Novembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
LA SATIRA DEL M5S CHE PUBBLICA L’ANNUNCIO IMMOBILIARE .. LA RESPONSABILITA’ DELLA DESTRA ROMANA CHE ORA GRIDA ALLO SCANDALO
La vicenda dello sgombero della sede di Fratelli d’Italia a Colle Oppio continua ad
alimentare polemiche tra il partito di Giorgia Meloni e il MoVimento 5 Stelle.
Su Facebook è Paolo Ferrara, capogruppo grillino in Campidoglio, a dare fuoco alle polveri pubblicando un “annuncio immobiliare”: «Cercasi immobile per ospitare la sede di un partito politico. Possibilmente in area archeologica di pregio. Canone massimo 13 euro al mese. Chiamare ore pasti. No perditempo. Chiedere di Fratelli d’Italia o Monica Picca».
Il riferimento è al canone mensile per la sede di via delle Terme di Traiano 15a, di cui la banca dati del Dipartimento Patrimonio certifica il versamento di quattro bollettini mensili da 13,43 euro negli ultimi quindici anni.
Giorgia Meloni ha replicato che la pratica di locazione è ferma da anni e ha definito la Raggi “il peggior sindaco della storia” e la sede è solo un rudere.
Una guerra di dichiarazioni e di carte bollate che potrebbe avere come vittima proprio la storica sede del Movimento Sociale Italiano, aperta nel 1947.
Il ‘rudere’ di cui parla oggi Meloni nel suo post presenta al suo interno ambienti di età romana pertinenti al complesso delle Terme di Traiano, cosi’ come sottolineato anche dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali che aveva gia’ ricordato piu’ volte, da ultimo nel 2015, la necessita’ di riacquisire il bene per sottoporlo alla sorveglianza degli organi di tutela.
Chi ha ragione? Possiamo solo dire chi ha certamente torto: la destra romana che ora strilla ai quattro venti.
Il contratto di locazione stipulato dai Giuliano-dalmati è scaduto nel 1972, da allora di fatto si tratta di occupazione abusiva, piaccia o meno giuridicamente le cose stanno così. Una situazione che andava bene nei tempi in cui nessuna Amministrazione andava a verificare gli immobili dati ad affitti irrisori ai partiti (di qualsiasi colore fossero).
La Meloni sostiene che era in corso da anni una trattativa con il Comune per ridefinire il contratto di locazione e si lamenta “di non avere più avuto notizie in tal senso dall’Amministrazione capitolina”, confermando di fatto che il canone non veniva più pagato, salvo i versamenti saltuari della cifra simbolica di 13 euro.
In realtà il Comune di Roma aveva richiesto un canone di mercato di 990 euro mentre Fdi riteneva equo un canone di 250 euro, alla stregua di un magazzino.
Considerando che dal 1972 ad oggi si sono succeduti vari sindaci, non ultimo Alemanno, ci voleva tanto a mettere nero su bianco e regolarizzare la situazione a un canone intermedio?
Quel che ha perso è il buon senso, ammesso che esista ancora a destra.
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Novembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
IL GOVERNO: “CI SONO LE ESENZIONI, BASTA CHIEDERLE”… FINO A 200.000 EURO DI FATTURATO LE AZIENDE COLPITE PAGANO ZERO EURO DI TASSE
“Abbiamo invitato gli amministratori locali a informare le imprese sui provvedimenti utili alla ripartenza. C’è la zona franca urbana“.
“E’ inutile: le aziende familiari che sono il 90% delle attività di queste zone dovranno comunque pagare i contributi. Chi fa le norme non conosce il territorio”.
Dopo le polemiche di agosto, si riaccende la querelle sulle agevolazioni fiscali concesse alle aziende delle aree del Centro Italia colpite dai terremoti di agosto e ottobre 2016.
La nuova scintilla è la pubblicazione di una lettera inviata ai sindaci dalla commissaria straordinaria alla ricostruzione Paola De Micheli, che ricorda come dal 16 dicembre scatti per i terremotati l’obbligo di versare alle Entrate i tributi non pagati nell’ultimo anno e mezzo per effetto della sospensione.
Chi non ha i soldi, come previsto dall’ultimo decreto sulle aree terremotate, può chiedere entro il 30 novembre un mutuo ad hoc.
Gli interessi sono a carico dello Stato, il capitale andrà invece restituito a rate in cinque anni a partire dal gennaio 2020.
Immediate le proteste e le critiche delle opposizioni.
La commissaria governativa ribatte ricordando che il governo la scorsa primavera ha istituito una Zona franca urbana: le imprese che hanno sede nei Comuni colpiti e hanno subito un calo del fatturato superiore al 25% possono chiedere l’esenzione da imposte sui redditi, Irap, Imu e contributi fino a un limite massimo di 200mila euro.
“Facciamo un esempio”, scrive De Micheli. “L’impresa Mario Rossi che rientra nelle condizioni della zona franca urbana, con sede a Norcia, nel 2017 avrebbe dovuto pagare 70.000 tra imposte erariali, regionali, comunali e contributi dei lavoratori. Siccome la soglia del de minimis è di 200.000 euro, l’impresa non dovrà versare nulla per il 2017 e quindi potrà anche non accedere al mutuo”.
Ma le domande sono state poche, si legge tra le righe in quell’”invito agli amministratori locali” a dare tutte le informazioni ai cittadini.
Non a caso il ministero dello Sviluppo, con una circolare pubblicata il 2 novembre, ha prorogato il termine di presentazione delle istanze dal 6 al 20 novembre.
Ma per il sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi la questione è tutt’altro che chiusa: “Da settimane dico che occorre risolvere il problema delle imprese familiari escluse dai benefici”
Perchè escluse? “Sulla piattaforma del Mise, che peraltro spesso si blocca, risulta che hanno diritto a chiedere solo l’esenzione dalle tasse ma devono comunque pagare i contributi: parliamo di 4mila euro all’anno per ogni dipendente, moltissimo per una piccola attività familiare”.
La questione in realtà è molto tecnica: “Nella piattaforma del Mise”, ha spiegato il presidente di Confcommercio Lazio Nord Leonardo Tosti, “è prevista l’indicazione dell’ammontare degli aiuti da richiedere, e da calcolare mediante una formula che prende a base le imposte pagate negli anni 2015 e 2016. Fattispecie molto ricorrente, nell’Alto Reatino, è quella delle piccole realtà imprenditoriali, che nell’anno del sisma — il 2016 — e in quello precedente avevano pagato pochissime imposte e non avevano avuto lavoratori dipendenti. Ebbene, per queste aziende l’importo della agevolazione da richiedere mediante la formula indicata sulla piattaforma equivale praticamente a zero euro“. Secondo Tosti il sistema “dovrebbe consentire di disattendere la formula indicata nel modello di richiesta delle agevolazioni, a vantaggio di un conteggio presuntivo che preveda l’esenzione dei contributi per chi intenda assumere nuovo personale. Esattamente come previsto per le imprese di nuova costituzione“, che ora invece risultano avvantaggiate perchè oltre a non dover dimostrare l’abbattimento del 25% dei ricavi “possono invece richiedere le agevolazioni contributive unicamente in funzione di ipotesi di future assunzioni“.
“Se c’è un problema, dipende dal ministero”, replicano dallo staff della De Micheli.
“Comunque”, continua Pirozzi, “chi non ha i requisiti previsti dal decreto di legge di aprile dovrà pagare, in una fase in cui non è nemmeno finita l’emergenza. I terremotati dell’Aquila e dell’Emilia hanno avuto sospensioni più lunghe, serve una nuova proroga di almeno un anno”.
In effetti imprese e autonomi che non hanno subito un calo dei ricavi almeno del 25% dovranno mettersi in regola con il Fisco entro fine anno. Se non hanno liquidità sufficiente per saldare il conto con le Entrate possono risolvere il problema accendendo un finanziamento, come previsto dalla convenzione tra Associazione banche italiane e Cassa depositi e prestiti annunciata dal decreto dello scorso febbraio
“Nuovi interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 2016 e 2017”. Abi e Cdp l’hanno firmata a luglio e nei mesi scorsi hanno aderito Banco Bpm, Monte dei Paschi di Siena, Intesa Sanpaolo, Unicredit, Ubi, Cassa di risparmio di Ravenna, Banca di Imola, Popolare di Spoleto e alcune banche di credito cooperativo.
Gli istituti avranno accesso a un plafond di 380 milioni per il 2017 e 180 per il 2018. Il finanziamento sarà versato su un conto corrente vincolato e potrà essere usato “esclusivamente per il pagamento dei tributi”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
NON TUTTI HANNO APPREZZATO… ANCORA NON SI E’ DECISO DOVE SI TERRA’
L’insistenza di Matteo Renzi alla ricerca di una nuova legittimazione, la titubanza di
Luigi Di Maio. I dubbi dei 5Stelle: “E se si rivelasse un errore aver innescato questa sfida televisiva?”.
Ora il Movimento pentastellato ha paura che il suo candidato premier si sia lanciato troppo, anche per errori di precipitazione da parte della comunicazione, in questo duello tv con il segretario del Pd.
Faccia a faccia che dovrebbe tenersi martedì sera, ovvero il giorno dopo quella che secondo gli spin doctor del segretario Dem sarà la prima grande sconfitta grillina in una contesa elettorale cruciale e simbolica: il voto in Sicilia.
Renzi ha già messo in conto, fin dall’inizio della partita, che il Pd sarebbe uscito male dalle urne siciliane.
Infatti non ci ha messo la faccia (se non per sei minuti accanto a Micari) e se ne è andato in America.
I grillini sentono di potersela giocare, di essere in rimonta. Ma sia nel caso vincano sia nel caso perdano, adesso hanno paura di non avere partita facile nel confronto tv con l’ex premier.
In altri termini i grillini temono che il loro contrattacco possa rivelarsi una trappola che essi stessi hanno allestito ai propri danni.
“Se vinceremo – si ragiona in ambienti alti M5s – della Sicilia si parlerà ben poco e Renzi avrà modo di attaccarci sull’immigrazione e su altri temi ibridi sui quali noi abbiamo difficoltà ad avere una linea netta. E inoltre sbagliamo avversario. Se vinciamo la nostra partita sarà con il centrodestra, e del Pd dobbiamo quasi dimenticarci”.
E poi ancora, riflettono i 5Stelle, “se perdiamo in Sicilia andare in Tv con Renzi è un suicidio. Anche se arriviamo primo partito dobbiamo comunque sfidare il centrodestra per non dare una nuova legittimazione a Renzi che non cerca altro”.
E poi l’altro tema è dove fare l’incontro. L
a proposta di Di Maio era La7. Renzi ha controreplicato parlando di Rai, anche se non disdegnerebbe lo studio di Giovanni Floris.
E oggi i consiglieri Rai si rivolgono direttamente al presidente della Vigilanza Roberto Fico dicendo che “non può che essere la Rai la sede naturale del confronto tra Luigi Di Maio e Matteo Renzi. Così come di tutti i confronti che dovrebbero riguardare i leader delle altre forze politiche in occasione della prossima campagna elettorale”.
Parole che creano all’interno dei vertici del Movimento ulteriori imbarazzi, soprattutto da parte dell’ortodosso Fico che con difficoltà sta provando a ricucire i suoi rapporti con Di Maio.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
OGGI DUE DIRETTE SU FB, MA ENTRAMBE CON L’IMMAGINE STORTA
Gli utenti hanno cominciato a lamentarsi chiedendo alla sindaca di “girare il telefono”; ce n’era anche una che diceva che “da Foggia non si sente bene”, chissà perchè.
A un certo punto quelli che si lamentavano hanno preso il sopravvento, mentre la pagina Facebook ha interrotto la diretta, che però, quando è ripresa, continuava ad essere storta
La Raggi stava documentando una serie di danneggiamenti del manufatto presente all’interno del parco di Largo Labia, di cui aveva parlato oggi pomeriggio su Facebook la presidente del III Municipio Roberta Capoccioni: “Nella giornata di ieri giovedì 2 novembre il manufatto presente all’interno del parco di largo Labia e’ stata letteralmente devastato. Il parco e la struttura che ospitera’ il punto ristoro, il cui bando e’ in preparazione, e’ stato da noi riaperto dopo mesi di intenso lavoro. Lasciamo alla magistratura il compito di far luce sulle dinamiche di quanto avvenuto. Ma voglio essere chiara: se qualcuno, con queste azioni, pensa di fermare il nostro lavoro, ha veramente sottovalutato la nostra determinazione”.
(da “NextQuotidiano“)
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Novembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
“MA IL LITORALE E’ IN MANO AI CLAN, COME LA SICILIA DEGLI ANNI ’80”
“A Ostia la mafia si respira per le strade come nella Sicilia degli anni ’80, non c’e’
bisogno di sentenze passate in giudicato”.
Parola di Alfonso Sabella, magistrato antimafia e (per poco) assessore capitolino alla legalità . I segnali ci sono tutti.
Un maxi-sequestro da 450 milioni al porto e l’arresto dei principali esponenti di una nota famiglia di imprenditori locali, legata ai clan malavitosi i cui componenti a loro volta hanno subito condanne per racket, usura e traffico di stupefacenti.
E ancora: il presidente di municipio e il direttore del municipio arrestati per corruzione e perfino il primo dirigente del commissariato di polizia in manette, quest’ultimo accusato di favorire la criminalità organizzata.
Eppure, come nel classico complesso freudiano della negazione, la mafia è uscita dalla campagna elettorale di Ostia. Anzi, sembra non esservi mai entrata veramente.
Per una buona fetta delle persone che vivono nel X Municipio di Roma, da due anni commissariato per infiltrazioni mafiose nella macchina amministrativa, quella ostiense non è “mafia” ma una “criminalità presente ovunque”, che si combatte semplicemente “con la buona politica” e con “una maggiore presenza delle forze dell’ordine”.
Questo approccio ha contribuito a derubricare l’argomento a un dibattito secondario, non rilevante ai fini delle delicate elezioni municipali previste il 5 novembre.
Non solo. Molti residenti si sono convinti che proprio il temporaneo governo prefettizio, che dura dal settembre 2015, abbia “paralizzato le attività ”, dando spazio al degrado e all’incuria, arrivando ad alimentare sentimenti quasi “secessionisti” rispetto alla Capitale, fra i punti principali del programma di alcuni aspiranti presidenti.
I candidati preferiscono parlare di altro: le buche, i servizi sociali, la ferrovia per Roma, i parchi pubblici e l’abusivismo commerciale. Il traffico.
IL GIALLO DEL TEATRO IN FIAMME. POI LA FIACCOLATA: “NON SIAMO MAFIOSI”
“Da 18 mesi il X Municipio è commissariato con l’accusa vile e infamante di mafia”. E ancora: “Questa comunità ha una storia di lotta alla corruzione, di contrasto del malaffare, di denuncia delle illegalità che non vogliamo sia messa in discussione”. Così cominciava il comunicato letto dal comitato spontaneo di cittadini che ha organizzato la fiaccolata del 21 gennaio 2017, per dire “basta al commissariamento, vogliamo votare”.
Oltre 1.000 i partecipanti, senza bandiere, dai militanti di Casapound a quelli della sinistra radicale, da Don Franco De Donno, il parroco amico di Tano Grasso oggi candidato con l’area di centrosinistra alternativa al Pd renziano, a esponenti “a titolo personale” del centrodestra, che pochi mesi dopo si sarebbero candidati.
Un grido di dolore seguito ad accadimenti molto particolari.
Innanzitutto lo scioglimento per mafia del X Municipio, arrivato il 27 agosto 2015, poche settimane dopo l’arresto di Andrea Tassone, minisindaco Pd coinvolto nell’inchiesta sul Mondo di Mezzo e condannato in primo grado a 5 anni di carcere (fino a quel momento difeso a spada tratta dai vertici del Partito Democratico), un provvedimento che l’allora governo Renzi decise di non estendere a tutta l’amministrazione capitolina nonostante il coinvolgimento di molti esponenti di Assemblea e Giunta capitolina.
Quindi il giallo della “fake-news” del 22 novembre 2016, una fuga di notizie che indusse in errore molti cronisti i quali riportarono di un fantomatico incendio al Teatro Fara Nume — presidio culturale “di frontiera” che il giorno seguente avrebbe ospitato una kermesse antimafia — sebbene il rogo “non doloso” avesse devastato un magazzino lontano alcuni chilometri dalla struttura e non collegato a essa: l’errore fu subito utilizzato dai “negazionisti” a supporto della “teoria del fango”, sebbene il teatro finì davvero parzialmente incendiato pochi mesi dopo, il 15 giugno scorso. Tutto per dire che “la mafia a Ostia non c’è”, e se c’e’ “non è differente rispetto al resto di Roma e d’Italia”: un atteggiamento rassicurante utile a non dissipare i voti.
IL FRATELLO DEL BOSS E LE LITI SOCIAL CON IL SENATORE
Un personaggio molto particolare e piuttosto controverso è Roberto Spada, fratello di Carmine Spada meglio noto come “Romoletto”, fino al suo arresto nel 2016 capo dell’omonimo clan sinti, condannato a 10 anni di carcere per usura e estorsione con aggravante mafiosa.
Sebbene meno di un mese fa anche altri componenti della sua famiglia abbiano subito condanne nell’ambito di un’inchiesta sul racket delle occupazioni nelle case popolari di Nuova Ostia, va detto che Roberto Spada da questo punto di vista risulta incensurato.
Tuttavia, il marito della titolare della Femus Art School — associazione sportiva molto nota sul litorale — non ha esattamente rinnegato la sua famiglia e, anzi, non perde occasione su Facebook (il profilo è aperto a tutti) di mostrare, con la tipica guasconeria di appartenenza, vicinanza ai suoi consanguinei in manette. “Sui social andate a commentare negativamente il mio cognome, poi venite a cercami in cambio di favori”, scriveva qualche giorno fa, guadagnandosi l’apprezzamento di un Casamonica e gli applausi (ricambiati da un cuore) di Carlotta Chiaraluce, capolista di Casapound.
Cui Roberto ha tributato il suo endorsement, definendoli “gli unici sempre presenti”. Lo scorso anno, Spada si era reso anche protagonista di un lungo battibecco social con Stefano Esposito, senatore del Pd per un breve periodo commissario territoriale del partito, che lo accusava di essere un seguace del Movimento 5 Stelle, un “siparietto” che ha infastidito non poco gli esponenti pentastellati del territorio.
LE SENTENZE COME BANDIERA DELLA “TEORIA DEL FANGO”
I “negazionisti” o i teorici di quello che — come avviene in tanti altri contesti — viene definito “complotto mediatico contro la nostra comunità ” si fanno forza anche delle sentenze del Tribunale.
L’ultima, quella più eclatante, riguarda il primo grado del Mondo di Mezzo, quella “Mafia capitale” che tale non e’ più da quando il Tribunale di Roma ha fatto decadere il 416bis per tutti gli imputati, compresi l’ex estremista di destra Massimo Carminati e il ras delle cooperative, Salvatore Buzzi.
Prima, però, c’era stata la sentenza d’Appello nell’ambito dell’operazione Nuova Alba, che ha assolto dall’accusa di associazione mafiosa il cartello criminale composto dai clan Fasciani, Triassi e, appunto, Spada: la lunga serie di estorsioni, gambizzazioni, affari sporchi sulle spiagge, intimidazioni, perfino il condizionamento sull’amministrazione pubblica sono episodi da delinquenza di piccolo cabotaggio: una semplice associazione per delinquere.
Sennonchè la Procura di Roma nei giorni scorsi ha chiesto e ottenuto in Cassazione di rifare il processo d’appello, accogliendo le motivazioni del procuratore generale Pietro Gaeta secondo cui il clan andava condannato per mafia.
IL PRESIDIO DI LIBERA E LE POLEMICHE —
Sul lido capitolino, come avviene in altri territori “difficili”, da diversi anni c’e’ il presidio di Libera, la onlus di Don Luigi Ciotti che prima cosa cerca di combattere proprio il “negazionismo” con importanti iniziative di prossimità .
Il 21 marzo, anche in risposta alla fiaccolata anti-commissariamento, Libera ha organizzato proprio a Ostia la sua Giornata nazionale contro le mafie, con incontri, manifestazioni e reading ad hoc.
Ma perfino l’attività ‘ di Don Ciotti è stata oggetto di polemiche strumentali nel territorio. Nel 2015, mentre alla guida del Campidoglio c’era Ignazio Marino, è iniziata un’importante operazione di ripristino della legalità rispetto alle autorizzazioni degli stabilimenti balneari.
La scia velenosa seguita a quest’azione, tuttavia, ha creato un vulnus che ha finito per coinvolgere perfino la stessa Libera, a cui venne assegnato un chiosco sequestrato alla criminalità organizzata ma con dei vizi procedurali che pochi mesi dopo portarono al dietrofront operato dalla stessa onlus, attaccata perfino dal M5S locale con una relazione — poi corretta — consegnata in Commissione Antimafia.
SABELLA: “NON HO BISOGNO DI SENTENZE, A OSTIA SI RESPIRA MAFIA”
Se la politica e gli “interessi” locali alimentano la teoria negazionista o sperano di minimizzare, resta la testimonianza di chi ci ha provato davvero a fare qualcosa. Alfonso Sabella, magistrato anti-mafia e assessore per pochi mesi della giunta Marino, ha lavorato alacremente sul territorio.
“La mafia a Ostia c’è, si respira — spiega a IlFattoQuotidiano.it — gli omicidi, gli attentati, il racket verso i commercianti, i parenti dei criminali dotati di privilegi, il caporalato degli stabilimenti balneari. Non ho bisogno di sentenze passate in giudicato per dire che il territorio somigli moltissimo alla Sicilia degli anni ’80, che proprio come Ostia puntava fortemente all’autonomia per sottrarsi al controllo centrale”. Secondo Sabella, “è vero che l’argomento mafia è uscito dalla campagna elettorale, non se ne parla, e questo è un male. E’ la consapevolezza la prima cosa su cui lavorare per guarire questo territorio”.
Il magistrato poi attacca: “Il commissariamento di Ostia, prorogato, non è stato un caso: Roma è una città più corrotta che mafiosa, il suo litorale invece è preda dei clan”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
“ALLEANZE IN SICILIA? NON SI SA MAI”
Si incontrano in un luogo simbolico per la storia della Sicilia: ai Quattro Canti.
È qui, dove si intersecano le due strade principali di Palermo, che il Movimento 5 Stelle e i parlamentari di sinistra guidati da Pier Luigi Bersani si incrociano prima dei rispettivi comizi. “Prove d’alleanza? Non si sa mai…”, ridacchia il segretario di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni, in città per sostenere Claudio Fava.
Di certo si è trattato di una coincidenza, di un incontro casuale, che però ha tutto il sapore di qualcosa in più.
Giancarlo Cancelleri, in bicicletta a distribuire volantini, e Claudio Fava chiudono la campagna elettorale nella stessa città e a poche centinaia di metri di distanza.
E pacche sulle spalle e strette di mano tra Bersani e lo stesso Cancelleri con al fianco Alessandro Di Battista non sono mancante.
Convenevoli, per adesso, poi come dice appunto il segretario di Sinistra italiana: “Non si sa mai”.
Anche perchè se Giancarlo Cancelleri dovesse essere il candidato presidente più votato dovrà necessariamente cercare convergenze, alleanze anche se solo sui temi, nel parlamento siciliano.
E in fondo lo stesso Fava, prima di attaccare a testa bassa i grillini sugli impresentabili in lista, non aveva escluso possibili punti di contatto con M5s, che a loro volta poche ore prima avevano auspicato un dialogo con chi ha le “liste pulite”.
L’incontro era previsto. Nello Musumeci è a Militello, un po’ per scaramanzia, un po’ perchè la gran chiusura con Silvio Berlusconi è stata fatta giovedì, è nella sua città che ha deciso di completare il tour.
Fabrizio Micari del centrosinistra ha attraversato lo Stretto di Messina su un vecchio traghetto delle Ferrovie dello Stato per parlare delle infrastrutture.
Dunque, a Palermo ci sono loro che si annusano anche in prospettiva futura.
“C’è Bersani”, dice ai suoi Di Battista sorridente. E la delegazione di sinistra a sua volta ferma il passo. Fratoianni dà una pacca sulla spalla a Di Battista, Cancelleri ferma la bici e stringe la mano a Bersani.
Poi ognuno riprende la propria marcia. “Se son rose fioriranno”, se la ride un esponente di sinistra.
Poco prima Bersani aveva usato parole concilianti: “I 5stelle interpretano un disagio e hanno dentro anche elementi di novità che però non vengono portati da nessuna parte. In questo movimento pigliatutto c’e’ dentro un germe di autoritarismo, ma – osserva Bersani – ci sono anche delle esigenze che bisogna sapere interpretare da sinistra”.
Un messaggio ai suoi, ma anche ai grillini che per ora mantengono il punto.
È complicato il 51% in Ars? “Faremo delle proposte ma non spartiremo poltrone”, avverte Cancelleri.
Ma, nel M5s, quello di un appoggio esterno della sinistra è più che un’idea. “Uniti” dall’opposizione al Rosatellum, per entrambi i fronti la Sicilia rappresenta uno snodo cruciale.
“Da qui – avverte Bersani – partono i primi cento passi da fare nel Paese”. L’auspicio è che al loro fianco ci sia Piero Grasso, dopo l’addio al Pd.
Mentre i grillini, dal canto loro, sperano di essere riusciti nella rimonta, ma Cancelleri avverte: “È un’anomalia che lo spoglio avverrà dopo tante ore dalla chiusura dei seggi”. Un modo, quasi, per mettere la mani avanti rispetto ad eventuali brutte figure.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
IL GRILLINO HA SCOPERTO CHE ESISTONO… E SE LA PRENDE CON “AFFARI ITALIANI” CHE PERO’ NON HA PUBBLICATO ALCUN SONDAGGIO
Il MoVimento 5 Stelle ha presentato un esposto all’Agcom per violazione della par
condicio.
A presentare l’esposto è stato il candidato alla presidenza della Regione Sicilia, Giancarlo Cancelleri, dopo la pubblicazione di un articolo dal titolo “Elezioni Sicilia sondaggi: centrodestra, M5s e Pd“. L’articolo (o meglio gli articoli visto che i pezzi sono due) è stato pubblicato sul quotidiano online Affaritaliani.it
Secondo Cancelleri appare evidente che l’articolo faccia ricorso ai sentiment registrati all’interno dei singoli partiti, e quindi alle sensazioni maturate all’interno di ogni soggetto politico sulle possibili percentuali di voto.
Una strategia che sarebbe stata utilizzata, secondo il candidato del M5S, proprio per non incorrere nella violazione prevista dalla legge riguardo a chi elude la norma per cui non si possono diffondere sondaggi nei 15 giorni che precedono la data delle votazioni.
A dare notizia dell’esposto all’Agcom è l’agenzia di stampa AGI che però non menziona Affari Italiani ma solo il titolo dell’articolo.
Nella fattispecie si tratta di due articoli — uno pubblicato ieri e uno oggi pomeriggio — dove si parla degli “ultimissimi sentiment che circolano nelle sedi dei partiti dei candidati Governatore”.
Articoli che riguardano le attese e le speranze dei risultati nei comitati elettorali dei partiti e dei quattro principali candidati alla presidenza.
Ad esempio si parla di “Musumeci che spera di superare il 40%”, di Cancelleri che “teme di non riuscire a raggiungere il 30%” di Micari “rassegnato a non superare il 15%” e di “Fava che spera di riuscire a superare il 10%”.
Secondo Cancelleri questo sarebbe un metodo per aggirare il blocco dei sondaggi.
Prima del blocco di legge erano usciti alcuni sondaggi che davano un testa a testa tra Musumeci e Cancelleri.
Il sondaggio realizzato da Demos & PI e condotto tra il 16 e il 18 ottobre nel quale Musumeci e Cancelleri risultavano molto vicini, anche se il candidato di centrodestra era ancora avanti
A dividerli sono tre punti percentuali di differenza, quindi la corsa quando mancavano più di due settimane alle elezioni, era ancora aperta.
In più, anche un sondaggio di Demopolis certificava che Musumeci e Cancelleri potevano contare erano , entrambi, su un bacino potenziale del 42%: si trattava di elettori siciliani che prendevano in considerazioni più opzioni e che non escludevano di poterli votare il 5 novembre.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
OBIETTIVI E ASPETTATIVE DEI VARI PARTITI
Elezioni regionali Sicilia 2017, due giorni all’apertura delle urne
Su Affaritaliani.it gli ultimissimi sentiment che circolano nelle sedi dei partiti sui candidati alla carica di Governatore e sulle singole liste.
CANDIDATI GOVERNATORI
Nello Musemeci sembra più ottimista e nel Centrodestra sperano di superare il 40% (“Non è impossibile, anzi…”).
Giancarlo Cancelleri è certo di arrivare secondo ma il M5S vede sempre più difficile la vittoria. Il timore è quello di non raggiungere il 30%.
Fabrizio Micari, nel Pd c’è la certezza che il risultato sarà deludente. Il timore è quello di non andare oltre il 15% con l’ansia di finire addirittura al quarto posto.
Claudio Fava è ottimista e punta a superare il 10% con il sogno di Mdp di sconfiggere Micari e arrivare terzi.
PARTITI E LISTE
Forza Italia moderatamente ottimista, nonostante l’impegno in prima persona di Silvio Berlusconi. Obiettivo almeno il 15%.
Diventerà Bellissima, la lista di Musumeci, punta a superare ampiamente il 10% e sogna di risultare la prima forza della coalizione.
Udc convinta di fare il 5% ed entrare nell’Assemblea Regionale.
Lista unitaria Fratelli d’Italia-NoiconSalvini, ottimismo: quasi certi di superare la soglia del 5% con obiettivo 7-8%.
Partito Democratico, forte preoccupazione e timore di fermarsi al 12% (un incubo per Matteo Renzi).
Alternativa Popolare, obiettivo 5% e paura di finire dietro la lista Fdi-NcS
Movimento 5 Stelle sicuro di essere il primo partito dell’Isola, obiettivo oltre il 25% (comunque deludente rispetto alle attese).
La lista Cento passi per la Sicilia-Fava Presidnte (Articolo 1 e altri) punta a superare il 10% e ad avvicinarsi al Pd.
(da “Affari Italiani”)
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Novembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
LA “PUTIA DI VIA PATERNO'” ERA UNA SORTA DI ZONA FRANCA DELLA CITTA’
Lo hanno definito il «patto dell’arancino». 
Al netto dei distinguo dei palermitani (che non vogliono sentire declinato al maschile il prelibato pezzo della tavola calda siciliana, per loro è arancina), la cena tra i quattro leader del centrodestra Berlusconi, Salvini, Meloni, Cesa, il candidato governatore della Sicilia Musumeci e il «designato» assessore Sgarbi, ieri notte nel centro di Catania, oltre a rappresentare un momento importante per la chiusura della campagna elettorale isolana all’insegna dell’ostentata unità , viene letta anche come un passo verso la riunificazione del centrodestra in vista delle Politiche.
Per questo, la scelta della trattoria dove si è svolta la cena della pace non poteva essere più appropriata: perchè la trattoria del Cavaliere, alle spalle di corso Sicilia, una volta si chiamava «Putìa di via Paternò», non aveva le luci soffuse e le tovaglie ben stirate di ora, ma ambienti fumosi e muri sbrecciati e soprattutto una caratteristica: era una sorta di zona franca della città .
Vi si riunivano fascisti e comunisti, poliziotti e ladri, prostitute, ragazzi di vita, buoni e cattivi. E non succedeva mai nulla.
La vulgata dice che quando negli anni ’70 della Catania «nera», missini e comunisti se le davano di santa ragione, accadde che perfino il giovane Nello Musumeci, inseguito spranghe in mano dai «rossi», vi si sia rifugiato, ottenendo salva la pelle.
E in questa «putìa» (bettola, in siciliano) si rifugiava spesso anche Pierpaolo Pasolini che a Catania soggiornava per lunghi periodi e aveva anche una casa in affitto.
Una Catania, quella degli anni ’70 del secolo scorso, per nulla tenera con i gay, i «puppi» come li chiamano qui con dispregio, ma che in qualche modo riusciva anche a rispettare e proteggere l’autore degli «Scritti corsari», almeno in alcuni luoghi.
La «putìa di via Paternò», oggi trattoria del Cavaliere con altri proprietari, era uno di questi luoghi.
Era il regno di Salvatore Cannata, il titolare che tutti chiamavano «’u zu’ Turi», lo zio Turi, che amava recitare a memoria la Divina Commedia e i versi del poeta catanese Micio Tempio; anche a Pasolini con cui intratteneva dotte discussioni.
Era lui, ‘u zu’ Turi, che in questa trattoria imponeva l’ordine: «Dentro vige una sorta di codice, niente “schifìu”, ovvero niente risse, niente liti – scrivono Stefano Maccioni, Valter Rizzo e Simona Ruffini nel volume “Nessuna pietà per Pasolini” che qualche anno fa ha determinato l’ennesima riapertura delle indagini sulla morte del grande poeta e scrittore -. Se ci si vuol prendere a cazzotti o anche a coltellate, prego accomodarsi in strada».
In quella putìa «incontri un melting pot politico, sociale e culturale assolutamente inaspettato in una città ferocemente divisa», scrivono i tre autori del volume su Pasolini.
Un luogo «segnato», dunque, scelto quasi per caso dagli organizzatori della cena di Berlusconi, Salvini, Meloni, Cesa, con Musumeci e Sgarbi, perchè vicino ai luoghi dove si sono tenuti i rispettivi comizi. O forse per quel nome così allusivo.
Ma talmente simbolico ed evocativo da renderlo incredibilmente unico per un incontro del genere.
E pazienza se gli arancini sono declinati al maschile, come usa la città di Brancati e due terzi di Sicilia: a Palermo gli elettori del centrodestra se ne dovranno fare una ragione.
(da “La Stampa”)
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