Maggio 5th, 2023 Riccardo Fucile
CI RIVEDIAMO DOMENICA 14 MAGGIO
Come avevamo da tempo programmato, ci prendiamo una settimana di ferie : il blog riprenderà le pubblicazioni domenica 14 maggio.
Un grazie alle centinaia di amici, comunque la pensino, che ogni giorno visitano il nostro sito, anche dall’estero, gratificandoci del loro interesse.
Essere da 16 anni tra i primi blog di area in Italia, basando la nostra attività solo sul volontariato, con un impegno di aggiornamento costante delle notizie (20 articoli al giorno dal mattino a tarda sera, festivi compresi) è una sfida unica nel panorama nazionale che testimonia che non siete in pochi a pensarla come noi.
Orgogliosi di rappresentare una destra diversa, popolare, sociale, nazionale, antirazzista, solidale, legalitaria, attenta ai diritti civili.
Un abbraccio a tutti e a presto.
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Maggio 5th, 2023 Riccardo Fucile
“GENTE DI MERDA. GLI IMMIGRATI INFANGANO IL NOSTRO BEL PAESE. SONO LA FECCIA DEL GENERE UMANO”: GIORGIA MELONI NON TI VERGOGNI A METTERE IN LISTA UN SOGGETTO DEL GENERE?
“Sono razzista, sono patriota, sono nazionalsocialista, sono fascista, sono nazista, sono stanco di vedere tante ingiustizie nei confronti degli italiani. Fuori dalle balle gente di merda. Infangano il nostro Bel Paese. Parassiti, pidocchioni, ladri, assassini, stupratori, ubriaconi, siete la feccia del genere umano. Un solo posto è adatto per voi ed è molto caldo”.
Autore del post su Facebook, con tanto di richiamo finale ai forni crematori, è Antonio Di Vietri, segretario cittadino di Fratelli d’Italia a Lavello, 13mila abitanti in Provincia di Potenza.
A Lavello il 14 e 15 maggio si voterà per eleggere il nuovo sindaco e in corsa c’è l’aspirante candidato del partito di Giorgia Meloni, Pasquale Carnevale. Nella sua lista compare anche il nome di Di Vietri, e forse non potrebbe essere altrimenti essendo quest’ultimo, appunto, responsabile della sezione cittadina di FdI
Il punto è che Di Vietri, non solo in campagna elettorale, è un nome scomodo: e questo proprio a causa dei post che negli anni scorsi e in più occasioni ha scritto sui social.
Messaggi intrisi di xenofobia, razzismo, omofobia, e di riferimenti a Mussolini, al fascismo, al nazismo e finanche di esplicite allusioni ai forni crematori.
Il post ricordato sopra risale al 21 novembre 2014: definirlo indecente è un eufemismo. Il politico meloniano si definisce appunto e senza indugi “nazista e fascista”, e nella chiosa augura la fine dello sterminio nei forni per categorie di cittadini a lui evidentemente sgraditi.
Alle critiche e al coro di indignazione Di Vietri risponde parlando di “post ironici”. E cioè: definendosi nazista e fascista e alludendo ai forni crematori avrebbe solo – a sua detta – risposto in modo ironico a chi lo accusava di essere appunto fascista e quant’altro. Una difesa decisamente fragile e imbarazzata.
Così come pare imbarazzante la tesi – sostenuta dallo stesso Di Vietri – secondo cui i richiami al duce altro non sarebbero che “riferimenti storici”. Probabilmente, a questo punto, lo sono anche quelli ai forni crematori dove nei campi di concentramenti sono stati sterminati milioni di ebrei. Quei forni dove Di Vietri spedirebbe la “gente di merda”.
(da La Repubblica)
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Maggio 5th, 2023 Riccardo Fucile
“LA COLPA DI PUTIN È DI NON VOLER SOTTOMETTERE LA RUSSIA AI DETTAMI DEL NUOVO ORDINE MONDIALE PRECONIZZATO DA SOROS”. POI LA PROFEZIA: “PENSARE CHE LA RUSSIA STIA PER INVADERE L’EUROPA È SOLO IL FRUTTO DI UNA SCHIZOFRENIA INDOTTA” – I GIUDIZI SU OBAMA (“UN AFRO DI HONOLULU”), LE CRITICHE A MATTARELLA “DRACULA” E LA SVOLTA DA TEOCON A “COMPLOTTISTA” (PAROLE SUE)
«La colpa di Putin è di non volere sottomettere la Russia ai dettami del Nuovo ordine mondiale preconizzato da Soros». «La democrazia in Occidente è in pericolo non per Putin, ma per un’élite tecnocratica che sta distruggendo le sovranità popolari». E ancora: «Obama vuole spingerci alla guerra contro Putin».
Così scriveva sul suo blog, ospitato sul sito del Giornale, Giampaolo Rossi, manager Rai, fedelissimo di Giorgia Meloni e in questi giorni in prima fila per il posto di nuovo direttore generale della Rai, dopo che in autunno era stato scartato dalla rosa dei possibili ministri della Cultura per via delle sue critiche al presidente della Repubblica Sergio Mattarella (nel 2018 lo aveva paragonato a Dracula e, in sostanza, accusato di golpe).
Rossi negli ultimi anni si è anche trasformato in un complottista (per sua stessa definizione) e in un arci-putinista, convinto che il presidente russo costituisca «l’unica speranza per scongiurare una crisi internazionale senza ritorno» e un argine a difesa dei valori tradizionali contro le élite mondialiste che vorrebbero annacquare l’identità dei popoli bianchi.
Sul suo blog, che ha aggiornato fino al 2018 e che è stato spulciato da Domani, Rossi appariva quasi ossessionato da Putin e dal complotto del Nuovo ordine mondiale. «Pensare che la Russia stia per invadere l’Europa – scriveva nel 2018, quattro anni dopo l’inizio delle operazioni militari russe in Ucraina – è solo il frutto di una schizofrenia indotta».
I timori europei causati dall’atteggiamento aggressivo della Russia? Soltanto una narrazione che «affonda le sue radici nei secolari interessi imperiali di Londra» e che oggi si sposano «con gli interessi dell’élite globalista». Ma d’altro canto ci sono ragioni per cui le élite mondiali dovevano sentirsi minacciate da Putin. Nel 2017, Rossi era certo che la Russia e la Cina avessero messo in moto una «complessa strategia geo-economica di “de-dollarizzazione” del mondo» volta a «scardinare il dominio finanziario del dollaro e con esso il potere globale degli Stati Uniti». Non sembra sia finita bene.
Il grande complotto delle élite è l’altra ossessione che unisce decine di post nel blog del papabile direttore generale della Rai. «Guai a chi si oppone ai disegni del Nuovo ordine mondiale», metteva in guarda in uno dei suoi articoli. Secondo Rossi, il principale esponente di questo complotto è il miliardario ungherese George Soros, «speculatore globalista con il vizietto di destabilizzare governi democraticamente eletti» e vero architetto dei «processi migratori per alterare gli equilibri demografici secondo quella “etica del caos” tipica dell’umanitarismo ideologico della élite». Rossi ci tiene a ricordare che Soros è «ebreo», ma «di origine ungherese», e lo paragona al mostruoso Shelob di Tolkien, «il malefico essere a forma di ragno».
La vena anti-élite e pro Putin è una relativa novità di Giampaolo Rossi. La mutazione risale probabilmente alla caduta del governo Berlusconi, quando Rossi dichiara: «Sono un complottista». Seguendo le varie incarnazioni del suo blog prima di essere ospitato sul Giornale, si scopre che nei primi anni 2000 si definiva invece un «liberale, neocon, teocon». Tra i post di quegli anni si trova anche una delicata ode a Giorgia Meloni, appena eletta vicepresidente della Camera: «Piccola piccola tra tutti quegli onorevoli grandi, grandi». In quegli anni scrive che Obama è «un afro di Honolulu», ma allo stesso tempo i pacifisti che protestavano contro la guerra in Iraq andavano denunciati di «”crimini contro l’umanità”, perché è la loro indifferenza, il loro egoismo che ha prodotto più vittime di Stalin ed Hitler messi assieme».
Dal 2018, quando entra nel consiglio d’amministrazione della Rai, Rossi cessa le pubblicazioni sul blog e dirada i suoi interventi. Non prima però di aver attaccato frontalmente il presidente della Repubblica Sergio Mattarella per la sua gestione delle consultazioni prima della nascita del governo giallo-verde nel 2018: «Napolitano aveva abbattuto un governo legittimo; Mattarella ha impedito che nascesse».
Con l’arrivo della pandemia diventa critico sui vaccini […] e sul green pass, tanto che l’Espresso lo definisce «ideologo Novax di Giorgia Meloni». Nell’ultimo anno […] Rossi sembra avere deciso di parlare d’altro. Pressoché impossibile trovare una sua dichiarazione sulla guerra in Ucraina, […] da qualche mese ha cancellato i suoi profili Twitter e Facebook.
(da Editoriale Domani)
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Maggio 5th, 2023 Riccardo Fucile
L’ITALIA COME I PAESI DI VISEGRAD
C’è una visibile contraddizione tra i media italiani e quelli internazionali quando si tratta del nostro governo. Per l’informazione nostrana abbiamo una coalizione e un esecutivo “di centrodestra”, testate come il New York Times, la Bbc, il Financial Times e il Guardian preferiscono invece la definizione far right , “estrema destra”.
In effetti, superando persino il governo Tambroni, l’Italia di oggi è guidata dall’esecutivo più a destra della storia del nostro Paese.
PUTINIANI DOCG
Non è l’unico primato di questa coalizione di governo, che è anche la più putiniana d’Europa. La colonna principale di questo esecutivo è un partito post-fascista che si rivede perfettamente nella lettura putiniana della società: Dio, Patria, Famiglia.
Il secondo pilastro è il partito personale di un ex premier che ospitò Putin (ritenuto “un sincero democratico”) nella sua villa in Sardegna ricambiato con vacanza nella dacia presidenziale. Se le dichiarazioni più recenti di Berlusconi scolpiscono il suo immutato putinismo, una premurosa stampa le ha trattate come quelle di uno statista un po’ provato dagli anni, da tenere al riparo da sberleffi o irrispettosi commenti.
Del resto all’epoca in cui Berlusconi era sulla cresta dell’onda pochissimi denunciarono, per esempio, il gesto osceno di “sparare” su una cronista russa che aveva osato fare a Putin una domanda sulla sua vita privata. Matte risate di fronte a quel gesto “burlone”, nonostante fossero passati meno di due anni dall’uccisione a Mosca di Anna Politkovskaja, un’altra giornalista che doveva smettere di fare domande scomode.
Terzo pilastro di questo governo è la Lega che al partito di Putin, Russia Unita, è legata da un contratto. Il suo leader si è esibito in atti di ammirazione putiniana direttamente sulla piazza Rossa, poco distante dall’hotel dove imbarazzanti intercettazioni, protagonista uno dei suoi, divennero spunto per la Procura di Milano: indagine per finanziamento illecito ai partiti e corruzione internazionale. Tutto archiviato anche per la mancata collaborazione russa.
LENINISMO MELONITA
La premier Giorgia Meloni ha condotto un’operazione post-leninista da antologia della tattica politica. Tacitando preventivamente qualsiasi dissenso interno, ha schierato il governo contro Putin e a favore della guerra. Del resto era già cominciato da tempo l’avvicinamento della futura premier a Washington, che in Italia con i fascisti ha sempre avuto ottimi rapporti, anche ai tempi della strategia della tensione, come ci ricorda la recente sentenza sulla strage di Bologna.
Basta pensare che, in quasi contemporanea con l’annuncio di una dura opposizione all’atlantista Draghi, la Meloni viene ammessa all’Aspen Institute, il più vicino agli Stati Uniti tra gli italici think tank. L’aver schierato così il suo governo, ha dissipato i dubbi internazionali sul putinismo dell’esecutivo o, più banalmente, ha soddisfatto le richieste di Washington che a questa guerra attribuisce molte funzioni, tra cui il “riallineamento” dell’Europa.
IL MODELLO POLACCO
La Meloni ha usato il conflitto per emulare la formula polacca. A Varsavia c’è un governo di destra che limita i diritti civili, tiene la magistratura al guinzaglio, ridicolizza la libertà di stampa ma si è guadagnato l’“immunità” internazionale con una linea iper-atlantista, sbocco naturale dell’ultra-nazionalismo al potere e dell’antica ostilità alla Russia. L’Italia pare stia investendo su questo tipo di “scambio” alla polacca: lasciateci in pace a casa nostra che noi restiamo allineati in politica estera. Il caso Lollobrigida, o della sostituzione razziale, ci dimostra quanto il governo benefici dell’indifferenza internazionale, sulla sua natura politica e sul suo non prendere le distanze dal fascismo. È lecito pensare che sia appunto un frutto del suo sostegno alla guerra.
EUROPA VECCHIA E NUOVA
Il modello polacco va però molto oltre questo “scambio”, ce lo ha ricordato il premier Mateusz Morawiecki tirando fuori nei giorni scorsi la contrapposizione tra una presunta nuova Europa (l’Est bellicista, nazionalista, iper-atlantista e conservatore) e la vecchia Europa (il molle Ovest cosmopolita). È il paradigma di Donald Rumsfeld, artefice di quel concentrato di crimini di guerra chiamato esportazione della democrazia in Afghanistan e Iraq, il quale non tollerava che l’Europa si volesse tenere fuori dal mattatoio iracheno. Da allora gli Usa hanno lavorato per spostare il motore politico della Ue. Se Berlusconi all’epoca diede un aiutino con la nostra missione militare in Iraq, oggi Meloni è strategica per traslare l’asse gravitazionale dell’Unione. Poco importa se la nuova Europa è un concentrato di pericolosi nazionalismi di destra: bisogna ridimensionare Francia e Germania; evitare che a livello economico o politico possano esistere forme di cooperazione al di là di quelle con Washington.
IL SESTO POLO
Nel panorama dei dividendi di guerra che il governo fascioleghista sta incassando, ha un ruolo anche quel polo, sesto nelle urne e nei sondaggi, ma sempre terzo per i media italiani. Dalla vittoria elettorale della Meloni a oggi, il sesto polo è servito a fare da navetta per tanti “riformisti” diretti nella curva dei tifosi governativi. A dare loro l’occasione di correre in soccorso del vincitore è stata proprio la posizione della Meloni sulla guerra.
I POVERI MIGRANTI
Quelli che dicono “La Meloni sull’Ucraina? Una statista” “Eh… il viaggio in Africa, finalmente un po’ di politica estera” “L’economia, meno male cancellato il Reddito di cittadinanza” come conciliano queste posizioni con la critica sui migranti? Non è che magari il tema lo stanno strumentalizzando per salvare un po’ la faccia e ricominciare a sparare contro qualsiasi cosa di sinistra respiri e si muova? Quella di criticare i fascioleghisti su questi temi è una scadente furbata, si trattano come errori quelli che sono invece frutto di un organico quadro ideologico, chiaro e persino rivendicato. Altra versione di questa tattica è il salvataggio della premier silente, mentre suonano orchestrine di pensionati in via Rasella, attribuendo ogni “errore” a chi le sta vicino. Meno male per i “moderati” che ci sono le vignette a ridare loro l’occasione di esprimere solidarietà al governo, ricordandoci però i rischi censori del modello polacco.
Di fronte a questi slalom, il pensiero torna a quei liberali che un secolo fa si girarono dall’altra parte di fronte al vero volto del fascismo, convinti di poterlo pilotare per mettere in ordine un po’ di cose nel Paese prima di prenderne le redini.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Maggio 5th, 2023 Riccardo Fucile
IL SINDACO: “ABBIAMO RISCHIATO UNA TRAGEDIA COME IL MORANDI”…. L’OPERA ERA STATA COSTRUITA CON FONDI REGIONALI SOLO 9 ANNI FA. LA PROCURA HA APERTO UN’INCHIESTA
«Il ponte è sotto sequestro e i cittadini sono indignati: non può crollare in questo modo un viadotto». A parlare è Giovanni Pirillo, sindaco di Longobucco, Comune in provincia di Cosenza lì dove mercoledì si sono abbattute forti piogge e la furia di un torrente. Al punto da far collassare una parte del viadotto sul fiume Trionto.
A cedere è stato uno dei piloni, ma all’attenzione della procura di Castrovillari – che ha aperto un’inchiesta- ci sono, più in generale, anche i lavori sulla statale di collegamento tra l’entroterra e la costa. Cantierizzata negli Anni 90, non è mai stata ultimata.
Il ponte, invece, costruito con fondi regionali appena 9 anni fa sulla cosiddetta «Sila-Mare», era aperto al traffico dal 2016. E ora le indagini puntano a verificare eventuali responsabilità, mentre i tremila residenti sentono di essere stati fortunati: la strada era stata chiusa un’ora prima del crollo a causa di una frana. «Altrimenti ci saremmo trovati di fronte alla tragedia del ponte di Genova», commenta il primo cittadino.
L’Anas ha specificato di non avere responsabilità sulla realizzazione e che la gestione di sua competenza è partita soltanto nel 2019. Sempre la società, proprio in via precauzionale, aveva deciso di bloccare il transito dei veicoli sulla statale. Da lì a poco il cedimento, ripreso in un video di un testimone, pubblicato poi su Facebook.
Tutto è accaduto in pochissimi secondi: un pezzo dell’infrastruttura si è piegato, finendo sul letto del fiume. E ora i tecnici sono al lavoro per stabilire cosa abbia provocato il crollo.
(da La Stampa)
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Maggio 5th, 2023 Riccardo Fucile
E’ IL PRESIDENTE DI UN MOVIMENTO CONTRO I VACCINI … IN ALTRI TEMPI, QUANDO I LEADER ERANO SCORTATI DAI MILITANTI, QUALCUNO SI SAREBBE FATTO TRE MESI DI OSPEDALE
Evento elettorale del Movimento 5 stelle a Massa, in Toscana: i prossimi 14 e 15 maggio, alle elezioni comunali, corre per la carica di sindaco la grillina Daniela Bennati. Giuseppe Conte scende dall’auto.
Sono le 16.10 circa di venerdì 5 maggio. Inizia a salutare i sostenitori: c’è chi prova a scattarsi un selfie, chi a dare una pacca al presidente grillino. Si avvicina una persona fingendo di voler stringere la mano a Conte. All’improvviso, gli tira uno schiaffo sul volto, inveendo contro le misure anti Covid che sono state introdotte durante il governo gialloverde.
Fermato dalle forze dell’ordine, viene portato in questura. Si tratta di Giulio Milani, nome noto nella galassia no vax toscana. È il presidente dell’associazione Rivoluzione allegra, movimento antivaccinista, che si è schierato anche contro «la propaganda di morte di Zelensky», la Nato e il supporto militare all’Ucraina.
Milani è candidato per le prossime elezioni comunali, del 14 e 15 maggio, nella lista Massa Insorge, a sostegno del candidato sindaco Marco Lenzoni. Conte, dopo l’aggressione, decide di continuare l’evento. E commenta così l’accaduto: «Quando ci si assume una responsabilità di governo, si prendono decisioni difficili in momenti di grande difficoltà per l’intero Paese, come accaduto durante la pandemia. Non si può accontentare tutti nonostante si lavori al bene di tutti. Il signore che mi ha aggredito, che è un no vax convinto, ha dimostrato con il suo gesto violento che questo tipo di derive sono fatte da persone irresponsabili. Se avessimo seguito le loro indicazioni probabilmente oggi saremmo una comunità completamente distrutta. Il dissenso è legittimo, ma questa manifestazione violenta esula dal contesto democratico».
La solidarietà del mondo politico
«Esprimo solidarietà al presidente del M5s, Conte. Ogni forma di violenza va condannata senza esitazione. Il dissenso deve essere civile e rispettoso delle persone e dei gruppi politici», è il messaggio che arriva da Giorgia Meloni.
Prima di lei, è stata Elly Schlein a mostrare vicinanza al collega deputato: «Sono vicina a Conte e a lui esprimo la solidarietà mia e di tutta la comunità del Partito Democratico per l’aggressione subita oggi in Toscana. Usando la violenza non si affermano le proprie ragioni ma solo la propria vigliaccheria».
Le note alle agenzia stampa arrivano da quasi tutto il governo. Matteo Piantedosi telefona direttamente al leader grillino per sincerarsi delle sue condizioni fisiche. Guido Crosetto: «Solidarietà totale a Conte di fronte alla indegna aggressione ricevuta. Un atto inaccettabile che condanno fermamente. La libertà di pensiero è un pilastro della società democratica ma la violenza ci disgusta e ci deve vedere compatti nella condanna». Francesco Lollobrigida: «Solidarietà a Conte, vittima di un’aggressione oggi a Massa. Ferma condanna per un’azione intollerabile: la violenza non può mai essere giustificata»
(da agenzie)
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Maggio 5th, 2023 Riccardo Fucile
AL DUELLO OSTINATO TRA MELONI E SALVINI, OCCORRE AGGIUNGERE GLI SCAZZI ALL’INTERNO DI FRATELLI D’ITALIA TRA IL MINISTRO DELLA DIFESA GUIDO CROSETTO VERSUS IL SOTTOSEGRETARIO ALFREDO MANTOVANO, EX MAGISTRATO CARO A LUCIANO VIOLANTE E GIANNI DE GENNARO MA PER NULLA AMATO DAL “CERCHIO MAGICO” DELLA MELONI
Guardia di Finanza, che mal di panza. La scelta del successore di Giuseppe Zafarana alla guida della Fiamme Gialle sta scombussolando il governo: al duello ostinato tra Meloni e Salvini, occorre aggiungere gli scazzi all’interno di Fratelli d’Italia che vedono il ministro della Difesa e fondatore di FdI versus il sottosegretario Alfredo Mantovano, ex magistrato caro a Luciano Violante e Gianni De Gennaro.
I giornaloni raccontano di botti e tric-trac nell’ufficio della premier tra il tandem Crosetto-Giorgetti e il duo Meloni-Mantovano. Ma negli incontri avvenuti a palazzo Chigi, durante i quali in realtà non era presente il sottosegretario Mantovano, non si è consumata alcuna scazzottata.
Alle 8 del mattino, come Dago-rivelato, Semolino Giorgetti e Hulk Crosetto si incontrano al Ministero dell’Economia per studiare il dossier sulla Finanza. I due danno un’occhiata ai curriculum e si confrontano. Alla fine individuano una rosa di 3-4 possibili candidati, con un preciso ordine di “gradimento” costruito con una serie di considerazioni su ogni “papabile”.
La lista preparata da Giorgetti e Crosetto doveva essere consegnata nella serata di ieri a Giorgia Meloni che, confrontandosi con i due ministri, avrebbe dovuto decidere. Ma qualcosa va storto.
Dopo la Dagonews sull’incontro al Mef tra il ministro dell’Economia e quello della Difesa partono i veleni: nelle stanze del potere inizia a circolare la notizia che, in realtà, la scelta sul nuovo comandante della Guardia di Finanza sarebbe già stata presa dal sottosegretario Mantovano.
L’ex magistrato, per nulla amato a Palazzo Chigi dal “cerchio magico” della Meloni per il suo atteggiamento accentratore, finisce nel mirino. Tra l’altro nessuno in Fratelli d’Italia apprezza particolarmente la sua vicinanza a Luciano Violante e Gianni De Gennaro né la sua propensione a dare spazio, nei posti che contano (dai Servizi alle aziende partecipate), alle persone a lui care.
Il tentativo di creare scompiglio tra i ministri va a buon fine perché Guido Crosetto è entrato a palazzo Chigi in modalità “spacco tutto”. Il gigantesco ministro ha puntato Mantovano sempre con la sua aria da gattamorta, lo ha preso di petto e davanti a tutti e gli ha fatto un bel cazziatone. Della serie: “Davvero pensi di poter portare in Consiglio una nomina che prevede la mia firma, senza che io ne sappia nulla?”.
Mantovano, pallido e assorto, è trasalito. Il povero sottosegretario ha dato la sua spiegazione: aveva pregato Giancarlo Giorgetti di condividere la scelta del candidato con Crosetto e il ministro dell’Economia gli aveva fornito rassicurazioni di averlo fatto.
Ma il sottinteso era che la scelta ricadesse su Andrea De Gennaro, che non è mai stato il candidato di Mantovano ma da sempre quello di Giorgetti, sul quale il sottosegretario aveva espresso parere positivo. Un colpo di scena che ha spiazzato Crosetto che era rimasto fermo alla lista compilata al Mef con il ministro dell’Economia, che non aveva fatto menzione, manco a Salvini, delle sue preferenze per De Gennaro.
Motivo? Semplicemente perché quel puré di Giorgetti, nel frattempo, ha cambiato idea: ora teme che Andrea De Gennaro, non così amato dagli alti ufficiali della Finanza, possa avere problemi a gestire una struttura piena di generali delusi che non ne accettano la leadership.
Di questo hanno discusso per due ore Giorgetti, Crosetto e Giorgia Meloni (senza Mantovano). Alla fine sarebbe stata la premier a prendere tempo e a rinviare la decisione. Un po’ per far sbollire Crosetto, un po’ perché il lungo confronto non aveva portato a una decisione univoca. Un po’ perché l’occhiuto monitoraggio del Colle s’era fatto particolarmente intenso. Che accadrà ora?
Quale candidato riuscirà a raccogliere l’eredità di Zafarana? Andrea De Gennaro, Bruno Buratti e Carmine Lopez non hanno particolari nemici ma neanche molti amici disposti a fare i salti mortali per loro. Fabrizio Cuneo e Umberto Sirico invece possono vantare moltissimi appoggi ma devono guardarsi da altrettanti nemici
(da La Repubblica)
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Maggio 5th, 2023 Riccardo Fucile
PAKISTANI E BENGALESI VOLANO FINO A BENGASI. ALL’AEROPORTO SI PAGA LA “TASSA” AGLI UOMINI DI HAFTAR, E SI OTTIENE UN REGOLARE VISTO DI ENTRATA. POI I MIGRANTI VENGONO SPOSTATI A TOBRUK E LÌ ASPETTANO LA PRIMA PARTENZA DI QUALCHE BARCONE PER L’ITALIA
Incontro a Palazzo Chigi degno di un Capo di Stato. Il giorno prima, colloquio con il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Ieri, dopo Giorgia Meloni, un faccia a faccia con il ministro della Difesa, Guido Crosetto, e con il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Per il generale libico Khalifa Belqasim Haftar la visita a Roma è stata un’apoteosi con l’intero governo italiano ai suoi piedi per sentirne la voce, i desiderata, le aspirazioni.
Tanta disponibilità per un personaggio che non ha alcuna veste istituzionale, ma tanto potere, essendo l’uomo forte che comanda sulla Cirenaica, si spiega solo in un modo: nel caos libico, il governo Meloni ritiene che il generale sia una delle chiavi per risolvere la situazione. Forse ormai la più indispensabile.
La Cirenaica è ormai una realtà a sé, totalmente sganciata dalla Tripolitania. E dal porto di Tobruk ci stanno sommergendo di migranti illegali. C’è ormai una nuova rotta che funziona a pieno ritmo: migliaia di pakistani e bengalesi arrivano in aereo fino a Damasco, da lì prendono la coincidenza e atterrano a Bengasi. All’aeroporto basta pagare la tassa al governo locale, cioè agli uomini di Haftar, e si ottiene un regolare visto di entrata.
Da quel momento è tutto ancora più facile: i migranti vengono spostati nel vicino porto di Tobruk e lì aspettano in pensioni improvvisate la prima partenza di qualche barcone per l’Italia. Qualche volta si aggiungono anche degli egiziani che arrivano via terra.
Oppure dei siriani che abbandonano Damasco. Ebbene, la rotta dalla Cirenaica ha surclassato la rotta dalla Tripolitania e pesa la metà di quel che arriva dalla Tunisia.
Quasi diecimila persone negli ultimi quattro mesi.
Si vedrà presto se questo investimento politico senza precedenti dell’Italia su un uomo screditato nella comunità internazionale, e che ha dimostrato i suoi limiti anche nelle azioni di forza, costretto com’è a dipendere dagli egiziani e dalle milizie mercenarie russe della Wagner, funzionerà. In pratica pagando il pizzo al capo dei trafficanti.
(da agenzie)
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Maggio 5th, 2023 Riccardo Fucile
NON C’È UNA GIUSTIFICAZIONE UFFICIALE, MA SI PENSA CHE LA RAGIONE SIA LEGATA ALL’ATTACCO CON I DRONI AL CREMLINO,,, LA SCELTA, SECONDO IL THINK TANK AMERICANO “ISW”, POTREBBE ESSERE DETTATA ANCHE DALLA VOLONTÀ DI NASCONDERE IL DEGRADO DELLE FORZE ARMATE, O DAL TIMORE DI CONTESTAZIONI
I funzionari russi stanno probabilmente sfruttando l’attacco al Cremlino di mercoledì scorso per cancellare in un maggior numero di città le parate previste il 9 maggio, Giorno della Vittoria: lo scrive l’Istituto per lo studio della guerra (Isw). Fonti russe hanno riferito che sono state già cancellate le parate in 21 città della Russia e della Crimea occupata, senza una giustificazione ufficiale o per motivi di sicurezza, scrive il centro studi statunitense.
Secondo gli analisti dell’Isw, il Cremlino vuole usare l’attacco non solo per cancellare gli eventi del 9 maggio, ma anche per presentare la guerra in Ucraina come una minaccia esistenziale per il Paese.
Mosca spera probabilmente di limitare gli eventi del 9 maggio per nascondere il degrado delle forze armate russe, in quanto alle parate vengono normalmente sfoggiati gli armamenti più avanzati, molti dei quali sono impiegati nella guerra in Ucraina o sono stati distrutti nei combattimenti.
Il Cremlino spera di limitare gli eventi del 9 maggio anche per timore che le celebrazioni in onore dei militari deceduti possano diventare una potenziale fonte di protesta interna a causa dell’elevato numero di vittime in Ucraina.
(da agenzie)
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