IL “PATTO DELL’ARANCINO” NELLA TRATTORIA DOVE I ROSSI E I NERI “FACEVANO LA PACE”
LA “PUTIA DI VIA PATERNO'” ERA UNA SORTA DI ZONA FRANCA DELLA CITTA’
Lo hanno definito il «patto dell’arancino».
Al netto dei distinguo dei palermitani (che non vogliono sentire declinato al maschile il prelibato pezzo della tavola calda siciliana, per loro è arancina), la cena tra i quattro leader del centrodestra Berlusconi, Salvini, Meloni, Cesa, il candidato governatore della Sicilia Musumeci e il «designato» assessore Sgarbi, ieri notte nel centro di Catania, oltre a rappresentare un momento importante per la chiusura della campagna elettorale isolana all’insegna dell’ostentata unità , viene letta anche come un passo verso la riunificazione del centrodestra in vista delle Politiche.
Per questo, la scelta della trattoria dove si è svolta la cena della pace non poteva essere più appropriata: perchè la trattoria del Cavaliere, alle spalle di corso Sicilia, una volta si chiamava «Putìa di via Paternò», non aveva le luci soffuse e le tovaglie ben stirate di ora, ma ambienti fumosi e muri sbrecciati e soprattutto una caratteristica: era una sorta di zona franca della città .
Vi si riunivano fascisti e comunisti, poliziotti e ladri, prostitute, ragazzi di vita, buoni e cattivi. E non succedeva mai nulla.
La vulgata dice che quando negli anni ’70 della Catania «nera», missini e comunisti se le davano di santa ragione, accadde che perfino il giovane Nello Musumeci, inseguito spranghe in mano dai «rossi», vi si sia rifugiato, ottenendo salva la pelle.
E in questa «putìa» (bettola, in siciliano) si rifugiava spesso anche Pierpaolo Pasolini che a Catania soggiornava per lunghi periodi e aveva anche una casa in affitto.
Una Catania, quella degli anni ’70 del secolo scorso, per nulla tenera con i gay, i «puppi» come li chiamano qui con dispregio, ma che in qualche modo riusciva anche a rispettare e proteggere l’autore degli «Scritti corsari», almeno in alcuni luoghi.
La «putìa di via Paternò», oggi trattoria del Cavaliere con altri proprietari, era uno di questi luoghi.
Era il regno di Salvatore Cannata, il titolare che tutti chiamavano «’u zu’ Turi», lo zio Turi, che amava recitare a memoria la Divina Commedia e i versi del poeta catanese Micio Tempio; anche a Pasolini con cui intratteneva dotte discussioni.
Era lui, ‘u zu’ Turi, che in questa trattoria imponeva l’ordine: «Dentro vige una sorta di codice, niente “schifìu”, ovvero niente risse, niente liti – scrivono Stefano Maccioni, Valter Rizzo e Simona Ruffini nel volume “Nessuna pietà per Pasolini” che qualche anno fa ha determinato l’ennesima riapertura delle indagini sulla morte del grande poeta e scrittore -. Se ci si vuol prendere a cazzotti o anche a coltellate, prego accomodarsi in strada».
In quella putìa «incontri un melting pot politico, sociale e culturale assolutamente inaspettato in una città ferocemente divisa», scrivono i tre autori del volume su Pasolini.
Un luogo «segnato», dunque, scelto quasi per caso dagli organizzatori della cena di Berlusconi, Salvini, Meloni, Cesa, con Musumeci e Sgarbi, perchè vicino ai luoghi dove si sono tenuti i rispettivi comizi. O forse per quel nome così allusivo.
Ma talmente simbolico ed evocativo da renderlo incredibilmente unico per un incontro del genere.
E pazienza se gli arancini sono declinati al maschile, come usa la città di Brancati e due terzi di Sicilia: a Palermo gli elettori del centrodestra se ne dovranno fare una ragione.
(da “La Stampa”)
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