Maggio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
“SIAMO ABITUATI A CONSIDERARE LA DEMOCRAZIA UNA COSA BUONA. PER I RUSSI NON È COSÌ. PER COME L’HANNO VISSUTA, È UN MALE DA CUI BISOGNA PROTEGGERSI”
Secondo lo scrittore Emmanuel Carrère, quando pensiamo alla Russia dobbiamo fare lo sforzo di adattare la nostra idea di democrazia alla loro, e capire che là quell’idea non c’è. «La Russia ha conosciuto pochissima democrazia, se non per pochi anni sotto Boris Eltsin», ha detto dialogando con il giornalista Marco Imarisio al Salone del Libro di Torino, di fronte a una sala stracolma. «Certo, a noi fa comodo credere che il loro appoggio alla guerra sia dovuto alla propaganda. E in un certo senso è vero che vivono in un universo parallelo. Ma non si tratta solo di quello».
Non vale per tutti i russi, naturalmente, e generalizzare non si può, ma è importante capire che dietro al sostegno della popolazione al conflitto ci può essere, in gran parte, anche un sentimento di rivalsa: il desiderio di tornare a splendere al pari della Grande Russia che sono stati costretti a lasciarsi alle spalle dopo la caduta dell’Unione Sovietica.
Carrère è convinto che la questione sia ancora più profonda, e abbia a che fare appunto con un fatto: la Russia non ha mai davvero fatto esperienza di democrazia, se non per un attimo, e in quell’istante comunque le è parsa una cosa brutta: «Noi occidentali ormai siamo abituati a considerarla una cosa buona, a cui dovrebbero aspirare tutti. Per i russi non è così: per come l’hanno vissuta loro, è una forma di governo pericolosa, disordinata, un male da cui bisogna a tutti i costi proteggersi».
Lo scrittore pensa che cercare di comprendere quella mentalità sia fondamentale, e che provarci non significhi appoggiarla. Qui si ricollega agli attentati di Parigi del 13 novembre 2015, al centro del suo ultimo libro V13 (Adelphi), in cui racconta il lungo processo che ne è seguito.
All’epoca dei fatti, l’allora primo ministro francese Manuel Valls aveva dichiarato che «tentare di capire è già giustificare», una frase che per Carrère non solo è una «connerie», ovvero una cazzata, ma è anche un controsenso giuridico: «Un processo serve proprio a comprendere, e a farlo con rigore e metodo. Tornando alla Russia, anche in quel caso, a me piacerebbe ascoltare le ragioni di Putin, entrare nella sua testa».
Il prossimo lavoro a cui si dedicherà, ha poi spiegato, sarà la sceneggiatura del romanzo Il mago del Cremlino, dell’italiano Giuliano Da Empoli.
«Da noi ha avuto un successo strepitoso. Credo che in Italia se ne sia parlato meno, e mi chiedo perché». Ripensando invece a uno dei suoi titoli di maggior successo, Limonov, da molti giudicato «uno stronzo», ha confidato che per lui «Limonov ha vissuto rimanendo sempre fedele a una specie di sogno d’infanzia: essere un avventuriero. E per questo io lo rispetto».
Carrère ha raccontato delle sue origini georgiane, svelando che legge un po’ di russo, anche se non quanto vorrebbe. Ha poi rivelato, e chi l’avrebbe mai immaginato, che fino a poco tempo fa ha scritto tutti i suoi libri battendo al computer con un dito solo: non sapeva che si potesse fare diversamente. Il suo editore all’inizio l’ha presa sul ridere: gli ha spiegato che si può battere con dieci dita, e si fa molto prima. «Io ho sorriso ma non gli ho dato retta. Dopo qualche mese, una sera in cui avevamo bevuto entrambi, sentendo che avevo continuato a scrivere con un dito lui è andato su tutte le furie, e mi ha gridato che dovevo darmi una svegliata».
E lui l’ha fatto: ora scrive non con dieci ma con sei dita, che comunque è già meglio di uno soltanto. «Peccato che con sei dita faccio più errori, quindi alla fine il tempo che ci metto è sempre lo stesso, quello che guadagno lo perdo poi a correggere».
Ma come si fa a convivere con un talento come il suo? Non si ha mai paura che un dono del genere un giorno possa finire? Prima di lasciarlo andare gliel’abbiamo chiesto. «Sì, certo, è un pensiero che ogni tanto mi viene, e mi fa paura», ha risposto alla Stampa. «Per ora non è un’ossessione. Se dovesse succedere, mi direi che anche la fine del talento fa parte della vita».
(da La Stampa)
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Maggio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
INTERVISTA A GIORDANO BRUNO GUERRI: “LA DESTRA E LA CULTURA? NON SONO CONTRARIO ALLO SPOILS SYSTEM. PURCHÉ LE PERSONE SCELTE SIANO ALL’ALTEZZA DEL COMPITO”… E SU D’ANNUNZIO RICORDA: “PASSÒ DA DESTRA A SINISTRA. ERA UN ANTICIPATORE. SIAMO TUTTI COME LUI”
Al Lingotto è andato a raccontare ancora una volta il suo Vate, da presidente del Vittoriale e da autore del ponderoso volume “D’Annunzio. La vita come opera d’arte”, appena uscito per Rizzoli
Lo ha fatto all’indomani delle proteste al Salone contro la ministra Roccella, e nel giorno del bagno di folla per Alain de Benoist, guru della nuova destra. Giordano Bruno Guerri, storico, ha lavorato nei giornali, nell’editoria, in televisione. Michele Serra ne parlava giusto ieri come di uno «spirito libero».
Le proteste al Salone contro la ministra Roccella ?
«Ha torto chi ha impedito al ministro di parlare».
Si tratta di posizioni che a molti paiono più che di retroguardia. Il dibattito è incandescente. E i toni di una deputata come Montaruli contro il direttore Nicola Lagioia…
«Si tratta di atteggiamenti insopportabili tanto da destra quanto da sinistra. L’incapacità di mediare, e non parlo di democristianismo; l’indisponibilità a discutere le ragioni degli altri con civiltà… È solo l’eterna Italia dei guelfi e dei ghibellini».
Come vede l’avanzata della destra sulla cultura?
«Non sono contrario allo spoils system. Credo sia giusto che la destra occupi i posti anche in ambito culturale. Purché le persone scelte siano all’altezza del compito. Sennò, meglio un tecnico».
Ce ne sono all’altezza?
«Ce ne sono di sicuro. Non so dirle quante».
Il suo nome circolava come possibile ministro della cultura o direttore del Salone del Libro.Avrebbe accettato?
«Sangiuliano mi pare stia facendo bene, è iperattivo. E spero che continuerà. Quanto al Salone del Libro, certo, avrei accettato».
Si sarebbe divertito?
«È un bellissimo lavoro. Sono nel mondo editoriale da tutta la vita, ho ricoperto in questo ambito praticamente ogni mansione, tranne il libraio. A vent’anni guadagnavo come correttore di bozze, a trentasei ero direttore editoriale della Mondadori».
Quando si cercano gli intellettuali “di destra” in Italia, da tre decenni vengono sempre fuori il suo nome, quello di Marcello Veneziani e poco altro. Come la vive?
«A chiunque piacerebbe vedere il proprio nome evocato senza etichette e aggettivi. Etichette e aggettivi finiscono per schiacciare il resto».
Ma è difficile evitare le definizioni. Proviamo con un’auto-definizione
«Sono uno storico. Il mio mestiere è questo. Ma mi ha divertito molto la definizione che una volta mi ha proposto un direttore editoriale: “Tu sei una vacca sacra”».
Si nasce o si diventa vacche sacre?
«Si diventa. Forse è l’equivalente di venerato maestro. Ci si arriva con il lavoro».
Non le è mancato. Ma ha mai pensato di poter avere qualcosa in più?«Mi è capitato di pensare che avrei potuto essere direttore di questo o direttore di quello. Ma per i potenti di sinistra ero troppo di destra e per i potenti di destra, forse, troppo di sinistra». “In lunghi anni di lavoro sono riuscito a modificare una vulgata, a rompere qualche schema moralistico sul D’Annunzio spendaccione decadente che pensa solo al sesso. Un’immagine da borghesia piccina di fine Ottocento. Oggi rivendichiamo la libertà sessuale, la libertà di spendere. E anche quella di cambiare partito politico: da deputato, D’Annunzio passò da destra a sinistra. Era un anticipatore, un modernizzatore. E sa qual è la verità? Siamo tutti come lui».
(da agenzie)
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Maggio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
PRIMA VIENE SCARICATA LA COLPA SUGLI ESECUTIVI PRECEDENTI E POI SI PRESENTA UN NUOVO PIANO SPACCIATO PER “MIRACOLOSO” CHE VERRÀ SMONTATO DAL GOVERNO SUCCESSIVO DOPO L’ENNESIMA FRANA, ALLUVIONE O UN ALTRO TRAGICO EVENTO
Pensavo fosse un piano straordinario, invece era un calesse. Intitoliamola così la commedia all’italiana che è la lotta al dissesto idrogeologico, in modo da chiarire fin da subito in quale ambito ci muoviamo e cosa ci dobbiamo aspettare dal finale.
Il canovaccio è trito e diviso in tre atti.
Il primo: disfare quel che ha fatto il precedente governo, a prescindere. «Avevano un piano, ma non funzionava, troppo lento e farraginoso. Il nostro, invece…».
Secondo atto: lanciare il nuovo piano straordinario in conferenza stampa (rigorosamente dopo la catastrofe, perché prima il tema dell’ambiente nell’agenda politica non lo trova neanche un rabdomante) scegliendo un nome che guardi al futuro.
Alcune idee: ProgettItalia, Strategia Italia, Italia sicura, CantierAmbiente, Piano Suolo. Terzo e ultimo atto: alla prossima catastrofe, che ne certificherà il fallimento, scaricare la responsabilità su burocrazia, codice degli appalti, enti locali, ricorsi in tribunale, la fine della legislatura, la pandemia, la sfortuna.
Sono almeno 12 anni che va in scena la replica di questa commedia, scritta male, pensata peggio e pericolosa per tutti. Nel 2010 c’è Stefania Prestigiacomo al ministero dell’Ambiente quando, a seguito dell’alluvione di Giampilieri (37 morti), si chiude per la prima volta il rubinetto dei finanziamenti a pioggia delle opere antidissesto e si apre alla pianificazione pluriennale, condivisa con le Regioni. Lo chiamano Piano Suolo: 19 commissari straordinari, 1.519 interventi individuati tra scolmatori, invasi, casse di laminazione, argini, consolidamenti, 2 miliardi stanziati subito.
Niente paura, anche Conte ha un piano straordinario che affida al suo ministro dell’Ambiente Sergio Costa. Si chiama ProgettItalia, con una cabina di regia battezzata Strategia Italia. Risultati durante i due mandati di Conte (Lega-M5S, Pd-M5S): non pervenuti. «La colpa è del codice degli appalti, che non considera i finanziamenti della prevenzione idrogeologica come prioritari», si difende oggi Costa, intervistato dal Fatto.
I magistrati della Corte dei Conti la vedono diversamente e fanno a pezzi l’intero impianto di ProgettItalia, perché «non ha unificato i criteri e le procedure di spesa», «non ha trovato strumenti di pianificazione territoriale efficaci», «lentezza nelle decisioni», «non ha prodotto accelerazione dell’attuazione degli interventi».
Altro governo, altro Piano straordinario. Quello di Draghi si chiama Pneic, Piano nazionale Energia e Clima, è gestito dal ministro della Transazione ecologica e promette, tra le altre cose, l’annosa messa in sicurezza dei fiumi. I soldi per cominciare ci sono sempre gli stessi: gli 8,4 miliardi recuperati da ItaliaSicura che tre governi non sono stati capaci di spendere.
Non ci riesce neanche Draghi, finendo per metterli nel Pnrr. Giorgia Meloni è a Palazzo Chigi da sette mesi ma ha già dovuto affrontare due disastri, l’alluvione di Ischia e quella in Emilia Romagna.
E dopo l’ultima tragedia sono tornate le solite parole, gli stessi propositi, le vecchie promesse. Perché una vasca di laminazione non porta voti, anche se salva le vite. Dunque si preferisce recitare la parte in commedia, concentrarsi su altro e cavarsela coi piani straordinari. Che straordinari non sono. Sono calessi.
(da Repubblica)
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Maggio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
“SONO STATE SCATTATE A ORTA NEL ’92 DOPO LA MORTE DI BORSELLINO. BERLUSCONI SA DELL’ESISTENZA DELLE IMMAGINI. LE HO FATTE VEDERE A SUO FRATELLO”
Il favoreggiatore della mafia stragista, Salvatore Baiardo, ha parlato della foto che ritrae Silvio Berlusconi, il boss Giuseppe Graviano e il generale dei carabinieri Francesco Delfino anche con Report, in onda su Rai 3 e su Raiplay.it, confermando di fatto ciò che aveva detto a Massimo Giletti. Baiardo si è dunque vantato con due giornalisti di avere la foto scattata nella primavera del 1992 attorno alla quale adesso ruota la nuova inchiesta della procura di Firenze. È un’immagine che metterebbe insieme la mafia stragista e la politica.
Le foto sarebbero tre, e a scattarle sarebbe stato proprio lui, Salvatore Baiardo, nei pressi del lago d’Orta.
Dell’esistenza di questa immagine, racconta Baiardo, è a conoscenza anche Paolo Berlusconi, il fratello dell’ex premier. Il favoreggiatore dei boss a gennaio 2011 si è presento da Paolo Berlusconi in via Negri a Milano e gli avrebbe mostrato una vecchia polaroid con l’immagine dei tre personaggi. Il fratello dell’ex premier quando Baiardo si è allontanato dal suo ufficio avrebbe protestato con gli agenti della sua tutela sulle richieste fatte dall’uomo. Chiamato dai pm fiorentini si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Si potrebbe dunque trattare della stessa foto che Massimo Giletti racconta di aver visto ai magistrati di Firenze, Luca Turco e Luca Tescaroli, che indagano sul ruolo di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri rispetto le stragi del 1993.
Se questa immagine fosse vera, potrebbe provare accordi e conoscenze di Berlusconi, sempre negati, con Graviano, ancor prima delle stragi di Falcone e Borsellino.
(da agenzie)
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Maggio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
LAGIOIA RISPONDE ALLE ACCUSE SOVRANISTE: “NON ACCETTO ACCUSE DA UNA CONDANNATA PER PECULATO”
Il direttore uscente della kermesse torinese torna a rispondere a chi lo ha accusato di non aver impedito la contestazione contro la ministra della Famiglia
Il Salone Internazionale del Libro di Torino precisa, in una nota, che «è, è sempre stato, e continuerà a essere tutt’uno con la propria direzione editoriale e con l’intera squadra di lavoro. Chi attacca la direzione e la squadra di lavoro attacca il Salone, attacca l’istituzione. Il Salone è la casa dell’intero mondo editoriale che è di per sé garanzia di pluralismo, libertà, indipendenza».
Dopo due giorni di polemiche, arriva la posizione definitiva dell’ente sulla querelle che ha visto protagonisti il suo direttore, Nicola Lagioia, e la ministra per la Famiglia, Eugenia Roccella. Quest’ultima era stata contestata durante la presentazione del suo libro, al punto da dover rinunciare a tenere un intervento.
Lagioia era intervenuto sul palco per cercare di imbastire un confronto tra i manifestanti e l’esponente del governo Meloni: «È un gioco democratico e la democrazia contiene anche la contestazione per cui non perdiamo questa occasione di dialogo. Mandate un vostro delegato a discutere con la ministra. Anche in politica si fa così. State manifestando pacificamente, adesso cercate un dialogo».
Le sue dichiarazioni, però, non sono state ritenuti sufficienti dalla deputata di Fratelli d’Italia, Augusta Montaruli, la quale ha aggredito verbalmente Lagioia: «Vergogna, sei stato vergognoso, ma vergognati», ripetuto tre volte.
La ricostruzione di Lagioia, a due giorni dallo scontro
Ospite di Agorà su Rai3, Lagioia è tornato a commentare quel che è successo durante la protesta: «I contestatori della ministra Roccella non volevano il dialogo perché per loro la ministra è anti abortista e con una firma può rovinare le nostre vite, può cambiare le loro vite, dovrebbe essere lei, prima di fare delle leggi, a far sì che queste leggi siano il risultato di un dialogo. “Se lei legifera direttamente con delle leggi che incidono in maniera molto violenta sui nostri corpi e sulle nostre vite, noi ci sentiamo violate”. Per loro la ministra ha un potere enorme sui loro corpi e può legiferare. Come si fa a trasformare il conflitto in un dialogo? La politica e le istituzioni diano il buon esempio e cerchino una strada». Su Montaruli, invece, ha dichiarato: «Un confronto con Montaruli? Non è un bell’esempio per i giovani che sul palco con una ministra ci sia una pregiudicata. Augusta Montaruli, che dice “con tutti i soldi che prendi”, è stata condannata in via definitiva per peculato».
Il direttore del Salone, giunto alla sua ultima edizione, ha anche argomentato il senso del suo intervento durante la contestazione nei confronti della ministra: «Io non sono il servizio d’ordine del Salone e non sono la polizia. Ho detto ai ragazzi: eleggete un vostro delegato e trasformiamo questa contestazione in un dialogo. Loro mi hanno detto di no. Hanno rifiutato questa mediazione. È un peccato, ma è legittimo da parte loro. Il mio metodo è quello del dialogo, non del manganello». Infine, Lagioia ha espresso un giudizio generale sull’operato del governo: «Questo governo può avere una virata autoritaria, che non vuol dire fascismo, ma un’altra cosa. Restrizione della libertà, restrizione dei diritti, nel momento in cui c’è una ministra che è anti abortista io capisco che le donne si sentano minacciate».
(da agenzie)
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Maggio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
I CORI DELLA FECCIA RAZZISTA A VALENCIA DIVENTANO UN CASO INTERNAZIONALE: IL PRESIDENTE DELLA FEDERCALCIO SPAGNOLA, INFANTINO E LULA SOLIDALI CON VINICIUS
”Fare finta di niente ti rende uguale ai razzisti”. E’ scontro aperto tra Vinicius Junior e Javier Tebas. Il clima dopo Valencia-Real Madrid, match durante il quale il 22enne attaccante brasiliano è stato vittima di cori razzisti e in cui ha rimediato anche un’espulsione nel finale, resta infuocato per l’acceso botta e risposta tra il calciatore stesso e il presidente della Liga, che è continuato anche l’indomani della gara.
Vinic
”Sei uguale ai razzisti”
Al termina della sfida, Vinicius aveva pubblicamente attaccato Tebas, accusandolo di rappresentare un campionato – la Liga – che ormai ”appartiene ai razzisti”. Immediata la replica del dirigente, che aveva invitato il brasiliano a informarsi e a non farsi manipolare. Il botta e risposta però non è finito, anzi. ”Ancora una volta, invece di criticare i razzisti, il presidente della Liga appare sui social per attaccarmi. Per quanto parli e fai finta di non leggere, l’immagine del tuo campionato traballa. Guarda le risposte ai tuoi post e rimarrai sorpreso. Fare finta di niente ti rende uguale ai razzisti. Non sono tuo amico per parlare di razzismo. Voglio azioni e punizioni. L’hashtag non mi commuove”, la nuova stoccata dell’attaccante di Ancelotti.
Tebas: ”Liga sempre in prima linea”
Puntuale la nuova risposta di Tebas: ”Né la Spagna, né la Liga sono razziste, è molto ingiusto affermarlo. Come Liga denunciamo e perseguiamo il razzismo con tutta la durezza possibile all’interno delle nostre competenze. In questa stagione abbiamo denunciato per nove volte insulti razzisti (in otto occasioni contro Vinicius), identifichiamo sempre i responsabili e li portiamo davanti agli organi sanzionatori. Non importa quanto siano pochi, siamo sempre implacabili”.
Rubiales: ”In Spagna c’è problema razzismo”
Sulla vicenda è intervenuto anche il presidente della Federcalcio spagnola (RFEF), Luis Rubiales, che non le ha mandate a dire a Tebas: ”Ha avuto un comportamento irresponsabile con un calciatore che aveva appena ricevuto insulti razzisti di tremenda gravità – tuona -. Non era il momento di farlo. Dobbiamo ammettere che nel nostro paese abbiamo un grave problema: di comportamento, di educazione, di razzismo e dobbiamo pensare a come risolverlo”.
La solidarietà di Infantino
Anche il numero uno della Fifa, Gianni Infantino, ha consolato Vinicius dopo i brutti episodi di Valencia: ”Tutta la nostra solidarietà a Vinicius. Non c’è posto per il razzismo nel calcio o nella società. La Fifa si schiera dalla parte di tutti i calciatori che hanno vissuto una situazione del genere”. Infantino ricorda che, in casi come questi, si può arrivare alla sconfitta a tavolino: ”Proprio per episodi simili, nelle competizioni Fifa c’è un processo strutturato in tre fasi, che raccomandiamo a tutti i livelli calcistici. Inizialmente si sospende il match e lo si annuncia. A seguire i calciatori abbandonano il terreno di gioco e lo speaker comunica che la gara verrà interrotta definitivamente qualora dovessero pervenire altre offese. Infine, se questi attacchi continuano, l’incontro viene interrotto e viene data la vittoria agli avversari”.
Lula: ”Basta con razzismo”
L’episodio ha avuto un eco internazionale. Direttamente dal G7 di Hiroshima anche il presidente del Brasile Lula ha difeso il suo connazionale: ”Vinicius è stato aggredito, è stato chiamato scimmia. Non è possibile, a metà del XXI secolo, che accadano episodi del genere in così tanti stadi di calcio. Non è giusto che un povero ragazzo, che potrebbe essere sulla buona strada per diventare il miglior giocatore del mondo ed è sicuramente il migliore del Real Madrid, venga insultato in ogni stadio. Non possiamo permettere che il razzismo prenda piede negli stadi di calcio”.
Il Real fa denuncia alla Procura
Dopo lo sfogo di Ancelotti (”non voglio parlare di calcio, è inaccettabile dare della scimmia a un calciatore”) dopo la gara, è arrivata anche la netta presa di posizione del club di Florentino Perez, annunciando una denuncia alla Procura Generale dello Stato.
”Il Real Madrid esprime con forza il proprio rifiuto e condanna con decisione quanto accaduto ieri al giocatore Vinicius Junior. Questi eventi costituiscono un attacco diretto al modello di convivenza del nostro stato. Il Real considera tali attacchi un reato e ha presentato una denuncia in Procura per reati di odio e discriminazione, affinché si indaghi sull’accaduto e si identifichino i responsabili. L’articolo 124 della Costituzione spagnola – si legge nella nota – stabilisce che è compito dei giudici promuovere azioni in difesa della legalità, dei diritti dei cittadini e dell’interesse pubblico. Per questo motivo e vista la gravità di quanto accaduto il Real si è rivolto alla Procura”.
(da agenzie)
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Maggio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
WAGNER LASCIA BAKHMUT ALLE TRUPPE RUSSE, MA QUELLO CHE RIMANE DELLA CITTA’ E’ ORA SEMICIRCONDATA DALL’ESERCITO UCRAINO… PRIGOZHIN COSI’ ACCUSERA’ I VERTICI MILITARI DEL CREMLINO QUANDO VERRA’ RICONQUISTATA DAGLI UCRAINI
Cosa significano gli attacchi ucraini a Belgorod, in Russia, e quali sono le conseguenze?
L’attacco nella regione di Belgorod era prevedibile, quasi annunciato. Da indiscrezioni, mosse, attività emerse in lungo periodo.
Primo. A gennaio scorso, secondo le carte riservate del Pentagono diffuse dall’aviere Jack Teixeira, il presidente Zelensky in persona aveva chiesto ai suoi uomini un’azione in territorio russo con la presa di un villaggio. Un modo per avere una «leva» nei confronti del Cremlino. Questa era solo una delle diverse ipotesi considerate e poi accantonate. Tutte su questo sentiero.
Secondo. Gli ucraini hanno sempre usato il fattore «sorpresa», specie in momenti difficili, con manovre lontane dal fronte.
Terzo. Il possibile uso di partigiani russi —questa la tesi di Kiev — è un classico delle operazioni clandestine di molti conflitti.
Quarto. Per Mosca c’è la responsabilità diretta dell’Ucraina, con suoi «agenti». Che sia vero o meno è la versione migliore rispetto ad un coinvolgimento di incursori di nazionalità russa. Questo le permette di rispondere contro un obiettivo dall’altro lato della frontiera.
Quinto. Prendere di mira la Russia nel suo cortile non è un tabù. Ed è una reazione inevitabile da parte dell’aggredito dopo settimane di bombardamenti sulle città da parte degli invasori. Kiev, non avendo missili a lungo raggio, ha trovato altri sistemi per farlo. Sono le inevitabili conseguenze di un conflitto, difficile pensare che esistano delle linee rosse eterne. Spesso sono tracciate sulla sabbia, con i rischi che ne conseguono.
Dal momento che le forze ucraine si sono attestate negli ultimi giorni sui fianchi nord e sud della città, ora i russi dovranno concentrare i loro sforzi per difendere Bakhmut. E questo potrebbe distogliere mezzi e uomini, il che potrebbe andare a vantaggio di Kiev in vista della tanto annunciata controffensiva verso sud est, ossia verso Melitopol e Mariuopol.
La battaglia di Bakhmut ha fatto emergere i contrasti interni tra Evgeny Prigozhin, leader della Wagner, e i vertici dello stato maggiore di Mosca.
Prigozhin ora ritirerà i suoi uomini.
I russi, miliziani o delle forze regolari che siano rischiano ora — come dichiarato nei giorni scorsi da Oleksandr Syrskyi , comandante delle forze di terra ucraine che ieri è tornato in visita sul fronte — di restare bloccati «come topi in trappola».
(da agenzie)
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Maggio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
I DUE GRUPPI COMBATTONO “CONTRO LA DITTATURA DEL CREMLINO
Il governatore della regione russa di Belgorod, Vyacheslav Gladkov, ha annunciato via Telegram che «un gruppo di sabotatori delle forze armate ucraine è entrato nel territorio del distretto di Grayvoron».
La conferma di un’azione militare nel territorio russo al confine con l’Ucraina (vicino a Kharkiv) non arriva però da fonti dirette ucraine, bensì dalla Legione “Liberty of Russia” attraverso il proprio account Twitter: «La Legione e i RVC hanno completamente liberato Kozinka, Oblast di Belgorod. Le unità avanzate sono entrate a Graivoron. Andiamo avanti. La Russia sarà libera!».
Si tratta di due corpi formati da volontari russi che dichiarano di voler combattere per liberare la Russia dal governo di Vladimir Putin sotto la bandiera bianco-azzurro-bianca, diventata simbolo delle proteste russe contro l’invasione in Ucraina.
Il secondo, il Corpo dei Volontari Russi (RVC) si era fatto conoscere a inizio marzo per essere intervenuti nella regione di Bryansk, in Russia.
Nel corso della mattinata, dai canali social della legione “Liberty of Russia” è stato pubblicato un video dove i combattenti si rivolgono ai residenti russi: «Siamo russi come voi. Ci distinguiamo solo dal fatto che non abbiamo più voluto giustificare le azioni dei criminali al potere e abbiamo preso le armi per difendere la nostra e la vostra libertà. Ma oggi è il momento per tutti di assumersi le responsabilità per il futuro. È ora che la dittatura del Cremlino finisca: la Legione torna a casa».
Secondo fonti locali, i residenti della prima cittadina occupata dai combattenti russi sarebbero stati parzialmente evacuati. Peskov afferma che Vladimir Putin è stato messo al corrente dell’attacco e che sarebbero già in corso le contromisure «per spingerli fuori dal territorio russo e per distruggere questo gruppo di sabotatori».
Nel frattempo, un elicottero russo sarebbe stato ripreso mentre vola a bassa quota nella cittadina di Rakitnoe a nord-est a 45km da Graivoron, prossima tappa annunciata dai combattenti russi, spaventando i residenti.
(da agenzie)
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Maggio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
L’INCHIESTA DEL CORRIERE DELLA SERA
Per gestire i 192 miliardi del Pnrr ci vuole un fisico bestiale! Non puoi permetterti di rallentare: le scadenze di rendicontazione del piano industriale sottoscritto con la Commissione Ue sono ogni sei mesi e solo se hai fatto quello che hai promesso la Commissione paga. Significa che ogni giorno la cabina di regia di Palazzo Chigi deve capire se gli ingranaggi che coinvolgono ministeri, Comuni e Regioni funzionano.
La struttura Draghi nasce con tre livelli di controllo: quella tecnica di Palazzo Chigi che si interfaccia con quella del Mef e dei ministeri. Il punto di contatto con Bruxelles lo tiene Chigi e il Mef.
A fine ottobre 2022 cambia il governo e, come è naturale, cambiando i ministri c’è un periodo di stallo. Il 10 novembre 2022 Giorgia Meloni conferisce a Raffaele Fitto l’incarico di ministro per gli Affari Europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il Pnrr. La decisione è di accentrare tutto in una nuova «Struttura di Missione» in capo a Fitto. Il piano è da correggere perché nel corso dell’anno sono aumentati i prezzi dell’energia, è esplosa l’inflazione e ci sono gli inevitabili aggiustamenti in corso d’opera. La «Struttura di Missione» però è una scatola vuota, e per diventare operativa ci vuole un decreto che viene emanato solo il 26 aprile. Intanto cosa succede in questi sei mesi?
Il Piano rallenta
La segreteria tecnica e l’ufficio centrale della Ragioneria dello Stato – che danno la tabella di marcia, coordinano e controllano l’avanzamento lavori dei ministeri, delle Regioni e si interfacciano con la Commissione – procedono. Le strutture tecniche dei ministeri, però, entrano in una sorta di limbo: le persone non sanno se saranno riconfermate e si cerca di capire che aria tira, anche perché sul piano della comunicazione il nuovo governo mette le mani avanti. Il ministro Fitto a dicembre, davanti alla Commissione Politiche dell’Unione Europea, dichiara: «l’obiettivo di spesa per quest’anno non sarà assolutamente raggiunto». Giorgia Meloni il 4 dicembre: «È un dato incontrovertibile che dei 55 obiettivi da centrare entro fine anno a noi ne sono stati lasciati trenta». Informazione scorretta: mancavano dettagli burocratici e poche misure richiedevano effettivamente un’accelerazione, che c’è stata. E infatti a fine dicembre il Mef manda puntualmente la rendicontazione a Bruxelles per il pagamento della terza rata che vale 19 miliardi di euro. Per prassi la Commissione si prende circa due mesi di tempo per la verifica: i progetti rispettano le linee guida? I lavori procedono secondo le tappe stabilite? Le riforme vanno avanti di pari passo?
19 miliardi ancora bloccati
Si apre la discussione sui correttivi da apportare: nel piano di riqualificazione urbana i Comuni di Firenze e Venezia infilano gli stadi. I ministeri competenti sono il Mef e ministero dell’interno che avrebbero dovuto aprire i documenti e dire: «alt, questo non c’entra nulla con la rigenerazione urbana». Non lo hanno fatto, e quando la Commissione Ue chiede conto la risposta è: «discrezionalità politica». Ovviamente inaccettabile. C’è da trattare sul decreto concorrenza: per fare investimenti strutturali sui porti, e quindi migliorare la concorrenza e le finanze pubbliche, le concessioni non devono durare 60 anni, ma va rispettato un limite proporzionato all’investimento. C’è da discutere sul teleriscaldamento: i progetti rinnovabili collegati alla rete gas potrebbero essere inammissibili, anche se il bando era stato già prediscusso e valido. La Corte dei Conti svolge controlli in parallelo che, a sua volta, generano incomprensioni e ritardi. Molte di queste questioni non sono gestite bene: sostituto il capo dello staff tecnico al ministero dei Trasporti, dello Sviluppo Economico e della Transizione ecologica (diventato nel frattempo ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica). Solo questi tre ministeri gestiscono più di 90 miliardi e 60 programmi di investimento che i nuovi arrivati non conoscono e devono studiarsi. Sta di fatto che, fra aggiustamenti e chiarimenti, il tira e molla con Bruxelles va avanti da 4 mesi e ad oggi la rata da 19 miliardi non è ancora sbloccata
La Struttura di Missione da riempire
L’atteggiamento della Commissione è diventato più guardingo, anche a causa dei continui annunci sulla volontà di rinegoziare il Piano, ma poi non si fa. Fitto il 28 marzo alla presentazione della relazione della Corte dei Conti sul Pnrr alla Camera dichiara: «Alcuni interventi da qui al 30 giugno 2026 non possono essere realizzati, è matematico». Meloni in un’intervista: «Abbiamo ereditato dai precedenti governi il peso di scelte sbagliate e ritardi, avremmo fatto altro, ma lavoreremo per realizzarlo». Crosetto il 22 aprile: «La vera domanda è se l’Italia ha la possibilità di scaricare a terra 200 miliardi in tre anni. Consiglierei di prendere solo i fondi che si è sicuri di spendere». Arriviamo al 26 aprile e, finalmente, vede la luce il decreto che istituisce la «Struttura di Missione» in capo a Fitto. Fuori la segreteria tecnica e via libera al reclutamento di nuovo personale: 14 dirigenti a cui saranno assegnati 50 funzionari e 20 esperti da trovare dentro la pubblica amministrazione, nelle controllate, nelle partecipate, ma anche nel privato. Un’operazione che ha tempi burocratici imprescindibili: per gli apicali ci vogliono circa 30 giorni prima che possano inviare una e-mail ufficiale alla Commissione. Per i funzionari ragionevolmente 2 mesi fra selezione, conferimento incarico, registrazione contratto, dotazioni (pc e password). Per gli esperti dipende dove li vai a prendere. Certo lo stipendio non è allettante: 35 mila euro lordi l’anno (e comunque non sopra i 50 mila). Se è un neolaureato è difficile che sia esperto, se il consulente arriva dalle controllate (Eni, Enel) potrebbe essere in conflitto d’interesse. L’entrata a regime della struttura, poi, dipenderà proprio dai profili di dirigenti, funzionari ed esperti. Se comprendono le logiche della Commissione, capiscono come funzionano le amministrazioni, conoscono le politiche pubbliche che stanno nel Pnrr e hanno un inglese fluente, si recupererà il tempo perduto, anche perché la struttura viene rafforzata. In caso contrario il rischio di andare a sbattere diventa elevato. Ad oggi la struttura ha solo il nuovo coordinatore, il magistrato della Corte dei Conti Carlo Alberto Manfredi Selvaggi: supervisionerà il lavoro degli incarichi in essere che cesseranno con l’arrivo di quelli nuovi. Uomo di fiducia di Fitto, conosce le dinamiche della pubblica amministrazione, ma non è un manager quindi tutto dipenderà dai soggetti della struttura che sta sotto.
Slitta la rata di giugno
Nel mentre vanno rinegoziate le modifiche relative alle scadenze di giugno, altrimenti non si può rendicontare la prossima rata da 16 miliardi di euro che include le infrastrutture per la produzione di idrogeno, la sostituzione dei treni a gasolio, le misure per gli asili nido, i decreti attuativi sui tempi della giustizia penale e civile. Fitto il 26 aprile alla Camera dice che i 4,6 miliardi di appalti per gli asili «sono un obiettivo da rimodulare, impossibile da raggiungere entro il 30 giugno». Se i c Comuni non ce la fanno il Piano prevede l’adozione dei poteri sostitutivi, ma in questi mesi nessuno lo ha fatto. È il caso di ricordare che i soldi per gli asili ci vengono dati perché, aiutando le famiglie, ci sarà più occupazione femminile e un incentivo alla natalità. Sull’idrogeno ci sono tanti soldi ed è vero che al momento la domanda non c’è, ma il Pnrr è un investimento sul futuro e pertanto occorre guardare all’Italia fra 10 anni, a come sarà il nostro trasporto ferroviario regionale. Se si vuole togliere l’idrogeno dai progetti, va sostituito con qualcos’altro che contribuisca alla decarbonizzazione, per esempio i parchi eolici. Al momento non è ancora iniziata alcuna trattativa ufficiale sull’intero pacchetto, vuol dire che non sai quando incasserai i 16 miliardi, ma soprattutto che non hai chiaro in testa cosa vuoi fare. E anche alla rata di dicembre bisogna pensarci adesso: se si intende rinegoziare il piano semestrale bisogna portare a Bruxelles progetti alternativi entro agosto per avere un ok a novembre, visto che la Commissione si prende due mesi per vagliare e un altro mese se lo prende il Consiglio. Diversamente va rispettato il piano che è stato sottoscritto. Il Pnrr è una maratona in continuo adattamento e se si perde il ritmo non si recupera più
I danni alla credibilità
Il Piano ci costringe a risanare «malattie» antiche che impediscono al nostro Paese di realizzare opere in tempi certi. Prendiamo il tracciato di una linea ferroviaria con degli espropri da eseguire: come ovunque viene data una nuova abitazione e un indennizzo, ma in un quadro più opaco, di conseguenza la popolazione si oppone e il tracciato non sai se e quando riuscirai a farlo. Allora quei soldi li togli dal Pnrr, ma cosa metti al loro posto? Se li togli e basta vuol dire che non sei in grado di fare investimenti in tempi «normali». La riforma dei servizi idrici integrati: per la Commissione vuol dire farla finita con migliaia di acquedotti colabrodo e arrivare a un servizio integrato e affidarlo, peraltro già previsto dalla legge Galli del 1994. Sicilia e Campania non hanno finalizzato l’affidamento e la piena attuazione di questa riforma, non solo l’annuncio, è un passaggio imprescindibile per ottenere i fondi. Le linee generali sono chiare: Bruxelles ci presta tanti soldi a interessi molto bassi, e 69 miliardi ce li regala, a condizione di spenderli in determinati ambiti, indicando le tappe di un cronoprogramma, e di rispettarlo. Vuol dire che prima di prendere una decisione politica devi fare istruttorie tecniche che comportano la modifica dei processi amministrativi. Nel caso del dissesto idrogeologico occorre gestire il rischio, significa essere in grado di prevederlo e prevenirlo, non solo andare a sanare i danni del poi. Abbiamo già visto che gli enti locali non sono in grado di farlo: devono quindi intervenire le unità sostitutive, ma in un quadro amministrativo riformato. È questo il tema che è poi il cuore del Pnrr. Andare invece in giro per l’Europa a dire che non siamo in grado di spendere i soldi è uno dei più grandi danni alla reputazione e credibilità del Paese, e che rende poi anche più complicato chiedere a Bruxelles aiuti per i migranti e comprensione sul patto di stabilità.
(da Il Corriere della Sera)
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