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CI RISIAMO, LA GERMANIA VIETA ASTRAZENICA AGLI UNDER 60 E SEGUE FRANCIA E CANADA: “OGNI GIORNO CI CREA UN PROBLEMA”

Marzo 30th, 2021 Riccardo Fucile

INVECE DI 120 MILIONI DI DOSI L’AZIENZA E’ FERMA A 18,8 MILIONI DI FIALE DISTRIBUITE IN AMBITO UE, UNA VERGOGNA… L’ITALIA ATTENDE 10 MILIONI DI DOSI ENTRO GIUGNO E ALTRE 24 NEL TERZO TRIMESTRE; ARRIVERANNO MAI?

Non c’è pace su AstraZeneca. Dopo sole due settimane dalla sospensione del vaccino anglo-svedese da parte di mezza Europa guidata da Berlino, le rassicurazioni dell’Ema e la nuova ripartenza delle somministrazioni anche in Italia, in Germania il caso si riapre dopo che città  importanti come la capitale e poi tutto il Brandeburgo, Monaco di Baviera, Colonia e tutto il Nord-Reno Vestfalia fermano le inoculazioni agli under 60. A sera, dopo una concitata riunione di Angela Merkel e il ministro della Salute Jens Spahn con i ministri dei Land, la sospensione per gli under 60 viene estesa a tutta la nazione.
Stavolta la scelta segue una decisione simile presa dalla Francia la settimana scorsa (niente AstraZeneca per gli under 55) e, fuori Ue, dal Canada.
Ma è una decisione che torna a sconvolgere il clima intorno all’azienda simbolo di tutti i mali della campagna vaccinale europea.
Tra l’altro, ad oggi, non c’è nemmeno la certezza che AstraZeneca abbia consegnato le 30 milioni di dosi promesse dopo aver tagliato le forniture di due quarti (inizialmente erano 120mln): i dati della scorsa settimana sono fermi a 18,8 milioni di fiale distribuite nell’Ue. Proprio oggi il premier Mario Draghi, 73 anni, si è vaccinato con AstraZeneca.
Ma i dubbi affiorano a Bruxelles: è possibile che ai 30 milioni annunciati manchi ancora qualcosa, più di qualcosa. In questo clima di diffidenza massima nei confronti della casa farmaceutica anglo-svedese, mentre proseguono a rilento le trattative tra l’Ue e il Regno Unito sulla ripartizione delle dosi prodotte negli stabilimenti europei e britannici, arriva un’altra doccia fredda.
Sempre dalla Germania, dove il governo è sotto accusa per una campagna vaccinale lenta non solo per le scarse consegne, ma anche per problemi organizzativi e logistici a livello nazionale.
La scelta di Berlino, Monaco e Colonia di sospendere il prodotto per gli under 60 scaturisce dalla segnalazione di 31 casi di trombosi cerebrale che si sono verificati in Germania in connessione temporale con la somministrazione del vaccino, quasi tutti riguardanti donne sotto i 55 anni. A sera, la cancelliera Angela Merkel e il ministro della Salute Jens Spahn riuniscono i ministri dei Land per approfondire il problema. Nel frattempo, lo Stiko, la commissione tedesca sui vaccini, emette una raccomandazione che consiglia la vaccinazione con AstraZeneca solo per le persone sopra i 60 anni, anche se non esclude la somministrazione a pazienti più giovani a discrezione del loro medico.
Ma il caos non è da poco. Perchè nel frattempo in molti hanno ricevuto la prima dose di AstraZeneca: cosa succederà  per il richiamo? “Su Astra-Zeneca possiamo aspettarci qualche nuovo problema ogni giorno. È la percezione di tutti”, dice a chiare lettere il governatore della Baviera, Markus Sà¶der.
Un problema non da poco anche per l’Italia, che finora non rivede la decisione di autorizzare AstraZeneca anche per i più giovani.
Secondo le proiezioni elaborate dal commissario straordinario per la campagna vaccinale Francesco Paolo Figliuolo, anche nel secondo e terzo trimestre la maggior parte delle vaccinazioni nel nostro paese avverrà  con AstraZeneca (sempre che rispetti le consegne): oltre 10milioni da aprile a giugno e oltre 24 milioni da luglio a settembre.
E pensare che proprio oggi il vaccino AstraZeneca è stato ‘battezzato’: si chiama Vaxzevria. “Dare un nome a un farmaco nuovo è una consuetudine. Ed è un processo che avviene in maniera separata dall’approvazione normativa e regolatoria del farmaco stesso”, dicono dall’azienda. “La sigla ‘Covid-19 AstraZeneca vaccine’, non era il nome del farmaco. Ora ha un nome che come prassi è stato registrato”. Ma la Germania intanto lo ‘cancella’ per le fasce d’età  più giovani.

(da Huffingtonpost)

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L’ITALIA NON SARA’ GIALLA FINO A MAGGIO: SULLE RIAPERTURE SOLO UN TAGLIANDO

Marzo 30th, 2021 Riccardo Fucile

DRAGHI CONFERMA LE RESTRIZIONI, SI STUDIA UN CHECK A FINE APRILE, MA NESSUN AUTOMATISMO COME CHIESTO DA LEGA E FORZA ITALIA

Un meccanismo per un tagliando sulle riaperture nella seconda metà  di aprile, ma senza alcun automatismo.
È questa la decisione di Mario Draghi in vista del vare del nuovo decreto Covid che domani il Consiglio dei ministri dovrebbe licenziare. “Decidere oggi che sulle riaperture se ne riparla a maggio è un discorso scientificamente e culturalmente sbagliato”.
Continua a martellare su Palazzo Chigi Matteo Salvini, che non si rassegna: per la Lega è inconcepibile che le zone gialle siano sospese per un altro mese da dopo Pasqua, chiede un meccanismo automatico che a partire da metà  aprile sblocchi i territori dove il contagio è più sotto controllo.
“Non se ne parla”, rispondono i rigoristi di governo, “la Lega eviti gli slogan, non è più all’opposizione”, replica l’eurodeputata Pina Picierno.
Venerdì scorso, al vertice convocato da Draghi, Giancarlo Giorgetti si è ritrovato in minoranza. Sostenuto sì da Mariastella Gelmini, ma con dall’altra parte il muro eretto da Roberto Speranza, Dario Franceschini e pure da Stefano Patuanelli.
Il premier nei contatti di queste ore continua a ripetere come un mantra che le chiusure o le aperture dipendono dalla situazione epidemiologica, una corsa in avanti potrebbe vanificare tutti gli sforzi fatti finora.
Ecco che nel testo del decreto che domani intorno alle 17.30 approderà  in Consiglio dei ministri al momento l’automatismo per consentire le riaperture a partire dal 20 aprile al momento non c’è.
Ma nè Draghi nè la struttura che lavora al testo hanno derubricato la richiesta con una scrollata di spalle. Quello che sostiene l’ex governatore della Banca centrale europea dopotutto è un governo estremamente composito, e le istanze di una buona metà  della maggioranza non possono essere semplicemente ignorate.
“L’automatismo? Non ci sarà , ma stiamo studiando una soluzione tecnica per una verifica dei dati”, spiega una fonte che sta lavorando al testo. Una girandola di telefonate attraversa tutti i partiti di governo, al momento non è previsto un supplemento di confronto dei ministri interessati al tema. La perplessità  del presidente del Consiglio sul fare un passo che potrebbe essere più lungo della gamba alla fine dovrebbe prevalere.
Il punto di caduta sarà  quello di un meccanismo che permetta di fare un tagliando della situazione nella seconda metà  del prossimo mese, e che conduca a un ritorno di zone gialle rinforzate nei territori laddove i dati dovessero essere molto buoni. Un segnale politico alla Lega e a Forza Italia, ma che difficilmente avrà  un’applicazione pratica.
È l’Istituto superiore di sanità  a infliggere un colpo alle posizioni degli aperturisti. Scrive l’Iss in un’indagine condotta con il ministero della Salute e alla Fondazione Bruno Kessler che in Italia “al 18 marzo scorso la prevalenza della cosiddetta ‘variante inglese’ del virus Sars-CoV-2 era del 86,7%, con valori oscillanti tra le singole regioni tra il 63,3% e il 100%”. Con una trasmissibilità  del 37% superiore a quella del comune ceppo del coronavirus e con una diffusione così elevata, “le zone gialle sono praticamente inutili a fronteggiarla”, spiegano fonti di governo.
Le stesse fonti che prendono ad esempio il caso britannico: il Regno Unito, il senso del ragionamento, dopo tre mesi di misure restrittive ha annunciato le riaperture con meno di 5mila contagi al giorno, programmandole in maniera scaglionata a partire da maggio.
E il nostro tracciamento, che riporterebbe la situazione in controllo, è efficace se i positivi giornalieri non superano i 7/8mila.
Ne consegue che, salvo un crollo improvviso della curva, almeno per tutto aprile la penisola sarà  colorata di rosso e di arancione, e a maggio si vedrà .
Altri pilastri del dl saranno le sanzioni per il personale sanitario che rifiuta di vaccinarsi, sulla cui entità  è al lavoro il ministro della Giustizia Marta Cartabia, e uno scudo penale per chi somministra i vaccini, al netto del dolo o della colpa grave.
Potrebbe poi rientrare nel testo una norma che vieterebbe ai presidenti di Regione di chiudere le scuole fino alla prima media, indipendentemente dalle fasce di colore in cui sono collocate.

(da “Huffingtonpost”)

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VIAGGI ALL’ESTERO CON TAMPONI E QUARANTENA, MA I CONTROLLI NON ESISTONO

Marzo 30th, 2021 Riccardo Fucile

IL MINISTERO DELLA SALUTE: “CI AFFIDIAMO AL BUON SENSO”

La polemica sui viaggi all’estero in piena pandemia di Covid-19 non accenna a placarsi. La protesta è quella di albergatori e operatori turistici ma anche di congiunti fuori regione, al momento ostaggio di restrizioni valide almeno fino al 30 aprile: spostarsi fuori regione no, viaggiare all’estero per turismo sì.
Una contraddizione che fa storcere la bocca a molti e che in periodo di feste si fa particolarmente stridente. Baleari, Madrid, Svezia, ma anche Germania, Grecia e Norvegia sono alcune delle mete verso cui non è necessario motivare lo spostamento. E cosi nel bel mezzo della polemica arriva la nuova ordinanza del ministro della Salute Roberto Speranza con l’obiettivo di regolare gli arrivi e i rientri dall’Unione europea. La priorità  è mantenere sotto controllo la curva epidemiologica. La libertà  sui viaggi concessa dal Dpcm del 2 marzo firmato da Mario Draghi deve convivere, soprattutto nei giorni di vacanze pasquali, con il rischio imponente di diffusione del virus.
«Starà  alla responsabilità  individuale rispettare i 5 giorni di chiusura»
Una delle due principali disposizioni dell’ordinanza ministeriale è quella riguardante la quarantena di 5 giorni per tutti coloro che hanno soggiornato o transitato nei 14 giorni prima dell’ingresso in Italia in uno Stato dell’Ue. «Ai fini del contenimento della diffusione del virus Covid-19 è fatto obbligo di sottoporsi, a prescindere dell’esito del tampone, a un periodo di cinque giorni di quarantena presso l’abitazione o la dimora» si legge nel testo. La segnalazione dovrà  essere fatta alla propria Azienda sanitaria territoriale.
Nessun sistema di controllo viene menzionato, nessuna garanzia di monitoraggio delle quarantene.
Il tracciamento è ormai naufragato e il pericolo di diffusione del virus oggi è reso ancora più insidioso dalle varianti.
Alla luce di uno scenario simile, le regole che dovrebbero rendere i viaggi all’estero perfino più sicuri degli spostamenti tra regioni non diminuiscono invece il rischio contagio.
Da parte del Ministero nessun tipo di rassicurazione in merito. Raggiunto da Open lo staff del ministro Speranza conferma l’assenza di uno specifico meccanismo di controllo sul periodo di quarantena obbligatoria per i viaggio all’estero: «Starà  alla responsabilità  individuale rispettare i 5 giorni di chiusura, ci affidiamo al buon senso delle persone così come abbiamo sempre fatto». Il pericolo è che le quarantene non vengano rispettate e le infezioni aumentino.
«Per i tamponi nessun monitoraggio aggiuntivo»
L’altra direttiva importante riguarda i tamponi. Secondo il documento diffuso dal ministero valido fino al 6 aprile i tamponi obbligatori da fare al rientro saranno due. All’arrivo nel Paese europeo in questione sarà  l’hub aeroportuale a eseguire il test dopo l’atterraggio. Stessa cosa al rientro in Italia. A questo punto, al test effettuato in aeroporto seguiranno i 5 giorni di quarantena, alla fine dei quali dovrà  essere eseguito un altro tampone, antigenico o molecolare. Su questo secondo test, di nuovo, le incertezze dei controlli.
Non sarà  più l’hub aeroportuale a preoccuparsene, il cittadino potrà  scegliere dove andare. Anche in questo caso l’ordinanza sembra non aggiungere nulla. «Se serve il cittadino consegnerà  l’esito del tampone al datore di lavoro per poter riprendere l’attività », dicono dal Ministero rispondendo alla domanda sui controlli previsti per il tampone post quarantena.
«A quel punto crediamo che l’azienda stessa si possa mettere in contatto con l’Asl ed eventualmente segnalare». Le direttive del ministero dunque aumentano le regole da seguire, ma i controlli rimangono gli stessi.

(da Open)

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RENZI SI STA PREPARANDO A UNA VITA FUORI DALLA POLITICA

Marzo 30th, 2021 Riccardo Fucile

INCARICHI SU COMMISSIONE E PUBBLICHE RELAZIONI IN TUTTO IL MONDO… ANCHE I SUOI FEDELISSIMI BONIFAZI E BOSCHI VANTANO CONSULENZE AZIENDALI DI PRESTIGIO

«Matthew d’ Arabia», come qualcuno tra i suoi ha iniziato a chiamarlo, facendo il verso al «Lawrence» del vecchio kolossal, sta costruendo la sua exit strategy dalla politica italiana. Come il protagonista del film con Peter O’ Toole, ormai, Renzi passa più tempo all’ estero che in patria.
Negli ultimi cinque mesi ha incontrato i presidenti del Consiglio che si sono succeduti a Palazzo Chigi lo stesso numero di volte che, in gran segreto, si è trovato faccia a faccia con Tony Blair: due incontri con Conte, due con Draghi e due — uno in Senegal e l’ altro a Londra — con l’ ex premier britannico di cui sta seguendo le orme.
Certo, il cachet blairiano da conferenziere supera di più del triplo la cifra media che l’ ex premier italiano incassa per ogni speech tenuto all’ estero.
Quanto al perimetro d’ azione, biglietti aerei alla mano, quello di Renzi non teme confronti neanche col collega più blasonato: diciotto viaggi in Cina negli ultimi due anni pre-Covid, avanti e indietro più volte dalla East alla West Coast degli Stati Uniti, e poi i Paesi arabi, dove si trovava anche ieri l’ altro a vedere il Gran premio di Formula 1 del Bahrein.
Che come domenica sia ospite gratuito del ceo della Formula 1 Stefano Domenicali, conosciuto all’ epoca in cui era ad della Lamborghini, oppure impegnato a disegnare il «Rinascimento arabo» in un intervento a pagamento dal controverso principe arabo Mohammed bin Salman, il leader di Italia viva ha messo nel palmares una dichiarazione di redditi a sei zeri muovendosi su un doppio binario: gli incarichi che svolge su commissione e le pubbliche relazioni, viaggi spesso di piacere che possono essere forieri di opportunità  future.
Della sua sfera di conoscenze e competenze, in privato, parla come di un «network internazionale», potenzialmente in grado di mettere a contatto chiunque.
Il troppo girovagare in epoca Covid gli sta procurando più di un grattacapo: Maurizio Gasparri, ospite di Radio 1, gli ha mandato a dire che non può tornare già  oggi a Palazzo Madama «perchè in Senato abbiamo regole precise»; in Rete c’ è il sospetto che abbia già  fatto il vaccino. Renzi respinge entrambi i fendenti: giura che sta rispettando le regole sui viaggi internazionali e, quanto al siero, garantisce che non l’ ha ancora avuto.
L’ occasione per una corsia preferenziale, d’ altronde, gli sarebbe stata servita su un piatto d’ argento da uno dei tanti contratti di collaborazione, quello con il distaccamento italiano dell’ Università  di Stanford.
La sede fiorentina dell’ ateneo californiano l’ ha chiamato qualche settimana fa per chiedergli se volesse accedere al vaccino previsto per i professori a contratto e lui ha detto no. Al Gp del Bahrein — come gli invitati, il personale e persino i piloti delle monoposto — è entrato con un tampone negativo.
Nel settembre 2019, con la fondazione di Italia viva, Renzi si era posto due obiettivi: arrivare al 10% e «alleggerirsi» dalle decine di fedelissimi le cui vite dipendevano quasi esclusivamente da lui, un fardello psicologico che non sopportava più.
Il primo obiettivo è fallito; il secondo no, come dimostrano le biografie personali dell’ ex braccio destro Luca Lotti e dei tanti «ex renziani» della corrente Pd Base riformista.
Di questa nuova vita, l’ ex premier ha cambiato quasi totalmente lo stile. Oltre alle relazioni internazionali, il suo primo comandamento è «basta stress»: corre, gioca a tennis, va in bici, gioca a calcetto nel campo realizzato accanto a casa sotto al Piazzale Michelangelo. Poi ci sono due belle auto e voli, tanti, su jet privati.
Di fronte al mancato decollo dell’ operazione Iv, anche Francesco Bonifazi e Maria Elena Boschi stanno diversificando i loro impegni, puntando più sul business privato che sulla politica: da tempo lavorano per emanciparsi dal passepartout di «renziani doc», che un tempo apriva ogni porta.
Senza una prospettiva politica solida, anche per rivendicare autonomia, nei giorni scorsi Bonifazi ha fatto sapere che BL, lo studio di avvocati che guida con Federico Lovadina (già  nel cda di Ferrovie) ed Emanuele Boschi (fratello di Maria Elena), ha seguito diciassette pratiche che hanno consentito ai clienti di ricevere oltre 50 milioni di fondi per le Pmi.
Anche l’ ex ministra per le Riforme, esperta in diritto societario, da deputata-avvocato vanta consulenze di prestigio. Segno che il giglio magico di un tempo sta perdendo definitivamente i suoi petali. E ciascuno va da sè.
C’ è un’ eccezione: Carrai. Da quando Renzi ha lasciato Palazzo Chigi, i riflettori su Marco Carrai si sono abbassati. Ma per inseguire la tracce del primo, bisogna spesso inseguire le briciole lasciate sul terreno dal secondo. Il ruolo di presidente di Toscana Aeroporti è ormai pura rappresentanza, perchè oggi Carrai è vicepresidente esecutivo di Jsw Steel Italy, il colosso della siderurgia di Sajjan Jindal; e soprattutto console di Israele per Toscana, Lombardia ed Emilia-Romagna.
Il manager fiorentino vanta ottimi rapporti con Benjamin Netanyahu, fresco di ennesima vittoria, per il quale scelse anche il ristorante stellato in cui potesse fumarsi l’ amato sigaro dopo il bilaterale con l’ allora premier a Palazzo Vecchio.
Renzi e Carrai si muovono spesso in coppia. A inizio marzo erano assieme nel lussuoso Jumeirah Beach Hotel di Dubai. Sulla carta, un viaggio di piacere; in realtà , un altro tassello di quelle pubbliche relazioni che con la politica attiva hanno sempre meno a che fare.

(da “Il Corriere della Sera”)

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MATTARELLA CHE FA, RESTA O SE NE VA?

Marzo 30th, 2021 Riccardo Fucile

NON SI PRESTERA’ A CHI GLI CHIEDE DI RIMANERE UN ANNO ANCORA PER PERMETTERE A DRAGHI DI RESTARE PREMIER FINO AL 2013

Stavano lievitando gli scenari, i retroscena, le illazioni e gli esercizi di fantapolitica riguardanti un supplemento di settennato per Sergio Mattarella al Quirinale. Si delineava, nel tam tam parlamentare, nelle voci da stanze dei partiti e nel gossip mediatico, questa situazione: Mattarella dopo la scadenza del suo mandato nel 2022 resta ancora un anno sul Colle, per dare il tempo a Draghi di finire la sua opera di premier e subentrargli nel 2023. E invece? Niente.
Coerente con altre sue simili uscite — basti ricordare il discorso presidenziale dell’ ultimo Capodanno — Mattarella ribadisce il punto e mette a tacere una volta per tutte le voci e le fantasie.
«Quest’ anno, anche perchè è l’ ultimo del mio mandato, non potevo e non volevo fare a meno di questo incontro». Ecco con questo piccolo ma significativo inciso, inserito nei circa sette minuti di saluto rivolto dal Capo dello Stato alla rappresentanza dell’ Aeronautica militare che ha incontrato al Quirinale per il 98esimo anniversario della sua costituzione, Mattarella sottolinea ancora una volta di essere entrato nell’ ultimo anno del settennato, che terminerà  il 3 febbraio del 2022, e di non volere un eventuale prolungamento. Altro che rielezione!
E bastava guardare anche la scena dell’ altro giorno — il 25 marzo, quando Benigni ha letto Dante al Quirinale — per accorgersi della convinzione assoluta di Mattarella a non restare oltre, nel caso gli venisse chiesto, sul Colle.
Benigni gli si è rivolto così: «Presidente, a me dispiace che stia per finire il suo mandato e che lei vada via». E Mattarella, con un lieve sorriso: «C’ è un tempo per ogni cosa».
Il suo tempo da Presidente finirà  quando dovrà  finire. «Quello che inizia — sottolineò infatti Mattarella nel messaggio di fine 2020 — sarà  il mio ultimo anno come Presidente della Repubblica. Coinciderà  con il primo anno da dedicare alla ripresa della vita economica e sociale del nostro Paese. La ripartenza sarà  al centro di quest’ ultimo tratto del mio mandato. Sarà  un anno di lavoro intenso».
Il fatto è che Mattarella ha fatto sua e non da oggi l’impostazione di Antonio Segni. Quella che, in occasione dei 130 anni della nascita di quel Presidente della Repubblica, l’attuale inquilino del Colle ha anche ricordato in un discorso all’ inizio di febbraio nel pieno della crisi di governo. Segni era contrario alla rieleggibilità  immediata del Presidente della Repubblica.
Era convinto che bisognasse inserire una modifica nella Costituzione che la impedisse. E con Segni, Mattarella condivide questa posizione che l’antico Presidente della Repubblica esprimeva così: «Il periodo di sette anni è sufficiente a garantire una continuità  nell’ azione dello Stato». E aggiungeva: «La proposta di modifica costituzionale vale anche ad eliminare qualunque, sia pure ingiusto, sospetto che qualche atto del Capo dello Stato sia compiuto al fine di favorire la rielezione».
Ma c’ è di più nel Segni pensiero cui Mattarella aderisce: «Una volta disposta la non rieleggibilità  del Presidente, si potrà  anche abrogare la disposizione dell’ articolo 88 comma 2 della Costituzione, che toglie al Presidente il potere di sciogliere il Parlamento negli ultimi mesi del suo mandato».
Nessuna rielezione immediata (e data l’età  dei Presidenti della Repubblica significa nessuna rielezione e basta) e abolizione del semestre bianco: Mattarella la pensa così. E la sua «immutabile coerenza» — come la definisce il giurista Paolo Armaroli nel libro: «Conte e Mattarella. Sul palcoscenico e dietro le quinte del Quirinale» — lo porta sia per ragioni personali sia per ragioni costituzionali a non contemplare in alcun modo un bis.

(da “Il Messaggero”)

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PEONES CONTRO BIG NEL M5S: IL LIMITE DEI DUE MANDATI ORA INFIAMMA LO SCONTRO GENERAZIONALE NEL MOVIMENTO

Marzo 30th, 2021 Riccardo Fucile

IN BALLO LA RICANDIDATURA ALLE PROSSIME POLITICHE

“Fatta la legge, trovato l’inganno”: nel proverbio citato con amarezza da uno dei cosiddetti peones c’è tutto il senso dell’ultimo scontro che infiamma i 5Stelle.
Beppe Grillo aveva riproposto venerdì scorso il tetto dei due mandati, precipitando in un silenzio imbarazzato i big del partito che rischiano di non potersi ricandidare.
Ma mettendo anche nelle mani di Giuseppe Conte, leader designato che non ha ancora sciolto la riserva, materiale altamente esplosivo.
Dal momento dell’editto del garante, di certo, sull’ex premier è cominciato un pressing riservato da parte dei personaggi di spicco del Movimento. L’obiettivo: mettere su carta delle eccezioni che salvaguardino l’esperienza dei più navigati frequentatori del Palazzo. Lo stesso Grillo, d’altronde, aveva garantito che nessuno sarebbe stato “abbandonato”.
E l’avvocato si sarebbe convinto a prevedere una deroga al vincolo dei due mandati, da inserire a favore dei più “meritevoli”. Termine che, naturalmente, si presta a una interpretazione vasta ma che, alla fine, significherebbe assicurare la possibilità  di un terzo mandato a chi ha avuto degli incarichi nei 5S o nel governo.
A questo punto è successa una cosa imprevista: mentre Conte tace, mentre Crimi, Di Maio ma anche altri esponenti di governo e delle istituzioni parlamentari giunti al secondo mandato non si pronunciano, è esplosa la protesta dei più giovani, almeno politicamente parlando, che non hanno rinunciato a mettere la faccia sul dissenso nei confronti della deroga. In particolare, si sono fatti sentire i rappresentanti dell’area denominata “Innovare”, in prevalenza alla prima legislatura, che temono di vedere chiusi gli spazi per una ricandidatura: Giovanni Currò parla della regola rilanciata da Grillo “non come un vezzo ma come un principio sacrosanto, affinchè si evitino concentrazioni di potere nelle forze politiche”.
La collega Anna Pallini ricorda che “moltissimi portavoce svolgono un lavoro silenzioso, lontano dai riflettori. Non sarebbe giusto penalizzarli solo perchè poco conosciuti alle grandi platee mediatiche”.
“Queste persone risulterebbero penalizzate da un criterio che non potrà  che essere estremamente discrezionale”, dice il 29enne deputato Luca Carabetta. In un pomeriggio caldissimo si accavallano le voci e le agenzie rilanciano gli spin di una o dell’altra fazione. Grillo, si apprende, non vuole fare un passo indietro sul tetto dei due mandati: “Sennò alle prossime Politiche non andiamo oltre il 5 per cento”, avrebbe detto. Poi una ridda di indiscrezioni sulla rigidità  o meno del vincolo.
Di certo, come previsto, Conte si trova in una scomoda posizione di mediatore. “Non parla”, fa sapere l’ormai storico portavoce Rocco Casalino. Ma prepara un’uscita pubblica per accettare l’incarico di capo politico e presentare il suo progetto di rilancio del Movimento: quasi tutti, ormai, lo invitano a fare un passo prima di Pasqua, per evitare che i 5S implodano in una lotte fra “correnti” che ora sta diventando anche un conflitto generazionale, fra big e “peones”.
E a fare fretta a Conte ora è anche Luigi Di Maio: “Non entro nel dibattito della questione del doppio mandato – dice l’ex capo politico – perchè sono parte in causa. Spero che la proposta di Conte possa arrivare il prima possibile, anche se so che non è semplice riformare lo statuto di una forza politica come la nostra”.
Ma in futuro, precisa il ministro, lui si vede “ancora agli Esteri”. Ora, davvero, la parola spetta all’avvocato del popolo, chiamato a mettere ordine nel caos interno del Movimento. E ad altri due compiti gravosi: la questione Rousseau e le alleanze per le amministrative, con particolare riferimento alla “blindatura” di Virginia Raggi a Roma. Ma ormai il countdown verso la fase 2 dei 5Stelle si avvicina alla fine.

(da Huffingtonpost)

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MUSUMECI E’ IL COMMISSARIO PER L’EMERGENZA COVID IN SICILIA: SE HANNO TAROCCATO I DATI A SUA INSAPUTA DEVE DIMETTERSI DA QUELLA CARICA PERCHE’ INCAPACE

Marzo 30th, 2021 Riccardo Fucile

SI E’ RIVELATO NON ALL’ALTEZZA PERMETTENDO CHE SOTTO IL SUO NASO TAROCCASSERO I DATI SULLA PANDEMIA, E’ NECESSARIO UN COMMISSARIO INVIATO DAL GOVERNO

Poche ore fa l’assessore alla Sanità  della Regione Sicilia Ruggero Razza ha presentato le sue dimissioni dopo essere risultato indagato nell’inchiesta sulle presunte alterazioni dei numeri di contagi e vittime Covid in Sicilia per evitare la zona rossa.
A chiedere le dimissioni di Razza in mattinata era stato il gruppo del Movimento Cinque Stelle all’Assemblea Regionale Siciliana.
TPI ha contattato telefonicamente Giovanni Di Caro, capogruppo M5S all’Ars.
L’assessore Razza si è dimesso, come ha chiesto M5S questa mattina.
Ci auguriamo che il presidente della Regione accetti le dimissioni senza colpo ferire. In ogni caso, queste da sole non bastano: si tratta di fatti di una gravità  inaudita. Stiamo parlando di potenziali danni alla popolazione siciliana, arrecati magari nel tentativo di far contento qualcuno che chiedeva la zona gialla, quando invece avremmo dovuto essere rossi o arancioni. Questo ha messo potenzialmente a rischio la salute dei siciliani, di cui Razza avrebbe dovuto essere garante. Pochi giorni fa il presidente Musumeci ha detto che se non ci fossero state le Regioni, i morti li avremmo contati ai bordi delle strade. Io invece penso che il rischio sia quello opposto: che qualcuno sia morto di Covid proprio per quei dati non corretti. Voglio dire che questi fatti, se confermati, potrebbero aver causato potenzialmente ulteriori vittime.
Cosa chiedete quindi?
Abbiamo chiesto immediatamente al presidente Musumeci, in qualità  di commissario straordinario regionale all’emergenza Covid, di venire a riferire in Aula. Oggi avremmo dovuto proseguire con la finanziaria, ma non siamo in condizione di andare avanti finchè questa questione non sarà  chiarita. Non lo chiediamo per la nostra serenità , ma perchè i siciliani devono sapere come sono andate davvero le cose. Il 4 novembre scorso Musumeci si lamentava perchè il governo Conte aveva messo la Sicilia in zona arancione, accusandolo di disparità  di trattamento. Nello stesso giorno avvenivano queste telefonate, documentate da intercettazioni che fanno rabbrividire.
Razza si è difeso dicendo che   i numeri “si riferivano a più giorni e non al solo giorno di comunicazione”, da qui la richiesta di “spalmarli”.
Non è una giustificazione. Attraverso questa “diluizione” veniva cambiata l’attribuzione di una determinata fascia di rischio. Il fatto stesso che il numero si fosse accumulato, inoltre, è indice di una cattiva gestione dei flussi informativi legati all’emergenza epidemiologica.
Musumeci, secondo i magistrati, sarebbe estraneo ai fatti e, anzi, sarebbe stato ingannato. Per voi ha delle responsabilità  politiche?
Sì, perchè vuol dire che si è rivelato inadeguato come commissario straordinario all’emergenza Covid (e quindi come presidente della Regione).
Il governatore però ha istituito diverse zone rosse negli scorsi mesi.
Solo quando è stato messo di fronte a dati oggettivi. Ma se il cambio di colore veniva dal ministero, ha sempre avuto da ridire. Questo è segnale di una utilizzazione della situazione pandemica a fini politici.
Secondo voi quindi dovrebbe dimettersi anche Musumeci?
Secondo noi la sanità  regionale siciliana andrebbe attenzionata dal governo nazionale, se non addirittura commissariata. Per quanto riguarda Musumeci, noi riteniamo che anche solo il fatto che lui non fosse a conoscenza di queste dinamiche sia grave. Per noi quindi dovrebbe dimettersi dal ruolo di commissario straordinario all’emergenza Covid. Se invece dovessero essere accertate sue eventuali responsabilità  dirette, dovrebbe lasciare anche l’incarico di presidente della Regione.
M5S aveva già  chiesto più trasparenza sui dati.
Avevamo chiesto maggiore trasparenza in Commissione Salute. Proprio a novembre, inoltre, avevamo chiesto anche la sfiducia in aula dell’assessore Razza, che non era passata.
Vi eravate accorti che qualcosa non andava?
Sì, a livello numerico avevamo visto che i dati non coincidevano, e lo abbiamo anche detto in Commissione. È stato uno dei temi della sfiducia all’assessore, oltre all’intercettazione del dirigente La Rocca. Una gestione molto discutibile per un’emergenza molto seria. Si poteva evitare. Ora chi ha avuto delle vittime di Covid in famiglia può iniziare a pensare che sia stato a causa di questi dati. Secondo me è la punta di un iceberg, ma vedremo più avanti nel prosieguo giudiziario.

(da Open)

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“SPERIAMO SIA SOLO LA SICILIA…”: IL TIMORE SERPEGGIA NEL CTS DOPO I DATI COVID TAROCCATI

Marzo 30th, 2021 Riccardo Fucile

SE L’INCHIESTA SI ALLARGA AD ALTRE REGIONI, LA FIDUCIA DEGLI ITALIANI VERREBBE MENO

Il timore lo consegna uno dei tecnici del Comitato tecnico scientifico. “La speranza è che sia un caso isolato, che se quello che trapela sarà  confermato, riguardi una sola regione”, dice parlando con HuffPost.
Dalla Sicilia, con le notizie sull’inchiesta aperta sui falsi dati Covid trasmessi dalla Regione all’Istituto Superiore di Sanità  per evitare il passaggio in zona rossa, arrivano a Roma sconcerto, timori, preoccupazione.
L’indagine è in corso, dal Ministero della Salute non escono dichiarazioni ufficiali. Il Ministro Roberto Speranza, il vice Pierpaolo Sileri e il sottosegretariato Andrea Costa seguono con attenzione gli sviluppi della vicenda, ma non commentano.
Non per ora, almeno. Chi ha avuto modo di parlare con Speranza in mattinata lo racconta sgomento, lui sempre in prima linea – e pronto anche a scelte rigorose come ha dimostrato in questo anno di pandemia – per ribadire che “la tutela della salute deve essere messa al primo posto”.
Nel Cts serpeggia, invece, il timore che “questa brutta storia della quale non si capisce lo scopo finale” – così la definisce uno dei componenti del Comitato – non riguardi solo la Sicilia e che comunque la vicenda, qualora si dimostrasse che il quadro dell’andamento dell’epidemia nell’isola è stato alterato “spalmando” i dati dei morti e falsificando quelli dei contagi come sostiene la Procura di Trapani, possa contribuire a far salire il livello di esasperazione ben oltre la Sicilia.
Innescando nel Paese il rischio di una sfiducia generalizzata verso calcoli, analisi e valutazioni svolte a Roma ogni settimana per seguire l’evoluzione del contagio e accertare il livello di rischio regione per regione, preliminare all’assegnazione della fascia di colore corrispondente.
Come dire, d’ora in poi gli italiani potrebbero cominciare a chiedersi se effettivamente la zona e il colore assegnati al territorio in cui vivono, siano essi restrittivi o meno, corrispondono alla realtà  dei dati.
Potrebbe aprirsi, nel Paese già  messo a dura prova da oltre un anno di lotta al virus segnato da chiusure, ritardi, incertezze e decine di migliaia di morti, un problema di fiducia nelle Istituzioni, insomma.
Una preoccupazione che tocca da vicino l’Istituto Superiore di Sanità , cui ogni settimana le Regioni inviano i dati poi analizzati dalla Cabina di regia dell’Istituto per elaborare il report sull’andamento dell’epidemia.
“È bene sempre ricordare che le Regioni hanno un ruolo e l’Istituto ne ha un altro. Le prime raccolgono e trasferiscono i dati al secondo, che lo analizza”, ripete più d’uno. Ancora, nell’Istituto le notizie in arrivo dalla Sicilia hanno diffuso anche il timore che l’inchiesta e gli accertamenti necessari ad essa connessi possano rallentare il trasferimento dei dati del contagio. Così elaborare un quadro chiaro dell’andamento dell’epidemia in Sicilia potrebbe risultare impossibile.

(da “Huffingtonpost”)

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IN LOMBARDIA IL PIANO VACCINI E’ BLOCCATO

Marzo 30th, 2021 Riccardo Fucile

L’OPPOSIZIONE INCONTRA FIGLIUOLO PER CHIEDERE L’INTERVENTO DELLO STATO DOPO IL CASO VERANO BRIANZA DOVE I VACCINI C’ERANO MA NON SONO STATI CONVOCATI I PAZIENTI

La visita in Lombardia del commissario nazionale anti Covid-19 Generale Francesco Paolo Figliuolo e del capo della Protezione Civile Fabrizio Curcio è in programma da alcuni giorni per mercoledì 31 marzo, ma potrebbe trasformarsi in un’occasione di protesta a seguito degli sconcertanti fatti di Verano Brianza, comune del Monzese.
Il centro vaccinale che somministrava dalle 400 alle 600 dosi al giorno è rimasto chiuso per due giorni e mezzo. Il motivo? Non certo la mancanza dei vaccini, come in diversi altri casi hanno sostenuto coloro che difendono l’operato di Regione Lombarda, bensì un’incredibile mancanza di pazienti!
I vaccini c’erano, ma, come spiegato dal Sindaco Massimiliano Chiolo, non sono arrivate le liste delle persone da vaccinare. Eppure, volendo, pazienti aventi al diritto al vaccino si sarebbero potuti trovare anche nel vicino comune di Seregno, ad appena 6 km di distanza, ma questi sono stati assurdamente inviati alla Fabbrica del Vapore di Milano, oltre 25 km più a sud!
Dopo i casi di Cremona, Monza, Como e Iseo, queste ulteriori grave disfunzioni vengono registrate nonostante l’azzeramento dei vertici di Aria Lombardia, che almeno per il momento non ha portato ad alcun miglioramento tangibile del servizio offerto ai cittadini. Dopo Pasqua si passerà  dagli sms al QR Code e speriamo davvero che le cose funzionino, ma intanto questo ennesimo intoppo si è verificato mentre il Gen. Figliuolo a Genova auspicava un’accelerazione sul piano vaccinale.
Proprio la visita in Lombardia di Figliuolo e Curcio, intenzionati a sincerarsi della situazione dei vaccini anti Covid-19, diventa ora un appuntamento di pregnante rilevanza politica. Il capogruppo del PD in consiglio regionale Fabio Pizzul la definisce come l’occasione per “segnare la svolta rispetto a una gestione regionale che fin qui ha mostrato troppi limiti e troppe inefficienze”.
Altre componenti del PD e dell’opposizione in genere — come TPI può rivelare — vogliono invece inserirsi nella scia delle parole pronunciate da Curcio a Genova (“Siamo in guerra, servono norme da guerra”) per chiedere un intervento straordinario da parte dello Stato al fine di portare la Lombardia fuori dallo stallo.
Al momento non sono previsti momenti aperti alla cittadinanza, ma il tentativo di ricavarsi uno spazio di confronto accomuna esponenti Dem, del M5S, delle forze civiche e delle formazioni più di sinistra, unitamente ai promotori della petizione per il commissariamento della sanità  lombarda che su change.org ha già  sfondato il muro delle 101.000 adesioni e sulla quale il ministro Speranza non ha spiegato le sue intenzioni

(da TPI)

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