Maggio 16th, 2018 Riccardo Fucile
UN PREMIER PRESTANOME, DUE VENDUTI A INTERESSI STRANIERI, APPRENDISTI STREGONI E BALLISTI INCOMPETENTI, SOLO MATTARELLA UNICO ARGINE INSUFFICIENTE… LA RISPOSTA AI RAZZISTI LA DARANNO I FUTURI PATRIOTI NELLE PIAZZE
Parliamoci chiaro: è solo l’inizio, questa giornata in cui l’Italia è tornata, se non il grande
malato d’Europa, un paese “sotto osservazione”, con lo spread che sfiora i 150 punti e il crollo delle Borse, dopo la pubblicazione della bozza di contratto Lega-Cinque stelle.
È finita, questo il dato strutturale, la grande indulgenza dei mercati, finora dormienti di fronte a una trattativa lunga, nel momento in cui sono stati messi nero su bianco i contenuti del possibile accordo di governo.
Semplicemente, il trailer del film che sarà proiettato integralmente dopo che si insedierà il nuovo governo.
Che pone il Quirinale — non è retorica — in una situazione davvero inedita. Si spiega così il silenzio denso di oggi. E la precisazione: è vero che la bozza, pubblicata dall’HuffPost, è stata irritualmente consegnata il giorno delle consultazioni ma, ovviamente, per prassi il capo dello Stato non è nè un lettore nè un correttore di bozze. E si limiterà a valutare, quando arriverà , il testo definitivo.
Del resto, altro Mattarella non poteva dire in questo difficile e delicato contesto: poteva forse presidente della Repubblica lasciar trapelare già oggi preoccupazione per l’inaffidabilità di partner di governo che scrivono un programma incerto nelle coperture, foriero di tensioni con le istituzioni europee a partire dalla Bce, ad alto rischio sul tema del debito pubblico?
O poteva forse spiegare che lo spread non è uno strumento nelle mani di quattro salotti e di quattro complottardi, ma la reazione dei mercati di fronte ad annunci che rischiano di portare guai sul tema del debito?
L’effetto, evidentemente, sarebbe stato quello di creare, sin da ora, una spirale allarmistica.
Quel che doveva dire Mattarella lo ha spiegato in due discorsi, la scorsa settimana a Fiesole e a Dogliani, ricordando il quadro il quadro di compatibilità e il perimetro entro cui dovrebbe muoversi qualunque governo, sul rispetto dei trattati internazionali, sul tema delle alleanze e su quello delle compatibilità finanziarie.
E adesso si limiterà ad attendere, su programmi e nomi del premier, una comunicazione definitiva dei partiti, senza rinunciare, quando sarà , alle sue prerogative.
Il che significa, traducendo ora che iniziano a circolare i primi nomi, che la compagine, a partire dall’inquilino di palazzo Chigi, dovrà rispettare quei criteri e quel perimetro, perchè è impensabile, per dirne una, un premier debole, senza esperienze e criteri di competenza che sia solo un esecutore affidabile dell’equilibrio partitico.
O un ministro degli Esteri e dell’Economia disinvolti e improvvisati nella gestione dei due dossier.
È un po’ poco, dicono critici e commentatori che ravvisano, in questo metodo, un atteggiamento di rinuncia al ruolo di indirizzo e di baricentro della crisi, come se quello del Quirinale fosse solo un gioco di rimessa di fronte alla crisi in atto e allo scenario che si prospetta.
Perchè la giornata di oggi, su questi presupposti, rischia di essere non un unicum, ma la normalità di una vicenda politica segnata dal una tensione permanente tra governo sovranista e istituzioni europee.
Ma l’inedito, del film che verrà , è tutto qui.
Nella frase di Salvini, contro istituzioni, mercati, borse e giornali, in quel “meglio barbari che servi” c’è il segno del cambio d’epoca: l’eccezionalità che diventa normalità , in uno scambio di ruoli e di percezione in cui la normalità diventa eccezionale.
Domandiamoci: che cosa potrebbe succedere se il capo dello Stato, come è avvenuto più volte nel passato, di fronte a una legge, diciamo così bizzarra come la bozza di contratto presentata, decidesse di rimandarla alle Camere?
Finora — è sempre accaduto così — il Parlamento ha sempre modificato i provvedimenti, seguendo le indicazioni del capo dello Stato: si può prevedere che accadrà così anche in futuro oppure la nuova maggioranza, questa nuova maggioranza, sfiderà il Quirinale approvandola come vuole?
Peraltro supportata da un’opinione pubblica più sensibile al “meglio barbari che servi” che al tema del rigore nelle coperture”.
Ecco il punto. E la novità di “sistema” con l’arrivo al governo di forze tecnicamente anti-establishment, che vivono della contrapposizione all’establishment e l’alimentano nella narrazione, supportata — non è un dettaglio da una maggioranza parlamentare e dal favore dell’opinione pubblica.
Che non è la “scomparsa del presidente della Repubblica” o il suo pilatismo, di fronte all’arrivo dei “barbari”.
È il difficile ruolo del capo dello Stato, in una situazione in cui mancano alternative e, con esse, margini di manovra.
C’è forse un Parlamento, che non è più quello che lo ha eletto che vive la presidenza della Repubblica come decisore in ultima istanza a cui affidarsi per una soluzione nella crisi?
E, complice l’Aventino e l’inconsistenza del Pd, c’è forse un partito come fu il largo e trasversale “partito di Napolitano” disposto a recepire umori e preoccupazioni, e a supportare un ruolo di indirizzo e guida dell’istituzione più alta?
Quello che c’è, detta in modo un po’ tranchant, è un equilibrio fragile come una cristalleria in cui, come è accaduto nella limatura del programma, l’M5s, che tutto ha puntato sul tema della istituzionalizzazione, della credibilità e dell’affidabilità europea tempera un po’ le pulsioni conflittuali della Lega, provando se non proprio a essere il “partito di Mattarella”, almeno il partito del non conflitto col Colle. Nei limiti.
Non un baricentro, solo una sponda tutta da verificare in un paese già tornato sotto osservazione.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 16th, 2018 Riccardo Fucile
AREA M5S, NON INGOMBRANTE PER DI MAIO E GRADITO AD ARCORE… GIORGETTI SOTTOSEGRETARIO PER CONTROLLARLO, SALVINI AL VIMINALE E DI MAIO AGLI ESTERI O AL WELFARE
Dopo tante fibrillazioni, il punto di caduta è a un passo. E si concretizza in un presidente del Consiglio che racchiude in sè le caratteristiche decisive e tanto agognate per superare lo stallo.
Un profilo autonomo ma non eccessivamente ingombrante per Luigi Di Maio e Matteo Salvini; l’essere un politico organico a una maggioranza altrettanto politica; rappresentare il Movimento 5 stelle quale azionista di maggioranza del futuro governo.
L’indiziato principale è Emilio Carelli.
L’ex direttore di Skytg24, che a lungo ha affiancato il capo politico 5 stelle nei complicati giorni del post voto, e che era già ampiamente entrato nella girandola dei papabili per la presidenza della Camera.
Da entrambe le forze politiche filtra consenso sul nome del giornalista. Di fronte a domanda specifica, nessuno nega. Il massimo che si riesce a strappare e un “no comment”.
In serata Di Maio e Salvini si incontrano. Ancora una volta in una casa privata, fuori dalla tradizionale cornice di Montecitorio.
I vertici stellati lanciano indizi: potrebbero aver incontrato proprio il candidato premier. La cui provenienza professionale dal Tg5, costituirebbe anche un segnale preciso in direzione di Arcore.
Soprattutto se saldato alla presenza di Giancarlo Giorgetti come sottosegretario alla presidenza del Consiglio, come viene accreditato in queste ore.
È la stessa war room del leader stellato a spiegare come la soluzione sia stata proposta dal Carroccio, intercettando subito il gradimento di Di Maio e dei suoi colonnelli.
Con l’unico dubbio della sua disponibilità a assumersi un ruolo che sarà tutt’altro che semplice. Ma di fronte a un’intesa complessiva, difficilmente Carelli potrà sottrarsi. Più defilati i nomi di Alfonso Bonafede e Vincenzo Spadafora, altri due luogotenenti stellati entrati nel frullatore del totopremier (via Lega) più per depistare che non per reale convinzione.
Anche se – almeno del primo, come mossa d’ingresso dei 5 stelle nella discussione – se ne è parlato concretamente al tavolo delle trattative, con Riccardo Fraccaro incastrato nel ruolo di questore anziano della Camera, che il Movimento non vorrebbe rischiare di vedersi sfilare qualora dovesse traslocare a Palazzo Chigi.
È tutto da vedere se la soluzione che si prospetta reggerà fino al momento di essere formalizzata al Quirinale.
E si dovrà seriamente ragionare anche sul Colle sulla definizione della squadra dei ministri.
Sono tre le caselle sulle quali si è assicurata a Sergio Mattarella una scelta ponderata e condivisa: Economia e Esteri, che dovrebbero rimanere in quota 5 stelle, e Giustizia che sarebbe appannaggio del Carroccio.
Alla Lega spetterebbero anche gli Interni, il Lavoro, l’Agricoltura e la Cultura. Alla truppa stellata andrebbero Sviluppo Economico, Difesa, Trasporti, Ambiente e Salute. Uno schema tutto da confermare, soprattutto alla luce della scelta definitiva del primo ministro.
Così come ancora non è sicura la presenza dei due leader nell’esecutivo.
Nel caso fossero della partita, Salvini punta con decisione al Viminale, mentre Di Maio è indicato alla Farnesina, o a un dicastero dal peso fortemente simbolico che raccolga le deleghe per il reddito di cittadinanza.
Entro venerdì la quadra definitiva, con una trattativa che, è stato riferito, “andrà avanti a oltranza”, nel fine settimana le rispettive consultazioni, lunedì l’appuntamento al Colle. La strada è ancora lunga e irta di ostacoli.
E la macchina che pur fragilmente sembra avviata verso la meta dovrà districarsi tra muri e buche insidiose.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 16th, 2018 Riccardo Fucile
AVANTI CON LA SECONDA SU CHI FARA’ IL PREMIER
La bozza del contratto di governo M5s-Lega è chiusa: non c’è l’uscita dall’Euro, c’è un
capitolo dedicato ai vaccini e uno per il taglio dei parlamentari.
Il tavolo tecnico ha terminato i lavori e ora manca solo il via libera dei due leader che dovranno confrontarsi su alcuni dei punti critici.
Poi bisognerà trovare l’intesa sui nomi, quindi la squadra dei ministri e naturalmente il presidente del Consiglio.
Sono tanti i nomi usciti in questi giorni
Eliminato l’economista Giulio Sapelli, è rimasto in corsa Giuseppe Conte, nome proposto dai grillini. Non è scartata neppure l’ipotesi staffetta, anche se c’è la grande incognita di chi dovrebbe partire per primo.
Sia Di Maio che Salvini hanno detto di essere pronti a fare un passo indietro se serve, ma entrambi hanno forti interessi a far parte dell’esecutivo. Il leader del Carroccio ha fatto capire di volere qualcuno del suo partito al Viminale.
Stando alle agende dei due partiti comunque, nel weekend seguirà il voto online per gli iscritti 5 stelle e quindi il confronto nei gazebo per la Lega, infine saliranno al Colle.
Dopo i tormenti dei giorni scorsi quindi, per il momento l’intesa va avanti. “Ora indietro non ci si può tirare”, ha scritto Di Maio sul Blog delle Stelle nel pomeriggio. “Ora questo governo s’ha da fare. Ora l’Italia deve cambiare davvero”.
Contratto di governo: 40 pagine, ci sono anche i vaccin
Il testo finale prevede oltre 40 pagine di documento con una serie di punti, moltissimi, che non erano inizialmente previsti e che sono entrati in occasione della fitta trattativa tra M5s e Lega. Tra questi anche un capitolo sui vaccini.
Non c’è invece la parte sull’uscita dall’Euro, eliminata nelle scorse ore e presente nella prima bozza pubblica in esclusiva sull’HuffPost.
Ci sarà anche un capitolo dedicato ai migranti, ma il contenuto, assicurano fonti M5s, è “molto equilibrato”. E rispecchierebbe i diversi approcci al tema di M5s e Lega.
Nel contratto viene confermata l’intenzione di intervenire anche sulle pensioni d’oro
Tutti i punti del contratto sarebbero formalmente chiusi e sarebbero solo 6 i punti che devono essere visionati dai leader Matteo Salvini e Luigi Di Maio.
I due leader si vedranno in serata: devono sciogliere i nodi più complicati (sono 4-5, riferisce Danilo Toninelli e “poi la parola spetterà ai leader”) e soprattutto sul tavolo c’è ancora la questione irrisolta del presidente del Consiglio.
(da agenzie)
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Maggio 16th, 2018 Riccardo Fucile
LA SOGLIA DI ALLARME SARA’ 155-160
Tanto tuonò che piovve. Con le ultime sortite di Salvini-Di Maio e con le indiscrezioni anti-Euro sul Contratto, lo spread è ripartito.
Magari si fermerà , perchè le mani forti di Bce e Bankitalia che da settimane curano particolarmente i Btp italiani interverranno di nuovo, ma il segnale è negativo. Secondo i calcoli di un “focus” di Antonio Forte del Cer la soglia di allarme sarà quota 155-160: tra circa 15 punti, dunque, la spesa per gli interessi sui titoli di Stato comincerà a superare il budget stanziato che quest’anno ammonta a 62,5 miliardi. Cifre che mostrano il nostro fianco scoperto e che i mercati conoscono bene.
Alcuni, da tempo lanciano l’allarme.
Ora il fantasma si sta concretizzanto.
Ad ascoltarla bene anche Bankitalia nei giorni scorsi ha fatto riferimento ad una possibile ondata speculativa.
Suonano premonitori avvertimenti come quello pronunciato nei giorni scorsi in Parlamento dal vicedirettore di Via Nazionale Luigi Signorini, a non “indebolire” la riforma delle pensioni su cui “poggia la sostenibilità del debito” e a proseguire il risanamento delle finanze pubbliche se non vogliamo esporci “ad una crisi di fiducia”. Figuariamoci se si propone di trovare un percorso che garantisca la possibilità di uscire dall’euro e ricontrattare il Patto di stabilità
Del resto i mercati avevano dichiarato tutta la loro preoccupazione.
Il 30 marzo scorso, a pochi giorni dalle elezioni, fu dato solo un marginale risalto all’atteggiamenti di Blackrock, un money manager che gestisce fondi pari al Pil dell’Italia.
Scott Thiel, vice responsabile per gli investimenti di Blackrock, dichiarò che l’esito delle elezioni del 4 marzo in Italia “è stato il peggior risultato possibile e ancora i mercati non hanno reagito per niente”.
Alla domada se i Btp italiani saranno colpiti, la risposta fu: “Io penso che succederà ”
(da agenzie)
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Maggio 16th, 2018 Riccardo Fucile
“SIAMO LA SOCIETA’ DELL’HOMO STUPITUS, DELLA PAURA E DOMINA LA CULTURA DEL NEMICO”
“Viviamo in una società dominata dalle frustrazioni. La sensazione prevalente è quella di
trovarsi in un ambiente in cui ci si sente esclusi, ci si sente insicuri, si ha paura. Si accumula così la frustrazione, che poi diventa rabbia. E la rabbia sa a cosa porta? Porta alla voglia di spaccare tutto. Il nostro tempo non è violento, è distruttivo”.
Vittorino Andreoli, noto psichiatra e prolifico scrittore, riflette così sulla contemporaneità e sull’uomo.
Lo fa nel suo ultimo romanzo, presentato al Salone del Libro di Torino, Il silenzio delle pietre (Rizzoli, pp.328). “Non credo alla divisione categorica fra romanzi e saggi” specifica lui.
Non a caso, il volume è una lunga narrazione ambientata nel 2028: i tempi non sono più gli stessi, l’uomo non è più libero di scegliere, ma ha solo l’opzione benedetta dell’esilio. Che diventa mitico, e narrativo, quando si rivela volontario e scozzese. “Il mio protagonista — continua Andreoli – scappa da tutto. Scappa dai rumori, da internet, dal mondo virtuale che spaventa e occupa il tempo, impedendo di pensare. Scappa in un luogo in cui l’uomo ancora non c’è. Sceglie una baia meravigliosa, nella natura, per scampare a questa nostra società di frustrati”.
Ha parlato di violenza e di distruttività . Che differenza c’è?
La violenza è finalizzata a produrre danno agli altri. Uno è geloso perchè c’è qualcuno che gli ha portato via l’oggetto d’amore, e si vendica violentemente: lo ammazza. Ma, realizzato questo scopo, la violenza decade.
E la distruttività ?
La distruttività invece è la tendenza a fare del danno agli altri, ma anche a se stessi. Si uccidono moglie, figli e ci si uccide. È una piccola apocalisse. Ed è molto frequente nelle famiglie oggi.
Stiamo vivendo un tempo distruttivo anche per la politica?
C’è il desiderio di fare la guerra, per mascherare situazioni personali, per fare le armi, per alimentare gli arsenali nucleari. C’è aria di guerra, e la guerra è distruttività . Lo ribadisco: la distruttività è la caratteristica fondamentale del nostro tempo.
Quali sono le altre?
La frustrazione e l’insicurezza. Siamo la società della paura. Domina la cultura del nemico.
Questo cosa comporta?
Questo uccide la speranza e la fiducia, e promuove lo stare da soli.
E poi?
Sa, c’è stato il periodo della ragione, dei lumi, delle grandi ideologie e adesso…
Adesso?
Adesso abbiamo il periodo della stupidità .
Perchè dice così?
Perchè governa l’irrazionalità ! Domina l’assurdo. Non c’è il senso dell’etica. Peggio di così… E come conseguenza della stupidità abbiamo la regressione all’homo pulsionale.
Ricordavo che appartenessimo all’homo sapiens sapiens.
No! In questo momento storico in cui domina l’assurdo, noi siamo l’homo stupidus stupidus stupidus.
Per quale motivo?
Tutti pensano a se stessi. Nessuno pensa che siamo un Paese. E questa è la stupidità . Se oggi uno non è stupidus in questa società non può vivere.
Come ci si salva?
Facendo come il protagonista del mio romanzo, che va in un mondo bellissimo dove non esistono commendatori. Dove non esiste l’uomo. La genesi si è fermata al quinto giorno, perchè il Padre eterno è molto intelligente e in una parte del mondo non ha fatto l’uomo.
Dove si concentra la stupidità oggi?
Nel potere. Il potere oggi è per definizione stupido. Io uso il potere come verbo: posso, quindi faccio. E faccio perchè posso. Il potere è l’aspetto più chiaro della stupidità .
Lei si considera un uomo di potere?
No. Ho scritto dei Nessuno, quelli con la N maiuscola, perchè in questa società c’è qualcuno che non è stupido, e sono i Nessuno. Io sono un Nessuno, perchè non conto niente.
Ma lei conta…
Essendo Nessuno non devo accettare compromessi. Il Nessuno è colui che c’è, ma è come se non si fosse. Amo questa società , quella fatta dalle persone bellissime che non contano niente.
Non conta niente, però c’è un qualcuno, Gene Gnocchi, che le fa l’imitazione in televisione.
L’ho vista poco tempo fa. Considero l’umorismo e l’ironia come difensive. Aiutano la gente a sopravvivere. Io amo i matti, considero la follia stupenda, umana, e quello che ho sempre cercato è l’uomo rotto. E l’ho sempre cercato con un’arma, l’ironia. Anche se non l’ho mai incontrato, considero Gene Gnocchi molto bravo.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 16th, 2018 Riccardo Fucile
LE CLIENTELE CONTANO PIU’ DELLE LEGGI E DEL BUON SENSO
«Repetita iuvant» speravano i giudici della Corte dei Contispiegando per l’ennesima volta ai deputati regionali siciliani che ai posti pubblici si accede solo per concorso. «Repetita iuvant sed tandem scocciant!», ribattono i più sfacciati dandosi di gomito in latino maccheronico.
Delle opinioni dei magistrati contabili ai padreterni dell’Ars non importa più di tanto. Certo, l’andazzo di stabilizzare i portaborse presi con contratti a termine va avanti da un pezzo.
Non solo in Sicilia ma negli enti locali di mezza Italia, dalla Calabria (che nel 2001 sistemò 86 «collaboratori») a regioni «virtuose» come il Friuli Venezia Giulia o il Veneto.
Dove con l’opposizione dell’allora governatore Giancarlo Galan («leggina vergognosa») la Liga e la sinistra votarono insieme una sanatoria con «un’apposita procedura selettiva riservata».
Il trucco è noto: il deputato Tizio assume provvisoriamente Caio e Sempronio. Niente concorso, si tratta solo di contratti a termine e lui vuole gente di fiducia: se è di destra vuole destrorsi, se è di sinistra sinistrorsi. Poi, però, la legislatura finisce.
E i portaborse presi «solo» per fedeltà partitica? Sale il coro: vogliamo la stabilizzazione! Senza mai esser passati per un concorso, senza mai esser stati valutati. Geni e somari: contava solo la tessera politica.
Per anni sentenze dopo sentenze hanno ribadito che il giochetto è illecito. Ed è «inammissibile», ribadisce la Corte dei Conti, «l’anzianità di servizio», per i cosiddetti «stabilizzati», poichè si tratta di contratti a tempo determinato «che cessano di esistere al momento della fine della legislatura». Ovvio.
Ma le clientele, sotto certi cieli, contano più delle leggi e del buon senso. Così, rovesciando la logica prevista dal governo Monti per dare a ogni deputato (specie se asino) la possibilità di prendersi un giovane preparato che l’aiutasse a scrivere le leggi, l’Ars ha dato l’assalto al record.
Al punto che, come hanno raccontato tra gli altri Giacinto Pipitone o Emanuele Lauria, i portaborse di vario tipo sono saliti fino a 369.
Quasi sei collaboratori a parlamentare.
Molti sfruttati con paghe da fame nella speranza di essere anche loro, prima o poi, assunti nel cielo degli stabilizzati.
E sarebbe questa la svolta dopo l’era Crocetta?
(da “il Corriere della Sera”)
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Maggio 16th, 2018 Riccardo Fucile
MA COSI’ SI TROVANO POSTI MENO PAGATI E SODDISFACENTI… CONTRAZIONE DEI LAVORI MANUALI, UN MILIONE IN MENO DI OPERAI E ARTIGIANI
Le raccomandazioni, la rete di amici, parenti e conoscenze, sono ancora oggi il modo
principale per trovare lavoro in Italia.
Lo racconta il 90% di coloro che sono alla ricerca di un impiego. E la tendenza riguarda anche i laureati: uno su quattro ottiene un posto proprio attraverso le conoscenze.
Come aveva suggerito tra le polemiche il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, sostenendo davanti agli studenti bolognesi che è meglio “giocare a calcetto” piuttosto che “mandare in giro curricula”.
Ma, almeno per quel che riguarda i laureati, farsi raccomandare non paga: chi lo fa non solo guadagna meno, ma tende anche a trovare posizioni più instabili e “meno appaganti“.
Sono alcune conclusioni del 26esimo Rapporto annuale Istat, preziose mentre si discute di riforma dei Centri per l’impiego per far funzionare un eventuale reddito di cittadinanza.
Scesi di un milione operai e artigiani
Se nel 2017 è proseguito l’aumento del tasso di occupazione, arrivato al 58% — un valore comunque ancora lontano dalla media Ue — nel complesso le persone in cerca di occupazione sono più di 2,9 milioni.
Rispetto al 2008 e agli anni pre-crisi, la mappa del lavoro è nel frattempo radicalmente cambiata e il lavoro manuale ha segnato una decisa contrazione: sono scesi di un milione gli occupati classificati come operai e artigiani, mentre si contano oltre 860mila lavoratori in più nelle professioni esecutive nel commercio e nei servizi, in cui rientrano gli impiegati con bassa qualifica.
L’Istat rileva ancora che se nell’industria si sono perse 895mila unità , nei servizi se ne sono invece guadagnate 810mila.
Sempre meno italiani tentano la strada dei Centri per l’impiego
L’87,5% si rivolge ai canali informali, quindi alle sue conoscenze. La maggior parte consulta anche annunci e pubblica inserzioni online o sui giornali.
Mentre meno di quattro disoccupati su dieci dichiarano di aver tentato almeno una volta di trovare lavoro tramite centri per l’impiego, agenzie private o concorsi pubblici, affidandosi quindi ai canali istituzionali.
L’attitudine a utilizzare i diversi canali è variata nel tempo, spiega l’Istat. In particolare, proprio tra il 2008 e il 2017 l’utilizzo dei canali formali istituzionali è sceso di 5,4 punti percentuali, mentre sono aumentati quelli non istituzionali e informali (rispettivamente +3,4 e +7,0 punti).
Chi trova lavoro?
Sono i giovani a utilizzare maggiormente una strategia multicanale, tentando più strade e servendosi molto di internet. Sull’utilizzo di questo metodo sono inoltre molto forti le differenze territoriali: nel Mezzogiorno viene usato da meno di un disoccupato su quattro.
A un anno di distanza, dal 2016 al 2017, tra chi ha trovato lavoro più della metà dichiara di esserci riuscito tramite canali formali, soprattutto al Nord, tra i giovani e tra coloro che hanno un titolo di studio universitario.
All’opposto, la quota di chi ha trovato lavoro attraverso canali informali cresce soprattutto al Sud (50,6 per cento), tra le persone con più di 50 anni e tra coloro che hanno il titolo di studio più basso.
Nel complesso, le raccomandazioni di parenti, amici e conoscenze nel mercato del lavoro sono serviti a quattro disoccupati su dieci del 2016 che hanno trovato lavoro nel 2017 e sono la più diffusa azione di ricerca tra i neo-occupati (usata da nove su dieci).
Più soddisfatto chi ha passato un concorso
Un giovane laureato su quattro trova lavoro attraverso una segnalazione di parenti o amici o la conoscenza diretta del datore di lavoro, sottolinea sempre l’Istat. Ma, si legge nel rapporto, chi invece trova lavoro con canali formali dichiara una “maggiore soddisfazione per l’impiego ottenuto”.
L’inserimento lavorativo attraverso le segnalazioni di familiari o amici porta infatti a ottenere un impiego caratterizzato in assoluto da retribuzioni più basse, minore stabilità e coerenza con il percorso di studi concluso.
Al contrario, le selezioni attraverso un concorso pubblico o la segnalazione dell’università portano a impieghi qualitativamente superiori, garantendo inoltre al laureato di utilizzare le proprie conoscenze.
Il rischio di “sovraistruzione”
Il pericolo per diplomati e laureati è quello di trovarsi in una situazione di insoddisfazione per la mancata valorizzazione dei propri studi. Il 38,5% dei diplomati e laureati di età compresa tra i 15 e i 34 anni (circa 1,5 milioni) dichiara infatti che per svolgere adeguatamente il proprio lavoro sarebbe sufficiente un livello di istruzione più basso rispetto a quello posseduto.
In pratica, questa condizioni si traduce in guadagni ridotti, inferiori opportunità di carriera, minore interesse per il lavoro svolto e, più in generale, minore soddisfazione lavorativa.
L’istruzione come fattore protettivo anche tra i giovani
Nell’ultimo decennio la riduzione del tasso di occupazione è stata più contenuta per i laureati, che hanno quasi recuperato il livello del 2008 (78,3 per cento contro il 78,5). Chi ha un elevato tasso di istruzioni ha avuto più probabilità di trovare lavoro nel 2017 anche tra i Neet, ovvero i giovani tra i 15 e i 29 anni non occupati e non in formazione che rappresentano oggi 2,2 milioni di persone.
Anche nell’ultimo anno si è registrata una leggere diminuzione (-1,1 per cento), anche se più debole rispetto al forte calo del 2016. Il segmento più numeroso tra i Neet è comunque costituito da persone in cerca di occupazione: 898 mila persone, il 41% del totale.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 16th, 2018 Riccardo Fucile
RAPPORTO ISTAT, CALA LA POPOLAZIONE… NEL 2065 SAREMO 54 MILIONI, IL 10% IN MENO
È una “emorragia” continua: a partire dal 2015 l’Italia è entrata in una fase di declino demografico e per il terzo anno di fila la popolazione totale diminuisce, di quasi 100mila persone rispetto all’anno precedente.
Al 1 gennaio 2018 si stima che la popolazione ammonti a 60,5 milioni di residenti, con un’incidenza della popolazione straniera dell’8,4% (5,6 milioni).
La stima della popolazione straniera al 1 gennaio 2018 mostra un incremento di 18mila persone rispetto all’anno precedente, come saldo tra ingressi, uscite e acquisizioni di cittadinanza.
È dal 2016 che la variazione della popolazione straniera sull’anno precedente presenta valori modesti, soprattutto se comparati con quelli degli anni Duemila. Lo dice l’Istat nel suo rapporto annuale sulla situazione del Paese.
E si va accentuando l’invecchiamento della popolazione, nonostante la presenza degli stranieri caratterizzati da una struttura per età più giovane di quella italiana e con una fecondità più elevata.
E così l’Italia è il secondo Paese più vecchio al mondo, con una stima di 168,7 anziani ogni 100 giovani al 1 gennaio 2018. Per il nono anno consecutivo le nascite registrano una diminuzione: nel 2017 ne sono state stimate 464mila, il 2% in meno rispetto all’anno precedente e nuovo minimo storico.
Si stima che lo scorso anno i nati con almeno un genitore straniero siano stati intorno ai 100mila (21,1% del totale dei nati).
Dal 2012 il contributo in termini di nascite della popolazione straniera residente è in calo. A diminuire sono in particolare i nati da genitori entrambi stranieri, con una stima pari a 66mila nel 2017 (14,2% sul totale delle nascite).
Pur mantenendosi su livelli decisamente più elevati di quelli delle cittadine italiane (1,95 rispetto a 1,27 secondo le stime nel 2017), diminuisce il numero medio di figli delle cittadine straniere, come conseguenza delle dinamiche migratorie e della loro struttura per età che si presenta “invecchiata” rispetto al passato.
Si diventa genitori sempre più tardi.
Considerando le donne, l’età media alla nascita del primo figlio è di 31 anni nel 2016, in continuo aumento dal 1980 (quando era di 26 anni).
A proposito di famiglia, essa è una “rete informale”, ovvero l’insieme di persone su cui poter contare (parenti, amici e vicini).
La dimensione della rete familiare è costruita combinando il numero di parenti stretti (nonni, genitori, figli, fratelli e nipoti) e il numero di altri parenti (zii, cugini, suoceri, ecc.) su cui l’individuo dichiara di poter contare.
La presenza, la consistenza e la struttura della rete di persone su cui fare affidamento subiscono cambiamenti innescati dalle trasformazioni demografiche e sociali. Gli aiuti sono una manifestazione concreta del sostegno, e le famiglie esprimono bisogni e di conseguenza ricevono aiuti per soddisfare richieste legate sia alle tappe del ciclo di vita dei loro componenti (nascita dei figli, uscita dal mercato del lavoro, invecchiamento, ecc.), sia alla famiglia nel suo insieme (difficoltà economiche o di gestione del lavoro di cura e domestico). La rete informale si attiva in funzione di questi bisogni.
Nel 2016 la dimensione media della rete familiare delle persone da 18 anni in su è di 5,4 parenti stretti e di 1,9 altri parenti. A partire dai 55 anni, all’aumentare dell’età cresce il numero medio di parenti stretti, fino a raggiungere una media di 6,3 per gli individui di 75 anni e più, mentre diminuisce per tutte le età in maniera costante il numero medio di altri parenti su cui contare.
L’Istat rileva che il 78,7% delle persone di 18 anni e più dichiara di poter fare affidamento almeno su un parente, un amico o un vicino. Sono gli amici la categoria più indicata (62,2% dei casi), seguita dai vicini (51,4%) e gli altri parenti (45,8%). Con riferimento al sostegno di tipo economico, il 44,7% degli individui dichiara di avere almeno una persona non coabitante su cui contare in caso di bisogno urgente di denaro (800 euro).
Viene constatato poi che all’aumentare dell’età sono sempre meno le persone che dichiarano di poter contare su una rete variegata (altri parenti, amici e vicini): la quota tra i più anziani (25,6% delle persone di 75 anni e più) è meno della metà di quella dei più giovani (57,8% delle persone tra i 18 e i 24 anni).
Al crescere dell’età , invece, prevalgono le reti «esclusive», in particolare quelle costituite solo da parenti o solo da vicini.
Dal 1998 al 2016 la quota di persone di 18 anni e più che hanno dato almeno un aiuto gratuito nelle quattro settimane precedenti l’intervista è aumentata di poco più di dieci punti percentuali, passando dal 22,8 al 33,1%. Contestualmente, la quota delle famiglie che hanno ricevuto almeno un aiuto gratuito da parte di persone non coabitanti (16,1%) è rimasta sostanzialmente stabile rispetto al 1998.
Vengono offerti prevalentemente aiuti per compagnia, accompagnamento, ospitalità (35,9% delle persone che hanno fornito almeno un aiuto) seguiti da quelli per espletamento di pratiche burocratiche (30,4%) e aiuto nelle attività domestiche (28,8%).
Oltre un terzo delle famiglie, sostenute informalmente, ha ricevuto aiuto per attività domestiche (34,5%). Più di una famiglia su quattro per compagnia, accompagnamento, ospitalità e espletamento di pratiche burocratiche.
Un altro aspetto interessante dell’analisi Istat è relativo alla percezione della rete di sostegno sociale: essa è legata al benessere fisico, ma soprattutto al benessere psicologico delle persone. I temi dell’isolamento e della solitudine, potenzialmente comuni a tutte le fasce di età , diventano infatti particolarmente rilevanti per le persone che presentano fragilità dovute a una molteplicità di fattori: condizioni di salute, età avanzata, caratteristiche del luogo di residenza, struttura familiare.
Una misurazione della percezione del sostegno sociale si basa su un indicatore condiviso a livello europeo, il cosiddetto “Overall perceived social support”, che sintetizza tre dimensioni: l’estensione della rete di sostegno sociale, il grado di solitudine e di isolamento e la presenza di sostegno pratico del vicinato. Secondo questo indicatore di sostegno, più di un quarto degli individui (27,7%) percepisce un sostegno forte, il 17,2% si sente privo o quasi di sostegno (sostegno debole) mentre oltre la metà degli individui si colloca in una posizione intermedia (55,1%).
Nel confronto con l’Unione europea, l’Italia mostra una maggiore fragilità : per tutte le classi di età è più bassa la quota di chi percepisce un sostegno forte (34,1% media Ue) ed è più elevata la quota di chi dichiara una percezione di un sostegno debole (15,5% media Ue).
La presenza di una rete familiare estesa, un titolo di studio elevato e l’alto reddito familiare sono visti come fattori protettivi contro la percezione di solitudine e abbandono.
Al contrario, le condizioni psicologiche negative, i disturbi depressivi degli individui e la presenza di tre o più malattie croniche sono i fattori che aumentano la percezione di un sostegno sociale debole.
La maggiore debolezza del sostegno percepito si osserva nelle aree più densamente popolate di tutte le ripartizioni italiane ad eccezione delle Isole, dove le differenze per grado di urbanizzazione si attenuano.
(da “La Repubblica”)
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Maggio 16th, 2018 Riccardo Fucile
LA PROCURA GENERALE NON SI OPPONE ALLA RIABILITAZIONE DI BERLUSCONI
La Procura Generale ha deciso di non opporsi al provvedimento con cui il Tribunale della
Sorveglianza di Milano ha riabilitato Silvio Berlusconi.
La decisione si conferma dunque come definitiva.
La Procura Generale aveva quindici giorni di tempo a partire da venerdì scorso, quando è stato depositato il provvedimento, per opporsi alla riabilitazione di Silvio Berlusconi con un ricorso al Tribunale della Sorveglianza che avrebbe poi deciso se investire o meno della questione la Corte di Cassazione.
Nei giorni scorsi, alcuni pg avevano manifestato un’informale perplessità sulla decisione di riabilitare l’ex premier nonostante i carichi penali pendenti a suo carico. Ma alla fine la parola definitiva l’ha messa il procuratore generale Roberto Alfonso che ha optato per la non opposizione.
I giudici della Sorveglianza avevano sostenuto che i procedimenti penali ancora pendenti, in particolare l’inchiesta “Ruby ter”, «non escludono di per sè la sussistenza della regolarità della condotta».
La riabilitazione, che era comunque già esecutiva nei suoi effetti a prescindere da un eventuale ricorso, cancella tutti gli effetti della condanna che Berlusconi aveva subito nel processo sulla compravendita dei diritti televisivi, compresa l’incandidabilità prevista dalla legge Severino.
La ragione per cui il procuratore generale Roberto Alfonso e il sostituto pg Maria Saracino hanno scelto di non opporsi alla riabilitazione, restituendo il fascicolo al Tribunale di Sorveglianza, è che la decisione del Tribunale della Sorveglianza di Milano non presenta vizi di legittimità , t utti i requisiti per ottenerla erano presenti.
(da agenzie)
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