Maggio 20th, 2023 Riccardo Fucile
NEL CDA DI LEONARDO E’ FINITO TRIFONE ALTIERI, AL GSE PAOLO ARRIGONI… BENEFICIATI ANCHE BUSSETTI, SIRI, PEPE, BOSATRA, DI MURO, URRARO
I nomi dei ripescati più “famosi” sono quelli dell’ex ministro dell’Istruzione e dell’Università, Marco Bussetti, oggi consulente del ministro dello Sport, Andrea Abodi per 45mila all’anno, e dell’ex sottosegretario al Ministero delle infrastrutture (Mit), Armando Siri, a palazzo Chigi con Matteo Salvini.
Per il fedelissimo del leader è prevista una retribuzione di 120mila euro annui. C’è poi l’ex deputato, Flavio Di Muro, che ha avuto il suo quarto d’ora di celebrità facendo la proposta di matrimonio alla sua compagna, in aula alla Camera, nella scorsa legislatura. Ora è capo della segreteria di Edoardo Rixi, sottosegretario al Mit.
EX ONOREVOLI DIRIGENTI
Ma la lista degli esponenti della Lega, fedelissimi o candidati non eletti, piazzati tra società partecipate, organi di giustizia e staff di governo è piuttosto nutrita. Dietro i profili più mediatici spunta anche Trifone Altieri, fresco di indicazione nel cda di Leonardo. Chi lo ha proposto in quel ruolo? Il Mef guidato dal compagno di partito Giancarlo Giorgetti.
Altieri è entrato a Montecitorio nel 2014 grazie a Forza Italia, partito in cui ha iniziato la propria carriera politica nella sua Bari. Ha fallito l’elezione in parlamento nel 2013 e il seggio è scattato dopo che il forzista Antonio Leone è finito nel Csm. Altieri ha successivamente abbracciato la causa di Salvini. E oggi, in quota Lega, siede nell’organismo dirigenziale di una delle partecipate più importanti d’Italia.
Anche il responsabile Energia del partito e senatore per due mandati, Paolo Arrigoni, è diventato manager dopo aver mancato il terzo giro al Senato. Giorgetti lo aveva voluto nel team di collaboratori al Mef con una remunerazione di 50mila euro annui. Arrigoni ha lasciato l’incarico a marzo, compiendo un salto di qualità: è approdato alla presidenza del Gestore dei servizi energetici (Gse), società del ministero dell’Economia che si occupa di rinnovabili ed efficienza energetica.
Al dicastero di via XX settembre c’era con lui anche l’ex deputata Silvana Snider. La rinuncia alla consulenza (da 25mila euro) è arrivata solo quando è scattato il seggio al Consiglio regionale in Lombardia. L’ex senatore Francesco Urraro è invece stato eletto al Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, grazie alla spinta leghista.
Il suo nome è diventato famoso a palazzo Madama quando ha deciso di lasciare il Movimento 5 stelle per entrare nella Lega, indebolendo i numeri del Conte bis a palazzo Madama. Era sparito un po’ dai radar, salvo riapparire durante l’ultimo valzer di poltrone.
GOVERNO PORTO SICURO
Gli staff governativi restano comunque l’approdo preferito per chi ha bisogno di una poltrona. Davide Bordoni, attuale consigliere comunale della Lega a Roma, è l’esperto per i rapporti con gli enti territoriali del ministero di Salvini. L’incarico gli garantisce 40mila euro all’anno. Il leader leghista usa il doppio binario per distribuire ruoli. Se qualcuno va al Mit, altri si ricollocano al palazzo Chigi negli uffici del vicepremier. È il caso dell’ex senatore e responsabile delle politiche per il Mezzogiorno del partito, Pasquale Pepe, indicato «consigliere per il sud» con una retribuzione di 60mila euro annui. Va meglio a Stefano Locatelli, vicesindaco del comune di Chiuduno (Bergamo) e responsabile enti locali della Lega, che ha una consulenza da 120mila euro in qualità di esperto di autonomie. Valeria Alessandrini, già consigliere regionale in Umbria è un’altra ex parlamentare che ha trovato posto nello staff del ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara. Dal 5 dicembre ha firmato un contratto da 45mila euro all’anno.
Molto attento agli amici di partito è il ministro per gli Affari regionali e le autonomie, Roberto Calderoli. Nell’elenco dei consulenti rientra il fedelissimo Maurizio Bosatra, presidente del comitato disciplinare della Lega. È il guardiano del salvinismo che di recente ha firmato una raffica di espulsioni di ex dirigenti critici verso la leadership del partito. La collaborazione prevede un compenso di 86mila euro. Nello stesso staff figura anche l’ex senatore Luigi Augussori: come esperto per gli Affari istituzionali ha ottenuto una collaborazione da 64mila euro annui.
Con Calderoli c’è un altro ex senatore, Stefano Corti, nelle vesti di consigliere per i territori a vocazione montana. A lui tocca una retribuzione più bassa rispetto agli altri (21.600 euro). C’è poi l’ultima soluzione: la collaborazione con deputati o titolari di incarichi a Montecitorio per cui non è prevista trasparenza o pubblicità degli atti. A Domani risulta ad esempio che l’ex deputato Marzio Liuni sia nello staff dei membri leghisti dell’ufficio di presidenza a Montecitorio.
(da editorialedomani.it)
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Maggio 20th, 2023 Riccardo Fucile
IL DATO PIU’ INTERESSANTE? L’80% DEGLI ITALIANI RITIENE CHE LE PRIORITA’ SIANO ALTRE (TRADOTTO: NON GLIENE FREGA NULLA)
Il governo Meloni ha deciso di riportare al centro del dibattito la questione delle riforme istituzionali. Nelle ultime settimane, così, si è discusso di soluzioni alternative: premierato con l’elezione diretta del capo del governo, presidenzialismo con l’elezione del presidente della Repubblica, modello alla tedesca, modello alla francese… oltre alle discussioni su che effetto avrebbe tutto questo in Italia.
Chi preferisce cosa, partito per partito
Secondo un sondaggio realizzato da Ipsos per il Corriere della Sera, un italiano su quattro ritene che la riforma migliore sia il premierato: un sistema, cioè, in cui il presidente del Consiglio viene eletto direttamente dalla popolazione e può nominare e revocare i suoi ministri. Questa è anche la riforma su cui, secondo Giorgia Meloni, potrebbe essere più facile una convergenza anche con gli esponenti delle opposizioni.
Se il 25% preferisce il premierato, però, c’è anche un 26% che dice di non volere nessuna elezione diretta, né del capo del governo né del presidente della Repubblica. Questa è una posizione molto popolare tra gli elettori del Pd (la sceglie il 53% di loro) ed è anche la preferita dei sostenitori del Movimento 5 stelle (32%), mentre raccoglie il 25% di chi vota altre liste (escluso il centrodestra).
Tra gli elettori di Fratelli d’Italia – la prima forza politica del Paese per numero di voti, anche secondo i sondaggi – l’opzione nettamente preferita è il premierato (44%), che stacca anche il presidenzialismo (34%). Quasi nessuno rinuncia all’elezione diretta (il 5%), mentre tra gli altri elettori del centrodestra questa opzione non è del tutto marginale (15%). Anche tra chi vota Forza Italia o Lega, comunque, la preferenza è per il premierato rispetto al presidenzialismo, ma di poco: 36% contro il 33%. Sempre sul premierato, gli elettori del Pd non sono del tutto opposti (21%), come quelli del M5s (23%), mentre la differenza è più forte sul presidenzialismo: lo vorrebbe solo il 13% dei sostenitori dem, contro il 29% dei pentastellati.
Il presidente della Repubblica deve restare super partes
Se le divisioni di partito emergono in modo piuttosto chiaro quando si parla di forma di governo, il tema che tende a unificare tutti è il presidente della Repubblica.
In particolare, la necessità che al Quirinale ci sia una figura super partes è “molto” o “abbastanza importante” per due elettori su tre (il 66%), una soglia mantenuta o superata tra chi vota Fratelli d’Italia (83%), Lega o Forza Italia (67%), ma anche Movimento 5 stelle (75%) e soprattutto Pd, dove si arriva al 94%.
In linea con questa necessità di un equilibrio tra le istituzioni, il 61% ritiene molto (28%) o abbastanza (33%) importante che il Parlamento mantenga il suo ruolo, per aspetti come l’elezione del presidente della Repubblica, la fiducia al governo e il potere legislativo.
Va detto che c’è un 29% della popolazione che non sa cosa rispondere, quando gli si chiede quale sia la forma di governo migliore, soprattutto tra gli indecisi e gli astenuti per quel che riguarda il voto politico.
Allo stesso tempo, c’è un certo scetticismo: solo il 12% della popolazione ritiene che le riforme istituzionali siano prioritarie, mentre il 19% pensa che servano dei miglioramenti. Il 20% pensa che le emergenze siano altre, e ben il 24% pensa che sia un tentativo di spostare l’attenzione pubblica da temi come lavoro, disuguaglianze ed economia.
(da Fanpage)
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Maggio 20th, 2023 Riccardo Fucile
INTERVISTA ALL’ATTIVISTA DEI DIRITTI CIVILI PEGAH MOSHIR POUR
Era il 16 settembre 2022 quando Mahsa Jîna Amini, una ventiduenne di origine curda, veniva arrestata dalla polizia morale e uccisa a Teheran per non aver indossato correttamente l’hijab. Da allora sono passati circa 8 mesi. «Molto intensi», dice a Open, Pegah Moshir Pour, attivista italo-iraniana per i diritti umani e in prima linea nella divulgazione di contenuti su quanto sta accadendo in Iran. Le proteste scoppiate dopo la morte della studentessa hanno coinvolto ampie fette della popolazione. Da tutte le regioni dell’Iran, donne e uomini di differenti classi sociali e diverse generazioni hanno dato voce a un ampio dissenso contro il regime della Repubblica islamica «che da 44 anni soffoca gli iraniani che adesso chiedono un cambiamento radicale», spiega l’attivista. Nonostante la dura repressioni da parte delle autorità con condanne a morte comminate con l’accusa di moharebeh (inimicizia contro dio), aggressioni, arresti, avvelenamenti nella scuole, controllo di Internet e con l’acquisto di telecamere di sorveglianza per identificare le donne che violano le leggi sull’hijab, in Iran si continua a fare disobbedienza di ogni tipo. Ai cortei nelle strade si sono aggiunte proteste attuate con forme differenti. «Non presentarsi al lavoro – racconta Moshir Pour – scioperare e prendere mezzi pubblici senza indossare il velo sono alcune delle modalità attraverso cui gli iraniani ancora oggi combattono contro l’oppressione delle libertà personali e dei diritti civili». Chi protesta vuole la caduta del regime e chiede un cambio di struttura politica mediante elezioni democratiche. Ma a che punto è la Rivoluzione in Iran dopo 8 mesi di proteste? Il regime sta colpendo le studentesse con gli avvelenamenti? E in questo contesto, l’Occidente, compresa l’Unione europea, dovrebbe fare di più?
Dopo otto mesi a che punto è la Rivoluzione in Iran?
«La rivoluzione Mahsa Jîna Amini, meglio conosciuta come “Donna, vita e libertà” è a un punto molto delicato: la gente continua a essere arrestata, intimorita in ogni modo e uccisa. Ma nonostante le intimidazioni e la repressione da parte del regime iraniano, il popolo non tonerà indietro. Anzi, andrà avanti. Nel Paese c’è, infatti, una continua disobbedienza civile: vediamo, ad esempio, sempre più immagini di donne che non portano il velo proprio perché simbolo di oppressione. Ma l’hijab non ha niente a che fare con la religione. Il velo è stato imposto da Khomeini nel ’79 per contrapporre anche simbolicamente la sua rivoluzione all’occidentalizzazione voluta e messa in atto dallo Scià. Ma oltre ai cortei in strada, si protesta in altri modi. Per esempio, non andando a lavorare, utilizzando mezzi pubblici senza indossare il velo. Ci sono poi tantissimi lavoratori della petrolchimica che scioperano quasi tutti i giorni per le condizioni disumane e gli stipendi troppo bassi. E si protesta pure nelle scuole, dove i ragazzi continuano a resistere alle intimidazioni da parte dei dirigenti. Gli slogan sono chiari, nessuno vuole il regime della repubblica islamica».
Le autorità iraniane hanno represso le proteste anche con le esecuzioni capitali. Majid Kazemi, Saleh Mirhashemi e Saeed Yaghoubi sono stati giustiziati proprio ieri. Secondo l’ultimo rapporto di Amnesty International, da 314 nel 2021 si è passati a 576 nel 2022, a causa della repressione sulle rivolte scoppiate in autunno. Nonostante tutto, gli iraniani non hanno smesso di scendere in strada. I giovani e le giovani non hanno paura di un regime che reprime, tortura e uccide?
«L’Iran purtroppo è da sempre tra i primi posti nella classifica dei Paesi che condannano a morte, in particolare attraverso le impiccagioni, i dissidenti. Ma non solo loro: le esecuzioni riguardano anche persone ritenute pericolose, ma ci sono anche gli intellettuali, tante persone che potevano essere il futuro democratico dell’Iran. E, in più, a venire condannati a morte sono anche gli omosessuali perché l’omosessualità non è riconosciuta dal regime. E i giovani purtroppo lo sanno che da 44 anni a questa parte c’è questa dittatura che porta alla morte. Ma sanno anche che senza il sacrificio, senza la perseveranza e la resistenza non si potrà arrivare alla libertà. Certo, hanno paura ma la loro paura si è trasformata in grande coraggio che hanno saputo riversare bene nelle strade e pure sui social. Quindi dobbiamo continuare a sostenere e a essere la voce di questi ragazzi e di queste ragazze perché in questo momento il regime continua ad essere ancora lì, solido».
In questi mesi il regime ha cercato di riportare l’ordine nel Paese anche mediante alcune (presunte) “concessioni”. L’abolizione della polizia morale, prima. Un referendum per modificare la legge sull’obbligo del velo per le donne e infine un’amnistia concessa dalla guida suprema Khamenei a centinaia di migliaia di prigionieri, tra cui alcuni manifestanti. Cosa è accaduto?
«Quello che dichiara il regime, la stampa e la tv, che sono controllate dal regime, non ha basi forti di credibilità. Gli attivisti sul posto, ad esempio, stanno raccontando come il regima abbia proposto per placare un po’ gli animi un referendum per far scegliere alle donne e agli uomini se mantenere o meno l’obbligatorietà dell’hijab. Naturalmente si tratta di una mossa per mettere a tacere la sottrazione. Le donne lo hanno capito e hanno risposto sui social che non si faranno comprare da questo misero referendum e che continueranno a combattere perché l’obiettivo non è il velo islamico, l’obiettivo è far cadere l’attuale regime per poter avere la possibilità di decidere legittimamente e democraticamente del proprio futuro».
Nell’ultimo periodo ci sono stati migliaia di casi di avvelenamento nelle scuole femminili. Secondo alcuni attivisti si tratterebbe di una sorta di “vendetta” da parte del regime contro le studentesse che hanno preso parte alle proteste. Ma il ministero dell’Interno ha annunciato di aver arrestato più di 100 persone. Il regime sta colpendo le studentesse? Qual è la motivazione dietro questi avvelenamenti?
«Si dice che queste persone siano state arrestate dopo gli avvelenamenti nelle scuole, ma è un po’ strano che non si sappia più nulla. Quando la guida suprema Ali Khamenei, durante uno dei suoi discorsi, ha espresso indignazione verso queste ragazze che all’interno delle scuole bruciavano la sua foto, ha detto che avrebbero pagato, che le loro azioni non sarebbero dovute passare impunite. Beh’ qualcuno ha probabilmente espresso il suo desiderio. Tant’è che queste stesse persone, responsabili degli avvelenamenti, non sono stati fermati neppure dai dirigenti stessi degli istituti scolastici. Sappiamo per certo, i video lo testimoniano, di genitori che all’ingresso delle scuole chiedevano di poter entrare per ritirare le proprie figlie e i dirigenti scolastici si opponevano. Quindi è un po’ difficile accettare la narrazione del regime. Non penso siano state pilotate, ma piuttosto credo che queste persone abbiano espresso il desiderio della guida suprema, per la fedeltà che hanno nei suoi confronti».
L’Occidente e l’Ue potrebbero fare di più per sostenere le persone in Iran?
«L’Occidente è la chiave nell’andamento di questa rivoluzione. Ha tuttora legami economici e politici con le persone legate al regime, tra cui anche i guardiani della rivoluzione islamica che il Consiglio europeo sta cercando di mettere nella lista dei terroristi. Le guardie rivoluzionare sono più di 200 mila persone; hanno legami molto forti ovunque e sono quelli che sponsorizzano un certo disordine nel Medio Oriente. Quindi se riuscissero a far diventare l’Iran la prima repubblica democratica del Medio Oriente, ne beneficerebbe tutto il mondo».
Quale futuro possiamo immaginare per questa rivoluzione? Si arriverà presto a un cambiamento?
«Nonostante siano passati così tanti mesi, ancora è troppo presto per valutare il cambiamento. Come tutte le rivoluzioni, anche quella in Iran, ha bisogno di un suo corso storico. Ovviamente noi attivisti speriamo che il prima possibile possa avvenire questa caduta del regime per poi dare la possibilità agli iraniani di poter eleggere attraverso delle elezioni democratiche il o la propria leader».
Tu sei nata in Iran e a 9 anni ti sei trasferita con la tua famiglia in Basilicata. Cosa significa nascere sotto un regime?
«Nascere in Iran è sicuramente un privilegio. Io eredito da parte di mio padre e di mia madre una grande storia. Sono persone che hanno sempre fatto il loro nel sociale e nel mondo della cultura. Quindi sono profondamente orgogliosa e felice delle mie origini, della mia prima cultura che mi permette di spiegare al meglio agli italiani e agli europei in generale quello che sta succedendo in Iran. Se posso fare anche solo un minimo della mia parte in questa esistenza sulla terra, sono contenta che sia per una causa giusta e una missione che va portata avanti e assolutamente non va tenuta in disparte o nascosta».
(da Open)
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Maggio 20th, 2023 Riccardo Fucile
GASPARRI AVEVA DETTO: “MIA MOGLIE MI FA L’ARMADIO”
«In Forza Italia, con la nascita del Pdl, è arrivata un sacco di feccia fascista». Il commento, durissimo, è firmato Francesca Pascale, ed è spuntato stamattina sotto un post del profilo Instagram “The Journalai”. Nel video, tra le altre cose, Maurizio Gasparri racconta di non «avere una armocronista» in stile Elly Schlein: «Mia moglie mi fa l’armadio, non ci vuole tutta questa scienza» dice il vicepresidente del Senato. E’ la frase che fa scattare la reazione di Pascale, che poi spiega: in Forza Italia «non sono mai stati fascisti, tanto meno razzisti. In coalizione sono diventati pure questo. Altrimenti restavo».
I suoi blitz in politica non sono una novità: «Per me votare a destra – aveva detto a marzo a Milano – sarebbe come se un capretto votasse per la Pasqua. Berlusconi? Lui è un liberale in Europa, è avversario dei sovranisti. Le sue battute spesso però mi hanno fatto arrabbiare creando qualche problema di coppia».
(da agenzie)
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Maggio 20th, 2023 Riccardo Fucile
IL VICEDIRETTORE DELLA VERITA’ INSULTA IL FUMETTISTA: LA CLASSE NON E’ ACQUA
Zerocalcare è “un cretino” e Michela Murgia “sfrutta la sua malattia per dire che il governo è fascista”. Al Salone del libro di Torino, nella sala Rosa del Lingotto, si trovano gli intellettuali di destra. La contestazione alla ministra della Famiglia Eugenia Roccella è appena avvenuta e loro bollano i manifestanti come “fascisti”.
All’incontro, intitolato “La destra e la cultura”, ci sono il consulente del ministro Sangiuliano Francesco Giubilei, Ferrante De Benedicitis, che è presidente di Nazione Futura, il vicedirettore de La Verità Francesco Borgonovo, oltre a Giordano Bruno Guerri.
Il giudizio su Murgia è di Luca Beatrice, critico d’arte ed ex presidente del Circolo dei lettori, che attacca la scrittrice per l’intervista in cui ha definito fascista il governo Meloni. Quello su Zerocalcare appartiene invece a Borgonovo. Mentre De Benedictis dice: “Per decenni abbiamo vissuto l’incubo della cultura di sinistra”.
In sala anche la parlamentare di FdI Augusta Montaruli, reduce dal botta e risposta con Lagioia sulle contestazioni a Roccella, e l’assessore regionale meloniano Maurizio Marrone.
Tra le varie riflessioni, c’è anche spazio per l’autocritica. Francesco Giubilei ritiene che il centrodestra sia stato troppo timido: “Quando il centrodestra vince un Comune nomina nelle partecipate uno di sinistra perché dice che ha maggiore esperienza. In questo modo nessuno si farà mai esperienza”.
(da La Repubblica)
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Maggio 20th, 2023 Riccardo Fucile
LA MINISTRA LASCIA IL PALCO
Prima la contestazione di un gruppo di attiviste e attivisti, poi il tentativo di mediazione del direttore editoriale del Salone del Libro Nicola Lagioia. E infine, dopo più di un’ora di stop, la decisione della ministra Fdi Eugenia Roccella di lasciare il palco. A Torino, l’evento in programma con la titolare del dicastero per la Famiglia e Natalità del governo Meloni si è trasformato in uno scontro pubblico tra esponenti della maggioranza di centrodestra e lo scrittore che dall’anno prossimo sarà sostituito.
“Vergognati”, ha gridato la deputata Fdi Augusta Montaruli subito dopo l’invito di Lagioia al confronto. “La contestazione è legittima con tutti i soldi che pigli? Ma vergognati“. A quel punto il direttore se ne è andato e ha poi scritto un messaggio su Facebook: “Pieno di imbarazzo per Montaruli, sono sceso da un palco dove tra un po’ dovevo evitare che la deputata mi si scagliasse addosso“. Proprio Montaruli, a febbraio scorso, si è dimessa dal ruolo di sottosegretaria per una condanna definitiva per peculato. Contro Lagioia si è scagliata anche la stessa ministra, accusandolo di aver fatto “una narrazione fantasy” dell’accaduto e di non aver criticato chi protestava.
In difesa di Roccella si è subito schierato il presidente del Senato ed esponente di Fdi Ignazio La Russa. Mentre la deputata M5s Chiara Appendino e la collega dem Anna Rossomando si sono esposte per chi manifestava e Lagioia. La ministra ha poi annullato anche l’appuntamento delle 17 allo stand de “Il dubbio”.
Cosa è successo allo stand del Piemonte
La ministra Roccella era stata invitata a parlare del suo libro “Una famiglia radicale” dallo stand della Regione Piemonte. E con lei avrebbe dovuto intervenire anche l’assessore regionale Maurizio Marrone, noto per aver stanziato 400mila euro alle associazioni anti-abortiste. L’incontro, previsto inizialmente per le 13, è stato interrotto e non è più ripartito. L’evento successivo si è svolto al centro dell’arena, per terra. Alle 15 la ministra ha deciso di lasciare il palco per far iniziare l’evento organizzato da Casa Ugi. “Per democrazia, a voi sconosciuta, lascio il palco”, ha detto rivolgendosi alle attiviste e agli attivisti.
Subito dopo è intervenuta la Digos e sono stati denunciati per violenza privata ventinove attivisti e attiviste del movimento ambientalista Extinction Rebellion e del collettivo femminista Non Una di meno.
A quanto si apprende da fonti investigative oltre ai 20 militanti altre persone si sono unite in modo estemporaneo alla contestazione.
L’intervento e la ricostruzione di Nicola Lagioia. Roccella lo attacca: “Ricostruzione fantasy”
Chi ha tentato di cercare una mediazione è stato il direttore editoriale del Salone del Libro Nicola Lagioia: dopo essere stato a colloquio con la ministra, lo scrittore ha invitato i manifestanti a confrontarsi con Roccella. “Il Salone è un luogo democratico e della democrazia fa parte anche della contestazione”, ha detto, “però secondo me avete l’opportunità di dialogare con la ministra dopo averla contestata perché non qualcuno di voi, un delegato, non sale sul palco e si confronta? Perché non trasformare questa occasione in un dialogo anche acceso? La vostra è una contestazione legittima, pacifica però a un certo punto ci deve stare il dialogo”.
Un appello che, però, come già l’invito rivolto in precedenza dalla stessa ministra, non è stato accolto. Intanto, secondo le ricostruzioni delle agenzie di stampa, mentre Lagioia parlava è arrivata Montaruli che si è scagliata contro lo scrittore. Tanto da spingerlo ad abbandonare lo stand.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Maggio 20th, 2023 Riccardo Fucile
NEI PRIMI ANNI NOVANTA HANNO LAVORATO INSIEME
Sulla chiusura del programma Non è l’arena c’è un altro colpo di scena. Risulta infatti a Domani che fonti giudiziarie che a Firenze indagano su Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri (iscritti per concorso in strage per gli attentati mafiosi avvenuti nel 1993 sul continente) avrebbero contezza di alcuni contatti tra l’ex premier e Urbano Cairo, editore di La7, nelle settimane che hanno preceduto lo stop alla trasmissione di Massimo Giletti.
«Nei primi anni Novanta hanno lavorato insieme, Berlusconi aveva scelto Cairo come collaboratore e lo considera da sempre il più bravo di tutti. Risulta normale, direi fisiologico avere interlocuzioni e contatti: stiamo parlando del gotha dell’editoria televisiva nel nostro paese», racconta chi conosce entrambi. Ma oltre ai rapporti di buon vicinato, c’è dell’altro.
Al centro delle chiacchierate tra i due imprenditori ci sarebbero stati anche i servizi giornalistici trasmessi da Giletti sulle stragi e il ruolo di Dell’Utri, che è stato il consigliere più determinato a convincere il Cavaliere a “scendere in campo” e fondare Forza Italia.
Di certo i magistrati Luca Turco e Luca Tescaroli della procura antimafia di Firenze, che indagano sui mandanti occulti alle bombe del 1993, stanno facendo verifiche sulla chiusura di Non è l’arena. Ma cosa c’entra l’indagine sui presunti registi delle stragi con la sorte del programma di Giletti?
LA FOTO DEI MISTERI
A tenere insieme le due questioni è una foto, uno scatto di cui ha parlato per primo questo giornale che ritrarrebbe Berlusconi, il boss stragista Giuseppe Graviano e il generale Francesco Delfino. È stato Giletti a riferire ai magistrati dell a sua esistenza e che la stessa gli sarebbe stata mostrata da Salvatore Baiardo, l’ex gelataio condannato negli anni Novanta per aver favorito la latitanza di Filippo e Giuseppe Graviano.
Baiardo ha avuto il suo momento di celebrità alla fine del 2022 quando, intervistato da La7, aveva predetto l’arresto di Matteo Messina Denaro, azzeccando persino il mese della cattura, gennaio 2023. Da mago che prevede il futuro si è trasformato presto in una pedina centrale nell’indagine sui mandanti occulti delle stragi 1993, condotta dalla direzione investigativa antimafia e coordinata dalla procura.
Baiardo è il collante che tiene insieme diversi piani: è ritenuto un portavoce dei Graviano, ma è anche a conoscenza, come dimostrano alcuni documenti, dei presunti incontri tra lo stragista Giuseppe Graviano e Berlusconi nell’anno che ha preceduto la nascita ufficiale di FI e la discesa in campo dell’imprenditore milanese.
L’ex gelataio, insomma, è il collegamento tra passato e presente: dai rapporti (ammessi dallo stesso Graviano durante gli interrogatori e negati da Berlusconi) con l’ex presidente del Consiglio alla foto di cui ha parlato Giletti con i magistrati. Baiardo è netto nel sostenere che l’immagine non esiste, tuttavia intercettazioni dimostrerebbero il contrario.
Il conduttore, quando è stato sentito dai magistrati fiorentini, ha detto di aver visto l’istantanea e di aver riconosciuto l’allora Cavaliere e il generale Delfino, carabiniere morto nel 2014 la cui vicenda si intreccia con i misteri della più recente storia italiana. Erano immortalati insieme accanto a un terzo soggetto, a detta di Baiardo si tratterebbe di Giuseppe Graviano, ma Giletti non l’ha riconosciuto perché l’ex gelataio ha ritirato la foto senza consegnarla.
LE PUNTATE CANCELLATE
Prima della chiusura i servizi di Non è l’Arena si stavano concentrando proprio sui rapporti tra Berlusconi, Dell’Utri e la mafia. Approfondimenti che avevano da tempo provocato l’irritazione di Mediaset e dei suoi vertici, come emerso nelle scorse settimane, quando questo giornale ha pubblicato i passaggi di un’informativa della Dia, la Direzione investigativa antimafia, collegandoli ad alcune dichiarazioni pubbliche.
Nel giugno 2021 Dell’Utri aveva il telefono sotto controllo. In quel periodo, parlando con l’avvocata di Mediaset, Enrica Maria Mascherpa, e con il tesoriere di Forza Italia, Alfredo Messina, discutevano anche di giornalisti e di trasmissioni non gradite. Dell’Utri esprimeva la necessità di costruire una strategia per difendere Berlusconi e le aziende.
L’ex senatore forzista, già condannato in passato per collusione con la mafia a sette anni di carcere, si lamentava della puntata condotta da Giletti sul tema della trattativa stato-mafia, processo dal quale Dell’Utri è stato definitamente assolto.
Tre mesi più tardi l’ex senatore rilasciava al Foglio un’intervista affatto tenera nei confronti di Cairo: «Era un ragazzo sveglio, gli feci fare l’assistente personale di Berlusconi (…) Come può pensare di me le cose che dicono in alcune sue trasmissioni? L’informazione è una cosa. L’accanimento è tutto un altro paio di maniche». Pochi giorni dopo Cairo incontrava Berlusconi e quest’ultimo lo salutava con queste parole: «È un mio amico da moltissimi anni».
Nei giorni scorsi il sito Dagospia ha pubblicato la notizia di un possibile interessamento da parte di Cairo all’acquisto di Mediaset, notizia che è stata seccamente smentita dall’ufficio stampa del Biscione e da La7. Nelle prossime settimane proprio Cairo potrebbe essere sentito come persona informata sui fatti dopo che la procura di Firenze ha già ascoltato Giletti. Sui possibili contatti con Berlusconi rilevati dall’inchiesta di Firenze abbiamo chiesto una replica a Cairo, ma ha preferito non commentare.
(da editorialedomani.it)
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Maggio 20th, 2023 Riccardo Fucile
LO STUDIO, PUBBLICATO SULLA RIVISTA EARTH’S FUTURE, HA CALCOLATO CHE IL PESO DI UN MILIONE DI EDIFICI SIA PARI A CIRCA 764 MILIONI DI TONNELLATE CHE POGGIANO SU UN SOTTOSUOLO COSTITUITO PER LO PIÙ DA SABBIA, LIMO, SEDIMENTI ARGILLOSI E AFFIORAMENTI ROCCIOSI
La città di New York sta sprofondando di 1-2 millimetri all’anno sotto il peso dei suoi stessi grattacieli: la deformazione del terreno, che nel lungo periodo potrebbe aumentare il rischio di inondazioni, è stata mappata mettendo a confronto i dati satellitari con i modelli della geologia del sottosuolo.
Lo studio è pubblicato sulla rivista Earth’s Future da un team di esperti dell’Università di Rhode Island guidati dal geologo Tom Parsons. I ricercatori hanno calcolato la massa cumulativa di oltre un milione di edifici a New York City, che risulta essere pari a circa 764 milioni di tonnellate. La complessa geologia del sottosuolo è costituito per lo più da sabbia, limo, sedimenti argillosi e affioramenti rocciosi.
I terreni più ricchi di sedimenti argillosi e riempimenti artificiali sono più proni al fenomeno della subsidenza (ovvero allo sprofondamento), con un valore medio di 294 millimetri misurato nella parte bassa di Manhattan; terreni più elastici riescono a riprendersi dopo la costruzione degli edifici, mentre il substrato più roccioso a cui sono ancorati molti grattacieli non si muove più di tanto.
(da Leggo)
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Maggio 20th, 2023 Riccardo Fucile
AL SALONE DEL LIBRO DI TORINO HA RACCONTATO LA REPRESSIONE NELLA RUSSIA DI PUTIN
In una serena giornata di aprile uno studente del quarto anno della facoltà di informatica e cibernetica esce dall’università dopo aver sostenuto l’esame. Fa appena in tempo a voltare il capo verso il parcheggio delle bici quando, come dal nulla, compaiono degli uomini in divisa con fucili d’assalto che lo fermano. L’anno successivo lo trascorrerà in carcere. Lo studente si chiama Dima Ivanov ed è un mio caro amico e uno dei primi arrestati in base al nuovo articolo della legge repressiva: diffusione di notizie chiaramente false sull’impiego delle Forze armate della Federazione Russa. Veniva arrestato il 28 aprile. Il 1 giugno non poté discutere la tesi di laurea, poiché si trovava in cella, e il 2 giugno lo condussero presso la Commissione Investigativa per l’interrogatorio. Venne accusato di diffusione di false notizie (fakes) sull’esercito per aver scritto la verità sulla guerra sul suo canale Telegram e rinchiuso in isolamento (SIZO). Il 1 marzo del 2023 Dima è stato condannato a 8 anni e mezzo di carcere.
L’anno 2022 è stato per la Russia l’anno in cui la repressione ha raggiunto livelli senza precedenti dai tempi del terrore rosso. Migliaia di persone sono state arrestate per azioni contro la guerra, pubblicazioni o addirittura semplici conversazioni. Sono state scritte decine, centinaia di migliaia di delazioni. L’attesa che comparisse l’auto nera (Cernyj voronok) della polizia sotto la finestra era diventata abituale, quasi parte della quotidianità. Ma le repressioni non sono state una novità per la Russia. Hanno accompagnato tutto il periodo di governo di Putin, si può addirittura dire tutta la storia del nostro paese. Io venni a conoscenza della loro esistenza solo nel 2018, e una volta appreso questo decisi fermamente di occuparmi di politica e di fare ogni cosa per fermare ciò che stava accadendo. Ma già nel 2020 io stessa ebbi a che fare con le repressioni. E questo cambiò radicalmente la mia vita, per non dire che la “distrusse”.
Quando incontravo ex detenuti politici notavo sempre in loro un silenzio particolare, come avviene quando parli con persone anziane. Calma (la parola «Спокойствие» può essere resa in italiano anche con “tranquillità”, ndt), imperturbabilità e tristezza. Io non volevo diventare una di loro, ma dopo l’arresto il mio ardimento, la mia gioia di vivere e il coraggio assurdo sono scomparsi per sempre. Ma non è quanto di più io abbia perso. Per me è tremendo immaginare l’entità delle repressioni in Russia, perché questo vuol dire immaginare decine di migliaia di persone con il silenzio dentro di sé. Un silenzio che sconfina nel vuoto.
E per me sarà tremendo tra otto anni vedere questo silenzio in Dima.
Ma il silenzio dei detenuti politici è così tremendo come quello che serpeggia (lett. “vive”, ndt) tra la gente comune? Cedere (Ho reso una stessa parola con due termini differenti. Il verbo russo “сломаться” significa: essere incapaci di opporsi, indebolirsi fisicamente e psicologicamente, ndt) è così tremendo quanto nascere già arresi? Il silenzio che avvolge le figure dei detenuti politici proviene proprio da questo, dal tacere degli altri. Quando milioni di persone vengono alla luce disperati, all’improvviso sembra che non ci sia nessuno che possa parlare. E coloro che osano alzare la testa rischiano di rimanerne senza. Ma il vuoto in cui si trova la popolazione della Russia non è stato creato artificiosamente. È andato crescendo nel corso di molti anni, alimentato dal tacere generale.
Spezziamo questo silenzio insieme.
Servet Gaziev. Un attivista che si recava regolarmente nei tribunali per le cause politiche in Crimea. Ha due bambini. È stato arrestato perché credeva in Dio in maniera non corretta. L’11 gennaio del 2023, in base agli articoli “Partecipazione all’attività di organizzazione terroristica” e “Preparazione alla presa violenta del potere”, è stato condannato a 13 anni di detenzione di cui i primi due in carcere ed i restanti in una colonia di regime duro, con limitazione della libertà per un anno e mezzo.
Pavel Rebrovskij. Il caso “Nuova grandezza” (Novoje Veličie) che vedeva coinvolto un gruppo “estremista” organizzato da poliziotti sotto copertura. Il 29 aprile del 2019 in base all’articolo “Creazione di raggruppamento estremista e guida di tale raggruppamento, di una sua parte o di sue filiali” veniva condannato a due anni e 6 mesi di reclusione in regime ordinario e arrestato. L’8 ottobre 2019, dopo la revoca della condanna da parte del tribunale di Mosca e l’invio del caso al riesame a causa del rifiuto di Rebrovskij di testimoniare nei confronti degli altri indagati, venne liberato con obbligo di dimora. Il 29 ottobre 2020 veniva condannato a 6 anni di detenzione in regime ordinario e nuovamente arrestato. In seguito la pena detentiva è stata ridotta a 5 anni di privazione della libertà.
Aleksandr Snežkov. Anarchico, arrestato per il graffito “Morte al regime”. Contro di lui fu avviato un procedimento in base a tre articoli del Codice Penale. Protestava contro la guerra in Ucraina. Oltre che della realizzazione del graffito, Snežkov è sospettato di essere l’amministratore di due canali Telegram, “75 zlo” e “Šugan’ 25” (Zlo – male; Šugan’- paura tremenda, ingiustificata, ndt), sui quali venivano postate informazioni sulle proteste contro la guerra, le azioni di partigiani e la difesa degli animali. Ad attirare l’attenzione delle forze dell’ordine era stato il post in cui si esprimeva l’approvazione per gli incendi dolosi nei centri di reclutamento. Gli vengono mosse accuse di sollecitazione a compiere attività terroristica, sollecitazione ad atti di estremismo e vandalismo per motivi di odio politico.
Viktor Mel’nikov. Protestava contro la guerra in Ucraina. La sera del 21 settembre 2022 gettò una bottiglia con liquido incendiario nella finestra di un centro di reclutamento. Il tribunale del distretto Petrodvorez di San Pietroburgo predispose l’arresto dello studente per due mesi per l’incendio doloso dell’edificio del centro di reclutamento. Contro di lui è stato avviato un procedimento penale per distruzione premeditata o danneggiamento di proprietà altrui.
Rustem Sejtxalilov, Aleksandr Strukov, Pavel Olejnikov, Nikolaj Dajneko, Marcel Ghimaliev, Maksim Smyšljaev, Ljudmila Razumova, Edem Smailov, centinaia di detenuti politici anonimi, i cui nomi non sono riportati in nessun mass media. Si potrebbe proseguire molto a lungo con questo elenco, che ogni giorno diventa sempre più lungo. Gente così ce n’è a migliaia. Coraggiosi e poco coraggiosi, chi è caduto vittima della repressione per caso, chi era pronto al carcere. E’ strano diventare consapevole di essere uno di loro. Nella mia vita in generale ci sono troppe cose strane.
Cosa non meno strana nel sistema esistente sono le voci che spezzano il silenzio. Diventano sempre più numerose, e diventano sempre più forti. Si intrecciano, mutano il proprio timbro, si fanno più sommesse e si rafforzano. Sono le nostre voci, le voci di coloro che vogliono essere ascoltati. Ma cosa risuona in risposta a queste voci?
Il silenzio.
*Olga Misik, attivista e dissidente russa che nel 2019 si sedette davanti alla polizia russa in tenuta antisommossa leggendo la Costituzione. Misik sarà protagonista dell’incontro al Salone del Libro della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli che presenta la seconda edizione del “Premio Inge Feltrinelli. Raccontare il mondo, difendere i diritti”. L’evento si tiene oggi, venerdì 19 maggio ore 17:15, nella Sala Viola del Salone Internazionale del Libro. Oltre a Olga Misik interverrà anche Deniz Kivage, attivista iraniana per i diritti umani. Modera l’incontro Annalisa Cuzzocrea, vicedirettore de La Stampa. Con i saluti istituzionali di Massimiliano Tarantino, Direttore di Fondazione G. Feltrinelli.
(da Fanpage)
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