Maggio 19th, 2023 Riccardo Fucile
AVANTI CON UN PIANO TUTTO ITALIANO E NO ALLE ARCHISTAR, SU CUI I “FRATELLI D’ITALIA” HANNO UNA SPECIE DI OSSESSIONE TIPICA DEL COMPLESSO DI INFERIORITA’
No alle archistar. Sì a un Ponte sullo Stretto di Messina con «un’identità culturale nazionale, europea e mediterranea». Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera e architetto, mette il timbro sul decreto Ponte, che ha ottenuto la fiducia a Montecitorio con grande soddisfazione del ministro alle Infrastrutture Matteo Salvini: «Si passa ai fatti dopo 50 anni di chiacchiere», aveva twittato il leader leghista.
«Al di là degli indispensabili requisiti statici – dichiara Rampelli che ha presentato un ordine del giorno al dl recepito con modifiche dal governo – e dell’impiego di tutte le più moderne tecnologie costruttive si sancisce quindi che l’opera diventi il simbolo del genio architettonico che ha strabiliato il mondo proprio partendo dalle conquiste strutturali e dalle soluzioni estetiche provenienti da quel quadrante geografico. L’indirizzo è quello di non fare copia e incolla di altri ponti e viadotti esistenti in ogni angolo del mondo, ma di creare un oggetto originale e ben inserito nel paesaggio e nella storia dei luoghi».
In attesa di capire meglio a chi e come sarà affidata la progettazione esecutiva, quali siano le dimensioni del “quadrante geografico” indicato da Rampelli e a quali conquiste strutturali e soluzioni estetiche si riferisca – acquedotti e ponti romani? Templi della Magna Grecia? – c’è da sottolineare che l’avversione di FdI per le cosiddette archistar arriva da lontano, dai tempi delle contestazioni delle scelte architettoniche e urbanistiche del centrosinistra nella Capitale.
Dalla vituperata Ara Pacis di Richard Meier catalogata a «pompa di benzina», alla Nuvola nel quartiere simbolo del razionalismo dell’Eur. Proprio sul cantiere di Fuksas, nel 2016, arrivò a protestare l’attuale premier Giorgia Meloni: «Sommata alle vele di Calatrava fa un miliardo di euro. Soldi che potevano essere spesi per risolvere il problema delle buche», denunciò in un video l’allora candidata al Campidoglio (non arrivò al ballottaggio, vinse la M5S Virginia Raggi).
Lo stesso Rampelli, intervenendo in Aula lo scorso marzo – si discuteva della commissione d’inchiesta sulle periferie –, definì archistar «quei luminari cui è stato consentito di progettare Scampia o Corviale, vivendo però a Posillipo o a piazza Navona in appartamenti lussuosi».
Tornando sullo Stretto, è stato il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano a evocare i criteri per la scelta dei progettisti.
«Ho parlato con loro, hanno il fuoco negli occhi», le parole del ministro dopo aver incontrato le giovani promesse del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia: «mi sono stati proposti nomi di architetti molto noti ma io ho detto: “Perché non lasciamo spazio ai giovani?”. E penso che si farà così».
Insomma, se davvero partirà nel 2024, il Ponte sarà firmato da giovani, italiani, e fortemente identitario. Chissà che non finisca per chiamarsi “Tricolore”, come ha auspicato il deputato di Noi Moderati Saverio Romano
(da La Repubblica)
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Maggio 19th, 2023 Riccardo Fucile
NOI AVREMMO ANCHE AGGIUNTO: “CI DICA DOVE SONO A SPALARE I SOVRANISTI, COSI’ ANDIAMO A SALUTARLI”
La risposta arriva dall’attivista bolognese Maria Letizia Ruello che contrattacca il presidente del Senato dopo la sua proposta sul processo per l’imbrattamento di palazzo Madama
«Siamo già in Emilia-Romagna a spalare il fango». Così, Maria Letizia Ruello, attivista di Ultima Generazione all’AdnKronos, risponde alle critiche del presidente del Senato, Ignazio La Russa, che aveva esortato il gruppo a recarsi come «volontari» e «per almeno una settimana» nella regione colpita dalla drammatica alluvione. «Stiamo tra le persone che stanno prestando soccorso. Comuni cittadini senza bandiere, non stiamo cercando visibilità», ha detto Ruello spiegando, inoltre, come «quello che sta accadendo in Emilia-Romagna ci ha colpito moltissimo, anche personalmente. Io – racconta la militante – abito vicino Senigallia, città interessata dall’allerta meteo». La seconda carica dello Stato ha inoltre promesso che convincerà il Senato a ritirare la costituzione di parte civile nei confronti degli ecoattivisti nel processo per l’imbrattamento di Palazzo Madama, qualora gli stessi decidessero di «spalare il fango e aiutare a eliminare i danni dell’alluvione».
Ma per Ruello si tratta di «un ricatto vigliacco. Chiamarci ragazzi – continua – è puro paternalismo: io ho 63 anni. La Russa ci dice: fate i bravi e vi toglierò la punizione».
E poi ancora: «Ultima generazione – ribadisce Ruello – è già in Emilia-Romagna ma non la vedete. Mio figlio si trova lì, a spalare. È uno dei tanti. Noi siamo una piccolissima avanguardia. Se 20 persone si siedono sull’asfalto del Gra per bloccare il traffico, ve ne accorgete. Se 20 persone vanno a spalare non ve ne accorgete», ha concluso.
(da agenzie)
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Maggio 19th, 2023 Riccardo Fucile
“IN CASO DI CONTROLLI DICI CHE TI SEI FERMATO UN’ORA IN PIU'”… STAGIONALI SFRUTTATI, I COLLOQUI CON TELECAMERA NASCOSTA
Tre euro all’ora, nessun giorno di riposo, pagamenti in nero e buste paga irregolari. Così si lavora nel settore del turismo sulla riviera romagnola. Lo documenta ilfattoquotidiano.it che è tornato a sostenere dei colloqui con la telecamera nascosta in Romagna, due anni dopo l’inchiesta a puntate sulle condizioni degli stagionali dell’estate 2021
La situazione però non sembra essere cambiata.
Alla vigilia dell’inizio della stagione, gli imprenditori del turismo sono alla continua ricerca di personale. Basta scorrere gli annunci sui gruppi social: aiuto cuoco, cameriere, bagnino, lavapiatti, barista.
Si fa fatica a trovarli e la colpa, secondo gli imprenditori, è del reddito di cittadinanza e della “gente che non ha più voglia di fare nulla”.
Ma quali sono le condizioni di lavoro offerte agli stagionali?
I colloqui del fattoquotidiano.it iniziano dal lungomare di Rimini. Nei gabbiotti dei lidi si cercano assistenti per la spiaggia. “Si parte alle 6.30 del mattino fino alle 12, poi due ore di riposo e alle 14 si riprende fino a chiusura”. Difficile contare le ore “perché la spiaggia non ha orari, se no vai a farti le 8 ore in fabbrica” ma si parte da un minimo di dieci al giorno, sette giorni su sette. La paga? “1400 euro, ma non sei in regola per tutte le ore”
Spostandosi sul lungomare, un altro stabilimento cerca un cameriere per il bar della spiaggia. “Nessun giorno di riposo, nove ore al giorno, ma sulla busta paga ne segniamo soltanto cinque”. Il resto fuori busta, in mano. Lo racconta anche un ex cameriera ai piani che la scorsa stagione ha lavorato in una struttura ricettiva della zona.
“Sulla busta paga avevo segnato un part-time, ma lavoravo a tempo pieno. Il resto dei soldi mi veniva dato in nero, naturalmente”.
Da queste parti sembra funzionare così. “Bisogna essere onesti, quelli che ti mettono in regola full time sono mosche bianche” racconta un ristoratore prima di presentare la sua offerta di lavoro. “Dalle 17 a chiusura, 7 su 7, per 1700 euro, ma in busta paga segniamo soltanto 1000-1100 euro”.
E se dovessero arrivare i controlli? “Metti che dovresti fare il turno 8-12 e arrivano alle 13: gli dici che stai facendo un’ora in più di extra, non è contestabile”. C’è una soluzione a tutto. “Oppure se ti trovano alla sera e tu eri segnato al mattino dici che hai fatto un cambio turno” aggiunge il suo socio.
Negli hotel il copione non sembra essere differente. “Cerchiamo un portiere notturno, dalle 21.30 alle 7 del mattino, 1500 euro quasi tutti in busta rimangono fuori 200 e 300 euro”. Ma se si ha bisogno dell’alloggio alla paga si sottraggono 15 euro al giorno, cioè 450 euro al mese. In tasca rimangono così poco più di mille euro per un lavoro notturno di quasi dieci ore, sette su sette.
Una condizione che Giuseppe (nome di fantasia) ha vissuto la scorsa stagione. “Ho fatto il portiere notturno, dalle 21.30 alle 8, sette su sette, lavorando per più di 300 ore al mese con uno stipendio reale di 1100 euro, in media poco più di 3 euro l’ora”. E non c’era la possibilità di ammalarsi.
“Da giugno a settembre, mi hanno fatto firmare 4 contratti da un mese in modo tale che se stavo male potevano lasciarmi a casa”.
Un altro ex-bagnino ha lavorato per 12-13 ore al giorno, 370 ore al mese, ma sulla busta paga erano segnate soltanto 159 ore. “Questa non è solo una perdita di contributi previdenziali e di giorni di futura di disoccupazione per il lavoratore, ma è un problema per tutto il sistema pensionistico italiano che si vede versare meno contributi” spiega Francesco Sbuglio, sindacalista di Slang-Usb che in questi anni ha portato avanti in tutta Italia la campagna Mai più sfruttamento stagionale per denunciare le condizioni di sfruttamento degli stagionali e per aiutarli nelle vertenze.
“Per un lavoratore singolo diventa difficile mettersi contro il datore di lavoro – spiega l’ex bagnino che si è affidato agli avvocati del sindacato – ma con il loro sostegno sono riuscito a recuperare buona parte dei contributi che mi spettavano e che non mi erano stati segnati sulla busta paga”. Gli interventi del sindacato sono aumentati nel corso degli ultimi mesi.
“Il turismo è ripartito dopo il Covid – aggiunge Sbuglio – ma le condizioni di lavoro non sono cambiate, anzi sono peggiorate”. E al futuro si guarda con grande preoccupazione. “L’abolizione del reddito di cittadinanza – prosegue il Sbuglio — rischia di mettere i lavoratori in una condizione di maggiore ricattabilità di fronte a offerte di lavoro indecenti”. La battaglia del sindacato punta a “mantenere questo strumento, anzi ad ampliarlo, e a introdurre un salario minimo che spinga la contrattazione al rialzo”
(da Il Fatto Quotidiano)
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Maggio 19th, 2023 Riccardo Fucile
FAVOREVOLE ALL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA SOLO IL 31%… CRITICHE DAI GIOVANI E PERSINO DALLE REGIONI SETTENTRIONALI
L’autonomia differenziata spacca il Paese. Anzi, si registra un prevalente sentimento negativo. Il 60% degli italiani, infatti, ritiene che con questa legge aumenterebbe il divario fra nord e sud, con punte del 70% fra i giovani e del 76% fra coloro che risiedono al Sud e nelle isole.
Ma ciò che spicca è che anche uno su due fra chi abita al nord la pensa così. Solo il 31% è convinto che saranno premiate le regioni virtuose, a prescindere dalla localizzazione geografica.
I fuorisede
Salito agli onori della cronaca per la protesta degli universitari in tenda, il dibattito sul caro affitti si è concentrato sugli studenti fuori sede. Ma il problema riguarda anche molte famiglie, se si pensa che il 38% degli affittuari paga tra 500 e 700 euro al mese ed un ulteriore 30% addirittura tra 700 e 900 euro mensili.
Questo vuol dire che per il 68% il canone di locazione vale più della metà del proprio stipendio. È un tema che pesa anche sulle scelte professionali e lavorative, il 30% degli intervistati asserisce, infatti, di aver rinunciato ad un’occasione di lavoro in un’altra città proprio per la sproporzione fra stipendio e fitto.
Non è certo migliore la situazione che ha portato i giovani alla protesta simbolica delle tende. Se si analizzano i costi delle stanze per studenti, il 64% dei fuorisede paga tra i 400 e 600 euro ed un ulteriore 22% tra i 600-800 euro. Insomma l’86% di chi fitta una stanza spende tra 400 e 800 euro, quanto il fitto medio di una casa.
Meloni, fiducia in calo
Lieve calo di fiducia nella Presidente del Consiglio Meloni che, perdendo due punti nell’ultimo mese, scende al 40%. Se non stupisce l’alto consenso fra gli elettori dei partiti che sostengono la maggioranza, in particolare all’interno di Forza Italia, risalta invece che circa un 1/3 dei votanti Renzi o Calenda approva l’operato della premier. Non è un dato da sottovalutare politicamente.
Per comprendere meglio il giudizio dei soli elettori FdI sulle azioni messe in atto dal governo, si è realizzato un approfondimento su coloro i quali esprimono il voto a favore del partito della Presidente Meloni.
Nel complesso, la quasi totalità valuta positivamente l’azione dell’esecutivo, ma interrogando gli elettori su più tematiche la percezione si diversifica. Sulle questioni interne, di politica economica, come lavoro e fisco, il giudizio di chi vota FdI è nettamente positivo.
Le maggiori divergenze invece si registrano sul tema dell’immigrazione e della politica estera. La netta direzione atlantista ed europeista che ha impresso la premier Meloni raccoglie alcune criticità all’interno dei suoi stessi elettori.
Solo il pieno sostegno all’Ucraina è approvato dal 57% dei votanti FDI, mentre non sfonda il 50% il consenso al sostegno degli Stati Uniti e all’Europa. Non è un dato da sottovalutare se si pensa che si tratta di una criticità che riguarda circa 1/3 degli elettori del partito e non su un singolo provvedimento, ma sull’intera impostazione in politica estera.
Probabilmente questo è dovuto al “cambio di rotta” che ha impresso la premier rispetto agli anni scorsi in cui era solo la leader di FdI all’opposizione. Si dovrà verificare nel tempo se tale valutazione critica possa pesare al punto da trasformarsi in disaffezione. Al momento emerge più una delusione che un abbandono del consenso.
(da La Repubblica)
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Maggio 19th, 2023 Riccardo Fucile
STORIE DI VIOLENZE INDICIBILI E DI UNA INDOMITA VOLONTA’ DI VIVERE
Tra le 26 persone soccorse in mare dalla nave Geo Barents giunta questa mattina al porto di Brindisi ci sono anche Omar, Ali e Fikru, tre ventenni che hanno raccontato al team di Medici senza frontiere la loro detenzione in Libia: “Non c’erano finestre, il nostro respiro creava vapore che ci gocciolava addosso. Era pieno di batteri e germi. Era così buio. Non sapevamo se fosse mattina o notte. L’unica luce che vedevamo – hanno riferito – era quando aprivano la porta per gettarci il cibo dentro, ma poi la richiudevano. Il momento più bello è stato quando hanno aperto quella porta e finalmente abbiamo potuto sentire un odore diverso da quello di marcio del posto in cui eravamo”.
Ali ricorda la traversata in mare. “Eravamo sulla barca da cinque ore – racconta – quando si è rotto il motore. I bambini piangevano, eravamo molto preoccupati per la famiglia che era con noi. Speravamo che qualcuno ci aiutasse. Quando abbiamo chiamato Alarm Phone ci hanno detto che presto avremmo avuto assistenza. Quando abbiamo visto la Geo Barents arrivare, abbiamo temuto che fosse la Guardia Costiera libica perché non riuscivamo a distinguerla in lontananza. Ma abbiamo sperato che chiunque fosse ci salvasse”.
“Avevamo perso la speranza – sottolinea – finché non abbiamo visto le barche veloci avvicinarsi. Era impossibile che la Guardia Costiera libica avesse quelle imbarcazioni. Quando abbiamo visto Msf, ci siamo sentiti di nuovo vivi”.
Fikru ora spera che la sua vita sia migliore. “Mio padre è molto malato – afferma – e non può lavorare. Voglio essere in grado di garantire a lui e a mio fratello minore una vita dignitosa”.
“Vi racconto l’inferno libico”
Ne scrive, con grande tatto, Fabio Greco per l’Agi: “Un mio amico aveva sognato ad occhi aperti di andare in Europa. Al mattino l’ho trovato morto e ho coperto il suo corpo”. È uno dei passaggi della testimonianza di Ochek (nome di fantasia) dall’inferno libico, attraversato prima di partire alla volta dell’Europa e di essere soccorso a dalla nave Geo Barents, diretta verso il porto di Ancona.
“Fino al giorno in cui non ho lasciato la Libia – racconta Ochek – ho subito torture e maltrattamenti e ho visto con i miei occhi persone picchiate e maltrattate. Sono stato torturato. Mi hanno legato le mani e bruciato con una sbarra di ferro ardente. Ho il petto pieno di cicatrici. Ci colpivano con il fucile o ci bruciavano il petto con metalli ardenti. Ci costringevano a chiamare la famiglia per chiedere aiuto, per mandare i soldi del riscatto”.
La fuga dall’Eritrea, la vita in Sudan
Ochek ha 21 anni ed è eritreo. “Quando avevo 4 anni – racconta all’equipaggio della nave, che riferisce la sua storia – mia madre ha deciso di andare in Sudan per salvarmi dal servizio militare. In Eritrea i bambini di 8 o 9 anni vengono arruolati nell’esercito. Un giorno il governo ha portato via mio padre e mia madre ha avuto paura che succedesse lo stesso a me. Ho vissuto in Sudan per circa 13 anni, ma da quando avevo 14 anni avrei voluto andarmene, non pensavo che sarebbe stato cosi’ tanto pericoloso. Pensavo sarebbe stato semplice arrivare in Libia e poi in Europa. In Sudan ho fatto diversi lavori, ho lavorato in un ristorante e in una miniera d’oro nelle montagne. Poi ho deciso di andare in Libia e lì le cose sono cambiate. Arrivo in Libia. Per andare in Libia ho pagato un intermediario”.
I trafficanti, le torture
“Lui mi aveva detto che avrebbe pagato il trafficante, ma il trafficante mi disse che non aveva ricevuto niente e così avrei dovuto pagare di nuovo o avrei dovuto lavorare per lui. Non avevo nessun parente in grado di mandarmi del denaro e sono stato costretto a lavorare per lui in una fattoria, con il bestiame. Non sempre mi trattava bene, così dopo 3 mesi sono fuggito. In Libia gli eritrei sono costretti a vivere nascosti. Dobbiamo rimanere in casa, raramente usciamo perché se ci vedono ci rapiscono per chiedere il riscatto. Ci chiedono di pagare in dollari perché credono che abbiamo parenti in Europa. Sono stato rapito due volte ma entrambe le volte sono riuscito a fuggire. Sono stato rinchiuso in una piccola stanza sovraffollata, con una finestra piccola. La mattina ci davano un pezzo di pane e c’era una tanica d’acqua desalinizzata, era amara. Dentro la stanza c’era un bagno e dormivamo su un fianco, uno attaccato all’altro per terra”.
“Eravamo – continua – 70/100 persone ma non c’era un limite di persone, i trafficanti continuavano a portare gente. Un giorno siamo riusciti a fuggire. Le guardie bevevano e fumavano fino all’alba così alle due di notte siamo riusciti a scappare. Io sono andato in un posto dove vivevano altri sudanesi e ho trovato lavoro. Devi essere fortunato, qualcuno ti paga altri no. Io sono riuscito a guadagnare abbastanza per pagare un trafficante. Mentre ci stavano trasferendo verso Tripoli, però, siamo stati arrestati e ci hanno imprigionato di nuovo in una stanza sovraffollata. Maltrattamenti, abusi, umiliazioni erano all’ordine del giorno. Era una milizia. Siamo rimasti lì per 15/20 giorni”.
“Di notte – continua Ocheck – ti puntavano una pistola alla testa, ti prendevano tutti i soldi e ti picchiavano. Sei costretto ad entrare in queste stanze dove ti fanno morire di fame. Se parli dei maltrattamenti ti picchiano ancora di più o sei costretto a rimanere lì per più tempo. Ci facevano mangiare pasta mischiata ai sonniferi e al mattino ti trovavi un morto accanto mentre quello dietro di te era stato torturato. In bagno trovavi chi si puliva le ferite mentre bevevi acqua amara vicino a lui. Quando mangiavi c’era chi ti vomitava accanto”.
La partenza, la traversata del Mediterraneo
Poi, finalmente, la partenza per l’Europa. “In mare – racconta Ocheck – il gommone si muoveva su e giù. Un uomo ha visto una barca di pescatori in lontananza e ha cominciato ad urlare che era la guardia costiera libica. Tutti sono stati presi dal panico, le persone vomitavano, avrebbero preferito morire in mare. Prima di prendere il mare, ci hanno rinchiuso tutti e 70 in una piccola stanza lontano dalla riva. Non puoi parlare, aprire la bocca o muoverti. Eravamo seduti uno accanto all’altro, molto stretti, poi uno per uno ci hanno portato in macchina, dove eravamo accatastati uno sopra l’altro. Ci hanno portato in un altro posto piu’ vicino alla riva, a pochi passi dalla spiaggia. La notte ci portavano fuori in gruppi di 10 persone. Ci hanno fatto portare il gommone e ce lo hanno fatto mettere in mare. Siamo saltati su e abbiamo pregato. Ci siamo affidati a Dio e siamo partiti”.
Le lacrime di Mariam
Le raccoglie e le racconta Katia Fitermann per Famiglia cristiana: “Abbassa lo sguardo per nascondermi le lacrime, Mariam (il nome è di fantasia per proteggere la sua identità) quando le chiedo la sua impressione sulla vicenda dei profughi salvati dalla nave Diociotti, della Guardia Costiera Italiana, da pochi giorni sbarcati a Catania dopo un calvario durato 11 giorni.
La giovane scuote la testa come se cercasse le parole, quelle che spesso muoiono in gola a chi conosce il dolore nelle sue più terribili espressioni e non sa come si possa difendere “a parole” la dignità della vita umana. Sa che in quella nave c’erano, tra i 177 profughi, 28 minori e 12 ragazze, tutti sfuggiti all’inferno dei campi di concentramento libici. Lei, nei suoi 20 anni da poco compiuti, sa tutto e proprio per questo non riesce ad esprimersi. L’orrore e la tristezza li dovrò cogliere nei suoi occhi lucidi, profondi, quanto la sofferenza di queste persone.
“Non hai idea di quanto ho sofferto in Libia!”, racconta con la voce spezzata. Loro, loro che decidono su di noi non sanno niente davvero su cosa accade lì, ancora di più alle ragazze e ai bambini.”
Non si può mai capire la sofferenza delle persone senza averla vissuta sulla propria pelle.
“Sono arrivata in Libia che avevo soltanto 12 anni. In Etiopia ero una bambina brava, aiutavo mia madre nelle facendo domestiche e mi prendevo cura anche dei miei fratellini. Ero la figlia maggiore dei miei genitori e quando la situazione in Etiopia diventò davvero insopportabile, mio padre e mia madre hanno accettato la proposta di farmi portare via da una persona conosciuta in un altro luogo, per lavorare a casa di una famiglia come domestica. In cambio avrebbero aiutato me e i miei. Ma in casa di quelle persone non sono mai arrivata. Sono stata rapita e portata in Libia e venduta come schiava. E così, per otto terribili anni, ho conosciuto tutto il male di questo mondo. Ho conosciuto l’inferno”, racconta.
La ragazza mi racconta cose inimmaginabili, come la storia del bimbo nato in prigione, mentre i miliziani libici stavano uccidendo sua madre perché si lamentava delle doglie del parto. Quel piccolo che stava venendo al mondo nel momento stesso in cui la ragazza stava per morire sotto i colpi dei loro carnefici e l’ordine privo di qualsiasi umanità, imposto alle altre recluse, di “sbarazzarsi dei corpi di entrambi” anche se il piccolo era già quasi nato e infine “di pulire il sangue sul pavimento”.
“Segnavo la lista dei nomi dei morti, tra uomini, donne, bambini. Era così che passavo il tempo dentro la prigione. Siccome spesso non riuscivo nemmeno a sapere il loro nome, allora nella mia mente li davo un nome io. La lista dei morti non finiva mai…”
Le violenze sulle donne, nei campi di concentramento libici, sono difficili di raccontare, come mi spiega un’altra giovane, che chiamerò Kibra, proveniente dall’Eritrea, mentre raccolgo la sua storia:
“Avevo una gamba rotta, avevo la febbre a causa della frattura e delle ferite, ma mi violentavano lo stesso. Anche nelle condizioni precarie in cui mi trovavo, ferita e sporca
(da Globalist)
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Maggio 19th, 2023 Riccardo Fucile
IL “CHURCHILL DEI PARIOLI” È A CACCIA DI UN SENATORE CHE ACCETTI DI ENTRARE E GLI SALVI IL GRUPPO. OCCHI PUNTATI SU DAFNE MUSOLINO E I SICULI DI CATENO DE LUCA
Le famose «praterie» (quelle che si aprirebbero ad un terzo polo centrista e riformista grazie al neo-bipolarismo tra destra meloniana e sinistra schleiniana) possono attendere.
Del resto tutti coloro che conoscono da vicino i dioscuri terzopolisti, Matteo Renzi e Carlo Calenda, avevano previsto che i due sarebbero presto finiti come i duellanti di «Highlander», al grido di «Ne resterà soltanto uno».
Ci sono due Calenda, uno che mi attacca con le stesse argomentazioni dei grillini e l’altro che dice che sono stato il miglior presidente del Consiglio: mi pare un problema suo più che mio». Il redde rationem avrebbe dovuto svolgersi domani, nell’assemblea dei senatori terzopolisti (cui appartengono sia Renzi che Calenda) convocata dalla presidente Raffaella Paita: una pistola carica messa sul tavolo dai renziani, che hanno i numeri per fare gruppo a sé e mandare i calendiani nel Misto, con conseguenze pesanti in termini sia di peso politico che di finanziamenti.
Ma alla fine la riunione è stata rinviata a lunedì, perché Calenda ha fatto sapere che lui e altri parlamentari non ci sarebbero stati, causa emergenza in Emilia Romagna: «Si facciano la riunione tra loro, in questo momento di emergenza abbiamo altro cui pensare».
Ovvio, c’è la tragedia nazionale dell’alluvione, e proprio dall’Emilia Romagna provengono parlamentari importanti del Terzo Polo, a cominciare dal capogruppo alla Camera Matteo Richetti. Ma c’è anche il fattore tempo a pesare: Calenda, raccontano a Palazzo Madama, «è a caccia di un senatore che accetti di entrare e gli salvi il gruppo», per disinnescare l’arma-fine-di-mondo di Matteo.
E l’operazione non può essere fatta in 24 ore. Per ora i potenziali salvatori della patria calendiana smentiscono di essere disponibili: «È solo un gossip che si commenta da solo», taglia corto la centrista in orbita Pd Beatrice Lorenzin. Negano offesi anche gli «autonomisti» siciliani del folkloristico Cateno De Luca, che spiega con sussiego: «Leggo che Calenda sarebbe alla ricerca di senatori per fare il suo gruppo al Senato e starebbe corteggiando la nostra senatrice Dafne Musolino.
Voglio essere molto chiaro: non siamo dei “tappabuchi”. Dialoghiamo solo con chi ha in mente progetti politici seri che ci consentano di valorizzare il nostro brand». Bisogna vedere se da qui a lunedì Calenda sarà in grado di convincere Cateno di poter «valorizzare» il suo «brand», dando a Dafne (che certo non può essere considerata una «tappabuchi») il rilievo che merita. Ma da Azione negano spazientiti che sia in corso uno scouting tra i siculi di Cateno. Di certo però il leader di Azione vuol evitare a ogni costo lo smacco di finire nel gruppo Misto, e al Senato la caccia è in corso.
(da il Giornale)
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Maggio 19th, 2023 Riccardo Fucile
I NEO PARLAMENTARI DOVRANNO VERSARE ALLA COLLETTIVITÀ SOLO 500 EURO DEI LORO STIPENDI. IL RESTO È DESTINATO AL PARTITO
I neo parlamentari del M5s non hanno ancora versato un euro al partito e nemmeno la quota, sempre più piccola, destinata alla collettività. Strano, ma vero. Tutta colpa del burocratico meccanismo che regola la vita della creatura di Giuseppe Conte. Per una questione legata al rimpallo fra l’organismo di garanzia e il capo politico, il nuovo regolamento non è stato ancora applicato. E così da quando è iniziata la nuova legislatura le truppe pentastellate si godono lo stipendio per intero senza dover sottostare al cespuglioso mondo delle restituzioni. Una volta marchio di fabbrica della presunta diversità del M5s, l’unico partito che si tagliava lo stipendio per donarlo agli italiani bisognosi.
Da ottobre si è deciso di nuovo di cambiare. I parlamentari sono obbligati a tagliarsi dallo stipendio tutti i mesi 2.500 euro. Tuttavia di questa cifra solo un quinto, cinquecento euro, sarà girato alla collettività. Il resto, cioè il grosso, è destinato alle casse del partito alle prese con costi fissi altissimi. Non tanto per la sede, ma soprattutto per il personale. A fronte di 52 deputati e 28 senatori, moltissimi ex non più ricandidabili per via della regola del secondo mandato sono rimasti sul groppone del M5s. Stipendiati dai gruppi parlamentari, infilati come assistenti nelle varie commissioni, negli uffici legislativi, nelle segreterie.
Tutta colpa delle percentuali raggiunte alle ultime politiche (15 per cento) e del taglio dei parlamentari. Ricordate i flash mob con i maxi assegni e tutti i parlamentari sorridenti dietro per la foto social di rito? Altri tempi. Con il passare del tempo la “quota gentismo” si è sempre più rimpicciolita. Si è passati da 1.500 a 1.000 euro fino adesso a cinquecento.
Per via del cervellotico statuto contiano le nuove regole non sono state ancora applicate. E così capita di incontrare parlamentari al primo mandato abbastanza sollevati. Sanno che dovranno pagare tutti insieme gli arretrati, ma per il momento si godono lo stipendio pieno.
Altri i primi premurosi hanno accantonato i soldi che prima o poi dovranno dare indietro in un fondo quotato in borsa: bloccano lì venti o trentamila euro e intanto percepiscono gli interessi del loro investimento e quando Conte batterà cassa ci avranno comunque un po’ guadagnato.
I parlamentari alla seconda legislatura invece continuano a versare con la vecchia norma (1.500 più 1.000) e si preparano a conguagli. Anche se c’è ancora una quota furbi che è indietro. Tuttavia non essendoci più un sito dove vedere le rendicontazioni tutto è gestito con trattativa privata […]. Come si cambia. Dal pauperismo alla normalizzazione. Neanche Conte finora ha restituito un euro, racconta un collaboratore dell’ex premier. “In attesa che entri a regime il nuovo sistema”
Ma perché è tutto bloccato? Da una parte è colpa del rimpallo fra il comitato di garanzia (Roberto Fico, Laura Bottici, Virginia Raggi con l’ex sindaca che fa opposizione interna: ha votato contro le nuove regole per la restituzione e intanto è in tour per l’Italia a promuovere un progetto sulle donne) e dall’altra dalla trattativa sotterranea messa in campo da Vito Crimi.
L’ex reggente ed ex parlamentare sta trattando con i vari consigli regionali per cercare di uniformare la cifra da restituire al partito. I deputati dell’Ars per esempio danno indietro in tutto meno di mille euro a fronte di uno stipendio praticamente uguale a quello degli eletti a Montecitorio e a Palazzo Madama. Insomma, il buio oltre gli scontrini. Cosa ne pensa Beppe Grillo?
(da agenzie)
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Maggio 19th, 2023 Riccardo Fucile
NUMERI RISICATI DELLA COALIZIONE, INCARICHI PLURIMI E COMMISSIONI IN BILICO
Forse per miracolo, o per non fare altre figuracce dopo l’articolo del Fatto, in Commissione Politiche europee ieri i senatori della maggioranza erano tutti presenti. Non ne mancava nemmeno uno. In compenso, a uscire sono stati quelli dell’opposizione in protesta per la presenza, in rappresentanza del governo, del sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, contro cui la sinistra sta portando avanti il suo personale Aventino dopo la vicenda Cospito, con le rivelazioni coperte da segreto spifferate da Delmastro a Giovanni Donzelli e poi rivelate da quest’ultimo nell’aula di Montecitorio.
La magra figura in Commissione Politiche Ue è di due giorni fa, quando i senatori del centrodestra si sono opposti in tutte le maniere alla proposta di voto su un paio di questioni perché erano solo in 4, contro 7 della maggioranza. E sarebbero andati sotto.
“Ma quel giorno non erano previste votazioni. Se poi si vogliono fare a sorpresa per metterci in difficoltà, allora è un’altra storia. Quando si vota i nostri ci sono sempre”, sostiene Lucio Malan, capogruppo FdI a Palazzo Madama. Sottolineando poi come “la maggioranza in Senato non è mai andata sotto né in aula, né in commissione”. Vero, e infatti il noto tracollo sul Def è andato in scena alla Camera. “Però l’aula e le commissioni sono sovrane: anche se il tal giorno non sono previste votazioni, se la maggioranza dei presenti chiede di votare, allora si vota…”, fa notare il dem Filippo Sensi. Ieri, poi, nonostante le assenze dell’opposizione, la commissione ha votato e respinto la direttiva green dell’Ue sull’autotrasporto.
Ma torniamo ai numeri. Perché se è vero che il centrodestra a Palazzo Madama non ha ancora subìto scivoloni, lo si deve soprattutto alle assenze della minoranza. Su questo è utile leggere uno studio di Openpolis secondo cui in 8 votazioni le assenze nel centrosinistra hanno salvato la maggioranza in aula. Ricordiamo che il governo di Giorgia Meloni a Palazzo Madama può contare su 115 voti su 206 (compresi i senatori a vita). Ventiquattro voti di vantaggio che si sono ridotti anche a soli 12-13 nelle giornate peggiori. Secondo Openpolis, la maggioranza in Senato si è salvata grazie alle assenze degli avversari sul decreto Impianti strategici (8 assenti e 9 in missione nell’opposizione), sul dl Flussi (7 assenti, 12 in missione), sul Milleproroghe (6 assenti, 7 in missione), sul Riordino dei ministeri (8 assenti, 7 in missione) e sul famoso dl Rave (3 assenti, 6 in missione). Lo stesso è accaduto alla Camera, dove la maggioranza è più ampia, sul dl Aiuti quater (22 assenti e 9 in missione nell’opposizione), sugli Impianti strategici (28 assenti, 13 in missione) e Riordino ministeri (21 assenti, 4 in missione). Altro dato: 16,75 è la media dei parlamentari di opposizione assenti durante 12 votazioni considerate critiche (con una distanza sotto i 20 voti di scarto). Con compartimenti più stagni, le minoranze avrebbero potuto fare più male all’esecutivo.
E qui torniamo alle commissioni di Palazzo Madama. Dove il centrodestra non è in difficoltà solo alle Politiche Ue. Alle Finanze, dove conta 10 senatori, non ha praticamente maggioranza, mentre solo un voto di scarto vanta alla Cultura. Per il resto sono al massimo due (12 su 20), ma solo sulla carta, perché dopo il taglio dei parlamentari, i senatori devono saltare da una commissione all’altra, facendo assenze a raffica. Il forzista Claudio Lotito, per esempio, si divide tra Bilancio, Tesoro e commissione contro il razzismo. Mario Occhiuto, altro forzista, sta alla Affari costituzionali e alla Cultura. Filippo Melchiorre (FdI) si divide tra Finanze e Cultura. Molto impegnato anche Roberto Rossi (FI) tra Cultura, Ambiente e Vigilanza Rai. Il leghista Giorgio Bergesio è vicepresidente all’Industria, in Vigilanza Rai e all’antirazzismo. Il leghista Claudio Borghi è alle Politiche Ue, Bilancio e al Copasir. Andrea De Priamo (Fdi) alla Aff. Cost. e all’Ambiente. Giampietro Maffoni (FdI) è impegnato nella Finanze e Industria. E così via. Senza dimenticare che ministri, vice e sottosegretari fanno tutti parte di una commissione spesso importante. Un esempio per tutti: Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario alla presidenza, è anche alla Commissione Esteri di Palazzo Madama.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Maggio 19th, 2023 Riccardo Fucile
“LEI HA UN NOME STRANIERO, NON PUO’ VISITARE L’APPARTAMENTO”
Vittima di discriminazione durante la ricerca di un’abitazione: è quello che è accaduto a Padova ad una cittadina italiana con genitori tunisini, che si è imbattuta nell’annuncio di un’agenzia immobiliare dichiaratamente precluso a persone straniere.
A denunciarlo il sindaco di Padova, Sergio Giordani, che ha augurato alla donna di “costruire felicemente qui la propria vita e di sentirsi presto davvero una di noi”.
“Ricevo ogni settimana – denuncia Giordani – molti messaggi e mail di ogni genere: quella che ho letto ieri però mi ha davvero amareggiato molto, perché racconta di una Padova che non è la città che io desidero e che certamente la maggior parte dei padovani vuole”.
La donna, nata e cresciuta a Reggio Emilia, si è spostata a Venezia nel 2012, dove nel 2018 ha conseguito una laurea magistrale ed è dipendente dell’Università padovana.
“Ha visto l’annuncio di un’agenzia immobiliare – ha raccontato il primo cittadino – per un appartamento che poteva fare al caso suo, ha fissato un appuntamento presso l’ufficio dell’agenzia e piena di speranza si è presentata. Ma appena ha mostrato il suo documento è stata gelata da una frase inqualificabile e discriminatoria: lei ha un nome straniero, per cui non può far parte della lista delle persone che possono anche solo visitare l’appartamento.
A nulla è servito farle notare che lei è italiana, italianissima, che ha un lavoro sicuro a tempo indeterminato. Il marchio della diversità è avere un nome e un cognome stranieri, perché i suoi genitori sono tunisini. E a quanto pare – aggiunge – non è la prima volta che accade”.
Esprimendo la sua solidarietà “come sindaco e come padre, anche a nome di tutti i padovani per bene”, Giordani commenta che “queste cose accadevano in Alabama negli anni ’50 del secolo scorso, e non sono degne di una città civile ed inclusiva quale è Padova, con una Università che da otto secoli è simbolo di libertà e accoglienza. Quanto accaduto va chiamato con il proprio nome: razzismo. Sono certo che anche i rappresentanti delle agenzie immobiliari della nostra città si esprimeranno in modo netto condannando – conclude – questo atto discriminatorio”.
(da agenzie)
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