AL CANTO DI “TUNISIA LIBERA” IL POPOLO IN PIAZZA CONTRO I TERRORISTI
L’ORGOGLIO NAZIONALE DELLA PRIMAVERA ARABA CONTRO L’ISIS
Quei ragazzi in piazza raccontano di un orgoglio nazionale che non si lascia piegare dai jihadisti che hanno lanciato la loro sfida mortale nel Paese in cui la “Primavera” non è sfiorita.
Così come è avvenuto in Giordania dopo che i tagliagole di Abu Bakr al-Baghdadi avevano arso vivo un giovane pilota, oggi anche nella Tunisia colpita al cuore dall’attacco terroristico al Museo del Bardo, la risposta più forte, matura, è venuta dai parlamentari e dai giovani che intonano l’inno nazionale, elemento unificante, simbolo di una democrazia solida, matura, che non si è liberata, in quel lontano ma mai così attuale, 2011 del regime di Ben Ali, per cadere nelle mani insanguinate dei fautori della più truce dittatura della sharia.
La Tunisia si è ribellata. E’ scesa in piazza per difendere un bene comune: la libertà . Un bene che la società civile tunisina, le sue associazioni, le sue organizzazioni sindacali, hanno difeso anche a costo della vita
Non hanno colpito a caso, i sostenitori del “Califfato” e della Jihad globale: tra i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo, la Tunisia è quello che prova ad abbinare stabilità e pluralismo, che crede nella possibilità di abbinare modernità e tradizione, laicità e fede.
La Tunisia, ovvero il Paese da cui prese le mosse quella “Primavera araba” che con le sue istanze di libertà e giustizia propagò poi in Egitto e in altri Paesi del Grande Medio Oriente.
La Tunisia è un modello, e per questo è una minaccia mortale per jihadisti e qaedisti. Lo è perchè è uno Stato che intende difendere la propria integrità nazionale, per non far la fine del “non Stato” libico, dove a farla da padroni sono oltre 200 milizie armate.
La Tunisia è un modello, perchè prova a rafforzare la basi di uno Stato di Diritto senza dover pagare pegno alla casta militare, come in Algeria o in Egitto.
La Tunisia è un modello, perchè orgogliosa della propria storia, di cui il Museo insanguinato di Tunisi è un prezioso custode.
La Tunisia, però, è una democrazia giovane, ancora fragile, dove settori della società , soprattutto fra i giovani, sentono l’attrazione verso il credo totalitario dello Stato islamico.
Un dato per tutti: sono almeno 3mila i tunisini che combattono in Siria nelle fila dell’esercito di al-Baghdadi.Così come è forte la presenza salafita nel Paese.
La Tunisia è un sogno, un sogno laico, che i jihadisti provano a infrangere con il terrore.
La simbologia ha un valore straordinario per i “guerrieri di Allah”: simbolo di una aborrita libertà di espressione era il settimanale satirico francese “Charlie Hebdo”, e simbolo di una cultura che unisce Oriente e Occidente, è il Museo del Bardo, tra i più belli del Mediterraneo, come lo è quello di Mosul e gli altri siti archeologici assirobabilonesi devastati dai miliziani dell’Isis in Iraq e in Siria.
La Tunisia resiste, ma la piovra qaedista l’ha presa di mira.
Le autorità temevano attacchi eclatanti e in questi mesi hanno accentuato le operazioni di contrasto con dozzine di arresti, rastrellamenti ai confini, controlli massicci. Ma non è bastato. Troppo forte la presenza di militanti violenti, così come è troppo vicina quella terra di nessuno, la “Somalia del Mediterraneo, che è la Libbia del dopo-Gheddafi..
Cosa sia la nebulosa jihadista nel Paese nord africano lo tratteggia con la consueta capacità analitica, Pietro Batacchi, direttore della Rivista Italia Difesa, Rid.
Nel Paese, sono attivi gruppi salafiti quali la Lega per la Protezione della Rivoluzione, sciolto dalle autorità tunisine, mentre vaste parti di territorio sono fuori dal controllo governativo, in particolare il sud, e sono impiegate da elementi dei gruppi jihadisti come retroterra e aree di transito da e per Libia ed Algeria.
In Tunisia, spiega i direttore è innanzitutto attiva Ansar al-Sharia, gruppo qaedista fondato nell’aprile 2011da Abu Ayadh al-Tunisi,già fondatore del Gruppo Combattente Tunisino, altra realtà radicale salafita, e liberato dalla carceri tunisine dopo la caduta di Ben Alì nel 2011, così come molti altri appartenenti al gruppo che, oggi, potrebbe contare su oltre 1.000 miliziani.
Ansar al-Sharia, legata all’Ansar al-Sharia libica, è dietro la catena di attentati politici che ha insanguinato il paese nel 2013 e 2014 e all’attacco all’ambasciata americana nel Paese del settembre 2012.
La roccaforte del gruppo è il massiccio del Djebel Chambi, nel governatorato di Kasserine al confine con l’Algeria, dove a metà febbraio in un attacco terroristico sono state uccise 4 guardie di frontiera tunisine e teatro anche in passato di attacchi come quello costato la vita al deputato Mohamed Ali Nasri, del partito di governo Nidaa Tounes, o quello che ha avuto per obbiettivo la casa dell’ex ministro dell’Interno Lotfi Ben Jeddou. Ansar al-Sharia, ma anche altre realtà jihadiste, utilizzano quest’area come santuario e corridoio per il traffico di armi ed il passaggio di miliziani dalla Libia all’Algeria, fino al nord del Mali.
Dietro questi attacchi ci potrebbe essere in realtà anche un’altra sigla, ovvero quella della Uqba ibn Nafi Brigade, un’emanazione di Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI) che, dopo le operazioni francesi in Mali, a partire dal 2003 ha allargato le proprie attività più a nord in direzione del sud della Tunisia e della Libia.
Da diversi mesi, però, in Tunisia si stanno infiltrando anche elementi di Isis, provenienti dalla Libia o di ritorno dalla Siria.
Ma dietro l’attacco al Museo del Bardo c’è anche una strategia che viene da lontano e che è stata tratteggiata da Ayman al-Zawahiri, il successore di Osama bin Laden alla guida di al-Qaeda, quando il medico egiziano era ancora il vice del “miliardario del terrore”: colpire i regimi arabi moderati, o comunque amici dell’Occidente, mettendo in crisi una delle fonti più importanti delle economie nazionali: il turismo.
Fu così in Egitto, con gli attacchi ai resort di Sharm el Sheick o alla Valle dei Templi, lo è ora in Tunisia, dove Il turismo rappresenta il 50 per cento del pil nazionale: quindi colpirlo significa ferire a morte il Paese, metterlo in ginocchio, cercando poi di cavalcare la protesta sociale.
Tutto questo c’è dietro la strage al Bardo. Un messaggio indirizzato anche all’Europa e, in essa, all’Italia.
E non solo perchè tra gli stranieri vittime dell’attacco terroristico vi sono anche nostri connazionali, ma perchè l’Italia ha puntato molto sulla “nuova Tunisia” per sviluppare una politica di cooperazione tra i Paesi delle due sponde del Mediterraneo.
Dialogo, cooperazione, lotta contro i trafficanti di esseri umani che hanno stretto un patto criminale con le filiali nordafricane dell’Isis e di al-Qaeda per dividersi i proventi della “jihad dei barconi”.
Per aver cercato di sostenere il sogno laico della Tunisia, l’Italia è nel mirino dei jihadisti. Indietreggiare oggi rispetto agli impegni assunti con le autorità di Tunisi suonerebbe come una resa ai signori della guerra e del terrore.
Il modo migliore per combatterli è rafforzare la cooperazione, in ogni campo anche quello militare, con un Paese che rivendica con orgoglio la sua “rivoluzione dei gelsomini”,
Un fiore di libertà che non vuole appassire.
O essere reciso dai nazijihadisti di al-Baghdadi.
(da “Huffingtonpost”)
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