Dicembre 7th, 2018 Riccardo Fucile
IL MESSAGGIO ALL’AMICO BRUNETTA RIVELA LO STATO D’ANIMO DI UN MINISTRO ORMAI DELUSO
«Non ce la faccio più, sono sottoposto ad un agguato dietro l’altro. L’ultimo è stato quello di mandarmi davanti alla commissione parlamentare di ritorno dall’Ecofin. L’unica cosa che mi interessa è salvare il Paese. Quella è la mia luce. Altrimenti, se fosse solo per me, già ora…».
Questo sms è stato mandato dal ministro dell’Economia Giovanni Tria a un esponente dell’opposizione (Renato Brunetta) ed è riportato oggi da Augusto Minzolini sul Giornale.
L’SMS che secondo il racconto di Minzolini è stato inviato a Brunetta non è un annuncio di dimissioni, anche se periodicamente si rincorrono le voci che vogliono il titolare di via XX Settembre sull’orlo dell’addio e ai ferri corti con Salvini, che ha proposto il suo nome su suggerimento di Savona, e Di Maio.
Fa anche riferimento a un episodio ben preciso, ovvero l’audizione del ministro in commissione avvenuta il 4 dicembre alle 20 (con un’ora di ritardo rispetto alla tabella di marcia) nella quale il ministro ha esordito così: “Sono sbarcato da un aereo e sono venuto qui. Non ho aderito ad un’audizione, ma ad un’informativa. Il tema è da informativa non da audizione, non sono in grado di fare un’audizione. Se non siete d’accordo me lo dite e io, non vi offendete, me ne vado”.
Quell’audizione è stata definita “una presa in giro” dalla Commissione finanze perchè Tria non ha risposto alle domande sulla manovra, rimanendo nel vago anche riguardo le modifiche da concordare con Bruxelles e le ripercussioni sui saldi di bilancio. Evidentemente molto nervoso, il ministro alla fine ha chiuso l’audizione andandosene e infischiandosene delle critiche e delle polemiche. Evidentemente perchè era molto stanco, come si capisce dall’sms.
Si spiegherebbe così quindi l’uscita via sms nei confronti di Renato Brunetta che viene riportata oggi da Minzolini.
Brunetta ha un rapporto personale con Tria che dura da anni e che risale ai cinque anni di governo Berlusconi tra 2001 e 2006, quando era uno dei consiglieri più ascoltati dell’allora ministro.
In questi mesi le sue scelte sono state messe spesso sotto processo da parte della maggioranza, che non ha gradito (eufemismo) le scelte sui suoi collaboratori al ministero, accusati successivamente di essere le “manine” che cambiano i provvedimenti per far fare brutta figura a Giggetto e Laura Castelli.
A Bruxelles il destino dei collaboratori di Tria viene guardato come quello del classico canarino nella minier
a.L’ostilità nei confronti del ministro è confermata anche dal retroscena pubblicato oggi dalla Stampa e firmato da Ilario Lombardo:
Dopo essersi riunito con il premier alla presenza del Ragioniere generale dello Stato Daniele Franco, che aveva con sè le tabelle delle voci di bilancio su cui cercare un’alternativa ai tagli, Tria ha disertato il vertice con Di Maio e Salvini.
Il ministro è sempre più isolato, investito dalla sfiducia del premier e del M5S
Perchè, pur nella consapevolezza condivisa che la trattativa vada condotta con durezza a Bruxelles e senza cedere sui principi base della manovra, Salvini non sembra così convinto che Tria vada lasciato al suo destino e proprio mentre si rincorrono le voci sull’addio indotto del ministro, dismette i panni da incendiario: «La Lega — dice — lavora a una soluzione di buon senso». Quale?
Sempre nel retroscena si racconta che sarà Conte a condurre la trattativa e che il presidente del Consiglio è pronto ad abbassare un po’ il deficit e fare leva sul sentimento dell’Europa, giocando sull’importanza di non perdere l’Italia, “con un discorso ispirato a quello di Alcide De Gasperi alla conferenza di Parigi del 1946, quando Roma si trovò a fronteggiare le potenze democratiche che l’avevano sconfitta e il capo del governo democristiano disse: «Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me»”.
Ma lì si usciva da una guerra con milioni di morti, qui si parla di gente che vuole spendere senza trovare le coperture.
Speriamo che qualcuno ci risparmi questa ulteriore figura di merda.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 7th, 2018 Riccardo Fucile
ITALIA FANALINO DI CODA PER QUOTA 15-34ENNI SUL TOTALE DELLA POPOLAZIONE
Sono sempre meno presenti nel mondo del lavoro, ma soprattutto sono sempre di meno: i
giovani italiani tra i 15 e i 34 rappresentano una minoranza della popolazione, appena il 20,8%.
Ma, osserva il Rapporto Censis sulla situazione del Paese, nel resto dell’Europa non va troppo meglio, la fascia 15-24 anni in media è il 23,7% della popolazione, mentre i giovanissimi (tra i 15 e i 34 anni) arrivano al 10% (il 9,3% in Italia). Ma quello che fa ancora più paura è l’emarginazione dei (pochi) giovani: tra il 2007 e il 2017 gli occupati di età compresa tra i 25 e i 34 anni è calata del 27,3%, un milione e mezzo di giovani lavoratori in meno.
C’è poco spazio anche per i più istruiti: nel 2007 si contavano 249 giovani laureati occupati ogni 100 lavoratori anziani, dieci anni dopo sono diventati 143. In condizione di sottoccupazione (fanno cioè un lavoro per il quale sono richieste competenze inferiori rispetto a quelle garantite dal loro titolo di studio) 237.000 persone di età compresa tra i 15 e i 34 anni, mentre i giovani costretti a lavorare part-time sono diventati 650.000, 150.000 in più rispetto al 2011. In calo anche la presenza giovanile nelle libere professioni: la quota è scesa al 30,4%, sei punti percentuali in meno rispetto al 2010, quasi undici punti in meno rispetto al 2006.
I giovani emergono nei consumi mediatici: tra gli under 30 gli utenti di Internet sono il 90% della popolazione, contro il 42,5% tra gli over 65. Ma neanche Internet è d’aiuto per la ricerca del lavoro, merce sempre più rara: appena l’11,3% degli internauti si serve della rete per trovare un lavoro in Italia, e tra gli under 30 la quota arriva solo al 15,8%.
Spaventati dalla mancanza di possibilità di occupazione soprattutto per chi vive nel Mezzogiorno, si spostano già per studiare verso i poli metropolitani del Centro e del Nord. Sono 172 mila gli studenti che partendo da una regione del Sud sono iscritti a un corso di laurea in un’università del Centro Nord (pari all’11% di tutti gli iscritti all’università ), mentre sono poco più di 17 mila quelli che compiono il percorso inverso.
Il saldo netto fra gli ingressi e le uscite in queste Regioni, sin dalla prima immatricolazione a un percorso universitario (laurea triennale o magistrale a ciclo unico), risulta molto negativo per alcune Regioni del Sud (Puglia -35 mila studenti, Sicilia -33 mila, Calabria -23 mila). Le Regioni in grado di calamitare la maggior parte degli studenti fanno registrare un saldo fra arrivi e partenze molto positivo: Lazio (+48.607), Emilia Romagna (+32.918), Lombardia (+24.449) e Toscana (+14.268).
(da agenzie)
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Dicembre 7th, 2018 Riccardo Fucile
UN PAESE IN DECLINO, IN CERCA DI SICUREZZE CHE NON TROVA, SEMPRE PIU’ DIVISO TRA UN SUD CHE SI SPOPOLA E UN CENTRO-NORD CHE FA SEMPRE PIU’ FATICA
Un’Italia sempre più disgregata, impaurita, incattivita, impoverita, e anagraficamente vecchia.
Il 52° Rapporto Censis parla di “sovranismo psichico” e delinea il ritratto di un Paese in declino, in cerca di sicurezze che non trova, sempre più diviso tra un Sud che si spopola e un Centro-Nord che fa sempre più fatica a mantenere le promesse in materia di lavoro, stabilità , crescita, soprattutto futuro.
“Il processo strutturale chiave dell’attuale situazione è l’assenza di prospettive di crescita, individuali e collettive”, sintetizza il Censis.
Gli italiani sono profondamente delusi, spiega il direttore generale del Censis, Massimiliano Valerii: “Una prima forte delusione è quella di aver visto sfiorire la ripresa che l’anno scorso e fino all’inizio di quest’anno era stato vigorosa, e che è invece svanita sotto i nostri occhi, con un Pil negativo nel terzo trimestre di quest’anno dopo 14 mesi di crescita consecutiva. L’altra è che l’atteso cambiamento miracoloso promesso dalla politica non c’è stato, oltre la metà degli italiani afferma che non è vero che le cose siano cambiate sul serio. E adesso è scattata la caccia al capro espiatorio: dopo il rancore, è la cattiveria che diventa la leva cinica di un presunto riscatto”.
Il miracolo italiano è diventato un incubo. Non c’è più la speranza di migliorare, di crescere, e questo ha rotto il patto con la politica.
Il 96% delle persone con un basso titolo di studio e l’89% di quelle a basso reddito sono convinte che resteranno nella loro condizione attuale, ritenendo irrealistico poter diventare benestanti nel corso della propria vita, rileva il Censis.
“È il rovescio del miracolo italiano, il sogno si è trasformato in incubo, è una cosa che scava nella storia”, afferma Valerii, ricordando come solo il 23% degli italiani affermi di aver migliorato la propria condizione socioeconomica rispetto ai genitori (la quota più bassa in tutta Europa) e il 63,6% sia convinto di essere solo, senza nessuno che ne difenda gli interessi.
La paura degli immigrati. Qualche cifra: il 63% degli italiani vede in modo negativo l’immigrazione dai Paesi non comunitari, il 58% pensa che gli immigrati sottraggano posti di lavoro ai nostri connazionali, il 75% che l’immigrazione aumenti il rischio di criminalità .
Il potere d’acquisto degli italiani è inferiore del 6,3% in termini reali rispetto a quello del 2008, ma soprattutto il problema è il timore di spendere anche quello che si ha, infatti la liquidità ferma cresce, nel 2017 superava del 12,5% quella del 2008.
Ma a spendere meno sono gli operai e chi sta peggio, nelle famiglie di imprenditori la spesa per consumi tra il 2014 e il 2017 è aumentata del 6,6%.
Italia fanalino di coda nella spesa in istruzione.
Si investe sempre meno in formazione: investe poco lo Stato, si ritrae anche il cittadino. Nella distribuzione delle risorse disponibili, rileva il Censis, alla tradizionale sproporzione tra gli investimenti nei segmenti scolastici iniziali e l’Università (meno finanziata) si è sostituito “un omogeneo volare basso che ci colloca in tutti i casi al di sotto della media europera”.
L’Italia investe infatti il 3,9% del Pil, mentre la media europea è del 4,7%. Investono meno di noi solo Romania, Bulgaria e Irlanda.
Meno lauree, trionfa il mito “social”.
I risultati si concretizzano in un tasso di abbandoni precoci dei percorsi di istruzione del 18% dei giovani tra i 18 e i 24 anni, quasi doppio rispetto a una media europea del 10,6%, nelle basse performance dei quindicenni italiani nelle indagini Ocse-Pisa, e in 13 punti percentuali di distanza che ci separano dal resto dell’Europa in relazione alla quota di popolazione giovane laureata.
I laureati italiani tra i 30 e i 34 anni raggiungono il 26,9%, contro una media Ue del 39,9%. Le speranze dei giovani si stanno a poco a poco concentrando altrove: la metà della popolazione italiana è convinta che oggi chiunque possa diventare famoso, e il dato sale al 53,3% tra i giovani tra i 18 e i 34 anni. E un terzo ritiene che la popolarità sui social network sia un elemento indispensabile per arrivare alla celebrità .
La scomparsa dei giovani.
D’altra parte tra il 2007 e il 2017 gli occupati giovani, di età compresa tra 25 e 34 anni, si sono ridotti del 27,3%, mentre nello stesso tempo gli occupati tra i 55 e i 64 anni sono aumentati del 72,8%.
In dieci anni siamo passati da un rapporto di 236 giovani laureati occupati ogni 100 anziani a 99. E nel segmento di lavoratori più istruiti i 249 laureati occupati ogni 100 lavoratori anziani sono diventati appena 143. Mentre sono aumentati i giovani in condizione di sottoccupazione, nel 2017 erano 237.000 tra i 15 e i 34 anni, un valore raddoppiato rispetto a sei anni prima.
Aumentano anche i giovani lavoratori con part-time involontario, che passano a 650.000 nel 2017, 150.000 in più rispetto al 2011.
Aumenta lo squilibrio tra Nord e Sud.
L’uscita graduale (e non completa) dalla crisi è andata su due binari che si sono allontanati sempre di più. Lombardia ed Emilia Romagna sono in pieno recupero, poi arrivano sempre con un buon ritmo anche Veneto e Toscana, il Lazio rimane 5 punti indietro, la Sicilia 10.
E non è un problema del solo Mezzogiorno: anche le Regioni colpite dal terremoto sono bloccate, il Pil dell’Umbria è 12 punti indietro rispetto al 2008. E quindi il flusso dei lavoratori si sposta verso i territori più floridi: a Bologna il tasso migratorio è di 18,9 su 1000 abitanti, a Milano di 15,3 migranti, a Firenze di 13,2, mentre nel Mezzogiorno si contrappone la fuga dei residenti, 3,6 per ogni 1000 abitanti a Bari, 5,9 a Napoli, addirittura 9,2 a Palermo.
Lontani dalla politica, europeisti solo i giovani.
Quasi un terzo degli italiani non vota, o vota scheda bianca. Indifferenza e sfiducia nei confronti della politica sono aumentati negli anni, e quest’anno si è raggiunto il picco, con una percentuale del non voto che ha raggiunto il 29,4%.
Significa 13,7 milioni di elettori mancati alla Camera e 12,6 milioni al Senato alle ultime elezioni politiche.
Scarsa anche la fiducia nell’Europa, atteggiamento comune a tutti i Paesi in crisi. Ma il 58% dei 15-34enni e il 60% dei 15-24enni apprezza l’Unione, soprattutto per la libertà di viaggiare, studiare e lavorare ovunque all’interno dei Paesi membri.
(da agenzie)
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Dicembre 7th, 2018 Riccardo Fucile
“PRIMA MI HANNO USATO, POI MI HANNO PRESO IN GIRO”… E ANCHE LA LEGA CHE SOTTO ELEZIONI FACEVA PROMESSE ALLE FAMIGLIE DEI DISABILI HA BOCCIATO I SUOI EMENDAMENTI
Matteo Dall’Osso, deputato eletto alle ultime elezioni con il Movimento 5 stelle, passa nelle
file di Forza Italia.
Il motivo? La bocciatura dei suoi emendamenti sui disabili. Anche Dall’Osso è disabile. L’annuncio in un’intervista su il Giornale.
Dall’Osso afferma:
Mi sono sentito solo, in parte tradito, umiliato. E mi sono sentito disabile. Mi hanno trattato male.
Il neo-deputato forzista spiega le cause del suo addio ai 5 stelle:
Mi era stato chiesto di ritirare i miei emendamenti a tutela dei disabili per parere contrario insieme ad altri già respinti. Uno di questi è stato oggetto di contrattazione. Ho chiesto al gruppo M5s di firmare il mio emendamento, nulla di più, ma dai banchi del governo è stata data indicazione negativa così ho deciso di proseguire grazie alla sottoscrizione di tutte le opposizioni. Poi a seguito del mio intervento e di un accorato appello l’emendamento è stato accantonato con parere favorevole. Ero in parte soddisfatto e felice per il risultato ottenuto proprio nella Giornata Internazionale della Disabilità . Ma nella seduta di martedì 4 quell’emendamento è stato bocciato. L’ho appreso dal verbale della seduta. Sono avvilito ma vado avanti lo stesso per i disabili.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 7th, 2018 Riccardo Fucile
RAPPRESENTANO MENO DI UN DECIMO DEGLI AVENTI DIRITTO
Il reddito di cittadinanza si restringe mentre si avvicina al momento in cui il governo dovrà scoprire le carte e mostrare la legge (o il dl collegato, o il decreto legge) che sta annunciando da qualche mese e a cui i grillini hanno lavorato per qualche anno garantendo che avevano trovato tutte le coperture salvo poi spendere in deficit.
Il sussidio dovrebbe essere erogato complessivamente a 2,3 milioni di famiglie indigenti, ma i 780 euro pieni dell’assegno saranno erogati solo a 450mila soggetti, ovvero meno di un decimo degli aventi diritto.
Il numero di italiani che i centri per l’impiego dovranno seguire saranno circa un milione, e dopo le difficoltà per i 200mila assistiti dal REI si preannunciano molti problemi.
Saranno quattromila i nuovi assunti ma la cifra totale non è ancora stata fissata perchè c’è la trattativa con l’Europa in ballo. Spiega oggi Il Messaggero:
Durante il vertice a Palazzo Chigi il premier Giuseppe Conte e i suoi vice Luigi Di Maio e Matteo Salvini avrebbero concordato soltanto di ridurre i 9 miliardi di euro annui previsti per finanziare l’assegno contro la povertà .
Ma l’esponente grillino sarebbe fermo sull’idea di mantenere sia la data partenza già fissata, tra marzo e aprile, sia la platea dei beneficiari: cioè circa 6,5 milioni di persone, tra i cinque milioni di disoccupati e inoccupati e il quasi milione e mezzo di pensionati. Tradotto, gli assegni saranno meno pingui.
Si studia infine come definire le regole con le quali le Regioni devono assumere i 4mila addetti per i centri per l’impiego, il ruolo dell’Anpal e forse quello delle agenzie private nel processo di riqualificazione dei Cpi.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 7th, 2018 Riccardo Fucile
PROPRIO IL GOVERNO CHE SI PRESENTA COME DIFENSORE DEL POPOLO VUOLE IMPEDIRE AGLI ITALIANI DI AVER ACCESSO ALLA CONOSCENZA, FACENDO CHIUDERE LE VOCI LIBERE
La furia di questo governo si abbatte sui media più piccoli – ma non marginali – che a causa dei
tagli all’editoria rischiano la sopravvivenza.
La giustificazione? Il risparmio. Ma si può mai risparmiare su Radio Radicale che ci permette di assistere e comprendere i processi decisionali entrando nelle stanze del potere?
Si può risparmiare su Avvenire che racconta, ogni giorno e quasi da solo, le sorti dei migranti in mare?
Si può risparmiare sul Manifesto che è rimasto tra i pochissimi quotidiani a occuparsi con assiduità di temi sociali con un taglio diverso, mai banale?
Proprio quel Movimento e quel governo che si presentano come difensori dei diritti del “popolo” impediscono poi al “popolo” di avere accesso alla conoscenza, determinando la chiusura di realtà fondamentali. Mai nessun governo, da quando esiste la convenzione con Radio Radicale, aveva osato tanto. Mai.
L’ultima battaglia di Marco Pannella, fondatore di Radio Radicale, è stata per il diritto alla conoscenza che in apparenza sembra una cosa tanto banale e scontata, ma ovviamente non lo è.
Diritto alla conoscenza non significa diritto ad accedere a internet o possibilità di acquistare un quotidiano, ma il diritto che ciascuno di noi ha a conoscere ciò che davvero accade nelle stanze del potere.
E siccome Pannella prima agiva e poi comunicava, nel 1975 fonda la radio, un organo di informazione fondamentale che, negli ultimi 40 anni, ha fatto entrare il cittadino in Parlamento per ascoltare le sue sedute, nelle aule di giustizia per assistere in maniera integrale ai processi più importanti, nei congressi dei partiti fino alle sedute del Consiglio superiore della magistratura.
E tutto questo è la reificazione del controllo sociale sul Potere e sul suo esercizio di cui si nutre una sana democrazia.
Il punto è tutto qui: esiste una politica che preferisce cittadini disinformati – resi timorosi e pieni di rancore da semplificazioni della realtà che sono veri e propri attacchi alla democrazia – ed esisteva, perchè adesso non esiste più, una politica capace di volere bene e esortare in maniera sfrontata, quasi impertinente – come faceva Pannella – a non avere paura del prossimo, ma fiducia nelle persone e nella conoscenza.
Una politica che invitava a rivolgere l’attenzione agli ultimi, a chi sta in carcere perchè ha sbagliato e sta pagando, meritando al contempo un’occasione di reinserimento tra noi. Una politica in grado di non esasperare le differenze, ma di mostrare le vicinanze. Pannella era l’uomo della gente, non del “popolo”.
Uno che se gli avessi chiesto un selfie, prima avrebbe accettato ma poi ti avrebbe coinvolto nella raccolta delle firme necessarie a dare supporto alle iniziative del Partito Radicale.
Una razza rara che oggi siamo costretti a rimpiangere.
Radio Radicale è per noi un dono prezioso: la radio che sta “dentro, ma fuori dal palazzo”, come ogni mattina ci ricorda la bella (per sempre) voce di Dino Marafioti; la radio che consente a chiunque di sapere ciò che accade in Turchia, in Cina, in Europa, negli Stati Uniti, nel Mediterraneo, in Africa, sulle droghe, nei tribunali, nelle carceri, nel mondo culturale.
La radio dove tutti i politici sono ascoltati e dove tutti i giornalisti hanno un solo obiettivo: rendere il miglior servizio possibile agli ascoltatori. La radio di Antonio Russo.
Perdere Radio Radicale significa perdere un patrimonio preziosissimo, e non ce lo possiamo permettere.
Radio Radicale ha subito il taglio del 50% della convenzione che ha con il Mise, e questo significa la chiusura per una radio che non ha pubblicità con la quale sostenersi, perchè è l’unico media di servizio pubblico integrale.
Lo sa questo Vito Crimi, sottosegretario all’editoria, per il quale gli organi di informazione fanno troppa politica?
Ma a Crimi – parlamentare da più di cinque anni – sfugge il significato stesso della parola politica. Fare politica significa occuparsi di ciò che accade perchè tutto, nella nostra vita, è politica. Crimi non sa che la sua società ideale, quella in cui i media non esprimono più opinioni ma si limitano a “raccontare i fatti” non è una novità : la mancanza di opinioni pubbliche e quindi della possibilità che vi sia una pubblica opinione, è stata il tratto distintivo di tutti i regimi totalitari.
Non a caso il principale organo di informazione dell’Unione Sovietica si chiamava Pravda, come se oggi un giornale si chiamasse La Verità , senza che a nessuno venisse da ridere.
Crimi probabilmente tutto questo lo ignora, ma altri, nel suo Movimento, con l’armamentario tipico dei regimi totalitari hanno maggiore confidenza: basti pensare all’orrida autocritica cui è stato costretto il padre di Luigi Di Maio.
Del resto la libertà un popolo la può perdere a causa di perfidi aguzzini, ma di solito la strada la lastricano gli inconsapevoli, di se stessi e del mondo. L’8 dicembre il Ministro della Mala Vita porta in piazza i suoi sostenitori, per far vedere che il culto della sua personalità non si nutre di soli like, ma di persone in carne ed ossa, che sono state invitate a partecipare anche sul presupposto che io, come molti altri, non ci saremo. Non perchè ci sia vietato, ma perchè saremmo diversi da tutti quelli che ci saranno.
Penso a Pannella e, se anche in quella piazza non ci sarò, so che dovrei esserci. Dovrei essere accanto non a quella che qualcuno chiama l’Italia peggiore, ma accanto all’Italia che si sente peggio trattata e che crede, sbagliando, che la risposta possa offrirla questo governo.
Dovrei esserci per dire a tutte le persone accanto a me di accendere la radio e di ascoltare Radio Radicale, di farsi questo regalo, per una settimana: sarà come un risveglio dal sonno. Poi magari continueranno a sostenere questo governo, ma lo faranno in maniera più consapevole, più informata.
La conoscenza passa necessariamente per la pluralità dell’informazione, per l’informazione che vi piace e con cui vi trovate d’accordo e per quella che mai riuscirete a condividere.
La conoscenza passa per le opinioni, non per il racconto asettico dei fatti, un racconto che non esiste, e chi lo auspica è un truffatore. E allora, contro questi nuovi barbari – che si fingono amanti di selfie e gattini e che non esitano a infliggere, per ambizione, pubblica umiliazione ai propri familiari – abbiamo una sola alternativa: difendere ciò che di prezioso abbiamo, la nostra libertà di informarci.
Difendiamo Radio Radicale ascoltandola, mostrando quanto sia necessaria, perchè oggi Radio Radicale garantisce il nostro diritto alla conoscenza ed è un’arma pacifica a disposizione di tutti, per resistere a chi nulla sa e nulla vuole sapere.
A tutti quelli che, per mantenere il potere, pretendono che venga raccontata solo “la verità “, la loro verità .
Roberto Saviano
(da “La Repubblica”)
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