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“GLI ITALIANI ODIANO DI PIU’ L’AUTOVELOX O GLI IMMIGRATI?”: LO SCHERZO SU FACEBOOK NON E’ POI COSI’ LONTANO DAL DELIRIO ESISTENTE

Settembre 1st, 2017 Riccardo Fucile

INFATTI SU “LIBERO” C’E’ DA VOTARE IL QUESITO: “CHI E’ PEGGIO TRA CHRISTIAN RAIMO E   BELLO FIGO?”, TANTO PER DELIZIARE IL PALATO RAFFINATO DEI RAZZISTI

Anche se in effetti ci si aspetterebbe questo ed altro da “Dalla vostra parte”, non è mai andato in onda un sondaggio o un servizio dal titolo “Gli italiani odiano di più gli autovelox o gli immigrati?”.
Anche se in molti lo stanno condividendo chiedendo anche l’intervento dell’Ordine dei Giornalisti, si tratta in realtà  di uno scherzo fatto con Facebook.
Una intelligente provocazione di fronte al becerume razzista che impazza sul web
L’immagine originale è infatti tratta da un servizio dal titolo “Ci massacrano in casa, chi ci difende? Fucecchio (FI): Basta furti e rapine” che risale al gennaio 2017. Ovviamente il tono del servizio era molto simile a quello di altre trasmissioni di Belpietro, visto che si dicevano cose come questa: “Bisogna fare prevenzione, ognuno di noi conosce le abitudini dei nostri connazionali, poi ci ritroviamo gente che viene in Italia e non sappiamo nulla di loro. Non è possibile, qualcuno ci deve dire quanto valgono le nostre vite di fronte a tutto quello che sta accadendo”.
Insomma, questo titolo è falso.
Questo sondaggio di Libero invece è vero: “Secondo voi chi è peggio tra Christian Raimo e Bello Figo?”, tanto per deliziare il raffinato palato dei razzisti.
Per la cronaca ora il piò odiato non è più Bello Figo, ma la new entry Raimo, colpevole di aver ridicolizzato i razzisti con il suo cartello in TV: “l’avete qualche altro servizio sui negri cattivi?”
Ma la domanda   per le persone normali che nessuno ha ancora fatto è sempre quella: a voi fa più impressione Feltri o Belpietro?

(da “NextQuotidiano”)

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BORGHEZIO DEVE PAGARE 50.00O EURO A CECILE KYENGE, ORA DEVE TOCCARE AGLI ALTRI CHE ISTIGANO ALL’ODIO RAZZIALE SUL WEB

Settembre 1st, 2017 Riccardo Fucile

LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA CHE HA CONDANNATO L’EUROPARLAMENTARE LEGHISTA: “DIFFAMAZIONE AGGRAVATA DALLA FINALITA’ DI ODIO RAZZIALE”

“L’attacco al Ministro Kyenge non ha riguardato solo le sue convinzioni politiche in materia di immigrazione e leggi sulla cittadinanza, ma anche la sua persona in quanto originaria di un Paese africano”.
Così il giudice di Milano Maria Teresa Guadagnino spiega perchè le affermazioni dell’europarlamentare Mario Borghezio a ‘Radio 24′ non rappresentarono una “critica politica”, come ipotizzato dalla sua difesa, ma una diffamazione aggravata dalla finalità  di odio razziale ed etnico ai danni dell’ex Ministro dell’Integrazione Cècile Kyenge “ritenuta inadeguata a ricoprire l’incarico in ragione della sua etnia”.
Per questo reato, Borghezio è stato condannato il 18 maggio scorso dai giudici della IV sezione penale, presieduti da Guadagnino, al pagamento di 1000 euro di multa ed a versare un risarcimento di 50mila euro all’ex rappresentante dell’esecutivo guidato da Enrico Letta.
La vicenda riguarda le affaermazioni del leghista, intervistato il 29 aprile 2013 da “La Zanzara”.
“Il messaggio di Borghezio — scrive il giudice nelle motivazioni — non è solo di natura politica ma si traduce in disprezzo verso la persona offesa a causa della sua origine africana. Non sono possibili interpretazioni alternative al senso dispregiativo delle parole di Borghezio nei confronti della Kyenge. La donna, proprio per il colore della pelle, non deve avere i medisimi diritti dei cittadini italiani, ha una cultura inferiore a quella italiana (e, più in generale, a quella mitteleuropea) ed è per questi motivi — e non per altri — che può fare solo la casalinga, non può fare il Ministro e ha tolto a un medico italiano il posto alla Asl”.
Neppure per i giudici “si può dire che l’intervista abbia qualcosa a che fare con la satira” sebbene rientri in un programma radiofonico spesso connotato da battute irriverenti.
I giudici chiariscono anche perche’ hanno riqualificato il reato in diffamazione aggravata dall’odio razziale mentre la contestazione originaria dei pm era ‘propaganda di idee fondata sull’odio razziale ed etnico’.
“Il concetto di propaganda razzista — argomenta il giudice Gudagnino — non è una semplice manifestazione di opinione, ma è integrata da una condotta volta alla persuasione e a ottenere il consenso del pubblico, come puo’ avvenire, ad esempio, nel corso di un comizio o di un’assemblea”.
All’europarlamentare vengono riconosciute le attenuanti generiche “per il buon comportamento processuale e per quella, sia pur minima, resipiscenza dimostrata dopo il fatto nel porgere formalmente le proprie scuse in sede di assemblea parlamentare”.

(da “NextQuotidiano”)

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“HUMAN FLOW”, A VENEZIA IL DOCU-FILM SUI MIGRANTI CHE MOSTRA IL FALLIMENTO DELLA NOSTRA CIVILTA’

Settembre 1st, 2017 Riccardo Fucile

IL CAPOLAVORO DEL REGISTA CINESE TRAPIANTATO A BERLINO E’ UN PUGNO NELLO STOMACO… UNA MAPPATURA AGGHIACCIANTE DEGLI ESODI BIBLICI IN ATTO NEL NOSTRO PIANETA, 70 PAESI COINVOLTI

I migranti sbarcati a Venezia sono milioni. Sessantacinque milioni, per l’esattezza. Non in carne, ossa e disperazione, ma sullo schermo.
E ti inchiodano: ovviamente a una presa di coscienza, ma soprattutto al sentimento preciso del più intollerabile fallimento di una civiltà , la nostra, che ha cancellato dal mondo il futuro.
“Human flow”, del regista cinese Ai Weiwei, trapiantato a Berlino, è l’unico documentario in corsa a Venezia per il Leone d’oro.
Ed è un pugno nello stomaco. È una mappatura dettagliata, asciutta e agghiacciante, degli esodi biblici in atto sul nostro pianeta, realizzata filmando “dal di dentro” i campi profughi e le “onde anomale” di intere popolazioni costrette a lasciare, per guerra, fame e persecuzioni, la propria terra e le proprie case.
Qualche emergenza ci è prossima e familiare, moltissime no.
Non è come assemblare i reportage degli infiniti network che hanno documentato la grande fuga dalle zone calde del mondo.
Contro le regole del documentario classico, Ai Weiwei non è solo testimone, è partecipe, condivide le marce disumane dei rifugiati, si improvvisa cuoco, barbiere, fotografo di strada, scherza e consola. Ha i suoi cameramen, ma riprende anche col suo cellulare.
E sono immagini che ti costringono a vivere quello che vedi.
Ridotta a un arido elenco, la catastrofe umana filmata dal regista contempla, nell’ordine : i 277mila rifugiati in Iraq, rimpinguati dal macello siriano; gli sbarchi a Lesbo, 1 milione in fuga nel biennio 2015-16; i Rohyngyas perseguitati del Bangladesh; i rifugiati siriani in Giordania, 1 milione e 400 mila; i 500 mila curdi in fuga dai villaggi in macerie (ma in Turchia 3 milioni di persone sono accampate senza vedersi riconosciuto lo status di rifugiati); i 2 milioni di fuggitivi nel piccolo Libano; i disperati del Kenya, cacciati dai conflitti subsahariani ma in crescita esponenziale a causa dei cambiamenti climatici; la nostra Lampedusa; il Pakistan, che ha dato asilo ai rifugiati afghani ma se ne sta sbarazzando; la Berlino degli hangar-città , veri e propri lager “civili” da cui non puoi uscire; le baraccopoli sgomberate di Calais; lo sciagurato muro Usa-Messico.
Sono 70 i Paesi che nel 2016 hanno eretto muraglie e barriere presidiate dai militari. Non sono viaggi della speranza, sono fughe di massa senza prospettiva.
Non ha bisogno di metafore, Ai Weiwei. Usa un drone per convertire quello che da lontano appare come un formicaio nel brulicare di esseri umani in un campo profughi: senza acqua, scuole, assistenza, senza nessuna delle condizioni che rendono umana l’esistenza.
Tutto viene implicitamente evocato: il vergognoso saccheggio Nord-Sud, il debito estero come arma, gli accordi commerciali predatori, una finanza senza controlli.
Ma “Human Flow” si astiene da pistolotti e commenti.
Bastano le cifre, i titoli dei giornali, i resoconti scarni dei responsabili dei soccorsi e di pochi dignitari “di buona volontà “.
Il film è indirizzato, sostiene il regista, “a tutti quelli che hanno la fortuna di vivere in pace. Perchè anche la loro pace è una situazione temporanea”.
È vero e tremendo. Siamo in grado di dare risposte e soluzioni? Chi può ancora parlare di uguaglianza e solidarietà ?
“Purtroppo ci sono dei cattivi sulla Terra – chiosa in finale un ex astronauta siriano — mandiamoli nello spazio!”
Perchè no? Non è per fare i moralisti, ma sarebbe un primo passo opportuno.

(da “Huffingtonpost”)

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BACIO PERUGINA AGRODOLCE: SBARCA IN CINA MA TAGLIA IN ITALIA

Settembre 1st, 2017 Riccardo Fucile

REPORTAGE NELLA STORICA FABBRICA DI SAN SISTO (OGGI DELLA NESTLE’) DOVE QUASI META’ DEGLI OPERAI SONO A RISCHIO

“L’amore non è solo un sentimento. È anche un’arte”: questo è Honorè de Balzac. “L’amor che muove il sole e l’altre stelle”: e questo è Dante Alighieri.
Prima della traduzione in cinese, i cartigli che avvolgono i cioccolatini hanno superato l’esame di un pool di esperti di cultura orientale per capire se rischiavano di provocare qualche suscettibilità .
Basti pensare, senza bisogno di scomodare le censure di Mao Tse-tung, che ancora oggi quella del bacio in Cina è considerata da molti un’effusione poco igienica.
Ma la globalizzazione, à§a va sans dire, non conosce frontiere e così anche il Bacio Perugina ha iniziato la sua marcia di conquista del più grande mercato del globo. Un’avanzata che, insieme all’espansione in Brasile, Stati Uniti, Canada e Australia, presenta ora il conto qui in Italia, per la precisione a San Sisto, una manciata di chilometri dal centro di Perugia: il rischio di 340 esuberi su un totale di 820 operai nella fabbrica storica della Perugina che dal 1988 è di proprietà  del colosso Nestlè.
La vicenda squaderna tutte le facce della globalizzazione, trasformandosi in un paradigma che travalica le colline umbre: le strategie delle multinazionali e i relativi costi sociali.
L’emergenza lavoro e le difficoltà  del sindacato. Un prodotto iconico del made in Italy. L’automazione dell’industria. Il ruolo della politica.
E un paradosso di fondo: come mai un piano industriale di sviluppo con 60 milioni di investimenti e che, a detta dell’azienda, procede spedito, fa vacillare centinaia di posti di lavoro?
“Perchè in realtà  è un piano di crescita ma anche di trasformazione”, prova a spiegare il direttore delle relazioni industriali di Nestlè Italia, Gianluigi Toia. Senza convincere i sindacati che parlano di “voltafaccia”.
In campo è sceso anche il governo: “Abbiamo chiesto ad azienda e lavoratori di ridurre gli estremismi e di cercare una soluzione – dice la viceministra dello Sviluppo Economico, Teresa Bellanova – . Poi a fine settembre, al ministero, tireremo le fila. In ballo ci sono persone e famiglie, la storia e l’economia del territorio. Ma tutto non può rimanere com’è, anche perchè gli ammortizzatori usati fino ad oggi non ci saranno più”.
Gli ammortizzatori sociali, appunto, che sono al centro del caso Perugina, utilizzati da anni a copertura dei periodi di bassa attività  della fabbrica per la stagionalità  della produzione del cioccolato.
Ma che si esauriranno a giugno del prossimo anno, anche come effetto del Jobs act, mettendo a nudo i rischi occupazionali del piano Nestlè.
Il progetto della multinazionale, presentato nel marzo del 2016 con la condivisione dei sindacati, prevede 60 milioni di investimenti, quindici dei quali per la modernizzazione dello stabilimento di San Sisto e gli altri per sostenere la crescita sui mercati internazionali: perchè la Perugina, e in particolare il Bacio, dovrebbero ripetere il successo raggiunto dalla Nestlè con la valorizzazione del marchio dell’acqua S.Pellegrino, tra i simboli del made in Italy nel mondo (1,3 miliardi di pezzi venduti in 145 Paesi).
Nel primo anno tutto sembra andare a gonfie vele, anche i dati sulla crescita all’estero sono confortanti. Poi a giugno di quest’anno l’azienda – che nel frattempo ha dismesso le attività  minori delle caramelle (anche la “mitica” Rossana) e della piccola pasticceria per concentrarsi sul business del cioccolato – annuncia che, “data l’impossibilità  di fare ricorso agli ammortizzatori sociali, emerge l’esigenza di procedere ad un riequilibrio occupazionale che, ad oggi, stimiamo possa coinvolgere 340 addetti ai quali nei prossimi anni non sarà  possibile assicurare la continuità  occupazionale”.
Un fulmine a ciel sereno, accusano i sindacati: “Nel piano si parlava di collaborazione per evitare impatti sociali – dice Luca Turcheria, della Rsu – . Lo abbiamo condiviso perchè per la prima volta Nestlè ha investito sulla Perugina e perchè crediamo che l’internazionalizzazione del nostro cioccolato è davvero l’unica chance di crescita. Insomma, immaginavamo di dover gestire, al massimo, l’uscita fisiologica di meno di cento persone, mentre oggi ci ritroviamo con 340 esuberi su 800 dipendenti. È come raccontare che Cappuccetto Rosso si è mangiato il lupo…”.
E Michele Greco, segretario in Umbria della Flai-Cgil, ha una sua chiave di lettura: “Non vorrei che il nuovo management della Nestlè a livello globale, cambiato da poco, stia preparando un ridimensionamento del settore dolciario del gruppo nel mondo”.
Scenario respinto dal manager Gianluigi Toia: “Il piano Perugina è stato approvato dalla casa madre, va avanti. Capisco la reazione dei sindacati, forse pensavano che fosse più facile crescere nel mondo. Ma non è il momento di rimbalzarsi le responsabilità  e di fissarsi su improbabili proroghe degli ammortizzatori: la ricetta è quella della mobilità  interna al gruppo, degli incentivi, della formazione, del ricollocamento degli esuberi sul territorio”.
Quel territorio che ormai guarda quasi con rassegnazione i grandi capannoni di San Sisto. Come il simbolo di un passato felice.
“Si vuole solo ridurre la Perugina a un piccolo ramo periferico di una multinazionale lontana, con al massimo 600 dipendenti (prima di Nestlè erano 4000…). Sindacati, il destino è segnato grazie alle vostre firme”, ha scritto su un giornale locale Carla Spagnoli, rappresentante di Movimento per Perugia e pronipote di Luisa Spagnoli che, insieme al marito Annibale, a Francesco Buitoni e Leone Ascoli fondò a inizio secolo la fabbrica e ideò, nel 1922, il Bacio.
Nel museo della Perugina i documenti, le fotografie, i manifesti pubblicitari e i cimeli raccontano un pezzo di storia industriale e sociale del nostro Paese. Al di là  dei pannelli la fabbrica, intanto, continua a sfornare senza sosta cioccolatini. Stefano Di Giulio, che è il direttore delle risorse umane, ci mostra le linee di produzione rinnovate con l’entusiasmo di un bambino davanti a un giocattolo appena scartato.
Gli operai lavorano avvolti nel profumo inebriante della cioccolata.
Sembra di essere in una favola. Sembra.

(da “La Stampa”)

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IL CROLLO DEI NUOVI VOUCHER, MENO 80%

Settembre 1st, 2017 Riccardo Fucile

COME SI PONGONO PALETTI PER PORRE FINE AGLI ABUSI DI LAVORI NORMALI SPACCIATI PER OCCASIONALI, NON VENGONO PIU’ UTILIZZATI

“La vendemmia anticipata la facciamo con amici e parenti: i nuovi voucher sono troppo complicati, non riusciamo a utilizzarli. Chi può, arriva addirittura a preferire i contratti a tempo determinato”.
Gli agricoltori della marca trevigiana sono in buona compagnia nel denunciare la burocratizzazione di uno strumento pensato in origine per lavori occasionali e veloci. Ma non è solo un problema procedurale.
Pochi mesi fa, una legge fatta in quattro e quattr’otto per evitare il referendum anti-voucher della Cgil, ha trasformato i vecchi buoni-lavoro in contratti di prestazione occasionale, vincolati a un complicato intreccio di limiti e divieti, che impedisce alla maggior parte delle imprese di accedervi.
L’80 PER CENTO IN MENO
I primi 45 giorni di vita del nuovo strumento ci consegnano in realtà  un bilancio assai magro.
Sono appena 6.742 i lavoratori che hanno svolto finora prestazioni occasionali: quasi tutti (6.056) al servizio di microimprese, e solo 686 per lavori familiari.
Sulla piattaforma Inps si sono registrati 16.250 utilizzatori e 10.767 lavoratori, per un totale di oltre 27 mila utenti.
“Non potevamo attenderci un livello più alto di ricorso al lavoro occasionale “, commenta il giuslavorista Pietro Ichino, senatore del Pd. “La legge ora esclude da questa opportunità  tutte le imprese con più di 5 dipendenti stabili: in questo modo si è tagliato fuori il novanta per cento della platea di datori di lavoro che nel regime precedente potevano utilizzare i voucher”.
Ecco uno dei nuovi paletti, sicuramente il più ingombrante. Tanto da ridimensionare drasticamente le previsioni di accesso ai nuovi voucher elaborate dall’Inps.
Secondo l’Istituto di previdenza, non si supererà  il 20% di quanto realizzato nel 2016, anno che registrò un picco di 1,6 milioni di lavoratori e 134 milioni di voucher.
L’80% in meno significa che ci dobbiamo aspettare a regime poco più di 300 mila prestatori di lavori occasionali. La spiegazione che viene data sta tutta nella nuova costruzione di vincoli e divieti.
I quali sono stati inseriti per tutelare meglio i lavoratori, per evitare l’abuso di lavori normali spacciati per occasionali . E soprattutto per scongiurare il referendum incombente.
VINCOLI E DIVIETI
Vediamoli allora questi nuovi vincoli. Non c’è solo il limite che circoscrive la platea delle imprese a quelle con non più di 5 dipendenti a tempo indeterminato.
Ci sono vincoli anche al tipo di attività : le imprese agricole sono ammesse solo se impiegano pensionati, studenti under 25, disoccupati e cassintegrati.
Sono escluse imprese edili, cave, miniere e opere e servizi svolti in appalto. Le pubbliche amministrazioni possono accedervi con progetti speciali per categorie svantaggiate, attività  di solidarietà , manifestazioni sociali, sportive, culturali e caritative.
Le famiglie, invece, possono chiedere piccoli lavori domestici, assistenza domiciliare a bambini e anziani malati o disabili, e lezioni private. Tetto alle ore lavorate: 280 l’anno.
Tetto agli importi: ogni lavoratore non può incassare più di 5 mila euro l’anno da tutti i suoi datori di lavoro (contro i precedenti 7 mila), e non più di 2.500 euro dallo stesso utilizzatore.
Se si supera questo limite, il rapporto si trasforma in contratto a tempo indeterminato. Il compenso giornaliero non può essere inferiore a 36 euro.
Quello orario deve essere di almeno 9 euro netti e 12,37 lordi per le imprese, e di almeno 8 euro netti e 10 lordi per le famiglie.
Il vecchio regime prevedeva cifre inferiori: 7,5 e 10 euro.
Facile prevedere un forte ridimensionamento del fenomeno voucher.
UNA GIMKANA ON LINE
Oltre ai paletti legislativi ci si è messa pure la procedura di accesso alla piattaforma on line dell’Inps a complicare le cose, anche se ad agosto la situazione è migliorata. Lavoratori e utilizzatori devono registrarsi nel sito dell’istituto.
Tre i modi: con il Pin, ma servono giorni per ottenerlo, con lo Spid tramite le Poste o con la Carta nazionale dei servizi.
Dopo la registrazione, scatta il versamento dei datori di lavoro sul proprio “portafoglio elettronico”: all’inizio si poteva usare solo il modulo F24, da agosto è ammessa la carta di credito.
A questo punto bisogna comunicare la prestazione: i dati dell’utilizzatore e del lavoratore, il tipo di impiego, il luogo, la durata e il compenso pattuito. Una volta terminata la prestazione, il lavoratore deve accedere nuovamente al sito e confermare l’avvenuto lavoro. Ed entro il 15 del mese successivo viene pagato dall’Inps.
IL RISCHIO SOMMERSO
Insomma, un percorso molto più accidentato di quello richiesto con i vecchi voucher, reperibili dal tabaccaio e facilmente utilizzabili; un percorso che richiede il più delle volte la guida di un consulente.
Così, tra paletti legislativi e gimkane sul web, l’esordio dei neo-contratti non è stato certo brillante. Resta da capire dove sia finito tutto il lavoro occasionale che si avvaleva dei vecchi voucher.
“Difficile dirlo – risponde Ichino – presumibilmente una parte sparisce, una parte torna nel sommerso, e una parte (molto piccola perchè costosa) diventa lavoro regolare a termine. Si sarebbe dovuto compensare il divieto di utilizzo del lavoro occasionale per le imprese almeno con un allargamento del ricorso al lavoro intermittente. Non si è fatto. E così le aziende oggi non hanno uno strumento contrattuale adatto alle esigenze particolari del lavoro occasionale”.

(da “La Repubblica”)

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IL RAGAZZO CHE RISCHIA DI ANNEGARE E I COMMENTI DI CHI SPERAVA CHE MORISSE (IN QUANTO DI COLORE)

Settembre 1st, 2017 Riccardo Fucile

AD ARSIERO, NEL VICENTINO, IL VIDEO DELL’ITALIANO CHE FACEVA IL TIFO PERCHE’ ANNEGASSE … GLI INFAMI COMMENTI SUL WEB (CHE MINNITI NON PERSEGUE)

Commenti razzisti, bestemmie e insulti ai “negri”: una tranquilla giornata sul fiume per un vicentino che si dispiace che un ragazzo di colore non sia annegato.
L’episodio è accaduto sul fiume Astico nei pressi di Arsiero (Vicenza) sulla spiaggia della Pria, una delle località  più amate e frequentate dai vicentini.
La spiaggia è quella dei fine settimana di agosto con molte persone che fanno il bagno e prendono il sole. Tra loro non ci sono solo vicentini DOC ma anche “stranieri”, che vengano da Padova o da qualche altro paese è indifferente.
Tra loro anche alcuni ragazzi di colore, una presenza sgradita all’autore del filmato che commenta che “anca qua ghe xe i negroni” lamentandosi che “sti bastardoni” si sono impossessati di tutto. Anche di una delle spiagge dei vicentini.
Una cosa davvero incredibile: come si permettono gli stranieri e i negri di andare alla Pria?
Uno dei ragazzi si tuffa di pancia e — forse perchè l’acqua è fredda, per la spanciata o perchè non sa nuotare ha qualche difficoltà  a rimanere a galla. Impassibile il nostro eroe commenta la scena — con una punta di soddisfazione — mentre il ragazzo di colore annaspa in evidente difficoltà .
Per fortuna qualcuno si tuffa e trae in salvo l’incauto bagnante.
Il regista del video però non è assolutamente soddisfatto “perchè non l’ha lasciato annegare?” si chiede mentre un suo amico interviene spiegando che il negro “non gli dirà  neanche grazie”.
È noto infatti che questi invasori, ospitati in alberghi a cinque stelle con tanto di mancia da 35 euro al giorno sono pure degli ingrati.
Quel ragazzo non dovrebbe essere nemmeno in Italia, allora tanto vale lasciarlo morire. Uno in meno, no? Nessuno sa se quel ragazzo è italiano, se è adottato o se è un richiedente asilo. Ma il fatto che sia nero non lascia molti dubbi ai soliti difensori dell’italianità .
Alla Pria, per evitare incidenti, è vietato tuffarsi. Ma sono in molti — italiani e non — che non riescono a resistere alla tentazione di un bel tuffo nonostante il rischio di farsi male e di prendere una multa.
È di pochissimi giorni fa il caso di un ragazzo originario della Costa D’Avorio in vacanza nel vicentino che è annegato alla Pria dopo un tuffo nell’Astico. Ma c’è chi ovviamente spera che certe tragedie siano all’ordine del giorno, a patto che le vittime non siano italiane, ovviamente.
Il video è stato postato anche sulla pagina Facebook di Cronaca Vera, che si scusa con il lettori per il turpiloquio (ma non per gli insulti razzisti).
Nei commenti molti utenti criticano l’atteggiamento del giovane vicentino che tifa per l’annegamento del ragazzo di colore.
Ma ci sono anche coloro che dimostrano di non avere nessuna pietà .
Un utente ricorda ad esempio che “i neri ammazzano di botte un autista a parma e noi li salviamo”. Il riferimento è all’episodio della rissa tra alcuni ragazzi di colore e un autista della Tep, causato in realtà  da una provocazione del conducente.
C’è chi si rammarica perchè se fosse annegato avremmo uno straniero in meno in Italia.
Chi si chiede stupito se “le scimmie sanno nuotare”.
E chi invece sospetta che sia tutta una macchinazione “del nero” che avrebbe fatto apposta a fingere di annegare per vedere se gli italiani sarebbero accorsi a salvarlo. Se non l’avessero fatto allora sarebbero subito stati pronti a dire che gli italiani sono dei razzisti. Perchè i negri oltre ad essere degli invasori sono anche subdoli, mai fidarsi di loro, e hanno sempre la parola “razzismo” sulla punta della lingua.
E sono in molti a credere che si tratti di una “sceneggiata antirazzista”.
Insomma dopo i false flag degli attentati terroristici ecco un false flag di un annegamento, tutto ovviamente ad uso e consumo dei buonisti.

(da “NextQuotidiano”)

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IL GIURISTA CASSESE: “ROMA IN STATO DI ABBANDONO, M5S INCAPACE”

Settembre 1st, 2017 Riccardo Fucile

“ESISTE UNA QUESTIONE ROMANA, SERVE UN PIANO STRAORDINARIO IN TRE PUNTI”

“C’è una nuova questione romana, non quella dei rapporti tra Stato e Chiesa, ma quella del rapido declino della capitale d’Italia”.
Nel suo intervento sul Corriere della Sera il celebre giurista Sabino Cassese, giudice emerito della Corte costituzionale, aggiunge la sua voce a quella di molti che denunciano la pericolosa involuzione di Roma, “una città  in stato di abbandono”.
“Le strade sono intransitabili a causa delle buche. Nei casi più gravi, vengono tenute chiuse per evitare incidenti, ma così impedendo alla gente di raggiungere le proprie abitazioni. Vi sono lavori pubblici che attendono da quarant’anni d’esser fatti. Per la pulizia di strade e giardini, in alcuni casi diventati pattumiere, si ricorre ormai al “fai da te”: si paga qualche extracomunitario di buona volontà , che provvede. Se un albero crolla, lo si circonda con qualche segnale di pericolo e lo si lascia per terra. Alcuni luoghi pubblici, anche i portici di una delle principali basiliche, sono intransitabili perchè vi sono persone accampate, che hanno fatto della strada la propria casa. Tolleranza e incuria regnano sovrane. I trasporti pubblici non funzionano, per cui tutti ricorrono ai mezzi privati, con conseguenze gravi per traffico e ambiente. I vigili urbani sono diventati una entità  astratta. Gli amministratori locali vivono sulla luna, invece di girare per le strade e constatare in che condizioni sono.
Cassese chiarisce che il degrado “non è cominciato da oggi, ma si è ora improvvisamente accelerato. Mentre Roma ritorna a grandi passi verso il livello di una città  medio-orientale, Milano corre, e ai romani che visitano la “capitale morale” pare di esser in un altro Paese”.
Poichè una nazione e uno Stato non possono tollerare questa situazione, occorre un piano straordinario per Roma, che impegni tutto il Paese, che renda concreta quella “promessa” che si legge nella Costituzione: “Roma è la Capitale della Repubblica”. Questo piano straordinario dovrebbe partire da tre punti.
Il primo è affidare le funzioni di rappresentanza a una persona diversa dal sindaco. Occorre riconoscere che oggi i sindaci di Roma, di una città  dove risiedono due capitali (quella dello Stato e quella di una potenza mondiale, la Chiesa cattolica), sono caricati di una funzione da ciambellani, debbono ricevere capi di Stato, visitare pontefici, accompagnare personalità  straniere in visita. Questo assorbe energie e “vizia”, abituando chi dovrebbe gestire e amministrare a stare sotto la luce dei riflettori, accanto ai grandi nomi della vita internazionale.
Il secondo è dare alla capitale un ordinamento speciale, come molte delle capitali del mondo (la Costituzione dispone espressamente che “la legge dello Stato disciplina il suo ordinamento”). Un ordinamento speciale che riconosca una realtà  ineludibile: la duplicità  di funzioni del potere locale romano, che è chiamato anche ad agire come capitale, quindi nell’interesse della intera nazione.
Il terzo punto è abbandonare il ragionamento cinico: lasciamo che i Cinque Stelle dimostrino quel che (non) sanno fare, in modo da far capire che una dirigenza politica e amministrativa non si improvvisa. Occorre invece riconoscere che l’evidente incapacità  amministrativa di quel movimento politico danneggia romani e italiani, e che, quindi, vanno aiutati.
Aiutarli vuol dire prestare alla città  una ventina di sperimentati amministratori pubblici, capaci di costituire, con l’esempio, focolai di buona gestione, riconoscendo che per fare il buon amministratore non basta essere un politico onesto.

(da “Huffingtonpost”)

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DUE VILLE IN SARDEGNA DA 6 MILIONI DI EURO E UNA DIETA “BIO” PER SENTIRSI “GIOVANE E BELLO”

Settembre 1st, 2017 Riccardo Fucile

IL RITORNO DI SILVIO: NON VENDE LA RESIDENZA SARDA, ANZI LA AMPLIA CON DUE VILLE CONFINANTI… E SI CURA NELL’HOTEL DI LUSSO DI MERANO (CHE VUOLE COMPRARE)

Non è durata a lungo l’idea di vendere Villa Certosa, la residenza in Sardegna in cui Berlusconi è solito trascorrere le vacanze estive. E anzi, quasi a voler farsi perdonare, l’ex premier ha da poco acquistato due ville confinanti, dando avvio ad importanti lavori di ristrutturazione.
La spesa totale dell’operazione? Circa 6 milioni di euro.
Eppure è difficile immaginare che il leader di Forza Italia si sentisse stretto fra le mura de La Certosa. Come riporta il quotidiano Libero, infatti,
La magione occupa già  cento ettari di terreno ed è composta da cinque palazzine, tra cui il corpo centrale, una dependance con teatro, zona fitness, bagni turchi, saune e una discoteca sotterranea, oltre a piscine, agrumeti, colline con vista mare e piante mediterranee e tropicali.
L’acquisto dei due complessi confinanti è avvenuto già  alla fine del 2016, ma solo in queste settimane sarebbe arrivato il nulla osta della soprintendenza di Olbia che ha permesso di avviare i lavori di ristrutturazione ed ampliamento della residenza sarda. Che quest’estate, dunque, è rimasta off limits.
E forse anche per questo Berlusconi ha scelto di trascorrere le vacanze in Trentino Alto Adige, nel centro benessere Hotel Palace Henri Chenot di Merano.
Cinque giorni detox, di dieta ferrea, spa, massaggi, tisane, in cui riprendere il possesso del proprio corpo e della propria mente.
Come riferisce Il Giornale, il premier si starebbe infatti preparando alla prossima battaglia elettorale dedicandosi ad un trattamento di cura impegnativo e totalizzante negli ambienti lussuosi dell’Hotel Palace. “Voglio sentirmi giovane, bello e scattante”, ha dichiarato sorridendo.
La dieta alimentare a cui si sta sottoponendo, rigorosamente “bio”, include tofu, quinoa, seitan, kamut, verdure varie, cibi integrali… e fa parte del “metodo Chenot”.
Il “metodo Chenot” combina trattamenti e diete con protocolli basati sui principi della medicina tradizionale cinese che vengono associati alle più avanzate scienze mediche e tecniche diagnostiche
Un trattamento e una struttura che hanno lasciato così entusiasta il leader politico da fargli avanzare una proposta d’acquisto della splendida dimora novecentesca: una proposta che, tuttavia, difficilmente verrà  accettata dai proprietari attuali.

(da “Huffingtonpost”)

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ENRICO LETTA NON CI RIPENSA: “LASCIO LA POLITICA, I PARTITI TRADIZIONALI SONO MORTI”

Settembre 1st, 2017 Riccardo Fucile

L’EX PREMIER PARLA DEL SUO FUTURO

Enrico Letta annuncia l’addio alla politica: “Oggi tocca ad altri”.
Tornerebbe a far politica?, gli chiede Chiara Giannini del Giornale: “No, assolutamente no – risponde – Sto benissimo dove sono”.
Così l’ex premier chiarisce i suoi progetti per il futuro, un futuro lontano dall’agone.
Un’intervista confessione al Giornale nella quale Letta spiega le ragione del suo addio
È stata una scelta che ho fatto, quella di impegnarmi in una professione che mi appassiona e credo sia giusto così. Oggi tocca ad altri assumersi le responsabilità  politiche per le scelte che fanno. Io osservo e do il mio contributo in un altro modo
L’ex premier poi tocca tutti i temi d’attualità  come il tema del terrorismo: “È difficilissimo da combattere, quello suicida ed è il più terribile. Sicuramente c’è bisogno di cooperazione tra le forze di polizia e lo scambio di informazioni”.
L’ex premier poi vaticina la fine dei partiti tradizionali
C’è necessità  di risposte diverse da quelle date dai partiti nel passato. Quelli tradizionali sono crollati – dice -, si sono suicidati. Credo ci sia bisogno di interrogarsi su quali siano le forme con cui fare politica. Ho seri dubbi sul fatto che la costruzione dei vecchi partiti sia la soluzione. Continuare su strade che hanno una difficoltà  a far transitare messaggi positivi nuovi è sbagliato, perchè i partiti tradizionali sono visti dai cittadini come tutto ciò che è privilegio, conservazione e classe dirigente che non ascolta i problemi
Sentito anche dalla Stampa Letta ha invitato l’Italia a non restare indietro nel progetto di integrazione europea lanciato da Francia e Germania
Tutti gli indizi dicono che Macron e Merkel stanno per avviare con forza un progetto di rilancio dell’integrazione europea”, “si comincerà  dopo il voto tedesco e il quadro dovrà  essere chiarito entro metà  2018”.
L’Italia non deve perdere questo treno, “deve essere nel vagone di testa”, anche se “c’è il rischio di un’instabilità  politica” legata al voto di primavera.

(da “Huffingtonpost”)

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