”, il prof citando un suo vecchio insegnante spiegava che “così ti fai il letto, così dormi”.
E ribadiva che quella scarsa partecipazione a Bologna e dintorni era un “preoccupante segnale di malessere”. Un modo più forbito per dire “chi semina vento raccoglie tempesta”. Rivolto a tutti, compresi i vertici del Nazareno.
Fonti vicino a Prodi non nascondono quanto il prof non abbia gradito l’attacco durissimo di Renzi alla Cgil dal comizio al Paladozza di Bologna, negli ultimi giorni di campagna elettorale.
Così come non gradisce la rottura dei ponti con la sinistra di Vendola e la trasformazione del Pd in qualcosa di diverso dal suo progetto originario.
Non è un caso che Prodi si sia speso a difesa dell’Ulivo “cui ho dedicato la metà  della mia vita” proprio mercoledì, nel giorno in cui Rosy Bindi denunciava dalle pagine del Corriere la rottura del filo rosso tra il pullman del 1995 e il Pd di Renzi.
Il giro prodiano non ha affatto apprezzato le parole di Debora Serracchiani, che ha certificato come quello spirito sia ormai archeologia, e comunque non più una bussola per i nuovi inquilini del Nazareno.
E in molti in questi giorni hanno sentito dire all’ex premier che “l’Ulivo nasceva per unire il centrosinistra, mentre oggi si rischia di dividere…”.
Nonostante la volontà  di “fare il nonno”, nei momenti chiave per il Pd Prodi c’è sempre stato. Anche quando, alle primarie che incoronarono Renzi, decise alla fine di partecipare per allontanare lo spettro dell’astensione, nonostante fossero passati pochi mesi dallo schiaffo dei 101.
Il professore dunque pronto a tornare come icona di un nuovo Ulivo alternativo a Renzi?
In tanti ci sperano, a partire da Civati e Bindi. Ma non sarà  così. Così come vengono giudicate lunari le ricostruzioni del Giornale che vede il Prof come regista dietro le fronde di D’Alema e Fitto, dentro Pd e Forza Italia.
Prodi quando dice di aver lasciato l’impegno politico attivo in Italia è sincero.
E non condivide il muro della minoranza dem contro il Jobs Act.
Per l’ex premier l’intervento di Renzi è “non creerà  nè farà  perdere posti di lavoro”. “In pratica, rispetto all’attuale legge Fornero cambierà  pochissimo ma può servire come prezzo da pagare a Bruxelles per avere in cambio maggiore flessibilità ”, è il ragionamento che gli sentono fare i suoi collaboratori.
In questo nuovo Pd, raccontano fonti vicino al professore, si vedono dei problemi strutturali, che rischiano di minare il bipolarismo: non tanto per la stretta collaborazione con Berlusconi sul dossier riforme, ma soprattutto per l’atteggiamento “troppo ostile” verso i sindacati.
Senza dimenticare la nuova classe dirigente, che spesso nei salotti tv non si dimostra sufficientemente autorevole e si limita a ripetere a pappagallo il verbo renziano.
Senza un adeguamento approfondimento delle tante e complesse questioni sul tavolo. Lui ha sempre spinto i giovani a “prendersi i loro spazi senza aspettare di essere cooptati”.
Ma questo non può avvenire, sostengono prodiani doc, a discapito dell’autorevolezza, solo per una questione anagrafica.
E tuttavia nel merito il suo giudizio sul piano Juncker, sostenuto dal premier, è assai duro: “Mezza lumaca cammina più forte”.
“Gli Stati Uniti sono usciti dalla crisi abbastanza in fretta perchè il pubblico ha messo sul piatto 800 miliardi di dollari subito, ha salvato l’industria automobilistica e ha previsto sussidi alla ricerca”, ha spiegato nei giorni scorsi ai cooperatori bolognesi.
“Il problema è grosso e per un problema grosso ci vuole un intervento grosso, proporzionato. Se l’Europa non esce dalla crisi non è per problemi strutturali, ma perchè non fa la politica che altri hanno fatto per uscire dalla crisi. Un problema semplicemente politico”.
Una lettura molto distante da quella del governo, che sul piano Juncker ha scommesso molto. E su quella promessa di più investimenti e maggiore flessibilità  ha investito molte delle fiches di questo primo anno di governo.
E il Quirinale? “Quell’impiccio non è nel mio futuro”, continua a ripetere il Professore.
E a favore di questa opzione ci sarebbe anche la netta contrarietà  della signora Flavia a lasciare nuovamente via Gerusalemme per una Capitale mai amata.
Ma il fatto è che Prodi sembra essersi stufato di mordersi la lingua. E il boom dell’astensione in Emilia, 63% rimasti a casa, ha fatto saltare il tappo.
“Così ti fai il letto, così dormi…”, ha mandato a dire. Renzi, dal canto suo, non ha mai interrotto i canali di comunicazione con Bologna.
E se mai avesse voluto farlo, Prodi glielo sta sconsigliando. Del resto, per un premier che ha siglato il “Patto del Tortellino” con i leader socialisti europei, sarebbe un paradosso ignorare i consigli che arrivano da via Gerusalemme…

(da “Huffingtonpost”)

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FITTO VUOL FARE IL GOLEADOR, NASCE LA SUA CORRENTE: 36 PARLAMENTARI GIA’ SCHIERATI CON LUI

Novembre 27th, 2014 Riccardo Fucile

TRA I SUOI SOSTENITORI “ROTTAMATORI” SI RIVEDONO ANCHE ESPERTI SFASCIACARROZZE: ANDREA RONCHI, ADOLFO URSO, FRANCESCO STORACE E GIANNI ALEMANNO

È standing ovation quando Raffaele Fitto cita Margaret Thatcher: “I voti non cadono dagli alberi come prugne secche, i voti bisogna conquistarseli, giorno per giorno”.
Poi, l’affondo rivolto a Berlusconi, mai nominato direttamente: “Basta improvvisazioni, più che concentrarsi sul centravanti o sul centrocampista serve una squadra riconoscibile sui contenuti”.
Tempio di Adriano 27 novembre del 2014, trigesimo della Decadenza di Silvio Berlusconi, votata un anno fa a palazzo Madama.
Allora, sotto palazzo Grazioli sembrava di stare a Bisceglie tanti erano i pugliesi chiamati a raccolta da Raffaele Fitto per esprimere solidarietà  a Berlusconi.
Oggi, nuovo passo della Decadenza politica. Nasce il correntone azzurro.
Per la prima volta, i ribelli ci mettono la faccia in pubblico, sfilando di fronte alle telecamere.
Il pallottoliere segna 36 tra parlamentari e senatori ma, spiegano, altri potrebbero arrivare.
È una notizia che trova conferma nel panico di palazzo Grazioli, dove alla Camera secondo Denis Verdini i parlamentari berlusconiani ortodossi su cui mettere la mano sul fuoco sono 36, quelli fuori controllo 32, perchè oltre ai fittiani puri c’è una vasta area di malcontento sul Nazareno.
Il “parroco di Lecce”, così lo apostrofò Berlusconi nel corso di un ufficio di presidenza, controlla quasi la metà  dei parlamentari.
Per questo si muove da capo, fermo sulle posizioni di chi vuole un “chiarimento” politico. Quando Silvio Berlusconi lo fa chiamare per invitarlo a pranzo con i capigruppo, Giovanni Toti e Deborah Bergamini fa sapere che è disponibile a un faccia a faccia non ad un incontro con una delegazione: “Lo volevano imbrigliare – dice un big del correntone – nel senso che gli avrebbero chiesto di non parlare di questo o quest’altro, mettendo il silenziatore all’iniziativa, ma senza aprire una discussione vera. E lui non è andato per stare libero. Quando Berlusconi vorrà  trattare, allora andrà ”
Aria elettrica, quasi da congresso di nuovo partito, ci sono parecchi ex ministri dei governo Berlusconi. Saverio Romano, Gianni Alemanno.
Arriva Francesco Storace: “Sono un pregiudicato, ma a me piace la politica. Per questo sono qui”.
L’ex finiano Andrea Ronchi sembra ringiovanito: “Sono qui, perchè bisogna creare, partendo da personaggi come Fitto, un centrodestra, forte e credibile, alternativo alla sinistra renziana, che torni allo spirito del ’94”.
Guai a nominare la parola scissione, guai a nominare Berlusconi: “Noi — dice Fitto dal palco — non siamo contro qualcuno, ma per qualcosa”.
Applaudono pure i rappresentanti delle categorie invitate a parlare, Confcommercio, Confartigianato, Confediliza, categorie tradizionalmente vicine al centrodestra, sotto la grande scritta “Per l’alternativa”.
Proprio partendo dall’interlocuzione con loro Fitto spinge sulla necessità  di partire dai “contenuti”, termine — aggiunge — “che dà  quasi fastidio”, critica il governo Renzi sulla politica economica, sui fondi europei, sull’approccio subalterno a Bruxelles.
E in nome dell’alternativa di governo invoca la “rifondazione” di Forza Italia e del centrodestra: “Se il nostro partito si confrontasse con questi temi, avrebbe una credibilità  diversa di quella che ha. Questo intendo quando parlo di rifondazione”.
È “governo” la parola più usata nel discorso sotto lo sguardo accudente dello spin doctor Luigi Crespi, l’inventore del contratto con gli italiani del 2001, e di Daniele Capezzone, la “mente” economica del correntone, infaticabile produttore di materiali sull’economia.
E non è un caso che Fitto batta molto proprio sull’alternativa di governo. Perchè il battesimo del correntone non è un’iniziativa di rottamazione, nè — almeno per ora — la prova di una scissione.
Il “parroco di Lecce” è cresciuto e si pone come goleador, anti Salvini nel guidare un nuovo centrodestra.
Per questo parla di unità  del centrodestra, gioca di sponda col leghista invocando le primarie: “Tutte le investiture devono passare dal popolo”.
Parla, esattamente come Salvini, non contro Berlusconi ma già  oltre Berlusconi: “Sulle primarie – dice – anche Salvini sarebbe d’accordo”.
Se la ride all’ingresso quella vecchia volpe di Vincenzo D’Anna: “Ora Raffaele deve stare attento agli zelatori”.
Perchè sul territorio i portatori di voti, il ceto politico delle amministrazioni lo cerca, per proporsi nel correntone.
Andrea Ronchi racconta: “Andando in giro c’è voglia di politica, non sai quanta. Ti faccio vedere la lista di imprenditori, gente seria, professionisti che hanno voglia di impegnarsi perchè non vogliono Renzi. E in questo momento Forza Italia sul territorio non c’è”.
Proprio sul territorio Forza Italia pare una polveriera pronta ad esplodere.
Il governatore della Campania Caldoro, ad esempio, è sbottato: “Io — ha dichiarato a Repubblica — non so se mi ricandido”.
Significative le sue parole sulla guida del centrodestra: “La leadership si conquista sul campo: corrono Salvini, Alfano, Fitto, Toti e chiunque si voglia misurare. Ma non necessariamente con le primarie”.
Ecco, la sensazione è che il problema sia sempre lo stesso: Silvio Berlusconi.
Nei capannelli la fantasia della politica è scatenata. C’è chi ragiona di un “listone nazionale” di centrodestra alleato con Salvini, chi di una Forza Italia fittizzata come motore di una alleanza. Chissà .
Augusto Minzolini dice: “Il paradosso del momento è che sia Salvini sia Renzi sono, ognuno a suo modo, il prodotto del berlusconismo, nel senso della politica come leadership, come la concepiva Berlusconi. Ora l’unico partito senza leader è Forza Italia”.
Decadenza, atto secondo. Un anno dopo.

(da “Huffingtonpost“)

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UN CENTINAIO DI ATTIVISTI SOTTO CASA DI GRILLO: “NO ALL’ESPULSIONE DI PINNA E ARTINI”. MA NON ILLUDETEVI CHE VI OFFRA IL CAFFE’

Novembre 27th, 2014 Riccardo Fucile

UNA DELEGAZIONE DI SETTE DEPUTATI IN ARRIVO A MARINA DI BIBBONA DOPO L’ALLUCINANTE ESPULSIONE DEI DUE DEPUTATI CON UNA VOTAZIONE FANTASMA CHE NESSUNO PUO’ CONTROLLARE E CONTRARIA ALLO STATUTO

Una delegazione di deputati del Movimento Cinque Stelle, guidata da Massimo Artini, sta raggiungendo Beppe Grillo per incontrarlo di persona e avere così “chiarimenti” sul post del blog del leader M5S che ha avviato la procedura di espulsione nei confronti dello stesso Artini e della deputata Paola Pinna.
La delegazione dei ribelli – di cui non fa parte la Pinna – sta viaggiando alla volta di Marina di Bibbona proprio per chiedere un confronto aperto all’ex comico.
“Ci dicono che un centinaio di attivisti stazionano già  lì, davanti casa di Beppe”, ha detto all’Adnkronos il deputato Marco Baldassarre.
I deputati Massimo Artini e Paola Pinna sono fuori dal Movimento 5 stelle.
La lunga giornata del voto per l’espulsione dei due parlamentari finisce così: con una delegazione di consiglieri comunali, attivisti e parlamentari sotto casa di Beppe Grillo a Marina di Bibbona in Toscana.
Chiedono un colloquio e chiedono spiegazioni al leader.
“Questa votazione non è valida”, dice a ilfattoquotidiano.it Marco Baldassarre, “siamo qui per parlare con Beppe. Vogliamo capire una volta per tutte che cosa gli sta passando per la testa. Io non ho nemmeno votato: quello che contestiamo è il metodo. Questo modo di fare non appartiene al Movimento 5 stelle. Un voto fatto così è una totale presa in giro”.
Sono sette i parlamentari davanti a casa di Grillo, oltre a Baldassarre e Artini sono arrivati anche i colleghi Federica Daga, Samuele Segoni, Tatiana Basilio, Silvia Benedetti e Gianluca Rizzo.
“Io personalmente”, continua Baldassarre, “non ho nemmeno votato. Il blog dice che Massimo non ha rispettato le regole quando in realtà  ha pubblicato tutti i rendiconti. La cosa che mi lascia perplesso è il fatto che la maggior parte dei commenti fosse in favore degli espulsi, ma alla fine la votazione sia stata così schiacciante per l’uscita. Non voglio nemmeno pensare al fatto che non abbiamo una società  terza che certifica il voto, ma è un altro elemento che non si può dimenticare”.
Tutto questo vogliono chiedere a Grillo: “Abbiamo investito tempo, energie ed emozioni. Non possiamo veder finrie tutto così”, conclude Baldassarre.
L’M5s perde due parlamentari ed incassa l’ennesima ferita: accusati di non restituire parte dello stipendio, hanno smentito mostrando i rendiconti pubblicati sui propri siti internet personali.
Ma alla base dello scontro ci sarebbero le posizioni critiche.
Dopo le elezioni Regionali, Massimo Artini in un’intervista a ilfattoquotidiano.it ha chiesto un confronto con Grillo e Casaleggio.
Una procedura di espulsione lampo, senza passare dalla sfiducia dei Meetup o dall’assemblea congiunta dei parlamentari, al contrario di quanto prevede il codice di comportamento.
Il primo commento è stato quello della deputata Pinna: “E’ un’esecuzione sommaria, ma non potevano trovare un pretesto peggiore di questo. I bonifici ci sono, li trovano sul mio blog e su Facebook”.
Alla base dello scontro c’è la decisione di una parte dei portavoce M5s (sono 18 in tutto) di non pubblicare sul sito di Grillo (tirendiconto.it) le note di rimborso. “Vogliamo garanzie sulla gestione del sito e spiegazioni”, si erano giustificati nei giorni scorsi. Ma per i leader non basta.
Il Movimento perde oggi due parlamentari ed incassa l’ennesima ferita. La squadra M5s a Montecitorio passa così da 104 a 102 deputati.
E questa volta le polemiche rischiano di fare più male del solito. Per tutto il giorno il gruppo dei portavoce si è spaccato tra accuse e difese, e in molti hanno minacciato di lasciare il Movimento nel caso Pinna e Artini fossero effettivamente cacciati.
I critici si sono riuniti nel pomeriggio e hanno cercato di delineare una strategia.Alla fine la decisione di andare sotto casa di Grillo, nella speranza di avere una risposta.

Martina Castigliani
(da “il Fatto Quotidiano”)

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