Destra di Popolo.net

LUCA LUPI E LIVIO ACERBO, I RAMPOLLI: “INCARICHI AI FIGLI? UN CLASSICO”

Marzo 18th, 2015 Riccardo Fucile

L’EREDE DEL MINISTRO E QUELLO DELL’EX MANAGER EXPO FINITO AI DOMICILIARI… LA PRASSI DI RICOMPENSARE I FAVORI OTTENUTI DAI PADRI DANDO LAVORO AI FIGLI

Da Luca Lupi a Livio Acerbo.
Sebbene non indagati, anche i ‘figli di’ vengono citati nelle carte dell’inchiesta della procura di Firenze che ha portato all’arresto del superburocrate Ercole Incalza.
Per ingraziarsi i padri qualcuno, secondo l’accusa, ha puntato sui loro figli.
Accade per il secondogenito del ministro Maurizio Lupi, secondo quanto raccontato in più di una telefonata da Giulio Burchi, uno degli indagati: Luca viene assunto per un anno da Giorgio Mor, cognato di Stefano Perotti, imprenditore finito anche lui in carcere.
Poi c’è il figlio di Antonio Acerbo, l’ex responsabile per Expo del Padiglione Italia, già  arrestato per l’appalto delle Vie d’Acqua: secondo la procura di Milano, Livio ha beneficiato nel 2012 di un contratto di consulenza da 36mila euro con la società  Maltauro, una contropartita per l’interessamento del padre per l’aggiudicazione dell’appalto. E questo si sapeva. Ma ora salta fuori che non è un caso isolato.
L’intercettazione: “Incarichi ai figli? Ormai un classico”.
A raccontarlo è sempre Burchi, ex presidente di Italferr e amministratore delegato della A4 Holding spa, giudicato attendibile dal giudice per le indagini preliminari. Nelle conversazioni intercettate, Burchi e Giuseppe Cozza, ex direttore generale di Metropolitana milanese (Mm), commentando la consulenza data da Maltauro al figlio di Acerbo, fanno riferimento a contratti ottenuti da Livio in altre occasioni, per esempio quando Antonio Acerbo aveva incarichi per i lavori delle Grandi Stazioni e della Scala di Milano.
Cozza parla di “solito sistema”. Burchi spiega di essere a conoscenza di contratti arrivati a Livio dalla Rizzani de Eccher, dall’impresa Gemmo e anche da Stefano Perotti
“Adesso secondo me se vanno attorno alle altre società … troveranno le fatture di Rizzani — dice in una telefonata Burchi — cosa pensano?… che questa gente desse gli incarichi al figlio perchè?”.
“Gli incarichi vengono dati sempre al figlio — commenta Cozza – ormai è un classico… le imprese che lavorano con lui o che lui segue… pagano questo prezzo… devono dare incarico al figlio”.
Ed ecco ancora Burchi: “E’ normale che un figlio del direttore dei lavori di un’impresa abbia degli incarichi da quell’impresa lì?… non lo so… secondo te quando faceva da direttore dei lavori del Teatro della Scala ha dato… cioè Rizzani gli ha dato un incarico in Russia per un teatro… ma io non lo so!… ma che Paese è!”.
Nelle telefonate intercettate si fa poi riferimento a lavori affidati a Livio Acerbo da Perotti.
A tal proposito il gip scrive: “Il riascolto delle comunicazioni intercorse fra Stefano Perotti e Livio Acerbo, e di quelle in cui si fa comunque riferimento a Livio, forniscono elementi di riscontro a quanto riferito sia da Giulio Burchi sia da Giuseppe Cozza circa l’esistenza di un rapporto di natura economica fra i due soggetti, rientrante nell’ambito dei lavori della cosiddetta torre Hadid di CityLife a Milano ove la Spm Ingegneria srl (società  di Perotti, ndr) è impegnata come direzione lavori”.
“Così anche sotto il sindaco Albertini”.
Nel corso di un’altra conversazione, Cozza racconta di avere incontrato di recente l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, attuale senatore di Ap, e di avergli parlato del sistema con cui Acerbo da anni faceva ottenere consulenze al figlio: “Lui lo difende eh… ‘no… ma no ma poverino, ma insomma cosa ha fatto’ (…) Gli ho detto… ‘guarda Gabriele, le cose non stanno così, non sono i trentamila… questo lo praticava dai tempi tuoi, quando lo avevi messo lì in Mm no? che si occupava degli appalti, cosa credi che facesse? (…) le imprese che lavoravano… con le quali lui aveva rapporti, davano lavoro al figlio…”.
Un dossier per bloccare Acerbo in Mm.
Cozza riferisce poi di aver fatto arrivare “informalmente” all’attuale presidente di Mm Davide Corritore un dossier per bloccare la nomina di Acerbo a vicedirettore: “Gli ho fatto avere tramite uno del Pd questa copia di questa cosa (l’atto di conferimento di un incarico a Livio da parte di una società  favorita, ndr)”.
A questo punto Burchi chiede a Cozza se ha portato il documento anche ai magistrati. “No, no — risponde Cozza — non ce l’hanno i giudici quella… io professò, non le faccio ‘ste cose… io… gliel’ho fatto vedere a quel pezzo di merda che lo voleva nominare vicedirettore”.
“Stesso sistema per la Lega delle Cooperative”.
Secondo Burchi, Acerbo presentava le stesse richieste anche alle imprese della Lega delle Cooperative.
“Ma lui lo faceva anche con la Lega delle Cooperative?”, chiede Cozza.
Burchi conferma “Sì sì… era amicissimo lui… con la… Cooperativa di Modena lui… Acerbo… era culo e camicia …no no… te lo dico io… te lo dico io… non erano immuni i compagni… lui ci sapeva fare… il vecchietto”.

Luigi Franco
(da “il Fatto Quotidiano“)

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VIA IL MEDICO BRAVO, MEGLIO UN PREGIUDICATO: RIMOSSO IL MEDICO DEI RECORD AL SAN CAMILLO. BENVENUTI IN ITALIA.

Marzo 18th, 2015 Riccardo Fucile

GIUSEPPE NARDI ERA UN DOTTORE D’ECCELLENZA, COME IL REPARTO “SHOCK E TRAUMA”…. SILURATO E SOSTITUITO CON UN CONDANNATO NEGLI ANNI DI PIOMBO

Merito. Legalità . Responsabilità . Interesse pubblico.
Sono le parole scelte dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo discorso d’insediamento, per indicare a tutti i cittadini un cammino di speranza verso un’Italia migliore. Ma nell’Italia di oggi questa speranza continua ad essere umiliata.
Perfino nei settori dove il riconoscimento del merito e della competenza dovrebbe essere assoluto, perchè ne va della vita delle persone: quei reparti dei nostri ospedali dove si assistono i malati gravissimi.
Un caso esemplare di meritocrazia alla rovescia in un campo così cruciale della sanità  pubblica riguarda il San Camillo – Forlanini di Roma, uno dei più importanti ospedali italiani.
Che però, purtroppo, finisce di continuo nelle cronache per vicende di nepotismo, malasanità , disservizi o incidenti pericolosi, come la rottura dei tubi dell’ossigeno nella rianimazione, che si è verificata in gennaio per cause non ancora accertate (guasto, cattiva manutenzione o sabotaggio?) anche perchè non funzionava neppure la video-sorveglianza.
Qui al San Camillo, nel 1999, un medico italiano di fama internazionale , il dottor Giuseppe Nardi, ha fondato una struttura di assoluta eccellenza: il “Centro Shock e Trauma”.
I risultati sanitari sono oggettivi: già  nel primo anno dopo l’arrivo di Nardi, il tasso di mortalità  dell’intera rianimazione si è quasi dimezzato.
Sotto la sua guida, il San Camillo è diventato il primo centro italiano per la cura degli eventi traumatici, preso a modello dagli ospedali di tutto il paese e anche da molti medici stranieri, che per una volta guardavano a Roma per l’attività  di ricerca   e sperimentazione di nuovi e più efficaci metodi di cura dei casi disperati.
Nardi infatti è molto conosciuto nella comunità  medica internazionale anche come autore di decine di studi di altissimo livello pubblicati sulle riviste scientifiche più prestigiose del mondo, a cominciare da Lancet , per citare la più nota.
In un paese civile, un ospedale pubblico dovrebbe tenersi stretto un super medico di questo livello.
Invece, nel luglio 2014, la dirigenza del San Camillo ha improvvisamente rimosso il dottor Nardi. Il medico, che svolgeva da 15 anni le funzioni di primario, è stato degradato e ha perso la guida della struttura da lui creata.
Il suo “Centro Shock e Trauma” è stato soppresso, l’organizzazione di medici e ricercatori costruita da Nardi è stata smembrata e distrutta.
La cosa più strana è che all’ex primario non è stato mosso alcun addebito.
Nessuno ha messo in dubbio le sue capacità , competenze, risultati. Semplicemente, Nardi si è visto sbattere la porta in faccia.
E per sostituirlo è iniziato un balletto di nomine e sostituzioni di primari, che ha lasciato sbalorditi i più autorevoli medici italiani, scatenando un moto d’indignazione negli ospedali, nelle università  e tra centinaia di pazienti.
Che hanno inondato di lettere di protesta la direzione del San Camillo e i vertici politici della Regione Lazio, da cui dipende la nomina degli amministratori degli ospedali pubblici.
Per chiarire l’accaduto, l’Espresso ha chiesto un’intervista al direttore generale dell’ospedale San Camillo, Antonio d’Urso, con domande e risposte scritte.
Ora la pubblichiamo integralmente.
Nelle domande abbiamo inserito le spiegazioni pratiche che possono rendere più comprensibili alcune risposte un po’ burocratiche.
Mentre nella parte finale abbiamo omesso il nome del primario nominato al posto di Nardi, perchè si tratta di un condannato con sentenza definitiva che ha ormai pagato il suo conto con la giustizia.
E che, dopo le prime polemiche, ha volontariamente rinunciato all’incarico.
Dottor D’Urso, la delibera di rimozione del dottor Nardi porta la sua firma di direttore generale del San Camillo: perchè ha deciso di rimuovere uno specialista così stimato a livello internazionale?
«Il dottore Giuseppe Nardi è un medico dirigente, non è inquadrato presso questa Azienda Ospedaliera come primario titolare. Dal 2008 ha assicurato, con incarico provvisorio, la direzione della “Struttura Complessa Shock e Trauma” nell’attesa del relativo Avviso Pubblico che, però, non è mai stato bandito. Nel caso di specie, nel mese di luglio 2014, la direzione della struttura è stata affidata ad uno dei quattro Primari di Anestesia e Rianimazione già  in servizio in questa Azienda Ospedaliera»
A noi risulta che il dottor Nardi era stato chiamato al San Camillo nel 1999 proprio per creare quel reparto. E che allora era già  direttore di una struttura analoga, in gergo Uosd, nel Nord Italia. Fondato il nuovo reparto al San Camillo, lo ha quindi diretto per i primi 8 anni proprio come direttore di Uosd, ottenendo i risultati che lei non dovrebbe ignorare, almeno per quanto riguarda la riduzione dei tassi di mortalità , tanto che nel 2007 la sua struttura è stata promossa a “Unità  Complessa”. Poi però la Regione ha bloccato i concorsi per diventare primario. E a quel punto il San Camillo ha soppresso anche il ruolo di direttore della Uosd, a quanto pare per un errore burocratico. Ha qualcosa da obiettare a questa ricostruzione?
«Conosco il curriculum del dottor Nardi per avermene parlato lui stesso. Aggiungo che nel 2008 gli è stato conferito l’incarico di elevata professionalità  chiamato “governo clinico per lo shock ed il trauma”. E’, questo, un incarico professionale, classificato come di altissimo livello all’interno dell’Azienda ospedaliera San Camillo – Forlanini.   So che le Direzioni dell’Azienda che si sono succedute nel tempo hanno richiesto alla Regione Lazio l’attivazione delle relative procedure per l’individuazione del Direttore, così come per altre strutture previste nell’Atto Aziendale. In alcuni casi le procedure sono state espletate. Non nel caso della Uoc “Shock e Trauma”»
L’Espresso ha raccolto informazioni anche attraverso i sindacati medici e ospedalieri: quello che lei chiama “incarico di alta professionalità ” viene da loro definito “una medaglia di cartone”, a cui non corrisponde sostanzialmente nulla. Al San Camillo ci sarebbero un paio di centinaia di medici con questa carica. Uscendo dal burocratese: c’è un dottore straordinario che fonda un centro di eccellenza e lo dirige per 15 anni con il grado di generale, mentre ora si ritrova brigadiere con una medaglia di cartone. Davvero era inevitabile rimuovere e degradare un traumatologo del livello di Nardi?
«Posso dire che comprendo le aspirazioni di quel professionista. E’ però necessario che, in questo come in altri casi, le aspirazioni di valorizzazione dei diversi professionisti per un incarico di primario siano coerenti con quanto previsto dalle norme in questi casi: posto disponibile nella dotazione, avviso pubblico, eccetera»
A noi risulta che i sindacati interni, con l’accordo del dottor Nardi, avessero chiesto di ristabilire la situazione precedente: sarebbe bastato ripristinare la vecchia “Uosd” per salvare la struttura e permettere al suo fondatore di continuare a dirigerla. Perchè non avete scelto questa soluzione?  
«La positività  dell’esperienza di questi anni della Struttura Complessa Shock e Trauma è stata quella di coniugare le cure intensive con i trattamenti anestesiologici di urgenza ed emergenza in un contesto orientato al miglioramento continuo. Ed è per questo che ho confermato la natura complessa alla Struttura Shock e Trauma, sia pure denominandola diversamente. Ritengo, infatti, che questa connotazione consenta di continuare ad assicurare a questo gruppo di professionisti l’autonomia organizzativa e professionale in ragione del compito assicurato, come peraltro avvenuto sin dalla sua istituzione.   Non credo che le aspirazioni dei singoli professionisti possano invero costituire un pregiudizio per l’organizzazione, ma semmai sono un ingrediente positivo se estrinsecato all’interno della stessa organizzazione»
Insomma, lei ci spiega che sarebbe stato legalmente impossibile confermare Nardi. Leggendo la delibera con cui è stato rimosso, però, abbiamo scoperto che avete mantenuto nel loro incarico due radiologi che erano nella stessa situazione: anche loro erano direttori “facenti funzione” da anni. E nella vostra azienda ospedaliera c’erano altri radiologi primari di ruolo. Eppure, in quei due casi, la soluzione l’avete trovata: li avete confermati, come scrivete nella delibera, “perchè hanno una expertice”, cioè perchè sono bravi. E avete fatto bene. Infatti ci risulta che al San Camillo, in totale, ci siano almeno 18 “facenti funzione”. Ma allora torniamo a chiederle: perchè avete rimosso solo Nardi? Lei è a conoscenza del numero e del livello scientifico delle sue ricerche e delle sue pubblicazioni internazionali?
«Conosco il dottor Giuseppe Nardi e ne apprezzo le competenze professionali»
Ed è a conoscenza del livello di mobilitazione del mondo medico e scientifico, non solo italiano, documentata da centinaia di email in nostro possesso, in difesa del “Centro Shock e Trauma” e a sostegno del dottor Nardi?
«Sull’importanza della “Struttura Complessa Shock e Trauma” concordo, tant’è che è stata confermata nella proposta di Atto Aziendale. Sono convinto che il valore di questa articolazione dell’azienda è il frutto dell’opera di un gruppo di professionisti. So anche del sostegno al professionista manifestato dalla comunità  scientifica. Osservo però che l’Avviso Pubblico per l’individuazione del Primario della Struttura Complessa Shock e Trauma fin dalla sua istituzione   non è stato effettuato»
Insomma, lei ci dice che c’era un insuperabile problema burocratico che riguardava solo il ruolo di Nardi. Ma allora perchè avete deciso di sopprimere anche il Centro da lui creato?
«Come ho evidenziato, la “Struttura Complessa Shock e Trauma” invero è stata confermata nella proposta di Atto Aziendale presentata alla Regione Lazio, sia pure con una diversa denominazione – “Struttura Complessa Anestesia e Rianimazione – Centro di rianimazione e Anestesia Urgenza-Emergenza” –   che meglio descrive le attività  di anestesia e rianimazione effettuate già  adesso»
A noi suona strano anche quello che lei ora definisce un semplice cambio di nome: il “Centro Skock e Trauma” era diventato un marchio di prestigio, utilizzato per anni dalla Rai, ad esempio, per le campagne sulla sicurezza stradale, oltre che un simbolo di ricerca di qualità , conosciuto da tutti gli scienziati. Ma in realtà , oltre al nome, a noi risulta che sia cambiata la squadra, insieme al metodo di cura e al lavoro di ricerca. Ed è proprio quella squadra che ha salvato tante vite in questi anni: il Centro fondato da Nardi aveva ridotto di tre volte la mortalità  specifica da trauma. Citiamo dati ufficiali, ricavati dalle vostre tabelle ospedaliere:   prima dell’arrivo di Nardi, la mortalità  nella rianimazione del San Camillo era del 42 per cento; solo 12 mesi dopo, era già  scesa al 27 per cento. Eppure i professionisti erano gli stessi. Di fronte a questi dati, come può negare l’importanza del ruolo di Nardi? Chi organizza e dirige una struttura sanitaria che funziona, non conta niente?
«Osservo solo che la buona gestione di casi così complessi è frutto di un lavoro di professionisti (anestesisti, infermieri, etc.) che quotidianamente operano a letto del malato con passione e competenza, come accade negli altri Servizi di Anestesia e Rianimazione dell’Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini e negli altri Ospedali. Per questo li ringrazio»
Stando ai documenti diffusi dal San Camillo, al posto di Nardi è stato nominato il dottor XXX, che però dopo pochissimo ha rinunciato all’incarico, tanto che è già  stato sostituito. Abbiamo cercato su Internet quali titoli avesse il dottor XXX, ma non abbiamo trovato alcuna ricerca o pubblicazione scientifica di rilievo internazionale. Abbiamo invece scoperto che un medico con lo stesso nome, cognome, età  e residenza è stato condannato con sentenza definitiva come autore di tre gravissimi fatti di criminalità  politica. Si tratta della stessa persona o è un caso di omonimia?
«Il dottor XXX è diventato primario più di dieci anni fa, in seguito ad avviso pubblico. In relazione all’episodio da lei citato, riferito a metà  degli anni Settanta, ne sono a conoscenza avendomelo riferito lo stesso dottor XXX nel mese di maggio dello scorso anno»
Quell’«episodio» degli anni di piombo consiste in tre ferimenti di nemici politici, che hanno avuto conseguenze molto gravi per le vittime. Insieme al dottor XXX sono stati condannati altri suoi complici che pochi giorni prima, con le stesse modalità , avevano commesso addirittura un omicidio politico. Quella catena di delitti è stata punita con molti anni di ritardo, perchè i colpevoli erano riusciti a imporre un clima di omertà . Molti di loro nel frattempo erano diventati medici affermati. Per nominare un primario lei ritiene necessario, utile o quantomeno opportuno controllare la fedina penale dei candidati? Il dottor XXX aveva comunicato alla vostra azienda ospedaliera i propri precedenti penali?
«Il dottor XXX ne aveva fatto doverosamente menzione a suo tempo, nella domanda di partecipazione al concorso. So anche che il professionista è stato completamente riabilitato»
La riabilitazione non è un’assoluzione, anzi può essere concessa solo a chi ha scontato la condanna definitiva: significa solo che, dopo un certo numero di anni, il colpevole ha potuto far cancellare quel precedente dal suo certificato penale. E’ questo problema giudiziario la ragione che ha spinto il dottor XXX a non esporsi, rinunciando a occupare il posto che gli avevate assegnato dopo la rimozione di Nardi?
«In relazione alla modifica nella Direzione della Struttura Complessa, osservo che la stessa è stata proposta dai quattro Direttori di Anestesia e Rianimazione in servizio nell’Azienda Ospedaliera in considerazione delle linee di attività  previste nel nuovo Atto Aziendale” : è l’atto deliberativo numero 729 del primo dicembre 2014»
Questo non spiega la rinuncia. Fatto sta che al posto di XXX, con quella tornata di delibere, è stato nominato il dottor YYY. Anche nel suo caso, non abbiamo trovato un curriculum scientifico o riconoscimenti di professionalità  che siano neppure lontanamente paragonabili, a nostro avviso, a quelli del dottor Nardi. In compenso abbiamo scoperto almeno tre cliniche private per cui il dottor YYY risulta prestare lavoro. E’ normale che un primario di un ospedale pubblico lavori contemporaneamente in diverse cliniche private?
«Il dottor YYY è diventato primario in questa azienda ospedaliera dal 1999 a seguito di Avviso Pubblico. Il suo curriculum è visionabile nel sito internet dell’azienda ospedaliera.   In relazione all’attività  libero professionale, il dottor YYY esercita in forma allargata presso alcune Case di Cura Private convenzionate con il San Camillo Forlanini, così come previsto dalla normativa nazionale sulla libera professione. Molti professionisti della nostra azienda ospedaliera, tra cui anche lo stesso dottor Giuseppe Nardi, effettuano attività  libero-professionale con la stessa modalità »
Quest’ultima affermazione impone a l’Espresso due precisazioni.
La prima è che Nardi non ha voluto in alcun modo commentare queste parole del direttore generale del San Camillo.
Molti altri medici che lo conoscono e lo stimano, però, hanno spiegato che «Nardi è universalmente noto per dedicarsi da sempre a tempo pieno alla sanità  pubblica: nella sua vita ha fatto pochissime visite private, in casi eccezionali e disperati».
Il nuovo primario YYY, invece, risulta svolgere stabilmente la libera professione in diverse tre cliniche private, in una addirittura come direttore del dipartimento d’emergenza.
La seconda precisazione è che tutte le decisioni prese dai vertici amministrativi e dai primari interessati del San Camillo vanno considerate perfettamente legali, come ha spiegato proprio in questa intervista il direttore generale.
Così come è assolutamente conforme alle norme e a tutte le regole burocratiche rimuovere dall’incarico un medico che ha salvato la vita di migliaia di pazienti.
Dunque, protestare è inutile: nella sanità  i risultati non contano, i meriti non vanno premiati. Benvenuti a Roma, Italia.

Lia Quilici
(da “L’Espresso”)

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ALFANO MINACCIA LA CRISI DI GOVERNO E LUPI ASSEDIATO NON MOLLA

Marzo 18th, 2015 Riccardo Fucile

RENZI NON SI PUO’ PERMETTERE UNA CRISI E LUPI E’ IL REFERENTE DI CL

“Io non mi dimetto, voglio andare in Parlamento e riferire sulle scelte”.
Maurizio Lupi resiste, mentre attorno il pressing è insostenibile.
A Milano, la mattina, i fischi e qualche contestazione con battute sul “vestito comprato”.
Nel pomeriggio a Roma, in Parlamento, il saluto con Renzi è glaciale. Teso nel volto, il ministro ostenta sicurezza: “Sono tranquillo, il governo mi appoggia sicuramente”. L’obiettivo è arrivare a votare le mozioni di sfiducia la prossima settimana. Esattamente l’opposto di quello che vuole il premier: “Lupi deve fare un passo indietro perchè noi così non la reggiamo”.
Se si arriva al voto di fiducia a quel punto il governo è “costretto” a difenderlo: “Prima del voto di fiducia, Maurizio non molla” assicurano i big di Ncd che l’hanno sentito.
Proprio il voto di fiducia è l’oggetto del teso incontro con Renzi martedì sera a palazzo Chigi. Il premier usa bastone e carota: “Maurizio, io lo dico anche per te. C’è un problema di credibilità , sei indebolito da questa storia, come fai a gestire l’Expo e un ministero così delicato?”.
Ma Lupi, con accanto Alfano, è fermo: “Io non ho commesso reati. Se mi dimettessi è come se mi dichiarassi colpevole. Ma scusa: hanno indagato 50 persone. Vorrà  dire qualcosa che non hanno indagato me?”.
È la partita della vita per Lupi. Che sente di avere un’unica strada: la difesa a oltranza. Le dimissioni, spiegano i suoi amici, “risolverebbero un problema per Renzi ma non per lui: sarebbe politicamente finito”.
E sarebbe morto Ncd, che perderebbe il suo ministero più pesante e il referente storico del serbatoio di voti di Comunione e Liberazione.
Dentro il partito avanza il fronte della linea dura, dei filo-berlusconiani come Nunzia De Girolamo e Fabrizio Cicchitto all’insegna del “Lupi o morte”.
In un capannello in Transatlantico Cicchitto è circondato di parlamentari: “La mia opinione è che se Renzi costringe Lupi alle dimissioni, a quel punto si apre la crisi di governo, nel senso che se non c’è Lupi devono uscire pure gli altri ministri e passiamo all’appoggio esterno”.
Ed è proprio lo spettro della crisi che aleggia anche a palazzo Chigi.
Per questo Renzi evita una dichiarazione pubblica che pure, nel corso del colloquio con Lupi, aveva minacciato. E sceglie la “moral suasion”.
Anche se il caso diventa sempre più imbarazzante, a mano a mano che escono nuovi particolari dell’inchiesta: le telefonate di Lupi sul figlio, il biglietto aereo alla moglie, tutto racconta di una situazione opaca e indigeribile per molti.
All’interno dell’entourage di Lupi raccontano però di una situazione meno drammatica di quello che appare: “Renzi — dicono — fa trapelare la pressione, ma sa benissimo che qua è in gioco il governo”.
Per capire quanto pesi Lupi bisogna riavvolgere la pellicola del nastro alla fine del governo Letta.
Spiega la fonte autorevole: “Quando stava per finire il governo Letta, Ncd salì sulle barricate, poi si placò. E si placò quando Alfano rimase all’Interno e Lupi alle infrastrutture. Anche allora Renzi avrebbe voluto cambiarli, ma non ci riuscì e scese a patti. Ncd è il partito personale di Alfano e Lupi e la loro presenza in quelle caselle era la condizione perchè si facesse il governo”.
E non è un caso che proprio oggi sia arrivata la dichiarazione di Alfano: “Lupi non pensa a dimissioni, chiarità  in Parlamento”. E questa settimana, di qui al voto, si annuncia come un calvario.
Per tutti.

(da “Huffingtonpost”)

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RENZI A LUPI: “SE NON LASCI NON TI COPRO”, MA IL MINISTRO NON MOLLA LA POLTRONA

Marzo 18th, 2015 Riccardo Fucile

ED E’ GIA’ INDAGATO IN SARDEGNA

Lo smacco c’è e si vede. E’ evidente in aula alla Camera, quando il ministro Maurizio Lupi prende la parola per il question time di fronte a banchi semi vuoti: ci sono solo i grillini a contestarlo e c’è il suo partito Ncd a difenderlo.
C’è Angelino Alfano che gli siede di fianco, al banco del governo: lo sostiene nella bufera scatenata dalle intercettazioni dell’inchiesta sulle tangenti per Expo e Tav.
C’è un po’ di Sel, ma ciò che più colpisce è il vuoto nei banchi del Pd: pochissimi deputati e nessun renziano di prima fascia.
La distanza tra il Partito Democratico e il ministro delle Infrastrutture è siderale. Matteo Renzi è costretto a ingoiare la resistenza di Lupi sulla poltrona del dicastero finito al centro dell’inchiesta. Il ministro non schioda.
Il premier tace in pubblico ma in privato mette in atto un altro forcing su Lupi per il passo indietro: stavolta nella difficile manovra di pressione viene coinvolta anche il ministro Boschi.
Sul piatto vengono offerti posti di sottogoverno a Ncd e anche i posti di giudice costituzionale ancora vacanti.
“Maurizio, hai due strade: o ti dimetti o vai avanti ma sappi che io non ti copro e, quando si voterà  la mozione di sfiducia, io non posso garantire per le scelte del Pd”, gli ha detto il premier.
Niente da fare. Lupi non lascia. E allora Renzi prende tempo: fino all’informativa in aula, che alla Camera si terrà  già  venerdì, con il voto sulle mozioni di sfiducia presentate a Montecitorio da Sel e M5s da tenersi la prossima settimana.
Fino a quel momento, è la speranza dei renziani, gli sviluppi dell’inchiesta aiuteranno il premier a sciogliere la pratica Lupi.
Il quale però è già  indagato dalla procura di Tempio Pausania, in Sardegna, per la nomina dell’ex senatore del Pdl Fedele Sanciu all’autorità  portuale di Olbia. Un’inchiesta che lambisce quella della procura di Firenze su Expo e Tav.
Un altro eventuale avviso di garanzia potrà  cambiare la posizione di Lupi al governo? Per ora, è escluso che il premier gli chieda il passo indietro pubblicamente: troppo grande il rischio di una crisi di governo con Ncd.
Nemmeno Renzi se la può permettere.
Per questo, in pubblico, meglio il silenzio su Lupi, lasciando trapelare però tutto il pressing in corso per far maturare un gesto ‘volontario’ di dimissioni.
E negli incontri non pubblici ma istituzionali, meglio dissimulare. La drammatizzazione, del resto, non è nelle corde del presidente del Consiglio.
E così, anche oggi, quando è stato costretto a sedersi a tavola anche insieme ad Alfano – al Colle al pranzo con Sergio Mattarella alla vigilia del consiglio europeo di domani – Renzi ha dissimulato.
Nessun gelo manifesto, nessuna tensione esibita. Piuttosto battute sui “governi di coalizione”, offerte del resto dal menu del giorno: la politica estera con i suoi esempi di esecutivi di unità  nazionale in Grecia e possibilmente anche in Israele, dopo le elezioni di ieri.
Battute tra il premier e il ministro dell’Interno. E davanti a Mattarella, l’esibizione dell’operato di un governo che va avanti nonostante tutto, che farà  minor uso della decretazione d’urgenza, come avrebbe spiegato al pranzo il ministro Boschi, presenza inconsueta ai pranzi pre-consiglio Ue insieme a Delrio, che pure oggi c’era.
Perchè l’appuntamento di oggi al Quirinale (c’erano anche i ministri Padoan, Guidi, Gentiloni, il sottosegretario Gozi) è servito quasi da ‘pit stop’ del governo con il nuovo capo dello Stato Mattarella, che si è insediato nemmeno due mesi fa.
Di Lupi, al pranzo, nemmeno una parola.
Del resto, è difficile che questioni così delicate rientrino in consessi estesi a più di due-tre persone.
E non c’è stato nemmeno il tempo per un breve colloquio a due tra Renzi e Mattarella, in quanto l’agenda fitta del presidente del Consiglio gli ha permesso di arrivare al Colle solo all’ultimo momento.
In mattinata, infatti, ha riferito al Senato sul Consiglio Ue, poi l’incontro con il segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon, poi il pranzo quirinalizio, poi a Montecitorio per riferire sul Consiglio Ue, dopo il question time di Lupi.
E’ qui che si sente più gelo, qui si sente più freddo nei rapporti tra Pd ed Ncd.
Tanto per iniziare, appena arriva Renzi, al banco del governo si siedono quasi tutti i ministri, ma Lupi si alza e se ne va. Inopportuno restare. Alfano resta. Renzi prende la parola: “L’incantesimo si è rotto: non c’è più l’idea di una politica che non decide”.
Ma su Lupi si aspetta, pur di fronte alle nuove intercettazioni che parlano di regalie anche per la moglie, oltre che il Rolex e il posto di lavoro al figlio.
Tutto omaggio del ‘Sistema’ descritto nell’inchiesta dei pm di Firenze. “Naturalmente non potremo che respingere la mozione di sfiducia dell’opposizione contro Lupi”, si sbilancia il vice capogruppo del Pd alla Camera Ettore Rosato in Transatlantico.
“Da che mondo è mondo, un governo non può non difendere un proprio ministro al momento del voto su una sfiducia chiesta dall’opposizione — aggiunge – Il punto però è quello che succede prima”.
Se succede, se maturano novità  che costringano Lupi a lasciare. Ma anche qualora gli arrivasse un avviso di garanzia, ragionano nel Pd, sarebbe difficile per il premier giustificare una richiesta di dimissioni, in quanto al governo ci sono già  dei sottosegretari indagati cui nessuno gli ha mai chiesto di lasciare il posto: Barracciu, Del Basso De Caro (il cui nome emerge anche dalle intercettazioni sull’Expo), De Filippo e Bubbico.
E’ materia che dà  a Lupi la forza di resistere. Lupi che pure è già  indagato in Sardegna per un’inchiesta che lambisce, almeno nel merito e nei nomi emersi, quella della procura di Firenze sulle tangenti per Tav ed Expo.
Renzi in giornata tenta il tutto per tutto, nelle trattative con Ncd. Usa anche la minaccia di non votare la fiducia a Lupi, se il ministro non si dimette prima.
Ma per ora non la spunta. Ncd fa quadrato intorno al ministro: se ieri ricordavano i casi giudiziari del padre di Renzi o l’affaire Banca Etruria per ‘papà  Boschi’, oggi sono passati a rinfacciare le “sconvenienti” foto del ministro Poletti con i personaggi arrestati nell’inchiesta su ‘mafia capitale’.
Tutti casi in cui al governo non si è mossa una foglia.
Nemmeno la primavera in arrivo sembra muoverla su Lupi, per ora. Ma nel Pd sperano che la tempesta sfrondi l’albero prima che sia troppo tardi, prima del voto sulla mozione di sfiducia in aula.
Perchè a quel punto chi salverebbe Lupi?

(da “Huffingtonpost”)

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AL CANTO DI “TUNISIA LIBERA” IL POPOLO IN PIAZZA CONTRO I TERRORISTI

Marzo 18th, 2015 Riccardo Fucile

L’ORGOGLIO NAZIONALE DELLA PRIMAVERA ARABA CONTRO L’ISIS

Quei ragazzi in piazza raccontano di un orgoglio nazionale che non si lascia piegare dai jihadisti che hanno lanciato la loro sfida mortale nel Paese in cui la “Primavera” non è sfiorita.
Così come è avvenuto in Giordania dopo che i tagliagole di Abu Bakr al-Baghdadi avevano arso vivo un giovane pilota, oggi anche nella Tunisia colpita al cuore dall’attacco terroristico al Museo del Bardo, la risposta più forte, matura, è venuta dai parlamentari e dai giovani che intonano l’inno nazionale, elemento unificante, simbolo di una democrazia solida, matura, che non si è liberata, in quel lontano ma mai così attuale, 2011 del regime di Ben Ali, per cadere nelle mani insanguinate dei fautori della più truce dittatura della sharia.
La Tunisia si è ribellata. E’ scesa in piazza per difendere un bene comune: la libertà . Un bene che la società  civile tunisina, le sue associazioni, le sue organizzazioni sindacali, hanno difeso anche a costo della vita
Non hanno colpito a caso, i sostenitori del “Califfato” e della Jihad globale: tra i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo, la Tunisia è quello che prova ad abbinare stabilità  e pluralismo, che crede nella possibilità  di abbinare modernità  e tradizione, laicità  e fede.
La Tunisia, ovvero il Paese da cui prese le mosse quella “Primavera araba” che con le sue istanze di libertà  e giustizia propagò poi in Egitto e in altri Paesi del Grande Medio Oriente.
La Tunisia è un modello, e per questo è una minaccia mortale per jihadisti e qaedisti. Lo è perchè è uno Stato che intende difendere la propria integrità  nazionale, per non far la fine del “non Stato” libico, dove a farla da padroni sono oltre 200 milizie armate.
La Tunisia è un modello, perchè prova a rafforzare la basi di uno Stato di Diritto senza dover pagare pegno alla casta militare, come in Algeria o in Egitto.
La Tunisia è un modello, perchè orgogliosa della propria storia, di cui il Museo insanguinato di Tunisi è un prezioso custode.
La Tunisia, però, è una democrazia giovane, ancora fragile, dove settori della società , soprattutto fra i giovani, sentono l’attrazione verso il credo totalitario dello Stato islamico.
Un dato per tutti: sono almeno 3mila i tunisini che combattono in Siria nelle fila dell’esercito di al-Baghdadi.Così come è forte la presenza salafita nel Paese.
La Tunisia è un sogno, un sogno laico, che i jihadisti provano a infrangere con il terrore.
La simbologia ha un valore straordinario per i “guerrieri di Allah”: simbolo di una aborrita libertà  di espressione era il settimanale satirico francese “Charlie Hebdo”, e simbolo di una cultura che unisce Oriente e Occidente, è il Museo del Bardo, tra i più belli del Mediterraneo, come lo è quello di Mosul e gli altri siti archeologici assirobabilonesi devastati dai miliziani dell’Isis in Iraq e in Siria.
La Tunisia resiste, ma la piovra qaedista l’ha presa di mira.
Le autorità  temevano attacchi eclatanti e in questi mesi hanno accentuato le operazioni di contrasto con dozzine di arresti, rastrellamenti ai confini, controlli massicci. Ma non è bastato. Troppo forte la presenza di militanti violenti, così come è troppo vicina quella terra di nessuno, la “Somalia del Mediterraneo, che è la Libbia del dopo-Gheddafi..
Cosa sia la nebulosa jihadista nel Paese nord africano lo tratteggia con la consueta capacità  analitica, Pietro Batacchi, direttore della Rivista Italia Difesa, Rid.
Nel Paese, sono attivi gruppi salafiti quali la Lega per la Protezione della Rivoluzione, sciolto dalle autorità  tunisine, mentre vaste parti di territorio sono fuori dal controllo governativo, in particolare il sud, e sono impiegate da elementi dei gruppi jihadisti come retroterra e aree di transito da e per Libia ed Algeria.
In Tunisia, spiega i direttore è innanzitutto attiva Ansar al-Sharia, gruppo qaedista fondato nell’aprile 2011da Abu Ayadh al-Tunisi,già  fondatore del Gruppo Combattente Tunisino, altra realtà  radicale salafita, e liberato dalla carceri tunisine dopo la caduta di Ben Alì nel 2011, così come molti altri appartenenti al gruppo che, oggi, potrebbe contare su oltre 1.000 miliziani.
Ansar al-Sharia, legata all’Ansar al-Sharia libica, è dietro la catena di attentati politici che ha insanguinato il paese nel 2013 e 2014 e all’attacco all’ambasciata americana nel Paese del settembre 2012.
La roccaforte del gruppo è il massiccio del Djebel Chambi, nel governatorato di Kasserine al confine con l’Algeria, dove a metà  febbraio in un attacco terroristico sono state uccise 4 guardie di frontiera tunisine e teatro anche in passato di attacchi come quello costato la vita al deputato Mohamed Ali Nasri, del partito di governo Nidaa Tounes, o quello che ha avuto per obbiettivo la casa dell’ex ministro dell’Interno Lotfi Ben Jeddou. Ansar al-Sharia, ma anche altre realtà  jihadiste, utilizzano quest’area come santuario e corridoio per il traffico di armi ed il passaggio di miliziani dalla Libia all’Algeria, fino al nord del Mali.
Dietro questi attacchi ci potrebbe essere in realtà  anche un’altra sigla, ovvero quella della Uqba ibn Nafi Brigade, un’emanazione di Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI) che, dopo le operazioni francesi in Mali, a partire dal 2003 ha allargato le proprie attività  più a nord in direzione del sud della Tunisia e della Libia.
Da diversi mesi, però, in Tunisia si stanno infiltrando anche elementi di Isis, provenienti dalla Libia o di ritorno dalla Siria.
Ma dietro l’attacco al Museo del Bardo c’è anche una strategia che viene da lontano e che è stata tratteggiata da Ayman al-Zawahiri, il successore di Osama bin Laden alla guida di al-Qaeda, quando il medico egiziano era ancora il vice del “miliardario del terrore”: colpire i regimi arabi moderati, o comunque amici dell’Occidente, mettendo in crisi una delle fonti più importanti delle economie nazionali: il turismo.
Fu così in Egitto, con gli attacchi ai resort di Sharm el Sheick o alla Valle dei Templi, lo è ora in Tunisia, dove Il turismo rappresenta il 50 per cento del pil nazionale: quindi colpirlo significa ferire a morte il Paese, metterlo in ginocchio, cercando poi di cavalcare la protesta sociale.
Tutto questo c’è dietro la strage al Bardo. Un messaggio indirizzato anche all’Europa e, in essa, all’Italia.
E non solo perchè tra gli stranieri vittime dell’attacco terroristico vi sono anche nostri connazionali, ma perchè l’Italia ha puntato molto sulla “nuova Tunisia” per sviluppare una politica di cooperazione tra i Paesi delle due sponde del Mediterraneo.
Dialogo, cooperazione, lotta contro i trafficanti di esseri umani che hanno stretto un patto criminale con le filiali nordafricane dell’Isis e di al-Qaeda per dividersi i proventi della “jihad dei barconi”.
Per aver cercato di sostenere il sogno laico della Tunisia, l’Italia è nel mirino dei jihadisti. Indietreggiare oggi rispetto agli impegni assunti con le autorità  di Tunisi suonerebbe come una resa ai signori della guerra e del terrore.
Il modo migliore per combatterli è rafforzare la cooperazione, in ogni campo anche quello militare, con un Paese che rivendica con orgoglio la sua “rivoluzione dei gelsomini”,
Un fiore di libertà  che non vuole appassire.
O essere reciso dai nazijihadisti di al-Baghdadi.

(da “Huffingtonpost”)

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REGALI E BIGLIETTI AEREI PER LUPI E SIGNORA

Marzo 18th, 2015 Riccardo Fucile

TANGENTI: DALLE INTERCETTAZIONI NUOVI DETTAGLI SUI REGALI RICEVUTI DAL MINISTRO… SPUNTA ANCHE IL NOME DELL’EX TESORIERE DS UGO SPOSETTI

Regali di Natale e biglietti aerei per Maurizio Lupi e la moglie: è quanto emerge ancora dalle carte dei magistrati che indagano sulle tangenti sui grandi appalti.
Dalle intercettazioni emergono “contatti ed incontri, anche conviviali, nonchè l’organizzazione di una cena volta a reperire ‘fondi’ nell’interesse del ministro, la fornitura di abiti sartoriali in favore del ministro Lupi, di suo figlio Luca e dei suoi segretari e l’acquisto di regali natalizi in favore dello stesso ministro e del suo entourage”.
Lo scrivono i pm di Firenze parlando di Francesco Cavallo, “(detto anche Frank o Franco), indicato da Burchi Giulio come ‘l’uomo di Lupì”.
“Il sarto Barbato Vincenzo – viene spiegato – confeziona vestiti, al prezzo di 700 euro circa l’uno, per il Ministro Lupi ed i componenti della sua segreteria Bonaduce Nicola, Forlani Emmanuele e Lezzi Marco”.
“Il 20.12.2013, Cavallo comunica a Altieri Gaetano della ‘Csf Costruzioni e Servizi s.r.l.’ che a ‘Bonaduce’ (segreteria del Ministro Lupi) ci pensa lui, riferendosi con ogni evidenza ad un regalo natalizio” e “da conversazioni successive emerge, con ogni verosimiglianza, che il regalo acquistato per Bonaduce ha un valore di circa 7/8 mila euro”.
Si parla poi di un bonifico di 1.840 euro fatto da una società  legata a Cavallo dopo che Cavallo ha acquistato “orologi di rilevante valore economico presso la gioielleria Verga, in Liano, via Dogana n. 3” e di “un ordine di dolciumi per un importo di 962 euro presso l’esercizio commerciale di Grossi Alfredo (Milano, Corso Magenta)”.
“Il 13.12.2013 – conclude – Cavallo ordina alcune borse presso il negozio Valextra di Milano, via Manzoni, per un importo complessivo di 1680 euro”.
In occasione di una convention di Ncd organizzata a Bari da Lupi poi, Cavallo “si attiva per procurare un biglietto aereo (tratta Milano-Bari) alla moglie del ministro Lupi, Dalmiglio Emanuela”.
“Il prezzo di questo biglietto è di 447,03 – viene spiegato – la ricevuta del pagamento risulta intestata al Cavallo, cui viene trasmessa via mail dall’indirizzo di posta elettronica di Pietroletti Gabriella della coop. La Cascina (non è dato sapere se tale spesa sia stata rimborsata)”.
“Si comprende che, a margine di questo evento, il Menolascina”, un imprenditore vicino a Cavallo, “organizza una cena ristretta con il ministro Lupi. A questa cena dovrebbe partecipare anche il Cavallo”.
“Menolascina dice telefonicamente a Forlani Emmanuele (segreteria del Ministro Lupi) che si tratta di una cosa ‘super riservata’.
Da un dialogo intercettato il 10.1.2014, tra il Ministro Lupi ed il Menolascina, si comprende che devono vedersi dieci minuti prima della cena (“tanto alle nostre cose so 10 minuti”… “noi 10 minuti prima ci vediamo…io te e coso”).
“Il Ministro Lupi e la moglie – scrive il pm nella richiesta di custodia cautelare – sono stati ospiti dei coniugi Perotti per il fine settimana, nel settembre 2013 e nel dicembre 2013; si badi che, con riguardo al secondo incontro in Firenze, allo stesso ha preso parte anche Cavallo Francesco”.
Il magistrato ricorda che “è proprio lo stretto rapporto che Perotti ha intessuto con Cavallo, che ha consentito allo stesso Perotti di stabilire un contatto costante con il Ministro”.
Spunta anche il nome di Sposetti.
Spunta il nome del senatore Pd Ugo Sposetti, ex tesoriere dei Ds e al centro nel 2005 di polemiche per il caso Consorte Unipol-Bnl, dalle intercettazioni effettuate nell’inchiesta sui grandi appalti. Parlando di Giulio Burchi, indagato, la Procura scrive che “è molto vicino al senatore Sposetti, per il quale si attiva in più occasioni al fine di reperire incarichi in favore di persone indicategli dallo stesso Sposetti” tanto che in una conversazione tra i due Burchi dice “non faccio altro che l’ufficio di collocamento”.
“Analoga attività  – si legge ancora negli atti della Procura di Firenze – viene svolta da Burchi su richiesta del vice-ministro alle Infrastrutture, Nencini Riccardo, il quale si interfaccia con il Burchi tramite l’ex parlamentare Del Bue Mauro”.
In sostanza, spiega la Procura, Burchi chiede a Del Bue di procurargli un appuntamento con Nencini e immediatamente dopo Del Bue chiede a Burchi “tu potresti dargli qualche contributo di questo tipo anche a Nencini…ci sono delle nomine da fare in giro…ci interessa sistemare due o tre persone in qualche ente…”.
Dal tenore delle conversazioni intercettate, scrive ancora la Procura, si comprende anche che lo stesso Burchi “ha richiesto a più soggetti, ivi compreso Nencini, un intervento in suo favore per una nomina all’interno della società  Terna”. Successivamente, Burchi si rivolge alla segreteria del Nencini, nella persona di Fabrizio Magnani, il quale parla a Burchi si “trovare il posto per una persona”. In una conversazione con Magnani, Burchi fa anche riferimento alla richiesta di Nencini di “sistemare uno in un collegio”.

(da “Huffingtonpost“)

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“TRASFERIRE DI MATTEO OVUNQUE, MAI IN ANTIMAFIA”: CON LA SCUSA DELLA SICUREZZA VOGLIONO LIBERARSI DI UN MAGISTRATO SCOMODO

Marzo 18th, 2015 Riccardo Fucile

IL CSM LE PROVA TUTTE, MA IL PM RIFIUTA

Quella nomina non si deve fare. Il Csm le sta provando tutte pur di non far arrivare alla Procura nazionale antimafia (Dna) il pm Nino Di Matteo, da oltre 17 anni impegnato in prima fila nella lotta a Cosa Nostra e ai suoi fiancheggiatori, anche istituzionali.
Venerdì il magistrato ha ricevuto dalla Terza commissione una convocazione a “comparire personalmente per essere ascoltato in relazione alla pratica di trasferimento extra ordinem tesa a tutelare le esigenze di sicurezza in base alla normativa vigente, fermo restando il principio di inamovibilità  (in questo caso il magistrato può essere trasferito solo volontariamente, ndr)”.
La pratica è stata aperta il “5 marzo”, giorno in cui alcuni giornali hanno dato la notizia che proprio la Terza commissione aveva escluso Di Matteo la settimana precedente dalla corsa alla Dna.
Con la convocazione di ieri ha cercato di mettere una toppa che è peggio del buco perchè, in base alla circolare sui trasferimenti straordinari, preclude a Di Matteo qualsiasi incarico direttivo, semi direttivo e, guarda caso, anche la Procura nazionale antimafia.
Il pm è arrivato ieri al Csm intorno alle 10:30 in gran segreto ed è rimasto un paio d’ore.
I commissari hanno voluto sapere quali fossero le sue richieste per l’eventuale trasferimento, ma il magistrato ha risposto che qualsiasi valutazione doveva essere rinviata all’esito del concorso a cui aveva partecipato: ritiene inopportuno esprimersi, eventualmente, per un suo trasferimento da Palermo prima ancora che il Plenum voti i candidati alla Dna.
Di Matteo ha anche fatto osservare ai componenti del Csm che la questione sicurezza, peraltro aperta due anni fa con le condanne a morte pronunciate da Totò Riina, non lo riguarda da alcune settimane.
Già  da giugno 2013 il comitato per l’ordine e la sicurezza ha istituito un servizio di protezione di livello 1, cioè quando c’è il massimo rischio di vita.
La Terza commissione, in grande imbarazzo per non aver scelto Di Matteo nonostante i suoi titoli, ha provato a giocarsi la carta del trasferimento per motivi di sicurezza. Una mossa che sembra voler mettere le mani avanti: noi non scegliamo Di Matteo per la Procura nazionale antimafia, ma ci siamo preoccupati della sua incolumità .     L’esclusione del magistrato dalla Dna non è ancora definitiva perchè il plenum della scorsa settimana è stato aggiornato grazie agli interventi di due consiglieri: Aldo Morgigni, togato di Autonomia e Indipendenza e Piergiorgio Morosini, di Area. Morgigni ha sostenuto che Di Matteo non era stato valutato nel giusto modo rispetto ai titoli e all’esperienza, quindi da undicesimo lo ha spostato al primo posto, con il meccanismo dei punteggi assegnati per ogni titolo.
Il consigliere ha ricordato che il pm ha oltre 17 anni di carriera esclusivamente nell’antimafia, il suo curriculum “spicca rispetto a quello vantato dagli altri aspiranti per le caratteristiche di qualità  e quantità  del suo impegno professionale”.
Il consigliere Morosini aveva chiesto che la pratica tornasse in Commissione per una “ulteriore riflessione” dei componenti sul lavoro svolto dal pm Di Matteo, ma la sua proposta è stata bocciata.
Il Plenum è stato rinviato perchè sull’emendamento Morgigni era necessario il parere del procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. Parere che è già  arrivato ed è favorevole.
Ma oggi al plenum non si affronteranno le nomine alla Dna. Ci sono ancora mediazioni in corso.
C’è chi spinge — e la Terza commissione sarebbe d’accordo — perchè Di Matteo possa passare al prossimo giro, tra un mese, quando il Csm dovrebbe aprire altri due posti.     Ma Di Matteo il giorno del rinvio del Plenum ha dichiarato che attende di “comprendere per quali ragioni nella proposta della Commissione in Csm sono stato collocato in graduatoria dopo molti colleghi che possono vantare un’esperienza temporalmente molto più limitata presso le direzioni distrettuali antimafia rispetto alla mia”.
Di questo, all’audizione di ieri, non si è parlato.

Antonella Mascali
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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INCALZA, LO SPECIALISTA NEL BOOM DEI COSTI

Marzo 18th, 2015 Riccardo Fucile

PER LUPI È UN MANAGER CHE “L’EUROPA CI INVIDIA”… COME NO? IL “SUO” TAV È IL PIÙ “LENTO” E PIÙ CARO DEL MONDO

Era il migliore nel suo campo. La scelta di conservare Ercole Incalza alla guida della struttura tecnica di missione del ministero dei Trasporti ha una spiegazione: aveva 18 procedimenti giudiziari alle spalle, ma “è uno dei tecnici più stimati nel settore, in Europa ce lo invidiano”, ha spiegato ieri il ministro Maurizio Lupi a Repubblica.
Secondo la Procura di Firenze, invece, è il ras del sistema corruttivo che gonfiava i costi delle Grandi opere.
In principio fu la legge obiettivo di Silvio Berlusconi e Pietro Lunardi — anno 2001 — per semplificare le procedure per le grandi infrastrutture.
Lunardi chiama Incalza a tessere la tela dalla cabina di regia.
Risultato? A 14 anni di distanza, degli 285 miliardi di opere inserite, quelle ultimate valgono solo l’8,6%, mentre i costi sono saliti del 40%.
Stesso incremento stimato dai pm di Firenze per le opere affidate alla direzione del suo braccio destro, Stefano Perotti, anche lui arrestato.
Ma è come manager che Incalza dà  il meglio di sè.
Nel 1991 lascia il vertice del ministero dei Trasporti — dove era arrivato grazie allo storico leader della “sinistra ferroviaria”, il socialista Claudio Signorile — per guidare Tav Spa, la controllata delle Fs che deve realizzare le nuove linee veloci.
Assieme a Lorenzo Necci è l’artefice dell’affidamento senza gara ai tre general contractor (Iri, Eni e Fiat) del gigantesco appalto.
Secondo l’ingegnere di Brindisi, questo avrebbe evitato i contenziosi: “Se si sono sbagliati è colpa loro”, spiegava nel ’92.
Per garantire il “contratto chiavi in mano” si inventa il project financing, il miracoloso sistema che apparentemente fa finanziare le Grandi opere dai privati, solo che alla fine paga comunque lo Stato. E così avviene.
Le tratte dovevano costare 18.400 miliardi di lire nel 1991, saranno 90 miliardi di euro a fine lavori: oltre 5 punti di Pil che rendono il nostro uno dei più grandi generatori di debito pubblico.
A fine ’96, travolto dall’inchiesta che porta in carcere Necci, si dimette dalla Tav, e tocca all’ad delle Fs Giancarlo Cimoli svelare il bluff: sarà  lo Stato a pagare tutto.
I dati a consuntivo fanno paura.
La Torino-Milano, per dire, doveva costare 1,74 miliardi: saranno 8,3 a fine lavori.
E così per la Milano-Bologna: 7,9 miliardi (1,4); Bologna-Firenze (a dirigere i lavori c’è il fidato Perotti): 6,7 miliardi (1,74 da contratto, con contenziosi per altri 500 milioni); Roma-Napoli: 7,2 miliardi (ne doveva costare uno solo).
La radiografia del disastro l’ha stilata a febbraio 2014 l’Ue: “L’Alta velocità  italiana è tra le opere più costose”.
In cifre: 47,3 milioni di euro al chilometro nel tratto Roma-Napoli, 74 tra Torino e Novara, 79,5 fino a Milano e 96,4 milioni tra Bologna e Firenze, contro gli appena 10,2 milioni al chilometro della Parigi-Lione, i 9,8 della Madrid-Siviglia e i 9,3 della Tokyo-Osaka.
In media: 61 milioni al chilometro, contro i 20 dell’Ue. Peggio ancora è andata con i tempi. I contratti prevedevano circa 70 mesi di lavori: la Roma-Napoli viene conclusa nel 2007, cioè 17 anni dopo, le altre tra il 2010-2011, a distanza di oltre 20 anni.
La tratta più lunga d’Europa, la Madrid-Siviglia (490 km) è stata completata in 4,8 anni, la Parigi-Lione in 5 e la Tokyo-Osaka in 4,2.
Secondo uno studio americano, la Milano-Verona, dove Incalza riesce a piazzare Perotti, costerà  60 milioni a km: “Record mondiale per una tratta in pianura”.
Ci vuole talento.

Carlo Di Foggia
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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TUNISIA, TERRORISTI ASSALTANO MUSEO: 18 MORTI, FORSE DUE ITALIANI, 21 FERITI, DUE TERRORISTI GIUSTIZIATI DALLE FORZE SPECIALI, UNO ARRESTATO

Marzo 18th, 2015 Riccardo Fucile

BLITZ DELLE FORZE SPECIALI TUNISINE CHE LIBERANO CENTINAIA DI OSTAGGI… UNA FOLLA MINACCIOSA ALL’ESTERNO CANTA L’INNO NAZIONALE

Attacco terroristico nel cuore di Tunisi, diciotto le vittime sin qui ufficializzate dal Ministero dell’Interno.
Secondo media locali, tre terroristi con indosso le uniformi dell’esercito hanno fatto fuoco contro un pullman parcheggiato davanti al Museo del Bardo, non lontano dalla sede dell’assemblea tunisina.
Molte vittime sono turisti, la loro nazionalità  è in corso di accertamento, si parla di due italiani. Media riportano che l’attacco è stato rivendicato dallo Stato Islamico.
Le forze speciali antiterrorismo sono poi entrate in azione per liberare gli ostaggi.
Un gruppo di turisti che erano stati sequestrati sono stati liberati da un blitz delle forze speciali.
Uno dei presunti responsabili dell’attacco è stato arrestato mentre gli altri due sono circondati in edifici che appartengono al Parlamento. Lo riferiscono a Efe fonti della sicurezza, precisando che l’arrestato è uno studente di 22 anni.
La Farnesina conferma che vi sono italiani coinvolti. Tra di loro due feriti, mentre un centinaio sono stati messi in sicurezza dalle forze tunisine.
La Costa crociere ha confermato che alcuni passeggeri erano in tour per la città : “Oggi Costa Fascinosa è nel porto di Tunisi, nel corso di una crociera di 7 giorni nel Mediterraneo.
Durante la sosta alcuni ospiti di Costa Fascinosa hanno fatto un tour della città “. La stessa società  fa sapere di   di essere in stretto contatto con il Mise e di aver richiamato a bordo tutti i passeggeri (3161 in totale).
Tra gli ostaggi ci sarebbero stati quattro dipendenti del Comune di Torino, tra cui Carolina Bottari, di Torino, che al telefono ha parlato di due italiani colpiti. “Eravamo una comitiva di una cinquantina di persone. Qui nella stanza siamo in sei italiani, di là  nello stanzone sono molti di più. Due persone sono morte. Altre tre sono rimaste ferite”.
Secondo vari media, più di 200 turisti erano presenti all’interno del museo del Bardo al momento dell’attacco. Di questi, circa 160 sono riusciti a fuggire, sarebbero rimaste nelle mani dei terroristi tra le 20 e le 40 persone.
In Parlamento, gli agenti della sicurezza hanno impedito a giornalisti e deputati di lasciare l’aula. Testimoni all’esterno del Parlamento hanno riferito di una massiccia presenza di poliziotti in procinto di evacuare l’edificio.
Informazione confermata da un tweet della deputata Sayida Ounissi, secondo cui l’evacuazione è in corso. Sayida Ounissi aggiunge che “il panico è enorme” e tutto è successo mentre era in corso l’audizione delle forze armate sulla legge antiterrorismo. Presenti il ministro della Giustizia, giudici e responsabili delle Forze armate.
Il presidente della Tunisia, Bèji Caà¯d Essebsi, terrà  alle 18 un discorso al popolo tunisino a seguito della sparatoria di oggi nella capitale.
Pochi minuti fa le forze speciali hanno giustiziato i due terroristi che erano ancora all’interno del Museo.

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