Maggio 15th, 2023 Riccardo Fucile
DALLA RATIFICA DEL MES (SE L’ITALIA NON FIRMA, L’UE CHIUDE I RUBINETTI) AL PNRR IN PANNE, DALLA QUESTIONE BALNEARI ALLA CINESE VIA DELLA SETA FINO ALLA STRATEGIA VERSUS MACRON & SCHOLZ IN VISTA DELLE EUROPEE
Sfogliando i principali quotidiani italiani, sdbirciando talk e telegiornali, si ha l’illusione che gli ostacoli e i problemi del governo Meloni siano legati alle riforme istituzionali, al presidenzialismo, al contratto Rai di Fabio Fazio, alle beghe della famiglia Meloni-Paratore, etc. Tutte questioni, in realtà, che rappresentano una formidabile arma di distrazione di massa rispetto a tutti i veri nodi che Palazzo Chigi dovrà sciogliere di qui ai prossimi mesi.
In barba a Mantovano, gran ispiratore delle riforme istituzionali, la questione principale che pende sulla testolina bionda della “Regina della Garbatella” è il rapporto con l’Unione europea.
Stasera la premier decolla in direzione Islanda per il vertice organizzato a Reykjavik dal consiglio d’Europa (organizzazione estranea all’Ue, diversa dal Consiglio europeo), per discutere di Ucraina, e mercoledì volerà al G7 di Hiroshima, in Giappone: si tratta di due appuntamenti decisivi nei quali andrà definita la sua futura azione di governo.
Come già accaduto per Giorgetti a Tokyo, anche Giorgia Meloni, in Islanda e poi in Giappone, riceverà enormi pressioni per la firma del Mes.
Il Meccanismo Europeo di Stabilità, agli occhi di Bruxelles, è ineludibile e non può essere oggetto di trattativa, come invece ha provato a fare l’Italia invocando maggiori concessioni sulla riforma del patto di stabilità, in cambio della ratifica del fondo salva stati.
A chiarire il concetto sulla necessità di ratificare il Mes senza ulteriori indugi, è arrivata la dichiarazione del commissario europeo all’economia, Paolo Gentiloni, che riferendosi al pagamento della terza rata del Pnrr all’Italia, che aveva assicurato entro aprile nelle casse dello Stato, ha evocato fantomatici “ritardi tecnici nell’erogazione”. Un evidente controricatto dell’Europa all’Italia: della serie, o approvate il Mes o cominciamo a chiudere i rubinetti. Uno scenaro catacombale per un Paese che ha 2.790 miliardi di euro di debito pubblico.
Altra questione che genera conflitto fra il governo Meloni e l’Europa è quella legata alle concessioni balneari. Un enorme problema politico visto che Forza Italia e Lega, che hanno invocato la mappatura delle spiagge, a dispetto di Fratelli d’Italia, non vogliono procedere con i bandi di gara, come richiesto dalla Commissione.
L’Ue ci scruta con attenzione anche sulla “messa a terra” del Pnrr. Il ministro Raffaele Fitto è in grande difficoltà, a un passo dal tilt mentale: ha davanti a sé un lavoro titanico, pieno di ostacoli burocratici, e vede la sua “macchina” ministeriale piuttosto ingolfata, anche perché gli uffici del Ministero dell’Economia, invece di aiutarlo, lo boicottano.
Una conseguenza prevedibile, dopo lo sconsiderato spostamento della cabina di regia, immaginata da Draghi e dall’ex ministro Daniele Franco, dal Mef a Palazzo Chigi – la destra di governo considera il Mef e gran parte degli apparati di Stato, un ”covo di comunisti”.
Lo strappo con il Deep state, che ha causato uno slittamento di sei mesi dei lavori sui progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza, non è, purtroppo, isolato, visto che il ministro dell’Economia, Giorgetti, stanco di ripetuti “No!”, vorrebbe sostituire il ragioniere generale dello Stato, Biagio Mazzotta, considerato dagli alti papaveri del Mef assolutamente fondamentale, con uno più malleabile.
E così, dopo la cacciata del direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera, sull’ottimo Mazzotta si consumerà una nuova guerra con i più importanti dirigenti di via XX Settembre, ossatura principale del Deep state.
Ad agitare gli Europoteri c’è anche il legittimo piano politico immaginato da Giorgia Meloni. Lo spostamento a destra della maggioranza al Parlamento Ue, con un’alleanza tra PPE e Conservatori, crea preoccupazione nel salotto buono d’Europa, fa tremare i socialisti di Scholz e ha creato il panico tra i liberali di Macron, che temono di veder crollare la tradizionale alleanza PPE-S&D, basata anche sull’asse Parigi-Berlino, che ha prodotto la “maggioranza Ursula”.
Per realizzare il suo piano, Giorgia Meloni dovrà non solo raccogliere molti voti alle Europee del 2024, ma anche definire con astuzia le sue alleanze e gettare in mare le zavorre del passato.
La strizzata d’occhio al presidente del Ppe, Manfred Weber, attraverso il suo storico amico Antonio Tajani, non è sufficiente per Fratelli d’Italia: prima di abbracciare i popolari, la Ducetta dovrà liberarsi di un ingombrante alleato come Vox, l’ultradestra spagnola da sempre molto critica nei confronti di Bruxelles.
Sul tavolo c’è anche il controverso rapporto tra Roma e Pechino. Nonostante la cazzata del ministro al semolino Giorgetti, che sostiene che “una valutazione di questo tipo strategico si impone non soltanto per l’Italia ma per tutti i Paesi del G7”, la verità è che l’unico Paese che ha firmato un protocollo così stringente con la Cina è l’Italia.
E poiché si tratta di una partnership strutturale e non di un semplice rapporto commerciale, l’Europa, e soprattutto gli Stati Uniti (Biden lo farà presente alla Meloni al G7 in Giappone) si aspettano che l’Italia dica addio alla Via della Seta ben prima di dicembre, termine ultimo previsto per la proroga.
“Io sono Giorgia” ha provato a temporeggiare, sostenendo che decisioni così delicate richiedano tempo, ma nessuno, a Bruxelles e a Washington, sembra disposto a concederne altro.
Visto che i problemi non arrivano mai da soli, ma s’accompagnano a braccetto, a Palazzo Chigi iniziano a tremare le vene e i polsi in vista della data fatale per i destini d’Italia: il 19 maggio l’agenzia di rating Moody’s, già molto critica nei confronti dell’Italia e dei suoi conti pubblici, esprimerà un importante giudizio sulla solidità del sistema tricolore.
Il famigerato “rischio Italia”, di cui i principali quotidiani si occupano molto poco, putroppo esiste eccome, e all’estero è ben percepito.
Dopo la decisione della Bce di tagliare del 65% gli acquisti dei nostri Btp, molte banche d’affari come Goldman Sachs e Citibank, hanno consigliato ai loro investitori di stare “corti” sui nostri titoli. Un taglio ai Btp che anche importanti banche e grosse aziende italiame non hanno perso tempo a fare.
E se anche Moody’s, che ha minacciato di declassare il nostro debito a “spazzatura”, desse una randellata al rating italiano, torneremmo ai manifesti del Ventennio in cui si chiede ai cittadini di dare “l’oro alla Patria”. E ci siamo quasi arrivati, vista la creazione del Btp Valore, uno strumento dedicato ai piccoli risparmiatori proprio per racimolare denaro anche dalle nonne di provincia.
Quale possa essere l’impatto sul governo italiano dei ceffoni di agenzie di rating e investitori internazionali, è noto a tutti: basta ricordare cosa avvenne nel 2011 quando il governo Berlusconi fu accompagnato all’uscita dalla famigerata “tempesta dello spread”.
In caso di assedio dei mercati, anche le stime sul Pil dell’Italia, dato in crescita nel 2023 dell’1,2%, oltre le stime precedenti, potrebbero rivelarsi vane, con una clamorosa inversione di tendenza nel 2024.
La ciliegina sulla torta dei problemi è il controverso rapporto di Giorgia Meloni con Matteo Salvini. Tra i due, alleati per necessità, non scorre buon sangue, né grande stima reciproca, tant’è che Salvini oggi è considerato l’unico in grado di fare opposizione a Donna Giorgia.
L’agonismo politico tra i due ha raggiunto vette persino comiche, al punto da spingere ieri il “Capitone” a correre in ospedale da Berlusconi per non essere oscurato dalla visita della Meloni al San Raffaele.
Un testa a testa che rimbalza, dall’autonomia al presidenzialismo, dalle grandi opere alle nomine nelle partecipate, dalla guerra in Ucraina alla collocazione europea, fino ad arrivare alla Rai. Lo slittamento delle nomine dei direttori dei Tg è dovuto all’incazzatura della Lega, che reclama un telegiornale di rilievo nazionale, visto che ha solo Tgr, cioè i i tg regionali mentre Fdi si prenderà il Tg1 con Chiocci e Forza Italia il Tg2 con Preziosi.
A gettare nuova benzina sul già complesso rapporto tra i due, ci penseranno anche i risultati elettorali della tornata amministrativa di ieri e oggi: i voti alle singole liste, con vittorie e sconfitte in città anche importanti come Brescia, Vicenza, Siena e Pisa, darà la misura del peso elettorale dei singoli partiti e della bontà delle strategie dei leader.
Salvini capirà se la sua svolta moderata e governista ha portato risultati. Se così non fosse, l’imminente corsa verso le Europee del 2024 potrebbe segnare un drastico cambio di rotta.
(da Dagospia)
argomento: Politica | Commenta »
Maggio 15th, 2023 Riccardo Fucile
I NOMI SONO ANCORA SEGRETATI MA GLI INDIZI PORTANO SIA AL GENERALE HAFTAR E ALL’ATTUALE GOVERNO DI TRIPOLI CHE ALLA GUARDIA COSTIERA CHE L’ITALIA FINANZIA
I nomi sono ancora secretati. Ma tutti gli indizi portano al generale che il governo securista italiano ha innalzato a interlocutore affidabile per la stabilizzazione della Libia e “gendarme del Mediterraneo: Khalifa Haftar.
Ne scrive su Avvenire uno che conosce la Libia come le proprie tasche: Nello Scavo. «Posso annunciare oggi che i giudici indipendenti della Corte penale internazionale hanno emesso i quattro mandati d’arresto». Le parole del procuratore internazionale Karim Khan segnano un salto in avanti nelle inchieste per crimini contro i diritti umani in Libia. I mandati sono coperti dal segreto allo scopo di proteggere le operazioni investigative che potrebbero portare alla cattura dei ricercati. Ai quattro ordini di cattura convalidati se ne aggiungono altri due chiesti nelle ultime ore e sottoposti al vaglio dei giudici. Gli indagati – rimarca Scavo – provengono sia da forze affiliate al governo di Tripoli che da milizie legate al generale Haftar, che controlla la Cirenaica fino al confine meridionale con il Sudan.
Nei mesi scorsi Avvenire aveva rivelato la richiesta d’arresto firmata dalla Procura internazionale, in attesa del vaglio dei giudici. Ma ieri è arrivato il via libera. A quanto trapela, i destinatari sono nomi noti ai governi europei e a quello italiano, anche per aver cooperato con alcuni gruppi criminali coinvolti nel traffico di esseri umani, petrolio e droga.
Il rapporto della procura internazionale, pur senza rivelare i nomi degli indagati, circoscrive con precisione i reati per i quali sono perseguiti e conferma come i crimini siano ancora in corso.
Sono compresi i crimini commessi a partire dal 2011, dal momento dell’esplosione del conflitto interno al momento della caduta del colonnello Gheddafi fino alle violazioni dei diritti umani «contro libici e non libici che continuano a essere commessi nei centri di detenzione» di tutto il Paese.
«I crimini contro i migranti continuano a essere diffusi e numerosi in Libia», si legge. Già dal settembre 2022 l‘ufficio del procuratore si era unito a una «squadra congiunta» che indaga «sui principali sospetti responsabili di crimini contro i migranti, tra cui la tratta di esseri umani, il contrabbando di esseri umani, la riduzione in schiavitù, la tortura e l’estorsione».
Inizialmente la Corte penale internazionale era stata incaricata dal Consiglio di sicurezza per i soli “crimini di guerra”, ma nei mesi scorsi il procuratore Khan è riuscito a dimostrare che «i crimini contro i migranti in Libia possono costituire crimini contro l’umanità e crimini di guerra». In altre parole, lo sfruttamento degli esseri umani e gli abusi commessi contro le persone sono in connessione diretta con i crimini di guerra poiché a gestire la filiera del traffico di esseri umani sono le milizie nel frattempo inglobate nelle istituzioni ufficiali, che vanno dalla cosiddetta guardia costiera al Dipartimento contro l’immigrazione illegale.
«È un obbligo collettivo garantire che i responsabili di tali crimini siano chiamati a risponderne», ha sottolineato il procuratore Khan.
Uno dei primi risultati della “squadra congiunta” di cui fa parte la Cpi è stato l’arresto di Tewelde Goitom, noto anche come Amanuel Gebreyesus Negahs Walid, estradato dall’Etiopia nei Paesi Bassi, dove sta affrontando un procedimento penale condotto dalla giustizia olandese. Durante l’udienza preliminare, i pubblici ministeri locali «hanno mostrato come diverse famiglie olandesi (di origine subsahariana, ndr) hanno ricevuto telefonate da loro parenti nei campi e nelle strutture di detenzione gestiti da alcuni dei sospettati, mentre i loro congiunti li imploravano di inviare denaro e in sottofondo si sentivano le urla delle vittime di tortura».
Allo sviluppo delle indagini internazionali hanno contribuito anche inquirenti dei Paesi Bassi, Italia e Regno Unito, «dimostrando la loro determinazione a garantire la responsabilità per i crimini gravi», dice Khan.
Gli investigatori coordinati dalla procura internazionale «hanno incontrato testimoni che hanno confermato – si legge nel dossier investigativo – la violenza diffusa e sistematica contro i migranti, tra cui torture, stupri e riduzione in schiavitù». Nel suo intervento davanti al Consiglio di sicurezza il capo della procura internazionale ha parlato di «esecrabile spirale di violenza», ricordando come «le violazioni dei diritti umani contro i migranti e i richiedenti asilo contro i migranti e i richiedenti asilo continuano impunemente».
(da Globalist)
argomento: Politica | Commenta »
Maggio 15th, 2023 Riccardo Fucile
CALA A PICCO IL “GRADIMENTO” NEI CONFRONTI DELLA FRANCIA E CON LA GUERRA GLI USA SONO TORNATI A ESSERE UN PUNTO DI RIFERIMENTO PER GLI ITALIANI
La “politica estera” è divenuta, sempre più, “politica interna”. Motivo di polemica e divisione. È inevitabile, viste le tensioni prodotte e riprodotte da conflitti e, ovviamente, guerre che, da tempo, agitano “il mondo intorno a noi”. Non lontano dai nostri confini. Come in Ucraina, ovviamente. Come ha “testimoniato” il Presidente Volodymyr Zelensky, nel suo viaggio in Europa, che lo ha condotto, nei giorni scorsi, in Italia.
Così, lo “sguardo geopolitico” degli italiani cambia. Condizionato dal “vento degli eventi”, che soffia (non solo) su di noi. Come dimostra il sentimento verso i Paesi stranieri, rilevato da un recente sondaggio di Demos. Va chiarito che, rispetto alle indagini degli ultimi anni, non si osservano mutamenti improvvisi e profondi. Ma, piuttosto, variazioni dei punti di vista. Limitate e, tuttavia, significative.
La fiducia e l’empatia verso l’Ucraina, anzitutto, sembrano raffreddarsi, anche se di poco. Mentre è risalita, in misura altrettanto limitata, la fiducia verso la Russia. E ciò contribuisce a chiarire le ragioni del viaggio europeo di Zelensky, che, in Italia, ha incontrato le più importanti autorità religiose e politiche.
Un modo di rafforzare i rapporti necessari all’Ucraina. Sul piano degli aiuti “materiali”. E dell’opinione pubblica. Non meno importante, per l’andamento della guerra. Va sottolineato, infatti, che, nella “guerra dell’opinione pubblica”, l’Ucraina – sostenuta dal 36% degli italiani – sovrasta la Russia – appoggiata dall’11%.
Oltre i “confini della guerra”, appare significativo il grado di fiducia riconosciuto alla Germania. E, per ragioni inverse, alla Francia, che vede scendere il consenso fra gli italiani, in misura significativa. Nell’ultimo anno, dal 39% al 35%. D’altronde, le occasioni di contrasto fra i due Paesi, dopo l’insediamento del governo guidato da Giorgia Meloni, si sono ripetute.
Per questa ragione, la Francia torna ad apparire, agli italiani, più “lontana”, sul piano della fiducia, per quanto “vicina”, geograficamente. O, forse, anche per questo. Perché i rapporti fra “cugini” (come vengono definiti italiani e francesi) sono sempre complicati.
Se allarghiamo l’orizzonte geo-politico ad altri Paesi, considerati dal sondaggio di Demos, è interessante osservare come, agli occhi dei cittadini, le distanze geografiche contino in misura relativa. Cina e Ungheria, in particolare, sono percepite egualmente “lontane”, dagli italiani. Mentre gli USA hanno riacquistato fiducia, come non avveniva da molti anni.
Lo sguardo sui diversi Paesi considerati – europei e oltre – è “orientato” anche da altre ragioni. In particolare, “l’orientamento politico”, che riflette logiche antiche e recenti, messe, relativamente, in ombra, dalla “frattura” provocata dalla guerra.
La simpatia per la Russia, in particolare, pur mantenendosi limitata, cresce (un poco) fra gli elettori della Lega e di Forza Italia. Riflesso del legame fra i leader, Salvini e Berlusconi, con Putin. Il capo di un Paese (regime) “personale” come il loro partito. La base di FI, tuttavia, oggi esprime simpatie “trasversali”. Come chi vota per il Terzo Polo, che non ha radici e tradizioni che ne (af)fondino le scelte. Mentre i FdI si distinguono per il distacco dalla Francia di Macron. Reciproco.
È, dunque, finito il “tempo dei muri”, che generavano divisioni globali e, al contempo, interne al nostro sistema politico. Ma, per la stessa ragione, oggi è difficile individuare Paesi che “attraggano” – e respingano – i cittadini. In Europa e oltre. I più importanti, per gli italiani, appaiono la Germania, polo economico, “frontiera” con le aree geopolitiche a rischio.
E gli USA. Riferimento di un blocco che ha perduto il valore di un tempo. Ma è stato rigenerato, dopo la guerra in Ucraina. Dopo il ritorno dell’antica minaccia. La Russia. Mentre l’Unione Europea rimane una cornice, ancora incapace di “disegnare” un progetto e, soprattutto, un soggetto comune.
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Maggio 15th, 2023 Riccardo Fucile
IN MEDIA IL COSTO DI UN BIGLIETTO È AUMENTATO DEL 22%, LE COMPAGNIE AREE INCASSANO A PIÙ NON POSSO GIUSTIFICANDO I RINCARI CON L’INFLAZIONE (CHE È DIVENTATA UNA SCUSA PER ALZARE I PREZZI)
Le compagnie aeree volano sopra l’inflazione. Il prezzo di un biglietto da Roma a Buenos Aires è cresciuto del 41% in un anno, escludendo tasse aeroportuali e altre spese accessorie.
La tratta dallo scalo di Fiumicino ad Atlanta è più cara del 41%, quella per Istanbul del 60%. I dati forniti a La Stampa dalla società di consulenza Cirium confermano le prime impressioni: le tariffe aeree sono salite più dell’inflazione.
I biglietti dei voli intercontinentali da Roma sono aumentati in media del 18% nell’anno compreso fra febbraio 2022 e febbraio 2023, il più recente periodo di analisi. Gli incrementi maggiori riguardano le destinazioni statunitensi, mentre modesti cali si registrano soltanto per le tratte verso la Cina.
Lo squilibrio fra domanda e offerta sta portando i prezzi dei biglietti intercontinentali in orbita. A marzo l’aumento medio delle tariffe per le destinazioni extra-europee si attesta al 22% rispetto al 2019. American Airlines, Air France, Lufthansa e British Airways sono perciò concordi nel prevedere un’estate eccezionale per i loro bilanci.
Ciononostante, le compagnie aeree respingono ogni accusa di speculazione. Pur sceso drasticamente rispetto al picco di giugno 2022, secondo la Iata, il prezzo del carburante resta di gran lunga maggiore rispetto al 2019. Poiché il combustibile vale un terzo dei costi operativi di un volo, è al momento impossibile che i biglietti tornino sui livelli pre-Covid.
«L’inflazione colpisce tutti i settori e i viaggi e il turismo non fanno eccezione», spiega un portavoce di EasyJet, compagnia britannica che opera prevalentemente all’interno dei confini europei. «L’aumento del prezzo del carburante da solo provoca un aumento di circa 10 euro del costo per passeggero; ciononostante, oltre il 40% delle nostre tariffe attualmente in vendita è inferiore a 60 euro».
(da la Stampa)
argomento: Politica | Commenta »
Maggio 15th, 2023 Riccardo Fucile
NEL 2018 FRANCESCO LUCCI È STATO ARRESTATO PER ESTORSIONE: PRETENDEVA 300 MILA EURO DAL CAPO DELLA MOGLIE
È Francesco Lucci l’ultrà che sabato sera ha catechizzato il Milan e Pioli dopo la sconfitta con lo Spezia. Lo scrive il Fatto quotidiano.
Dopo il ko incassato in Liguria contro una squadra che sta lottando per non retrocedere i campioni d’Italia dello scorso campionato, con il tecnico Stefano Pioli seconda fila che annuiva, hanno subito la catechesi dei tifosi prima di fare rientro negli spogliatoi.
Poi appena il discorso dei capi ultras – si nota parlare Francesco Lucci, leader della curva insieme al più noto fratello Luca, e accanto a lui Giancarlo Lombardi, uno degli storici capi della Curva Sud – è terminato sono partiti i cori di incoraggiamento. “Noi vogliamo undici leoni”, hanno intonato. E oggi il tifo organizzato ha chiamato anche a raccolta i tifosi a Milanello, come era avvenuto alla vigilia della trasferta che avrebbe poi consegnato lo scudetto la scorsa stagione.
Luca Lucci è lo storico capo ultras del Milan (famosa la sua foto con Salvini quando era ministro dell’Interno). Ha un curriculum criminale di tutto rispetto. Il fratello non è al livello ma nel 2018 è stato arrestato per estorsione ai danni del capo della moglie. Pretendeva da lui 300mila euro dopo un richiamo sul lavoro.
Scaroni, presidente del Milan, ha detto che «il colloquio con gli ultras è stato positivo, mi hanno detto che è stato un episodio di incoraggiamento, che ha mostrato l’attaccamento dei tifosi».
(da il Napolista)
argomento: Politica | Commenta »
Maggio 15th, 2023 Riccardo Fucile
IL REPORT DI ISTAT E UNAR HA EVIDENZIATO CHE 8 SU 10 HANNO SUBITO MICRO AGGRESSIONI
Per il 41,4% delle persone essere omosessuale o bisessuale è stato uno svantaggio sul luogo di lavoro per quanto riguarda carriera e crescita professionale, riconoscimento e apprezzamento, reddito e retribuzione.
E circa otto persone gay o bisex su dieci ha vissuto almeno una forma di micro aggressione legata all’orientamento sessuale.
È quanto fotografa l’indagine dell’Istat e dell’ufficio nazionale Antidiscriminazioni razziali (Unar) sulle discriminazioni lavorative nei confronti delle persone Lgbtqia+.
Lo studio è stato realizzato nel 2022 su un campione di 1.200 soggetti, di cui il 79,6% ha dichiarato un orientamento omosessuale e il restante 20,4% bisessuale. In prevalenza sono uomini (61,5%), giovani (il 55,4% ha tra 18 e 34 anni) e persone con un livello di istruzione molto elevato (il 64,2% ha conseguito infatti almeno la laurea). La stragrande maggioranza ha attualmente un lavoro (84,7%) o ha lavorato in passato (9,8%).
Coming out, outing e la paura di tenersi per mano
Un dato positivo riguarda il coming out, ovvero rivelare il proprio orientamento sessuale, nell’ambito lavorativo. Nel campione dell’indagine Istat quasi l’80% (78,3%) lo ha fatto con i colleghi di pari grado, il 64,8% con il proprio datore di lavoro o superiori e il 55,3% con dipendenti di grado inferiore. Ma spicca anche un aspetto negativo: il 31,2% ha subito outing, ovvero episodi di svelamento del proprio orientamento sessuale da parte di altre persone senza consenso. Il 74,5% del campione ha evitato di tenersi per mano in pubblico con il partner dello stesso sesso per paura di essere aggredito, minacciato o molestato. Anche il web non risparmia discriminazioni con il 31,3% dei rispondenti che afferma di averne ricevute.
Le micro aggressioni sul lavoro
Nell’indagine viene sottolineato che per micro-aggressioni «si intendono brevi interscambi ripetuti che inviano messaggi denigratori ad alcuni individui in quanto facenti parte di un gruppo, come insulti sottili diretti alle persone spesso in modo automatico o inconscio». Emerge che il 71,9% delle persone omosessuali o bisessuali intervistate dichiara di aver subito almeno un evento discriminatorio di questo tipo a scuola/università non necessariamente legato all’orientamento sessuale, ma anche alle origini straniere, l’aspetto esteriore, problemi di salute, convinzioni religiose, idee politiche, o al genere. Circa una persona su tre dichiara di aver subito almeno un evento di discriminazione nella ricerca di lavoro. E il 33,3% delle persone intervistate, occupate o ex-occupate in Italia, afferma di aver sperimentato un clima ostile o un’aggressione nel proprio ambiente di lavoro. Escludendo episodi avvenuti in ambito lavorativo, l’11,7% afferma di aver subito minacce negli ultimi tre anni e l’8,8% aggressioni violente per motivi legati all’orientamento sessuale
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Maggio 15th, 2023 Riccardo Fucile
IN AFFARI CON ENTRAMBI I GENITORI DELLA MELONI, E’ STATO CONDANNATO PER BANCAROTTA FRAUDOLENTA
Nella vita di Giorgia Meloni, nella storia personale e imprenditoriale di sua madre, Anna Paratore, c’è una persona assai importante che mai figura sia nell’autobiografia della premier “Io sono Giorgia” né mai viene citata nelle decine di interviste che la presidente del Consiglio ha rilasciato in questi anni.
Si chiama Raffaele Matano, oggi ha 77 anni, ed è stato compagno di vita della Paratore quando Giorgia Meloni frequentava casa di sua madre. Della Paratore è stato per un periodo anche socio in tre aziende (Lazio Consulting srl, Mr Partners, Gruppo immobiliare Romano).
Ma non solo, il suo filo con la famiglia è doppio: era stato in alcune società spagnole anche con il padre di Giorgia, Francesco Meloni, e con la prima moglie dell’uomo, Maria Grazia Marchello.
Di più: ha lavorato con le loro due figlie, Barbara e Simona, sorelle dell’attuale presidente del Consiglio. Con Barbara si è poi sposato e insieme, nei mesi scorsi, sono stati condannati in un processo per bancarotta.
Ma chi è Raffaele Matano? Secondo decine di documenti camerali ottenuti da Repubblica, lungo la sua carriera Matano ha ricoperto incarichi in una ventina di aziende (oggi attive o cancellate), che hanno sede a Roma, in Spagna e negli Stati Uniti.
Nel sito dello studio legale Reboa Law Firm, che ha i suoi uffici a Roma in via Flaminia, Matano e Barbara Meloni appaiono come membri of counsel. Nella biografia di entrambi si legge che “la specialità è la ricerca di siti commerciali da proporre ad aziende della grande distribuzione organizzata, i quali vengono successivamente consegnati con la formula ‘chiavi in mano’ all’azienda committente”.
Uno schema che assomiglia a quello che la Lazio Consulting, una delle società della Paratore e di Matano, dovevano realizzare nel 2002 all’Infernetto, a Roma. Un affare da 90 milioni cominciato e poi chissà come concluso visto che la società fu rilevata dalla britannica D Construction, controllata a sua volta da una società con sede a Panama.
Per molto tempo il geometra ha avuto una decina di indirizzi in provincia di Roma, Viterbo e Latina. Erano le sedi delle sue società o degli indirizzi dichiarati da Matano, e Repubblica le ha visitate tutte, nella speranza d’intervistare l’imprenditore. Nulla da fare. Neanche il suo legale, l’avvocato Romolo Reboa, della Reboa Law Firm, ha risposto alle domande di Repubblica.
Ma ci sono due indirizzi importanti per capire meglio chi sia il geometra. Uno è via Barberini 11, nel cuore del centro storico di Roma. In un palazzo signorile la cui facciata ha come epigrafe il motto latino “MALO MORI QUAM FOEDARI” (preferisco la morte al disonore), Matano, Paratore e l’imprenditore casertano Giuseppe Statuto vi stabiliscono nel 1998 la sede legale iniziale della Compagnia del Gelato.
A Repubblica, Paratore dichiara di “non sapere” chi è Statuto. Secondo il primo amministratore della Compagnia del Gelato, Matano ha conosciuto il noto immobiliarista perché “in via Barberini aveva l’ufficio di fianco a quello di Statuto…erano vicini di porta” racconta a Repubblica il primo amministratore della Compagnia del gelato. Statuto, già a quei tempi, non è certo uno sconosciuto: è uno degli immobiliaristi più importanti d’Italia che nella sua vita ha sempre fatto surf tra guai giudiziari, parentele imbarazzanti e grandi investimenti.
Tornando a Matano, il secondo indirizzo cruciale nella sua storia è via Ennio Quirino Visconti, 12/14, nell’elegante quartiere romano di Prati. Quell’indirizzo è stato la sede legale di almeno cinque aziende partecipate da Matano o nelle quali lui ha avuto un ruolo di quotista o amministratore. Oggi c’è un franchising internazionale di servizi di posta dove viene offerta la domiciliazione per corrispondenza.
Alcune cassette postali dorate e senza nomi garantiscono una totale privacy. Secondo il racconto di una dipendente a Repubblica, questo servizio esiste da 25 anni e ha sempre offerto le stesse prestazioni. Fino a poco tempo fa, secondo la donna, almeno una delle aziende della rete legata a Matano aveva ancora la domiciliazione postale proprio lì.
Il geometra romano è inoltre stato sospeso il 18 febbraio del 2008 dal Collegio dei Geometri di Viterbo per ragioni che Repubblica non è stata in grado di chiarire perché si sono rifiutati di rilasciare la documentazione.
“Causerebbe pregiudizio concreto alla protezione dei dati personali” dell’iscritto, hanno detto. Certo, quella dell’ordine dei geometri non è la sola disavventura vissuta da Matano.
Il 23 maggio 2022 è stato infatti condannato dai giudici della sesta sezione penale del Tribunale di Roma a quattro anni e sei mesi per bancarotta fraudolenta. Anche sua moglie, Barbara Meloni, è stata processata per gli stessi fatti e ha patteggiato.
Secondo le accuse, Matano e Meloni si avvantaggiavano della loro posizione di amministratori unici di varie società (soprattutto della MM Immobiliare 2002 srl, costituita il 27 marzo del 2002), per dissiparne il patrimonio. Nella sentenza si legge: con spese “di natura personale poiché inerenti il noleggio e l’assicurazione di auto di lusso (Mercedes S500, BMW X5, BMW z4, Porsche), spese di trasferta e spese telefoniche”.
E ancora: “Distruggevano, falsificavano, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare per sé o altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, il libro e le scritture contabili o li tenevano in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio ed il movimento degli affari. Così cagionando il fallimento della società con le aggravanti di aver commesso più fatti di bancarotta e con l’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità”.
Non sappiamo, perché il rappresentante dello studio legale che difende entrambi ha preferito non rispondere alla domanda, se la sentenza sia stata o meno appellata.
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Maggio 15th, 2023 Riccardo Fucile
IL RISULTATO DEGLI STUDI SCIENTIFICI
Vuoi vivere a lungo e in salute? Non smettere mai di lavorare! Detta così è un po’ brutale, ma gli studi scientifici dimostrano che ritardare il pensionamento rallenta il declino cognitivo e consente di sfuggire all’isolamento sociale.
La ricerca più esaustiva, pubblicata nel 2015 sulla rivista «CDC Preventing Chronic Disease», è stata svolta su un campione di 83 mila persone: gli over 65 che lavorano hanno tre volte più probabilità di stare meglio fisicamente rispetto a chi è inattivo e il 50% di probabilità in meno di contrarre patologie serie, come cancro o malattie cardiache. Dunque, escludendo i lavori usuranti, quando si entra in questa fascia di età sarebbe saggio pensarci due volte prima di abbandonare definitivamente il proprio mestiere.
Tra i popoli più longevi al mondo
A guardare i numeri noi italiani stiamo già bene così: nel 2023 l’aspettativa media di vita è di 84,2 anni (86,1 per le donne e 82,1 per gli uomini). Tra i grandi Paesi solo il Giappone fa meglio, ma come vedremo più avanti le differenze sono sostanziali.
Dai dati Ocse mediamente gli italiani trascorrono 24 anni in pensione, e da un’analisi di Bloomberg tra i 16 e i 18 anni sono trascorsi in buona salute.Una lunga vita è un dato positivo e allo stesso tempo una sfida. L’Italia è infatti il Paese più anziano d’Europa (età media 48 anni contro i 44,4 della Ue). Gli over 65 hanno superato i 14 milioni (il 24% dell’intera popolazione) e secondo le proiezioni Istat nel 2050 diventeranno 20 milioni (34,9%). Come conservare l’attuale tenore di vita ed evitare aumenti della spesa sociale insostenibili? Tra le strategie più innovative adottate negli ultimi anni da Paesi che ci assomigliano demograficamente ci sono il contrasto alle misure che incentivano l’uscita anticipata dal mercato del lavoro (vedi Quota 100-103) e la promozione dell’occupazione degli over 65.
Età pensionabile e posticipo dell’assegno
La riforma Fornero del 2011 prevede che l’età standard per andare in pensione sia 67 anni, ma grazie alle varie norme sull’uscita anticipata l’età effettiva resta tra i 62 e i 63 anni (dati OCSE e Itinerari Previdenziali). I dipendenti pubblici che hanno maturato i diritti alla pensione devono obbligatoriamente uscire a 65 anni e solo alcune limitate categorie professionali (magistrati, medici, docenti) possono posticipare l’età limite a 70 anni. Nel privato, invece, in accordo con l’azienda, si può restare al lavoro fino a 71 anni. Chi decide di posticipare la pensione deve rinunciare temporaneamente all’assegno, ma al momento dell’uscita ne incasserà uno più corposo non solo grazie all’aumento degli anni di contribuzione, ma anche perché si è elevato il coefficiente di trasformazione che determina l’ammontare dell’assegno. Ad esempio, nel 2023 una persona che esce dal lavoro a 65 anni e che ha accumulato 300 mila euro di contributi beneficerà di un coefficiente di trasformazione di 5,352% e di una pensione annuale di 16.056 euro. Se però va in pensione a 70 anni, con 350 mila euro di contributi e un codice di trasformazione annuale di 6,395% avrà una pensione di 22.382 euro. Poco più di 500 euro al mese.
I pensionati italiani che continuano a lavorare
A differenza dei lavoratori autonomi, i dipendenti devono obbligatoriamente chiudere il rapporto di lavoro per ottenere la pensione. Una volta incassato il primo assegno, possono stipulare un nuovo contratto, anche con l’ex datore di lavoro. In Italia sono 444 mila i pensionati italiani che continuano a svolgere un’attività (Qui il documento). Di questi, gli over 65 sono 383.600, e quasi la metà raggiunge i 70 anni. Non gravano sulle finanze pubbliche anche se incassano la pensione perché continuano a versare i contributi. Coloro che scelgono «l’invecchiamento attivo» sono di solito uomini (78,4%), vivono al Nord (65%) e svolgono un lavoro indipendente (86,3%). Molto bassa invece è la quota dei lavoratori dipendenti (13,7%), fra le ragioni il fatto che il cumulo dei redditi da lavoro e da pensione comporta una tassazione più alta, mentre gli autonomi possono applicare la flat tax.
Gli over 65 attivi nel mondo
Negli ultimi dieci anni gli over 65 attivi in Italia sono quasi raddoppiati, passando da 372 mila a 705 mila ( il numero include chi incassa già la pensione e chi no), ma rappresentano solo il 5,1%, mentre la media Ocse è del 15%. In cima alla lista ci sono sia i Paesi più longevi e anziani come Giappone e Corea del Sud che impiegano rispettivamente il 25,1% e il 34,9% degli over 65, sia Paesi relativamente giovani come Stati Uniti e Australia con il 18,9% e il 14,7%. Percentuali alte anche nel Nord Europa: Svezia (19,2%), Norvegia (15,2%), Finlandia (12,1%). I numeri precipitano invece in Francia (3,4%), Spagna (3,1%) e Grecia (4,4%). In media nella Ue resta alta la componente dei lavoratori che hanno tra 65 e 69 anni (13,2%), e nella maggior parte dei casi scelgono un lavoro part-time.
La strategia in Giappone, Usa e Svezia
Il Giappone è il Paese con il maggior numero di over 65 al mondo: circa il 30% della popolazione. L’età per andare in pensione è 65 anni, ma già dal 2019 il governo ha invitato le grandi aziende a trattenere in organico anche gli impiegati settantenni. Secondo una ricerca del 2022, su 230 mila aziende con più di 21 dipendenti, almeno il 25,6% ha seguito la raccomandazione. In generale lo Stato offre agli over 65 che posticipano l’uscita dal mercato del lavoro ogni mese un aumento dello 0,7% sulla futura pensione. Significa che chi ritarda l’addio al lavoro di 5 anni vedrà l’assegno aumentare del 42%. Dopo i 70 anni, il pensionato lavoratore non verserà più i contributi. Negli Stati Uniti l’età per la pensione è 66 anni, ma chi vuole restare beneficia di un incremento annuo sulla pensione dell’8%. Inoltre la legge federale «Age Discrimination in Employment Act» protegge i lavoratori dalle discriminazioni legate all’età. La Svezia è uno dei Paesi europei che già dagli anni ’90 ha iniziato a contrastare il pensionamento anticipato (nel 2023 si può richiedere dai 63 anni, nel 2026 dai 64). Non esiste una norma che fissa l’età per la pensione, ma la maggior parte delle persone sceglie di ritirarsi a 65 anni. Tuttavia la Svezia è anche il Paese Ue con il tasso più alto di 70enni (10,8%) e 75enni (6,9%) che lavorano. Nel corso degli anni sono aumentati incentivi economici e benefit. Per esempio: gli autisti di bus che restano al lavoro fino a 70 anni hanno un aumento di stipendio e visite mediche annuali e gratuite
Tolgono lavoro ai giovani?
Non si è sempre detto che per far posto ai giovani bisognava mandare i lavoratori in pensione prima? Guardando le statistiche si direbbe il contrario: dove è maggiore l’occupazione degli over 65 è minore la disoccupazione giovanile. Ad esempio in Giappone e Corea viaggia intorno al 4-8%, negli Usa si ferma al 7,5% , mentre dove l’occupazione anziana è marginale la percentuale dei giovani senza lavoro è a doppia cifra: 17% in Francia, 22% in Italia, 29% in Grecia e Spagna. Poi ci sono le eccezioni: in Svezia, dove gli anziani sono incentivati da più tempo, la disoccupazione giovanile supera il 20%; oppure in Germania, dove gli over 65 occupati sono poco più del 7%, i giovani disoccupati sono solo il 5,7%. A dimostrazione del fatto che non c’è nessun automatismo.
Il dato certo è che l’invecchiamento della popolazione segnerà il mercato del lavoro e le politiche di welfare dei prossimi decenni. Considerate quindi tutte le ricadute positive e tutelando chi svolge lavori usuranti, non c’è nessuna ragione per non trattenere al lavoro gli over 65 che lo desiderano, offrendo smart working, part-time e orari flessibili, in un quadro di formazione e riqualificazione permanente, soprattutto tecnologica. Mentre i professionisti più qualificati andrebbero trattenuti il più a lungo possibile, proprio per trasmettere quel sapere che si matura solo con l’esperienza e che invece va irrimediabilmente perduto.
Milena Gabanelli e Francesco Tortora
(da Il Corriere della Sera)
argomento: Politica | Commenta »
Maggio 15th, 2023 Riccardo Fucile
IL PAVIDO MELONISMO NON VUOLE INTERFERENZE NELLA TV ORBANIANA
Fabio Fazio è la Rai – considerazione storico statistica – ben più dei manipoli politici che, nel corso degli anni, la occupano, cercando di sellare il cavallo di viale Mazzini per le loro parate. E mettendoci, di loro, solo il pennacchio.
La Rai senza Fazio sarà dunque una Rai un po’ meno Rai, ma non è certo questo che importa a chi lo vede andarsene, e gongola nell’illusione che fare televisione non sia un lavoro serio e difficile, ma un rosario di posti e posticini da distribuire alla corte.
Non ci sono retroscena particolari da raccontare. C’è un contesto molto preciso, però, da mettere a fuoco. Lavorare per un editore che ti considera un nemico interno è possibile fintantoché uno scopo condiviso riesce a rendere funzionale, e perfino utile, una convivenza complicata. Nel caso della Rai questo scopo condiviso è, o dovrebbe essere, il concetto di “servizio pubblico”, che è quasi sempre riuscito ad ammortizzare, almeno in parte, l’invadenza e l’arroganza dei partiti politici. Quasi sempre. Ma non sempre.
Già accadde sotto Berlusconi che questo concetto fosse calpestato, e la testa di Enzo Biagi, con il contorno di quelle di Santoro e Luttazzi, fosse consegnata su un vassoio al padrone dell’azienda concorrente, divenuto nel frattempo capo del governo, e dunque doppiamente gratificato: sia dalla censura politica a suo vantaggio, sia dal colpo inferto alla Rai.
Con tanto di suoi vassalli ficcati in Rai a brigare su palinsesti e organigrammi, come se fosse la Toyota a nominare il management di Stellantis, o viceversa. In un Paese con gli occhi aperti di quello avrebbe dovuto occuparsi la magistratura, altro che cene eleganti.
Qui siamo a un remake in chiave romanesca, la cosiddetta narrazione meloniana che pretende spazio nella televisione pubblica avendone già parecchio, e da parecchio; ma è così gracile, così pavida da non sopportare che le proprie parole, le proprie facce e il proprio ristretto circondario possano subire interferenze.
Però c’è una differenza non da poco. Questa volta è il “nemico interno” che se ne va, nonostante quarant’anni di Rai e una sfilza di successi televisivi che hanno fatto la storia della televisione pubblica. La Rai – in teoria la sua azienda – non gli ha fatto nessuna proposta di rinnovo. A partire dall’amministratore delegato uscente (molto uscente) Fuortes, nessuno in quell’azienda ha fatto un solo passo perché il conduttore di una trasmissione in ottima salute, fonte di grandi introiti pubblicitari, rimanesse.
In termini strettamente aziendali, l’autolesionismo è così evidente da rendere ancora più ovvio che NON sono i termini aziendali a fare e disfare i palinsesti alla Rai.
Non i conti economici, non i bilanci, non la passione professionale, che rimane confinata a chi lavora in studio, a chi la televisione la fa concretamente.
A muovere le pedine in Rai sono gli interessi di partito, punto. Il committente di chi governa la Rai, con rarissime eccezioni (i Professori, Campo Dall’Orto che fu una delle poche ottime idee di Renzi e difatti se la rimangiò, qualche dirigente appassionato del prodotto) non è l’azienda. Non è la Rai. Sono i leader politici abituati a convocare telecamera e microfono sottocasa per rilasciare dichiarazioni che interessano solo a loro. Convinti che “servizio pubblico” sia garantirsi un siparietto breve nei telegiornali, uno più lungo nei talk-show, possibilmente leggendo prima le domande – perché in genere non sono bravi a fare televisione.
Fabio Fazio ha fatto benissimo ad andarsene – anche per una questione di dignità professionale. Non si rimane a disposizione di chi dovrebbe essere, allo stesso modo, a tua disposizione, come avviene in un rapporto sano tra editore e artista, tra editore e giornalista. È una questione – anche – di modi. Di buona educazione.
A Discovery troverà un pubblico ringiovanito e un ambiente nel quale si parla del prodotto, del lavoro da fare, non si compulsano ogni mezz’ora gli smartphone per sapere che cosa hanno deciso a Roma, o per leggere dichiarazioni di politici che da una vita parlano di televisione senza saperne un accidente, spesso con una volgarità (Salvini) che illudendosi di definire altri, definisce solamente il mittente.
Da suo amico di lunghissima data è da due mesi che suggerivo caldamente a Fabio di levare il disturbo.
Il lavoro – per chi lavora – è troppo importante per vederlo maneggiare dall’ultimo arrivato. Ci siamo conosciuti più di trent’anni fa alla Festa di Cuore, a Montecchio, lui giovanissimo io quasi. Posso e devo aggiungere che, fatto cento il lavoro di Fabio Fazio, il valore aggiunto dalla politica è zero. Lo ripeto: zero. La materia prima della sua carriera televisiva è esclusivamente il suo talento e il suo lavoro. Non ha debiti politici. Solo meriti professionali.
Infine una necessaria nota personale (si rimane comunque in tema). Mi ritrovo incluso in liste di “epurati Rai”, vorrei rassicurare i pochi interessati: non posso essere epurato perché non ho alcun contratto con la Rai, sono come Nino Frassica e il Mago Forrest, un libero professionista, quando Fabio mi chiama vado volentieri, se non mi chiama sto volentieri a casa. Il mio capo è lui, il mio datore di lavoro in televisione è la casa di produzione di Che tempo che fa, che si chiama Lofficina.
Lo sarà anche l’anno prossimo (se Fabio vorrà ancora Frassica, il Mago Forrest e me), in onda su altre reti. Non sono autore della trasmissione dal 2015, basterebbe leggere i titoli di testa per saperlo (si chiama “verifica delle fonti”, è facile, bastano pochi secondi). La televisione è una fabbrica. Per parlarne sarebbe meglio conoscerla.
Michele Serra
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »