Destra di Popolo.net

QUIRINALE, ANGELINO SÌ, SILVIO QUASI, LA CLAMOROSA RETROMARCIA

Gennaio 30th, 2015 Riccardo Fucile

FINISCONO TRAVOLTI DALLA FRONDA INTERNA… E SILVIO SI PERDE FORZA ITALIA

È più di una “resa” sul Quirinale, quella che si materializza quando Angelino Alfano e Silvio Berlusconi si telefonano per concordare che, sabato mattina, cederanno su Mattarella.
Il ministro dell’Interno ha già  annunciato il suo sì attraverso Gaetano Quaglieriello in tv e, soprattutto, che lo ha già  pronunciato di fronte a Matteo Renzi.
L’ultima notte dei comunicati ufficiali serve solo per aspettare l’ultima capriola di Berlusconi.
Dal paventato Aventino alla scheda bianca annunciata nel pomeriggio dal suo consigliere Giovanni Toti. Al possibile sì.
Perchè è l’ultima trattativa è nelle mani di Gianni Letta, impegnato a portare Berlusconi sul voto favorevole a Mattarella.
Dice una fonte vicina al dossier: “Se a questo punto votiamo scheda bianca, Berlusconi esce in minoranza nel suo partito. Meglio votare sì per salvare la faccia. Tutto il resto è perso”.
È più di una resa perchè è successo che Berlusconi (e Alfano) hanno perso totalmente il controllo dei rispettivi partiti.
Con truppe di parlamentari pronte a votare Mattarella, come atto di malessere verso la linea oscillante di Angelino, dentro Ncd.
E come atto di rivolta verso Berlusconi, il suo cerchio magico, Verdini, quelli che lo hanno condotto verso una disastrosa sconfitta politica, dentro Forza Italia: “Ha dato tutto — è il refrain – ci ha ammazzati, sacrificati con la legge elettorale e si è fatto scaricare senza incassare nulla”.
Succede che col passare delle ore, dentro i due partiti, il voto su Mattarella diventa il catalizzatore di malesseri, frustazioni, dissenso politico represso per mesi.
A metà  giornata quasi una trentina di parlamentari di Area Popolare sono pronti a votare Mattarella, e una cinquantina di Forza Italia, la metà  del gruppo.
Berlusconi e Alfano, i grandi azionisti fino a qualche giorno fa, del partito della Nazione sembrano due estranei a casa loro.
Ed è più di una resa perchè arriva dopo un azzardo. Che segna anche un rapporto tra i due — Berlusconi e Alfano – nuovamente incrinato.
E allora occorre partire dall’inizio, per capire le macerie del centrodestra alla fine della giornata di passione.
Da quando Silvio Berlusconi, furibondo, chiama Alfano nel tardo pomeriggio di giovedì. E gli fa la grande offerta. Che, vista la delicatezza della materia, la portavoce dell’ex premier non conferma.
Ma più di testimone vicinissimo al ministro dell’Interno e “oculare” nel caso di Berlusconi) racconta all’HuffPost: “Angelino, se apri la crisi andiamo dritti al voto e sarai tu il candidato del centrodestra”.
Ecco, la crisi di governo in cambio delle chiavi di casa. Subito.
Quello che Alfano voleva ai tempi della scissione. Prosegue il testimone: “Significava voltare pagina, intestarsi la ricostruzione del centrodestra. Per Alfano l’occasione della vita. Tornare da leader nella guida dei moderati ed emanciparsi da Renzi”.
Ma Alfano prende tempo.
Perchè, al fondo, ha paura di essere risucchiato da Berlusconi: “Non si fida” dicono i colonnelli del suo partito.
Già  vede il film di una campagna elettorale devastante, all’ombra di un rinato Caimano, contro tutto e tutti: governo, nuovo capo dello Stato, procure.
Già  vede le riunioni ad Arcore col cerchio magico e Dudù. È per questo che nella prima riunione coi suoi all’alba spiega che vuole tenere “il patto di consultazione con Forza Italia” ma che la linea è “scheda bianca”, senza forzature. Senza crisi.
Ed è una posizione che, col passare delle ore, rischia di scricchiolare, stretta tra la pressione di Berlusconi che per tutto il giorno gli chiede di forzare e quella di Renzi, furioso perchè non si è mai visto un ministro dell’Interno che vota contro il candidato al Colle del suo presidente del Consiglio.
Col passare delle ore, le truppe “non tengono”.
A metà  mattinata, il senatore Castiglione ha già  il consenso di una ventina di parlamentari di Area popolare, soprattutto siciliani, per “votare Mattarella”.
Il pallottoliere dice che possono salire fino a 30. Ma è la “mossa” di Berlusconi a trasformare il centrodestra in un campo di battaglia.
Perchè l’Aventino sul Quirinale era un’ipotesi che non doveva uscire.
Doveva rimanere riservata. Un conto è dirselo a telefono anche con dei testimoni, un conto è dirlo a un ufficio di presidenza.
Invece esce dall’ufficio di presidenza degli azzurri: “Forza Italia — battono le agenzie — valuta di non partecipare alle votazioni sul capo dello Stato”.
Parole che hanno l’effetto di fiammiferi accesi vicino a un candelotto di dinamite. Perchè già  è anomalo che un ministro dell’Interno si astenga sull’elezione di un capo dello Stato proposto dal suo premier, ma l’uscita dall’Aula sarebbe la crisi.
È il Mezzogiorno di fuoco del centrodestra.
La prospettiva della crisi (e di elezioni) fa partire i “frenatori” sia dentro Forza Italia sia dentro Ncd.
Riunito a pranzo con i suoi, Fitto ci mette un secondo a pensare la contromossa. Ecco il ragionamento di Fitto, raccontato da un commensale: “Fanno l’Aventino e vogliono andare fuori dall’Aula? Ma no, questa è una cretinata. Non è una posizione politica, è uno sgarbo quasi personale a Mattarella. Noi non ci stiamo. E questa sera annunceremo che entriamo in Aula e votiamo scheda bianca, perchè come dice Berlusconi critichiamo il metodo e non la persona”.
A quel punto, nell’urna, Dio ti guarda, Berlusconi no, e il Padreterno non si dispiace se qualche voto va a Mattarella.
I “qualche voto” sono i 40 fittiani più i trenta di Area Popolare. Questi i numeri ufficiali, di quelli che ci mettono la faccia, dichiarano e firmano documenti. Nel segreto dell’urna sono ancora di più.
Le riunioni di Ncd sono un qualcosa a metà  tra un ring e una seduta di autocoscienza. Volano parole grosse l’ala filo-berlusconiana (Lupi, De Girolamo, Saltamartini, pure Quagliariello è tra i duri) pronti alla crisi e i filogovernativi. Beatrice Lorenzin lavora tutto il giorno per una ricucitura politica con palazzo Chigi: per votare Mattarella — è il suo ragionamento – serve un appiglio.
E l’appiglio è una dichiarazione distensiva da parte di Renzi che svelenisca il clima consentendo ad Alfano si votare Mattarella senza perdere la faccia.
È quello che poi accadrà . E che scava un solco con Berlusconi.
L’ex premier, che solo una settimana fa sembrava il numero due del partito del Nazareno e fantasticava di un suo ingresso al governo assiste da Cesano Boscone alla rivolta del suo partito ed è costretto a una resa umiliante: dall’annuncio dell’Aventino al possibile quasi sì a Mattarella.

(da “Huffngtonpost”)

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IMPOSIMATO PRIMA DEI CINQUESTELLE: “NO AI PM AGUZZINI E AI NEMICI DEI PARTITI”

Gennaio 30th, 2015 Riccardo Fucile

LA “COERENZA” DEL CANDIDATO GRILLINO: ORA INNEGGIA AI MAGISTRATI DI ROMA CAPITALE, MA NEL 1998 LANCIO’ ANATEMI CONTRO IL POOL DI MANI PULITE

Grazie ai “magistrati e inquirenti coraggiosi” che hanno scoperchiato Mafia capitale, e lotta dura alla “corruzione, una tassa occulta e immorale di 70 miliardi di euro”.
Così Ferdinando Imposimato guadagnava ovazioni dal palco della Notte dell’onestà  del Movimento 5 Stelle, pochi giorni prima di vincere le Quirinarie online e diventare il candidato unico grillino al Colle.
Ma c’è stato un tempo in cui l’ex magistrato raccoglieva ovazioni di stampo esattamente opposto.
Specie nei passaggi in cui inquadrava nel mirino i magistrati milanesi che avevano dato il via all’inchiesta Mani pulite.
O meglio “alcuni investigatori al servizio di ex eroi e implacabili giustizieri che prendevano prestiti senza interessi dagli indagati”.
Riferimento diretto ad Antonio Di Pietro, a cui si doveva sbarrare la strada perchè era “un nemico dei partiti“.
LE OVAZIONI AL CONGRESSO DEI POST (MA NON TROPPO) CRAXIANI
Era il 9 maggio 1998, Imposimato interveniva a Fiuggi al congresso fondativo dello Sdi, i Socialisti democratici italiani.
Alla fine della lunga traversata nel deserto seguita al crollo del Psi di Bettino Craxi, all’epoca latitante ad Hammamet, le microsigle del socialismo italiano puntavano al rilancio con la nuova formazione di Enrico Boselli.
L’attacco più violento fu riservato ad Antonio Di Pietro, l’ex pm simbolo del pool di Milano diventato ministro per qualche mese nel governo di Romano Prodi, e che poi era confluito nei Democratici prodiani.
Così, parlando dei rapporti del nascente Sdi con il centrosinistra di governo, Imposimato lanciava la sua filippica contro “la scelta di inserire nel governo un personaggio politicamente squalificato. Chi si proclama nemico dei partiti”, si infervorava il futuro candidato presidente del Movimento 5 Stelle, “chi amministra la giustizia in modo parziale e settario al servizio proprio e di amici   politici, chi ha violato le regole del giusto processo, chi è stato l’aguzzino dei socialisti non può essere accettato come alleato politico di coloro che hanno pagato un prezzo altissimo poichè questo equivarrebbe a legittimarne le malefatte e gli abusi” (qui sotto l’audio dell’intervento).
La platea socialista si scaldò così tanto che il moderatore fu costretto a placarla perchè si era già  “in ritardo con l’ordine dei lavori”.
MANI PULITE? “VIOLATO IL GIUSTO PROCESSO”
Nell’intervento, Imposimanto ammetteva l’esistenza di un vasto sistema corruzione, tanto che esortava la nascente formazione a tenere lontani affaristi e delinquenti”, ma faceva proprie tutte le tesi preferite dai nemici giurati del pool di Milano.
Tutte le forze politiche erano coinvolte nelle tangenti, affermava, ma alcune “sono state ingiustamente salvate da un ex pm in cambio di favori politici e giudiziari”.
I magistrati, poi, avevano “violato i principi del giusto processo”.
Il Partito socialista di Craxi era stato “criminalizzato”, e continuava a esserlo. I socialisti erano diventati “capri espiatori perchè vulnerabili”.
Argomentazioni oggetto di un eterno dibattito, oggi non ancora spento, in parte confutate fatti alla mano dai protagonisti di uella stagione, ma che appaiono comunque poco in sintonia con gli umori del Movimento che ha portato a Imposimato 126 voti al terzo scrutinio per la scelta del successore di Napolitano.
Per esempio si ricorda l’inziativa dei grillini in Commissione cultura della Camera nel novembre 2013: chiesero addirittura di cancellare il termine “socialista” dalla legge che proponeva di istituire un premio in memoria di Giacomo Matteotti.
E certamente Beppe Grillo è il titolare di battute tra le più feroci sul Psi craxiano (“Se in Cina sono tutti socialisti, a chi rubano?”, anno 1986 ed espulsione immediata dagli schermi Rai).
Contraddizioni in seno al popolo (della Rete), avrebbe detto Mao.
In quegli anni Imposimato fu protagonista di una feroce campagna contro il pool Mani pulite, come ha ricordato Marco Travaglio nei giorni scorsi su Il Fatto Quotidiano. Attaccava il procuratore di Milano Francesco Saverio Borrelli e si schierava a favore di Renato Squillante, capo dei gip di Roma arrestato nell’inchiesta Imi-Sir cche vedeva protagonista Cesare Previti, condannato in primo e secondo grado, alla fine e assolto in Cassazione, ma con motivazioni che rilevavano il suo comportamento “non in linea con i doveri deontologici”.
IN TV PER “GRAZIARE” IL BOSS DELLA ‘NDRANGHETA
C’è però un’altra ombra nella biografia dell’ex magistrato, ben più spessa delle opinioni sull’inchiesta che ha scoperchiato Tangentopoli.
Nel 1992 Ferdinando Imposimato, diventato nel frattempo senatore del Pds, si presentò sul palco del Maurizio Costanzo Show per perorare l’innocenza di Domenico Papalia, il capo dei capi della ‘ndrangheta trapiantata in Lombardia.
Papalia era stato condannato definitivamente all’ergastolo per l’omicidio del boss Antonio D’Agostino, avvenuto nel 1977, ed era stato lo stesso giudice istruttore Imposimato a incriminarlo e a firmare l’ordine di arresto.
Ora ne chiedeva la liberazione. “C’erano sufficienti indizi per rinviarlo a giudizio, ma non per la condanna”, tornò a dire pochi giorni dopo al Corriere della Sera.
A restare allibiti furono questa volta altri magistrati milanesi, come ricostruiscono Gianni Barbacetto e Davide Milosa in “Le mani sulla città ” (Chiarelettere).
A cominciare da Alberto Nobili, che dalla neonata Direzione distrettuale antimafia stava chiudendo l’inchiesta Nord-Sud che avrebbe smantellato il clan di Papalia, basato a Buccinasco, le cui seconde generazioni sono coinvolte oggi in nuovi processi per mafia.
Da magistrato, Imposimato aveva seguito importanti inchieste su terrorismo e mafia, e aveva sofferto sulla propria pelle la violenza mafiosa quando, nel 1983, la camorra aveva assassinato suo fratello Franco.
La campagna a favore del boss toccherà  il culmine con un’apparizione su Raidue con una figlia di Papalia e Antonio Delfino, fratello giornalista del generale dei carabinieri Francesco.
I Delfino sono originari di Platì, il paese aspromontano da cui provengono anche i Papalia, clan di grande spessore e accreditato di contatti ad alto livello anche nei servizi segreti.
Scriverà  in proposito il giudice Guido Piffer negli atti dell’inchiesta Nord-Sud: “Il senatore Imposimato è stato utilizzato, è il caso di dirlo, da scaltri manovratori, senza contare il suo preoccupante, se vera l’ipotesi, non potersi tirare indietro da pressioni o minacce provenienti da ambienti non certo di frati trappisti”.
Imposimato respingerà  con sdegno l’ipotesi di essere stato manovrato.
L’aspirante al Colle non disdegna le battaglie controverse.
Uno dei suoi libri, “I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia. Perchè Aldo Moro doveva morire? La storia vera”, sosteneva il ruolo dei servizi segreti di mezzo mondo, dalla Cia al Mossad passando per la Stasi, nel sequestro e nell’assasinio del presidente della Dc a opera della Brigate rosse, con pesanti responsabilità  di Cossiga e Andreotti.
Tesi per la verità  tornate in auge negli ultimi mesi con l’autorevole timbro del pg di Roma Luigi Ciampoli.
Ma la fonte principale della controinchiesta di Imposimato, l’ex brigadiere della Guardia di Finanza Giovanni Ladu, che si era presentato come un ex appartenente alla rete Gladio, è attualmente è indagato per calunnia a Roma.

Mario Portanova
(da “il Fatto Quotidiano”)

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QUANDO ERA MINISTRO DELLA DIFESA “MATTARELLA NEGO’ USO URANIO IMPOVERITO E IL NESSO CON LE PATOLOGIE DEI NOSTRI MILITARI”

Gennaio 30th, 2015 Riccardo Fucile

IL BLOG DI GRILLO PUBBLICA L’ARTICOLO DEL GIORNALISTA SANI: “MATTARELLA NEGO’ L’EVIDENZA”

Negò il nesso tra l’utilizzo dell’uranio impoverito e l’insorgere delle patologie tra i nostri militari: ergo, Sergio Mattarella non è degno di diventare il capo dello Stato.
Una stroncatura. A tutti gli effetti.
Il blog di Beppe Grillo ha pubblicato (e poi rilanciato con un tweet) un articolo di Lorenzo Sani, inviato del Resto del Carlino.

“Ho avuto occasione di incontrare il candidato di Renzi al Quirinale, Sergio Mattarella, quando questi era ministro della Difesa del governo Amato — ha scritto Sani — Lavoravo da qualche mese sulla vicenda dell’uranio impoverito e sull’impressionante numero di leucemie linfoblastiche acute e linfomi tra i nostri militari che erano o erano stati in missione nei Balcani, soprattutto in Bosnia, ma non solo. Sergio Mattarella negò a più riprese il possibile nesso tra l’insorgere delle patologie e il servizio”.
Non solo. A leggere l’articolo del cronista, Sergio Mattarella “negò che la Nato avesse mai utilizzato proiettili all’uranio impoverito (DU, Depleted Uranium), tantomeno che questo fosse contenuto nei Tomahawk (missili) sparati in zona di guerra dalle navi Usa in Adriatico.
Insomma, Mattarella, candidato di Renzi al Quirinale, negò su tutta la linea.
Negò pure ciò che era possibile reperire nei primi giorni di internet sugli stessi siti della Difesa Usa, che magnificava l’efficacia degli armamenti al DU e dettava, contestualmente, le precauzioni sanitarie da adottare in caso di bonifica: protocolli di sicurezza molto rigidi, che prevedevano l’utilizzo di tute, guanti e maschere protettive, per svolgere il lavoro che invece a mani nude e senza protezioni facevano i nostri soldati. I quali, nel frattempo, continuavano ad ammalarsi e morire…”.
Il 27 gennaio 2001, ha raccontato infine Lorenzo Sani, “avvicinai Mattarella nella ressa dei giornalisti e riuscii a porgli un paio di domande, alle quali, assai piccato, si rifiutò ancora una volta di rispondere.
O meglio, anche in quell’occasione negò qualsiasi nesso tra DU e i linfomi o le leucemie. Fantasie della stampa. Provai a insistere, ma lui mi respinse con toni e modi definitivi”.
“Mattarella girò i tacchi se ne andò — ha concluso il giornalista — così mi beccai anche il rimprovero dei colleghi perchè avevo fatto scappare il ministro con domande ‘fuori temà ““.

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LA BALENA BIANCA È RITORNATA

Gennaio 30th, 2015 Riccardo Fucile

UN CATTOLICO ALLA GUIDA DEL MAGGIORE PARTITO DI SINISTRA E AL GOVERNO… E PURE PER IL COLLE LA STRADA È QUELLA

Il moroteo Pino Pisicchio ancora non ci vuole credere. Il ritorno in sella della Democrazia Cristiana a 23 anni di distanza dall’ultimo governo Andreotti.
Non ci vuole credere, Pisicchio: un suo compagno di corrente al Quirinale, un promettente erede della scuola scudocrociata a Palazzo Chigi.
“Il punto è: lo vuole davvero o no?”, si domanda il presidente del gruppo Misto quando in Transatlantico si diffonde la voce che il Pd potrebbe votare Mattarella già  al primo scrutinio.
“Se lo vuole davvero non lo mette al primo voto, almeno così funziona la grammatica politica con cui sono cresciuto. Ma lo psicoanalista Matte Blanco insegna che esiste la bi-logica: la logica del ragionamento e quella onirica. Ognuno ha il suo sogno, e chi lo sa qual è il sogno suo?”.
Pisicchio si augura che il miraggio sia lo stesso. La Terza Repubblica che (ri)comincia con due democristiani.
Pensare che è tutto merito di un comunista.
Di quel Giorgio Napolitano che scelse la via di Monti dopo l’addio di Berlusconi. Lo stesso che ha preferito Enrico Letta a Pier Luigi Bersani.
Ancora quello che ha portato Matteo Renzi dritto al governo senza passare per le elezioni.
Qualcuno ha voluto sottolineare l’eterno ritorno anche nel segreto del catafalco: “Arnaldo Forlani”, scandisce la presidente Laura Boldrini a spoglio appena iniziato. Un voto per l’ex segretario della Dc che — a proposito di Quirinale — nel ’92 fu costretto a ritirare la sua candidatura, impallinato dai franchi tiratori del suo stesso partito.
Roberto Calderoli fa il suo ingresso a Montecitorio con in mano un plico di fogli fotocopiati.
È una prima pagina del Manifesto del 1983: “Non moriremo democristiani — si legge — (se questo terremoto sveglia Pci e Psi)”: lo scudo-crociato era precipitato al 32 per cento e i comunisti di Enrico Berlinguer si erano pericolosamente avvicinati al 30.
La storia è andata come è andata: la Dc è formalmente morta e informalmente resuscitata nel Pd di Matteo Renzi.
Non parla, la minoranza democratica.
Ci pensa Augusto Minzolini a decretare che “la cultura socialdemocratica è ormai una componente residuale” del partito nato sulle ceneri di Ds e Margherita.
Sostiene il falco di Forza Italia: “Ma vi rendete conto che era dai tempi di De Mita che non c’erano due democristiani al potere? E vi vorrei far notare che anche all’epoca fu l’unico caso dell’intera Prima Repubblica in cui il presidente del Consiglio era contemporaneamente segretario del partito”.
Un Pier Ferdinando Casini in gran spolvero dà  di gomito al candidato: “È un’ottima persona: lo conosco da quando siamo entrati insieme alla Camera nel 1983”.
E in giro per il Transatlantico tutta la brigata degli ex popolari è in brodo di giuggiole. Si incrocia un Beppe Fioroni che cammina a un metro da terra.
Rosy Bindi, sulle barricate con Matteo fino all’altro ieri, è radiosa. “È una bella giornata. Non posso che essere contenta del nome di Sergio Mattarella”.
Alla buvette, mentre festeggia con il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini la lieta novella, racconta la telefonata che le ha dato il buongiorno (l’interlocutore lo possiamo solo immaginare): “Adesso te lo posso raccontare: mi ha chiamato stamattina per dirmelo, gli ho detto ‘segnati anche il numero di casa’. Mi ha risposto: tanto ti richiamerò tra dodici anni”.
Pierluigi Castagnetti è stato il regista dell’operazione: è lui che ha fatto da garante nel nuovo patto tra Renzi e Mattarella.
Ma la benedizione più di peso è quella di Napolitano: “Sono contento dell’indicazione di Mattarella, è l’uomo giusto per garantire il percorso delle riforme istituzionali. È una persona di assoluta lealtà , correttezza, coerenza democratica e alta sensibilità  costituzionale”.
Voleva che il suo successore non buttasse all’aria tutto il lavoro che ha tessuto nei suoi nove anni al Quirinale. Lo ha trovato.
Ancora una volta è un democristiano.

Paola Zanca
(da “il Fatto Quotidiano”)

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PRIMA DEI PATTI VIENE LA DIGNITÀ

Gennaio 30th, 2015 Riccardo Fucile

PERDERE UNA BATTAGLIA POLITICA NON E’ UNA TRAGEDIA, PERDERE LA DIGNITA’ SI’

Credo che non sia scritto in alcuna dichiarazione, ma per me è il più importante fra i diritti.
Parlo del diritto alla dignità , quel sentimento interiore di piccola stima nei confronti di noi stessi per quel che abbiamo fatto e facciamo, e per quel che siamo.
Proprio perchè sentimento interiore che emerge dal dialogo con la nostra coscienza e non dall’opinione degli altri, e ancora meno dal riconoscimento delle Costituzioni e delle leggi, nessuno, tranne noi stessi, può toglierci la dignità .
Ma è vero anche che ciascuno di noi porta con sè nel mondo il dato di essere italiano o italiana.
Essere italiani oggi vuol dire essere sottoposti alle decisioni prese da un delinquente cacciato dal Parlamento in combutta con un giovanotto che asseconda il suo desiderio di continuare a essere arbitro della politica italiana, con l’avallo di una pletora di servi dell’uno e dell’altro incapaci di dire semplicemente “No!, le indecenze dei vostri incontri segreti non mi riguardano, il mio solo commento è il disprezzo”
La dignità , ecco quello che ci ha tolto e ci toglie il patto fra Berlusconi e Renzi.
Con quel loro accordo ci hanno detto e dicono ogni giorno, con il sorriso sprezzante di chi sa di poter fare ciò che vuole, che l’onestà , la rettitudine, la lealtà  alla Repubblica non valgono assolutamente nulla.
Conta essere evasori fiscali, sodali di corruttori di giudici, sostenitori di collusi con la mafia. Queste sono le persone con le quali si può eleggere il capo dello Stato, suprema magistratura di garanzia, riformare la legge elettorale, riscrivere la Costituzione.
Se sei una persona onesta e credi nella libertà  repubblicana, nell’Italia di Renzi e di Berlusconi vali meno di niente.
Ti deridono. Coprono le loro ripugnanti azioni con argomenti ispirati ai triti luoghi comuni della necessità  politica.
“Ci vuole una legge elettorale che assicuri solidi governi mediante generosi premi di maggioranza”; “bisogna abolire il Senato elettivo per semplificare e accelerare il processo legislativo”, gridano a gran voce.
Sono balle che non troverebbero ascolto in nessun consesso civile.
La prova più eloquente che non c’è alcun bisogno di togliere di mezzo il Senato per legiferare è il fatto stesso che questo governo legifera, eccome.
Delle due l’una: o Renzi mente quando sbandiera che il suo governo ha “fatto” tante leggi; o mente quando proclama che con l’attuale Costituzione è praticamente impossibile legiferare.
In termini di filosofia politica, quella che mi onoro di insegnare da trent’anni fuori d’Italia, ovviamente, il comportamento di Renzi e dei suoi si fonda sul presupposto di poter ingannare i cittadini a suo piacere. Tanto non la capiscono.
O fanno finta di non capire?
Sono dunque due i motivi per i quali ci dobbiamo vergognare: essere di fatto governati da un delinquente assecondato da un giovinotto, essere trattati come deficienti.
Quel che più avvilisce e indigna è che nessuno compie un passo deciso per uscire dalla palude, formare un partito di dignità  repubblicana e civile, alzare una bandiera.
Cosa aspettate, persone perbene che fate ormai fatica a guardarvi allo specchio perchè sapete che non valete nulla e vi trattano da poveri idioti?
In politica una delle virtù essenziali è la capacità  di cogliere l’occasione.
Orbene, l’occasione è adesso.
Se aspettate che vada al Quirinale il burattino di Renzi e Berlusconi, e poi disfino la Costituzione, sarà  troppo tardi per qualsiasi efficacie azione politica.
“Dove eravate?”, vi chiederanno, e vi chiederò, quando Renzi e Berlusconi disfacevano pezzo a pezzo la Repubblica?
Non saprete rispondere e sarete finiti una volta per tutte.
Perdere una lotta politica non è una tragedia; perdere la dignità  sì.

Maurizio-Viroli
(da “il Fatto Quotidiano“)

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QUIRINALE, CENTRODESTRA SENZA DIGNITA’: NCD VERSO IL SI’ A MATTARELLA

Gennaio 30th, 2015 Riccardo Fucile

ED ENTRO DOMANI MATTINA POTREBBE ARRIVARE IL DIETROFRONT ANCHE DI FORZA ITALIA

L’appello di Matteo Renzi fa centro.
Area Popolare, che riunisce Nuovo Centrodestra e Udc, è quasi convinta a votare Sergio Mattarella come prossimo presidente della Repubblica.
La riserva sarà  sciolta in serata a una riunione dei grandi elettori. Ma la serie di incontri che Renzi, ministri, vicesegretari e parlamentari del Pd hanno avuto per tutta la giornata a Montecitorio con Alfano, Casini e le figure politiche a loro vicine sembra aver avuto un prodotto chiaro: i 75 voti a disposizione di Ncd e Udc nella quarta votazione (9,30 di sabato 31) si aggiungeranno — sulla carta — ai circa 560 sui quali già  da giorni Renzi è sicuro, al netto dei franchi tiratori: i 444 grandi elettori del Pd più i 34 di Sel, i 32 del gruppo Autonomie e Psi, i 46 di Scelta Civica e Popolari per l’Italia, i deputati Pino Pisicchio e Aniello Formisano, iscritti al Misto della Camera ma eletti con il Centro democratico.
E poi alcuni dei senatori a vita (sono 6 ma Ciampi da tempo non partecipa ai lavori del Senato per motivi di salute).
In questo modo Mattarella supererebbe di molto quota 600 (il quorum del quarto scrutinio è a 505).
A questi tra l’altro si potrebbero aggiungere — ma non c’è niente di certo — alcuni dei senatori del Gal (eletti con il centrodestra) e alcuni dei 32 parlamentari fuoriusciti o espulsi dai gruppi parlamentari del Movimento Cinque Stelle.
Silvio Berlusconi è stato combattuto per tutto il giorno e alla fine — per non dare il colpo di grazia a Forza Italia — ha dato il via perchè i 142 grandi elettori lascino scheda bianca al quarto scrutinio.
E anche da qui, tuttavia, potrebbe arrivare un “aiutino” al candidato del Pd al Quirinale.
Da queste dinamiche resta fuori, per il momento isolato, solo il Movimento Cinque Stelle che ha continuato a votare Ferdinando Imposimato annunciando un’assemblea congiunta dei parlamentari e una “votazione lampo” sul blog di Beppe Grillo “se dal quarto scrutinio i cambi di maggioranza dovessero portare ad un nome condiviso tra più forze politiche”.
Tra le ipotesi c’è che sul blog si voti un ballottaggio finale tra Imposimato e Mattarella.
Pure loro pronti all’aiutino a Renzi.€
Per il resto le due votazioni previste in giornata sono state, come previsto, senza risultato: si sono scatenate fantasia e gioco (voti a Guccini, Bettega, Checco Zalone). Due fumate nere spazzate via dalle schede bianche: 531 nel secondo spoglio, 513 nel terzo laddove il quorum dell’eventuale elezione era a due terzi dell’assemblea, cioè 673 voti.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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ARRIVA IL SOCCORSO AZZURRO DI FITTO? L’AIUTINO A MATTARELLA IN FUNZIONE ANTI-SILVIO

Gennaio 30th, 2015 Riccardo Fucile

SILVIO PENSA ALL’AVENTINO PER CONTROLLARE IL VOTO, FITTO VUOLE ENTRARE: UFFICIALMENTE PER VOTARE SCHEDA BIANCA… E SE ALLA FINE TUTTI VOTASSERO MATTARELLA?

Lo schema è l’opposto rispetto alla volta scorsa, in cui era caccia al “franco tiratore”. Su Mattarella è partita la caccia al “franco soccorritore”.
Nel senso che, in queste ore, il suo nome è una calamita per i democristiani del centrodestra.
E così il pallottoliere dice che, mentre il Pd tiene, ci sono almeno una cinquantina di voti che potrebbero arrivare a Mattarella, nel segreto dell’urna.
E in Forza Italia e dentro Ncd è partita la caccia.
È per questo che, quando Silvio Berlusconi si collega telefonicamente con i suoi da Cesano Boscone, spiega che va presa in considerazione l’idea di uscire dall’Aula al momento del voto.
Anche se, aggiunge, “per il momento dite che votiamo scheda bianca” perchè sono ore complicate.
Provato, ancora sotto botta, l’ex premier fa un discorso confuso in cui si capisce una cosa sola: “I fittiani pronti a votare Mattarella — racconta uno dei presenti – sono una quarantina. Quindi uscire dall’Aula significa controllare il voto”.
È la mossa: un Aventino sul Colle per stanare il leone di Maglie.
Poco importa che, gli fanno notare, è molto sgarbata verso il futuro inquilino del Colle. Anzi gli ricordano che due anni fa Forza Italia fece lo stesso su Prodi.
L’emotività  berlusconiana mal si concilia con una partita molto democristiana.
Si è messo quasi a ridere soddisfatto, Raffaele Fitto, che ha appreso della “genialata” di Berlusconi mentre era a pranzo con i suoi 40 parlamentari.
Gioco da ragazzi, la contromossa pensata per dare scacco a Berlusconi. Ecco il ragionamento di Fitto, raccontato da un commensale: “Fanno l’Aventino e vogliono andare fuori dall’Aula? Ma no, questa è una cretinata. Non è una posizione politica, è uno sgarbo quasi personale a Mattarella. Noi non ci stiamo. E questa sera annunceremo che entriamo in Aula e votiamo scheda bianca, perchè come dice Berlusconi critichiamo il metodo e non la persona”.
A quel punto, nell’urna, Dio ti guarda, Berlusconi no, e il Padreterno non si dispiace se qualche voto va a Mattarella…
C’è della sapienza democristiana nella mossa. Il ribelle, il più contrario al Nazareno, il grande oppositore dice: noi entriamo.
Offrendo, di fatto, il soccorso azzurro a Mattarella.
L’obiettivo è chiaro: con una mossa del genere Berlusconi è costretto a rientrare.
A meno che voglia far vedere che non solo il partito è politicamente diviso, ma fisicamente in due posti diversi nello stesso giorni.
E comunque, il segnale di pace al democristiano Mattarella lo dà  il democristiano Fitto.
Ed è lo stesso segnale che vogliono dare i democristiani di Area popolare.
Dove, ormai, il clima è quasi da rissa. Perchè Alfano è sotto pressione.
Sarebbe la prima volta nella storia d’Italia che un ministro del governo in carica non vota un capo dello Stato proposto dal presidente del Consiglio.
Per ora Angelino tiene sulla linea della scheda bianca. Attorno, appunto, la rissa. Che si è quasi sfiorata nel corso di una riunione mattutina.
L’ala filo-berlusconiana (Lupi, De Girolamo, Saltamartini) e gli alfaniani di ferro come Cicchitto e Sacconi hanno proposto di votare un candidato di bandiera: “Così ci contiamo visto che tra i 16 e i 30 di Area Popolare sono pronti a dare il soccorso sottobanco a Mattarella”.
Contraria, contrarissima Beatrice Lorenzin, che è al lavoro per avere qualche dichiarazione distensiva dai renziani per avere un appiglio a votare Mattarella.
Ricapitolando: se il gruppone di Alfano tiene sulla scheda bianca, a Mattarella, nel segreto dell’urna, arrivano fino a trenta voti.
La mossa di Fitto gliene fa avere una quarantina, con Berlusconi costretto a rinunciare all’Aventino.
Quindi coloro che si pongono come interlocutori di Mattarella sono, oltre a Renzi, Alfano e Fitto.
La meglio gioventù dell’ultima dc.

(da “Huffingtonpost”)

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MATTARELLA: FIRME FALSE PER CANDIDARLO A BOLZANO NEL 2001

Gennaio 30th, 2015 Riccardo Fucile

LA MARGHERITA LO IMPOSE IN TRENTINO… RINVIATI A GIUDIZIO 17 ESPONENTI LOCALI PER IRREGOLARITA’ NEI DOCUMENTI PER METTERLO IN LISTA: SALVATI DALLA PRESCRIZIONE

“Il difficile trapianto di ‘Sergiuzzu’ Mattarella”, scrive Gian Antonio Stella sulle pagine del Corriere della Sera il 19 aprile 2001.
L’articolo racconta del terremoto politico provocato dalla decisione dei vertici nazionali della Margherita di candidare l’ex ministro della Difesa, oggi indicato dal Pd come successore di Giorgio Napolitano al Quirinale, in un seggio sicuro in Trentino-Alto Adige per le elezioni politiche del 2001.
Dopo la prima levata di scudi, i maggiorenti locali del partito, Lorenzo Dellai in primis, (“Non possiamo venire a sapere che uno si candida qui, com’è accaduto, dal Giornale di Sicilia”) si piegano ai diktat di Roma, complici anche le dichiarazioni accomodanti del diretto interessato: “Avrei potuto essere candidato nelle Madonie (Palermo, ndr). Era un collegio buono. Sono io che ho preferito spendermi dentro una progetto nazionale. E venire a Trento e Bolzano, che spero mi adottino”.
Così il “siculo dal pallore londinese”, per usare sempre le parole di Stella, diventa il candidato unico della Margherita all’ombra delle Dolomiti.
“Tra tutti quelli che ci potevano imporre Sergio è il migliore. Stia certo che non gli mancherà  il nostro sostegno”, conferma Dellai, tant’è che il il 26 maggio 2001, il politico palermitano viene eletto deputato della Repubblica per la sesta volta.
Tutto a posto allora? No, perchè le operazioni lampo per la sua candidatura finiscono quasi subito sotto la lente della magistratura di Bolzano e, il 4 aprile 2003, il giudice per le indagini preliminari del tribunale altoatesino rinvia a giudizio 17 esponenti locali della Margherita con l’accusa di aver falsificato alcune firme necessarie per la presentazione della candidatura di Mattarella (che non è stato indagato).
Tra gli imputati figura anche l’ex vicepresidente della giunta provinciale di Bolzano Michele Di Puppo che, insieme ad altri dirigenti e collaboratori, si era attivato all’ultimo minuto per raccogliere le sottoscrizioni necessarie per la corsa elettorale dell’ex esponente della sinistra Dc.
Secondo la procura, in maniera fraudolenta: dalle autentificazioni tarocche, alla raccolta senza autorizzazione, fino alla falsificazione bella e buona di firme fantasma di persone del tutto estranee alla competizione politica.
Il processo dura poco più di un anno e, a luglio 2004, si conclude con un nulla di fatto perchè nel frattempo ci pensa la maggioranza che sostiene il governo di Silvio Berlusconi.
Sì, perchè, nella primavera di quello stesso anno entra in vigore una legge che depenalizza il reato trasformandolo da delitto punibile con pene che vanno da uno a sei anni a contravvenzione per cui è previsto il pagamento di una semplice ammenda.
Agli imputati, per giunta, va ancora meglio perchè l’intervento legislativo, in concorso con i tempi biblici della giustizia italiana, fa scadere i termini della prescrizione costringendo il giudice ad archiviare la pratica e mandare assolti tutti senza che sborsino nemmeno un quattrino di contravvenzione.
Una legge molto attesa dalle parti di Bolzano, come scrive l’Alto Adige a luglio 2004: “Come si ricorderà , nel corso del procedimento gli imputati avevano chiesto e ottenuto più volte lunghi rinvii a seguito dell’iter parlamentare in corso della legge che avrebbe successivamente depenalizzato il reato”.
Autenticare o creare liste false tornerà  delitto solo due anni dopo, a fine 2006, quando la Corte costituzionale tirerà  un tratto di penna sulla legge del governo Berlusconi. Nel frattempo però la XV legislatura è finita, Berlusconi è andato a casa e a Palazzo Chigi è tornato Romano Prodi.
E Mattarella? E’ ancora parlamentare, per la settima e ultima volta.
Questa volta eletto nella circoscrizione Sicilia 1 e grazie al Porcellum, la riforma “porcata” della legge elettorale di Roberto Calderoli che ha mandato in soffitta proprio il suo Mattarellum.

Lorenzo Galeazzi
(da “il Fatto Quotidiano“)

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FRANCHI TIRATORI, L’INCUBO RESTA

Gennaio 30th, 2015 Riccardo Fucile

IN AULA TRA BATTUTE E RIME BACIATE

«Cucù!» Silvio Berlusconi barcolla sorpreso: Matteo Renzi, a quanto pare, gli ha rifilato lo scherzo che lui, anni fa, aveva fatto ad Angela Merkel.
Solo che quello, pur esponendo l’allora premier alle ironie di mezzo mondo, era una sorpresa innocua. Questa no. Questo «cucù» può essere letale.
Non solo per la battaglia quirinalizia ma per i suoi stessi destini politici. Certo, lui non può ammettere se non a mezza bocca di sentirsi bidonato da quel ragazzo al quale aveva perdonato perfino di aver detto che lui, l’ex Cavaliere, poteva essere suo nonno.
E dunque contiene la collera con quelle parole che un tempo, al debutto in politica contro i «faniguttùn», quando era insofferente ogni sfumatura del politichese, sarebbero state molto più dure: «Non siamo noi a non aver rispettato il patto ma Renzi».
E poi: «Questa situazione segna comunque un altolà  al patto del Nazareno». Traduzione: adesso salta tutto. Forse. Chissà . Probabilmente.
Dipende dal senso di isolamento…
Sia chiaro: la storia delle elezioni del presidente della Repubblica è costellata di tali incidenti di percorso da consigliare estrema cautela nelle previsioni di una facile vittoria mattarelliana.
Basti ricordare quanti leader, entrati papi nel conclave parlamentare, sono usciti cardinali. E bastonati, a volte, solo per una manciata di voti.
E dopo il tormentone di due anni fa nessuno ha il fegato di dare per già  fatta l’elezione di Sergio Mattarella.
Resta valida la diagnosi di Carlo Donat-Cattin chiamato a suo tempo da Aldo Moro a bloccare l’elezione di Giovanni Leone: «I mezzi tecnici», rispose, «sono solo tre: il pugnale, il veleno e i franchi tiratori». Sempre lì. Sullo sfondo .
Solo Wikipedia, nel pomeriggio, per l’incursione di un hacker ferocemente buontempone, dà  la cosa per fatta: «Il 29 gennaio 2015 Sergio Mattarella diventa presidente della Repubblica con 679 voti alla prima votazione, raggiungendo la maggioranza qualificata grazie all’appoggio del Partito democratico, di Forza Italia e di Giancarlo Magalli».
Man mano che passano le ore, però, l’incubo di una riapparizione di quelli che Bettino Craxi chiamava «una razza di deputati bastardi che affiorano nelle zone paludose del nostro ordinamento parlamentare», sembra (sembra!) sciogliersi nelle manifestazioni di ottimismo, i sorrisi, le pacche sulle spalle, le battute distensive delle diverse anime del Partito democratico e di tutta la costellazione del centrosinistra.
Ignazio La Russa la butta sul ridere: «Ho fatto un tweet: “dal patto del Nazareno siamo passati al patto del menga”». Sottinteso goliardico: intraducibile. Censura. Sfreccia via, ghignando, Maurizio Gasparri.
Nella scia di poeti parlamentari come il risorgimentale Giovanni Prati, Gabriele d’Annunzio, Trilussa e Mario Luzi, si è scoperto lui pure una vena artistica e si è messo ad armamentare intorno a rime baciate che libera nell’aere a Un giorno da pecora .
Ecco l’ultima: «Tutto è pronto, addobbi e sale / per la sfida Quirinale. / Nazareno, Mattarella, / scegli questo oppure quella. / A dozzin stanno lì fuori / schiere di manovratori / e gli illusi sono tanti / di apparir determinanti. / Poi c’è Sergio Mattarella, / pronto al balzo sulla sella, / ma al momento sono ancor tanti / gli aspiranti e i questuanti».
Al di là  della poesiola, il vicepresidente del Senato detta all’Adnkronos parole di fuoco: «Renzi, come in altre occasioni, preferisce l’arroganza. Sarà  il difetto che lo porterà  nel tempo alla sconfitta».
I renziani che leggono il dispaccio ridacchiano: «Nel tempo! Nel tempo!»
Per ora, a vedere come i protagonisti di tutte le lancinanti battaglie intestine di questi mesi dentro il Pd su tutte ma proprio tutte le iniziative renziane, gironzolano per il Transatlantico ostentando sorrisi e serenità , pare che la vittoria (fatta la tara alla scaramanzia) l’abbiano davvero già  in tasca .
E pare una vittoria di tutti.
Gongola Giuseppe Fioroni che tanto invocava sul Colle un inquilino cattolico. Gongola il trentino Lorenzo Dellai, l’ideatore della Margherita, che nel 2001 scatenò la guerra contro «l’amico Sergio» che era stato paracadutato dal partito a farsi eleggere nel collegio sicurissimo sulle montagne dolomitiche: «Non possiamo venire a sapere che uno si candida qui, com’è accaduto, dal Giornale di Sicilia ».
Sia chiaro, ammicca oggi, «tra tutti quelli che ci potevano imporre Sergio era il migliore. E dopo aver posto la questione di principio della nostra autonomia non gli facemmo mancare il nostro sostegno».
«La raccolta delle firme sì, però», ridacchia Gianclaudio Bressa, «Se non fosse stato per noi che venivano da fuori…».
Ma gongola anche lui. Come Stefano Fassina, che pure da mesi è con Renzi ai ferri corti: «Questa volta Matteo ha fatto la mossa giusta. Di unità  per tutto il partito».
Vuol dire che quando arriverà  in aula alla Camera l’Italicum l’opposizione interna sarà  un po’ più conciliante e non pretenderà  nuove modifiche? «Qualche modifica dovrà  essere fatta senz’altro…», ma perchè litigare oggi?
Rosario Crocetta, il governatore della Sicilia, sprizza euforia: tre lustri dopo la botta micidiale del sessantun parlamentari a zero incassata dalla destra trionfante berlusconiana, l’isola che si riconosce nel Pd potrebbe ritrovarsi con due palermitani, Mattarella e Grasso, ai vertici dello Stato: «Per noi, se si passa Sergio, è una svolta storica. Lui lo sa, cos’è la mafia. Non ne ha sentito parlare così, genericamente. Suo fratello Piersanti, assassinato da chi non voleva che la Sicilia cambiasse, è morto tra le sue braccia. E bene ha fatto Renzi a ricordarlo».
I siciliani, scommette, «lo voteranno tutti. Tutti. Anche i berlusconiani».
Dall’altra parte, sventagliate di battute invelenite.
Ecco Daniela Santanchè, che si dice schifata da quello che bolla come un tradimento degli accordi.
L’altra pasionaria berlusconiana, Michaela Biancofiore, si è sfogata dicendo di avere «l’impressione sgradevole» che Renzi abbia «deciso che tutto il resto del mondo non gli serva più» e di aver capito che «gli piace fare il furbetto».
Lei rincara: «Sono fiera di appartenere ad un movimento politico di uomini che quando danno una parola la mantengono e rispettano i patti.
“Provo tristezza per chi sta con i quaquaraqua».
Augusto Minzolini ride: «Glielo avevo detto, a Berlusconi, che finiva così. Gli avevo detto di puntare su Prodi, per spaccare la sinistra. Oggi mi ha detto: avevi ragione tu. Tardi…».
Maurizio Sacconi spiega che no, non si fa così e che lui e i parlamentari del Nuovo centrodestra resteranno fermi e compatti sul no alla candidatura imposta: «Ormai è chiaro che in prospettiva andiamo verso una specie di cancellierato: il capo dello Stato non può sceglierselo l’aspirante cancelliere».
Maria Elena Boschi è convinta invece che no, non è detto che il terzo giorno il centrodestra resterà  arroccato sulle posizioni di oggi: «Tre giorni, in politica, possono essere un’era geologica…».
E Buttiglione? Che farà , a prescindere dalle decisioni dei suoi amici di partito, l’ex segretario che vent’anni fa spostò un pezzo del Partito popolare a destra?
Un ventennio basta e avanza, per fare pace. Ma certo, allora, lo scontro con Sergio Mattarella, convintissimo che andasse confermata la scelta storica della Dc degasperiana del «partito di centro che guarda a sinistra», fu durissimo.
Tanto da spingere Mattarella, generalmente così freddo e razionale da guadagnare il nomignolo «On. Metallo», a lanciarsi in quella che viene ricordata come l’unica battuta della sua vita: «El general golpista Roquito Butilione…» .

Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera”)

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