Maggio 18th, 2023 Riccardo Fucile
DURISSIMO FACCIA A FACCIA: “SE TU TI OPPONI A DE GENNARO, NOI CI OPPONIAMO A PISANI”. E A QUEL PUNTO SALVINI HA DOVUTO FARE PIPPA… IL PIANO (FALLITO) DI PIANTEDOSI: GIANNINI ALL’AISI
Non solo l’Europa del Mes e del Pnrr e l’America che l’aspetta al varco sulla disdetta alle cineserie della Via della Seta. Altri siluri al giovane regno di Giorgia Meloni sono di natura prettamente domestica, legati a quel che potrà succedere da qui alle elezioni europee del giugno 2024 tra lei e il suo “nemico più intimo”, alias Matteo Salvini.
I risultati delle amministrative hanno confermato i rapporti di forza già emersi alle politiche di settembre 2022: Fratelli d’Italia è saldamente il primo partito del centrodestra e la Lega, nonostante la linea “responsabile” del Capitone (via le felpe, avanti con giacca e cravatta), non cresce nei sondaggi e nelle urne. Cosa che ovviamente fa impazzire Salvini e lo rende imprevedibile.
Un guaio in più per Giorgia Meloni, che si risparmierebbe volentieri una faida interna al governo – lo scontro sull’autonomia e l’ultimatum di Zaia consegnato oggi alla “Stampa” (“Se non passasse l’autonomia, verrebbe meno la maggioranza”) ne sono un esempio.
La tensione tra Giorgia e Matteo ha toccato livelli di guardia durante il consiglio dei ministri in cui si è discusso della nomina del nuovo comandante generale della Guardia di Finanza, e di quella del vicedirettore dell’Aisi, Vittorio Pisani, a capo della Polizia.
Durante quel Cdm, mentre il ministro dell’economia, l’inutile Giorgetti, era in volo verso il G7 di Tokyo, gli animi si sono surriscaldati.
Perfino il ministro dell’Interno, caro a Salvini, Matteo Piantedosi era d’accordo sulla nomina di Andrea De Gennaro alla guida delle Fiamme Gialle, mentre era contrario davanti all’ipotesi di rimuovere anzitempo Lamberto Giannini (fedelissimo di Franco Gabrielli) dalla guida della Polizia.
La tesi di Piantedosi puntava ad attendere la scadenza naturale del mandato di Mario Parente alla guida dell’Aisi, tra undici mesi, per promuovere Giannini alla guida dei servizi interni, e solo a quel punto traghettare Pisani al vertice del corpo di pubblica sicurezza, evitando così l’anomalia di avere un ex capo della Polizia “retrocesso” a fare il prefetto di Roma.
Un piano di buon senso, quello del ministro irpino, che ha mandato su tutte le furie Matteo Salvini che, subodorando un risultato elettorale non esaltante, voleva a tutti i costi portare a casa subito la sua bandierina, cioè Pisani, come aveva fatto anche con le nomine nelle partecipate di Stato, puntando i piedi per avere Flavio Cattaneo amministratore delegato dell’Enel, ultimo arrivato sotto le bandiere della Carroccio dopo il fallimento, attraverso il suo mentore La Russa, di arrivare davanti alla scrivania della Sora Giorgia.
Il leader della Lega ha avuto molto da ridire sulla scelta di Andrea De Gennaro come nuovo comandante generale della Guardia di Finanza, che ha la “colpa” di essere il fratello del più famoso, celebre e chiacchierato Gianni, a sua volta ex capo della Polizia, ex Servizi ed ex presidente di Leonardo.
Quel che non andava giù a Salvini era (ed è) la forte influenza sulla Meloni del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, che era orientato per ragioni di discontinuità all’interno del corpo delle Fiamme Gialle sulla scelta di De Gennaro.
Dall’altra parte, Giorgetti e Salvini avrebbero preferito il generale Umberto Sirico, adepto della linea Zafarana. Salvini ha tenuto a precisare che la nomina era di competenza del Mef e che, essendo il titolare del dicastero il leghista Giorgetti, e per di più fuori per missione, bisognava attendere il suo ritorno.
A quel punto, Giorgia Meloni lo ha preso di petto, rintuzzandolo: “Certe nomine si condividono e il Presidente del Consiglio dice la sua”. Salvini, spiazzato da questa intemerata, a quel punto ha chiesto alla premier di far uscire dalla stanza la di lei “mente” Mantovano.
Rimasti soli, Salvini ha manifestato la sua insofferenza (eufemismo) per lo “strapotere” dell’ex magistrato pugliese, ora sottosegretario: “Ma qui comanda Mantovano?!”, ha berciato per convincerla a non procedere, fino al ritorno in patria di Giorgetti, alla nomina di De Gennaro. E invece il “Capitone” ha dovuto fare pippa.
La Meloni gli ha sottolineato che lei, con Luciano Violante, “gran sussurratore” di Mantovano, e con l'”eminenza grigia” Gianni De Gennaro, non ha rapporti personali.
Ha chiarito che la scelta è ricaduta su De Gennaro solo per dare un segnale di discontinuità rispetto alla lunga gestione Zafarana, tre mandati durante i quali qualche tensione all’interno della Finanza c’è stata (nomina di Francesco Greco a capo di Stato Maggiore).
Per consolarlo, Giorgia ha sottolineato che Andrea De Gennaro, al termine del mandato, per ragioni anagrafiche (63 anni), non potrà essere prorogato.
Dopo questo “spiegone”, Giorgia Meloni ha calato l’asso di briscola. Della serie: “Senti bello: se tu ti opponi a De Gennaro, noi ci opponiamo alla nomina di Pisani”. E a quel punto, il segretario della Lega ha dovuto accettare, contro voglia, il do ut des. Un boccone amaro che in futuro potrà diventare indigesto…
Tra Salvini e Mantovano non scorre da un pezzo un gran feeling. Vi ricordate lo scazzo sul decreto Cutro? Nella prima bozza, il silente sottosegretario aveva trasferito le funzioni per il controllo dei flussi migratori dalla Guardia Costiera, inquadrata nell’ambito del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti al cui vertice c’è proprio il leader del Carroccio, alla Marina militare, che è sotto il ministero della Difesa guidato da Guido Crosetto. Un articolo che sparì dalla versione “definitiva” del decreto per volere della Lega, che avrebbe perso il monopolio della sorveglianza in mare, attualmente gestito dalla Guardia Costiera in mano a Salvini.
(da Dagoreport)
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Maggio 18th, 2023 Riccardo Fucile
NESSUNA AZIENDA È IN GRADO DI SOPRAVVIVERE SENZA ENTRATE QUANTIFICABILI
Il canone Rai verso l’esclusione dalla bolletta elettrica. La cancellazione della “tassa” dalla bolletta della luce è tra le volontà del ministro Giancarlo Giorgetti. Ministro dell’Economia che è stato convocato in audizione in Vigilanza Rai per esporre la strategia del governo sul tema.
Un’ipotesi, quella dell’esclusione del canone Rai dalla bolletta della luce, che ha messo in allarme politica e sindacati, questi ultimi preoccupati sulle entrate della Rai «senza prevedere un finanziamento equipollente in alternativa al canone».
Togliere la riscossione del canone dalla bolletta elettrica, «senza prevedere un finanziamento equipollente in alternativa, significa privare la Rai della certezza delle entrate. Nessuna azienda è in grado di sopravvivere senza risorse e senza flussi di cassa quantificabili e, nel caso specifico di Rai, questo significherebbe assoggettare l’Azienda agli umori del governo di turno, qualunque esso sia, con risultati esiziali per il suo futuro». Così le organizzazioni confederali dei lavoratori della Rai in un documento unitario presentato in Commissione Vigilanza in cui le manifestano «preoccupazione» per la decisione di togliere il canone dalla bolletta elettrica.
(da agenzie)
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Maggio 18th, 2023 Riccardo Fucile
SPUNTANO LE FOTO E I PROGETTI DEL TUNNEL
Un complesso principesco sulle rive del Mar Nero, nei pressi della cittadina di Gelendzhik, non molto lontano dall’Ucraina. È qui che si trova la villa-bunker di Vladimir Putin, su cui il presidente russo – in passato – ha istituto una no-fly zone.
Il Cremlino ha sempre stato smentito che appartenesse a Putin. La struttura è isolata, e non è raggiungibile via terra. Si erge su tre piani ed è dotata di tutti i comfort: una chiesa personale, un casinò, una sala relax con un palo per spogliarelliste, un vastissimo parco e anche un’intera pista da pattinaggio per giocare a hockey, sport particolarmente amato dal presidente russo.
A svelare l’esistenza di questa fortezza era stato il dissidente Alexei Navalny due anni fa. Ma c’è di più.
Come rivelato da Business Insider, esistono infatti almeno due tunnel sotterranei separati che sono visibili dall’esterno della “dacia imperiale”, collegati da un ascensore che scende per circa 50 metri sotto la superficie. Le immagini erano state pubblicate nel 2010 – ed eliminate nel 2016 – sul sito di Metro Style, di proprietà di un appaltatore russo scomparso in circostanze mai chiarite.
Come è strutturato il bunker di Putin
Come ricostruito da Insider, grazie al contributo di Thaddeus Gabryszewski, un ingegnere esperto di strutture difensive, «è presente un sistema antincendio, c’è l’acqua, ci sono le fognature, sistemi di ventilazione e spazi per il passaggio di cavi e condotti di diverso genere: tutto il necessario per ospitare o far fuggire qualcuno».
Secondo i calcoli dell’esperto e le ricostruzioni con disegni con dettagli tecnici, i due tunnel sarebbero entrambi larghi 6 metri: il primo sarebbe lungo circa 40 metri, il secondo 60 metri, per un totale di circa 6.500 metri quadri di superficie abitabile nel sottosuolo.
Le uscite a questi due tunnel sono però malcelate, tant’è che è stato possibile individuarle dall’esterno, alla base della scogliera di Gelendzhik. I tunnel però potrebbero essere di più, e potrebbero esserci degli ingressi anche dalla parte opposta a quella che si affaccia sul mare, come la strada sul lato Est che potrebbe essere utilizzata per i rifornimenti alla fortezza.
In qualsiasi caso gli esperti sottolineano che «qualsiasi apparato di sicurezza statale competente avrebbe protetto con le unghie e con i denti le immagini per tenerli segreti».
Secondo Michael C. Kimmage, ex funzionario del Dipartimento di Stato che ha lavorato sia in Russia sia in Ucraina e attuale docente alla Catholic University, «Putin, sapendo che la sua legittimità non è del tutto garantita dalle elezioni, cercherà di massimizzare la propria sicurezza personale attraverso un complesso di residenze personali. Le due volte in cui c’è stata una grande transizione nella storia russa – 1917 e 1991 – lo status della capitale e la posizione del leader si sono rivelati un grosso problema e anche senza una minaccia attiva, Putin si sta preparando a questa eventualità creando una rete di residenze il più lontano possibile da Mosca. Quindi un sistema di tunnel all’interno del complesso del Mar Nero ha molto senso».
E Kimmage conclude: «Con la guerra in Ucraina sono emersi discorsi, propaganda e un aspetto performativo che mette in gioco la politica interna della Russia. Putin si percepisce impegnato in un confronto con l’Occidente e la questione nucleare è una aspetto da tenere in considerazione: il presidente sa di trovarsi in cima a un vulcano, ma non sembra essere così psicopatico da iniziare un conflitto nucleare perché ha dei nipoti. Ma la leadership di Putin è ancora in ballo, e questi tunnel, questo bunker, fanno parte della massimizzazione della propria sicurezza personale».
(da Open)
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Maggio 18th, 2023 Riccardo Fucile
SONO LA PRINCIPALE FONTE D’INQUINAMENTO MARINO
L’inquinamento delle spiagge si conferma una delle grandi minacce ambientali da affrontare con urgenza. I rifiuti sono tra le principali fonti d’inquinamento marino e impattano gravemente sia sulla flora e fauna acquatica che sull’essere umano.
Secondo l’ultimo report Beach Litter 2023 di Legambiente, su un totale di 232.800 metri quadrati di spiagge analizzati sono stati trovati 36.543 rifiuti. Una media di 961 ogni 100 metri e un rate di circa un rifiuto ogni 6 metri quadrati di spiaggia, cioè lo spazio occupato solitamente da un ombrellone e due lettini. Beach litter è un’iniziativa di Citizen Science che, grazie a centinaia di volontari dei circoli locali di Legambiente, ogni anno monitora e classifica i rifiuti dispersi sulle spiagge italiane con l’obiettivo di sensibilizzare su questa emergenza che colpisce duramente anche i nostri lidi.
La fotografia scattata quest’anno è chiara: “La spiaggia rimane ancora il principale cestino, indifferenziato, delle nostre attività”, così commenta Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente.
L’analisi ha coinvolto 38 spiagge relative a 15 regioni (Liguria, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Marche, Abruzzo, Campania, Puglia, Basilicata, Molise, Calabria, Sicilia, Sardegna) e sono stati trovati ben 36.543 rifiuti. Il 72,5% era composto da polimeri artificiali e plastica, che si confermano al primo posto anche quest’anno. Al secondo posto vetro e ceramica (che sono passati da una frequenza del 3,49% nel 2022 al 9,2% attuale), composti per lo più da materiale di costruzione smaltito irregolarmente in spiaggia. A seguire i metalli (6,8% sul totale) e carta e cartone (3,9% sul totale).
Ben il 52% dei rifiuti monitorati è rappresentato da sole 10 tipologie di oggetto: al primo posto i frammenti di plastica con il 10,9% sul totale; seguono tappi e coperchi con l’8,6% e mozziconi di sigarette con il 6% sul totale. Al quinto posto i cottonfioc in plastica (4% del totale). Seguiti dai frammenti di polistirolo (3,9 % del totale), le bottiglie, i contenitori per bevande e infine, all’ottavo e decimo posto (con il 3,1% e 3 % rispettivamente), altri oggetti di plastica e le bottiglie di vetro. Quest’ultime, al pari del materiale di costruzione, new entry negativa della top ten dei rifiuti spiaggiati ritrovati.
Il 46% dei rifiuti di plastica raccolti è costituito dai 10+1 oggetti considerati nella SUP (Single Use Plastics), la Direttiva europea che si pone come obiettivo quello di ridurre l’uso delle plastiche monouso, non biodegradabili e non compostabili, e che da gennaio 2022 è applicata in Italia. Le bottiglie in plastica, inclusi i tappi e anelli (il 15% del totale e il 39% rispetto ai soli oggetti della SUP) si confermano come la tipologia di rifiuti SUP più trovata in assoluto sulle spiagge campionate daLegambiente (ben 5.487 volte). Seguono i mozziconi di sigaretta e le reti e attrezzi da pesca e acquacoltura in plastica (entrambe il 15% della categoria SUP).
I rifiuti di plastica, oltre a costituire un importante pericolo per l’ecosistema marino, possono nuocere alla salute dell’essere umano. Uno studio ha recentemente legato cancro, malattie cardiovascolari e difetti alla nascita con lo smaltimento di polimeri plastici. Nonostante l’aumento dei comuni “plastic free”, esistono numerosi esempi che evidenziano quanto il problema della plastica sia ancora grave. Per esempio, sotto la laguna di Venezia è spuntata un’isola di plastica che si estende per centinaia di metri quadri. Tra le cause d’inquinamento, è fondamentale porre l’attenzione sull’impatto dei rifiuti liberati in mare e trascinati poi sulle spiagge dalla corrente. Per esempio, in Puglia sono stati trovati numerosi rifiuti di origine americana, che sarebbero stati scaricati in mare da alcune navi militari e portaerei USA.
(da lindipendente.online)
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Maggio 18th, 2023 Riccardo Fucile
LA TESTIMONIANZA DI UN AGENTE DELLE FORZE DELL’ORDINE CHE CI HA LAVORATO
“In pratica vivi e vedi una sorta di girone infernale”: è quanto un agente delle forze dell’ordine ha raccontato in un’intervista al programma Striscia La Notizia, in onda su Canale Cinque, relativamente alle condizioni in cui versano le persone trattenute all’interno del centro di permanenza per il rimpatrio di via Corelli a Milano. L’agente afferma che sia un “luogo disumano, da chiudere”.
La somministrazione di farmaci
A lasciarlo perplesso sono anche le modalità con le quali vengono somministrati farmaci e psicofarmaci. I medicinali verrebbero distribuiti a tutti “senza distinzione che siano tossicodipendenti o meno. Vengono date pastiglie o gocce, che non è dato sapere che cosa siano, da degli pseudodottori perché li chiamano dottori, ma non sappiamo effettivamente se lo siano o meno”.
E sembrerebbe che proprio a causa delle condizioni in cui versano le persone trattenute all’interno, in tanti hanno commesso atti di autolesionismo – come il caso del ragazzo che si è cucito le labbra con del filo di ferro – o ha anche tentato il suicidio: “È in tutto è per tutto un carcere perché sedie e tavoli sono inchiodati al pavimento, ci sono le gabbie, ci sono i televisori appesi al muro”.
L’agente ricorda anche la rivolta che si è verificata all’interno della struttura dopo che un ragazzo “aveva avuto una crisi epilettica brutta ed è stato portato via con l’ambulanza mezzo morto. Loro hanno dato in escandescenze e sicuramente quando è intervenuto il personale addetto non penso che abbiano fatto delle carezze per riportare l’ordine”.
L’uomo ha spiegato di non aver denunciato “perché anche se lo fai, non gliene frega niente a nessuno”. E specifica come sia difficile sostenere la quotidianità per chi ci lavora all’interno: “Vedi delle cose che non vorresti vedere”.
(da Fanpage)
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Maggio 18th, 2023 Riccardo Fucile
LAVORI PER METTERE IN SICUREZZA IL TERRITORIO MAI ESEGUITI. EPPURE CI SONO 8 MILIARDI DI EURO GIA’ STANZIATI DAL PIANO “ITALIA SICURA” DEL 2014. A CUI SI AGGIUNGONO ALTRI 8,5 MILIARDI DI EURO DEL PNRR
Eppure i soldi ci sono. Sulla carta, ci sono. L’ennesima alluvione in Emilia-Romagna costringe di nuovo a fare i conti. E i conti dimostrano che contro il dissesto idrogeologico l’Italia può fare affidamento su una cassaforte di tutto rispetto. Otto miliardi di euro almeno le risorse nazionali.
È la cifra stanziata dal piano “Italia sicura” del governo Renzi per intervenire in tempo contro alluvioni, frane e calamità naturali. Altri 2,5 miliardi di euro nel Pnrr, cui si aggiungono 6 miliardi destinati ai comuni, da spendere nel breve periodo: entro il 2026.
Negli anni però la cassaforte è rimasta (quasi) chiusa. Diverse le cause. Burocrazia, inerzia politica, resistenze delle Regioni contro una gestione centralista e statale delle emergenze. Quelle Regioni che, si legge nell’ultimo rapporto sul dissesto idrogeologico della Corte dei Conti, hanno negli anni dimostrato dubbia «capacità progettuale» e «carenza di profili tecnici unitamente alla scarsa pianificazione del territorio». Memento per chi oggi chiede di inserire anche queste competenze nel mazzo dell’autonomia differenziata.
Paese più esposto in Europa – in Italia nove comuni su dieci hanno località a rischio alluvione – non riesce a spendere i fondi contro il dissesto. Tant’è che le risorse stanziate da Italia Sicura sono rimaste quasi tutte nelle casse dello Stato, dirottate altrove. La struttura e i suoi tecnici? Dismessa dal giorno alla notte dal governo Conte, che di contro ha varato un suo piano, “ProteggItalia” e stanziato altri 3,1 miliardi. Anche questi rimasti in gran parte inutilizzati.
Né bastano a colmare il vuoto i miliardi del Pnrr che per i comuni fissa obiettivi tanto eterogenei quanto generici – alcuni devono essere centrati entro il 2023 – come «la messa in sicurezza del territorio, la sicurezza e l’adeguamento degli edifici, l’efficienza energetica e i sistemi di illuminazione pubblica».
Per mettere in sicurezza il Paese, questa la stima della struttura contro le emergenze messa in piedi da Renzi, servirebbero 30 miliardi di euro. Negli ultimi venti anni ne sono stati spesi circa 6. Con una media dei tempi di realizzazione per ogni opera di 4,7 anni. Un’eternità.
E infatti, svela l’ultimo rapporto di Rendis (Repertorio nazionale degli interventi per la difesa del suolo), la piattaforma che aggiorna di continuo gli interventi contro il dissesto idrogeologico, solo due cantieri su tre fra quelli che sono stati già finanziati è concluso. Su un totale complessivo di 6063 interventi finanziari, «circa il 66% (3.983) risulta concluso, l’11% (672) e in esecuzione, l’8% (509) e in fase di progettazione, mentre un 15% circa degli interventi (899) risulta da avviare o con dati non comunicati».
(da Messaggero)
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Maggio 18th, 2023 Riccardo Fucile
L’AUDIZIONE ALLA CAMERA: “NON CI SONO COPERTURE ADEGUATE, STRUTTURALI E CREDIBILI”
La riforma fiscale è senza coperture, la flat tax è irrealistica e la lotta all’evasione va fatta non solo tramite accordi con le aziende ma anche rafforzando i controlli. Questo è in sintesi il giudizio dato dalla Banca d’Italia alla Camera, durante un’audizione alla commissione Finanze. A parlare è stato il capo del Servizio assistenza e consulenza fiscale di Bankitalia, Giacomo Ricotti.
L’aspetto positivo della legge delega approvata dal governo Meloni, ha sottolineato Ricotti, è che contribuisce “alla certezza del diritto e alla semplificazione del sistema tributario”. In più, l’Italia “ha bisogno di un’ampia e organica riforma fiscale”, e un disegno di legge dà l’opportunità di farla. Uno degli scopi dovrebbe essere tassare di più “rendita e consumi”, e di meno “lavoro e capitale”. I punti interrogativi sulle ricadute più concrete della riforma delle tasse, però, sono parecchi.
A cominciare dai soldi con i quali il governo vuole pagarla. Per ridurre le tasse, lo Stato deve trovare i fondi da qualche parte. Al momento, nella legge non c’è scritto dove: l’unica indicazione è che saranno rimodulate le tax expenditures, cioè le varie deduzioni e detrazioni fiscali, che al momento sono più di 600. Quelle stesse tax expenditures, però, dovranno essere maneggiate con cautela per garantire “la progressività ed evitare aggravi sui redditi più bassi”, ha detto la Banca d’Italia.
Insomma, è necessario che “la delega trovi le opportune coperture”, e che queste siano “adeguate, strutturali e credibili”. Anche perché molti degli interventi previsti “comporteranno perdite di gettito”, e per adesso “non è chiaro né quali incentivi fiscali saranno oggetto della razionalizzazione, né l’entità delle risorse che potranno essere recuperate”.
La flat tax è “poco realistica” per l’Italia
Un altro punto critico della riforma è quello che Ricotti ha definito “il modello prefigurato come punto di arrivo”, cioè la flat tax per tutti promessa dal centrodestra e in particolare dalla Lega di Matteo Salvini. Questo sistema “potrebbe risultare poco realistico per un Paese con un ampio sistema di welfare” come l’Italia, anche perché ci sono dei “vincoli di finanza pubblica”, quindi tagliando le tasse in modo ‘piatto’ non ci sarebbero abbastanza soldi per garantire i servizi essenziali alla popolazione. In generale, “l’estensione dei regimi sostitutivi potrebbe ridurre l’equità del sistema” fiscale._
Peraltro l’Italia sarebbe l’unico grande Paese al mondo ad adottare un sistema simile. La flat tax “rappresenterebbe un unicum tra i sistemi in vigore nelle maggiori economie avanzate: è stato adottato in prevalenza da economie in transizione o in via di sviluppo, con una contenuta pressione fiscale e sistemi di welfare di dimensione limitata”.§
Evasione fiscale, i controlli sulle aziende vanno rafforzati
Ricotti ha parlato anche dell’evasione fiscale. Lo scopo della riforma del governo Meloni è “spostare l’interlocuzione con il fisco” da parte delle aziende “in un momento antecedente alla dichiarazione”, con quella che viene definita “cooperative compliance” e con “l’introduzione del concordato preventivo”. In pratica, le aziende – soprattutto le più grandi – potranno mettersi d’accordo con l’Agenzia delle Entrate su quanto pagare, e in cambio essere sollevate in buona parte dai controlli. Su questo aspetto, Bankitalia ha sospeso il giudizio: “A oggi non è possibile dire se la scelta di coinvolgere ex ante i contribuenti porterà a un rafforzamento o a un indebolimento” delle entrate fiscali.
Dall’altra parte, però, è certo che questa misura non basterà. “In un contesto segnato da una diffusa ed elevata evasione, in particolare tra i contribuenti che saranno interessati dal concordato preventivo, vanno comunque mantenute, se non irrobustite, le forme di controllo successive alla dichiarazione”. Negli ultimi anni queste sono state rafforzate, e anche se Giorgia Meloni ha sminuito i risultati della stretta la Banca d’Italia ha chiesto di “non vanificare i successi finora ottenuti su questo fronte”.
A proposito di imprese, la riforma “appare ispirata a favorire le imprese di dimensioni più contenute”, che sono “un tassello importante e dinamico del nostro sistema produttivo”, ma c’è anche un numero “straordinariamente elevato di microimprese (quelle con meno di 10 addetti), che mostrano livelli di produttività modesti”. Al contrario, in Italia sono poche “le imprese medio-grandi, che hanno un’efficienza comparabile a quella delle aziende delle maggiori economie a noi vicine. Va evitata dunque l’introduzione di disincentivi alla crescita dimensionale”.
(da Fanpage)
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Maggio 18th, 2023 Riccardo Fucile
SPOSTATO A DOMENICA, A RISCHIO LO SHARE
Dopo aver salutato senza lutto al braccio Fabio Fazio e Che tempo che fa, la nuova Rai targata Meloni mette nel mirino Report. Proprio quel programma che la maggioranza di governo, nei giorni scorsi, si fregiava di aver confermato per la prossima stagione, scacciando così le accuse di voler aprire una stagione di epurazioni per i programmi considerati “non amici”. Cancellarlo, dunque, ormai non si può più. Ma si può costruire una trappola d’oro, questo sì.
L’idea è di sfruttare l’addio di Fazio e di spostare il programma di inchiesta condotto da Sigfrido Ranucci dalla serata di lunedì a quella di domenica. Vista da fuori sembrerebbe una promozione nella “serata nobile” della settimana. E così verrebbe venduta all’esterno: come l’attestato che questo governo, sulla Rai, non compie alcun ragionamento politico, ma solo di merito, tanto da gratificare con lo spazio più importante a disposizione di Rai3 una trasmissione come Report, tante volte attaccata in passato.
Eppure, chi conosce i meccanismi della televisione sa bene che togliere a un programma la sua serata, il lunedì, sempre mantenuta negli ultimi sette anni, è un colpo difficile da incassare e il rischio di perdere telespettatori è alto.
La domenica poi è l’arena più difficile in cui combattere: ci sono le partite di calcio e le altre reti televisive puntano su programmi consolidati, a volte diretti concorrenti. Il lunedì, invece, per l’informazione era “la serata di Report”: un giardino con il suo re.
La regia dell’operazione sarebbe del nuovo amministratore delegato, Roberto Sergio, e di Paolo Corsini, che oggi verrà indicato alla guida degli Approfondimenti, poltrona da cui si controllano i programmi di informazione.
Anni fa anche Stefano Coletta, da direttore di Rai3, aveva provato a spostare Report dal lunedì alla domenica, quando Fazio passò a Rai1 lasciando un buco nei palinsesti, ma allora la redazione di Ranucci si oppose. Sergio lo ricorda bene e per indorare ulteriormente la pillola sembra voglia offrire un’ora in più di programma a Report, che inizierebbe così alle 20, proprio come Che tempo che fa. Ottanta minuti in più su cui spalmare il proprio pubblico: anche qui si nasconde il pericolo di perdere qualcosa in termini di share, indebolendo ulteriormente la posizione del programma. Ma tutto infiocchettato, e senza epurazioni.
(da agenzie)
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Maggio 18th, 2023 Riccardo Fucile
LA SOLITA BUFALA SOVRANISTA PER SCREDITARE GLI AVVERSARI, TANTO NESSUNO LI VA MAI A CERCARE, SE SEI SOVRANISTA GODI DELL’IMMUNITA’
Circola una foto di Elly Schlein, segretaria del Partito Democratico, con una camicia che secondo gli utenti si tratterebbe di un prodotto del marchio Dior che costerebbe 2.500 euro.
Accanto a lei viene posto lo scatto di una modella con indosso la stessa camicia, ma il primo dubbio arriva dalla cintura da lei indossata che riporta tutt’altro marchio.
Per chi ha fretta
a modella nella foto indossa una cintura con un logo diverso da quello di Christian Dior.
La modella indossa una camicia e una cintura del marchio Marella.
La camicia costa sui 125 euro, in sconto oggi intorno agli 80.
Analisi
Ecco il post dell’utente Giovanna dove riporta la foto di una modella e quella di Elly Schlein con la stessa camicia, sostenendo che questa costi 2.500 euro:
Il logo Dior non è per nulla simile a quello indossato nella cintura della modella
Risulta strano che una modella che si fa fotografare con il marchio Christian Dior indossi una cintura di un’altra marca. Cercando la foto della modella riscontriamo che lo scatto riguarda un prodotto Marella in vendita a circa 125 euro e in sconto a 82.32 sul sito Jasaspg.com.
Conclusioni
La camicia indossata da Elly Schlein non costa affatto 2.500 e non è nemmeno del marchio indicato dagli utenti.
(da Open)
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