Maggio 27th, 2023 Riccardo Fucile
IL VIDEO DEL TENTATO RAPIMENTO DI UN CANE E’ VECCHIO, STESSE ALMENO ATTENTO A CANCELLARE LA DATA CHE SI VEDE IN CALCE
“Dopo il tentato rapimento di un bimbo, un altro inquietante episodio di giorno in pieno centro a Milano”. 42.000 like, oltre 3.000 commenti. Il post di Matteo Salvini che nelle ultime 24 ore ha segnato più reaction sulla sua pagina Instagram è un video. C’è un cane legato fuori da un negozio. Dalle immagini si vede che è un cane di razza. È un Weimaraner, un bracco originario della Germania. Gli esemplari migliori possono costare fino a 2.000 euro. A un certo punto si avvicina un uomo. Slega il guinzaglio e lo porta via. Qualcosa non funziona. Il cane si impunta, non vuole andare. L’uomo tira. Arriva una persona che si accorge di cosa sta succedendo. L’uomo scappa, il guinzaglio si sfila e il cane entra nel negozio.
Quello pubblicato da Matteo Salvini è un tentativo di furto, come scrive: “Con quale coraggio si può solo pensare di prendersela con bambini e amici a quattro zampe? Pene certe ed esemplari per questi criminali”. Sotto messaggi indignati, a partire da Elisabetta Canalis: “Pazzesco”.
E poi insulti al sospetto ladro, commenti per chi non fa entrare il cane in negozio, commenti per chi lascia i cani fuori dai negozi dove non possono entrare.
Tutto (quasi) plausibile, tranne una cosa: il giorno in cui è stato girato il video.
Da dove arriva il video diffuso da Salvini
Il leader della Lega e ministro delle Infrastrutture, ha pubblicato il video parlandone come fosse successivo al tentato rapimento di un bambino in piazza Gae Aulenti. Questo fatto, più accertato, risale a domenica 21 maggio: una donna di 22 anni avrebbe tentato di rapire un bambino in mezzo alla folla. Il padre, 41 anni, sarebbe riuscito a raggiungerla e riprendere il bambino.
Il video del cane invece ha un origine più incerta. Ma sicuramente non è recente. La pagina da cui Salvini ha preso il video è MilanoBellaDaDio, già nota per diffondere video di cronaca con una discreta tendenza verso la spettacolarizzazione della violenza. Guardando il video originale si vede la data di quando è stato girato.
Come si può intuire dai vestiti dei passanti il video non è successivo al tentato rapimento di piazza Gae Aulenti, anzi. Il numero in fondo sulla destra dello scherma recita abbastanza chiaramente 12/03.
A questo punto le opzioni a disposizione sono parecchie. Se la data è registrata con un formato italiano, allora si tratterebbe del 12 marzo. L’anno inizia solo con 20 invece, quindi potrebbe essere qualsiasi anno fino al 2000, anche se a giudicare dai vestiti dei passanti e dallo smartphone in mano a una persona non sembra così datato.
Se invece la data fosse registrata con un formato inglese allora ci troveremmo davanti a un 3 dicembre. Nelle immagini si vede chiaramente che piove.
Controllando nell’archivio di 3b Meteo degli ultimi quattro anni possiamo restringere il campo delle possibilità solo a due giornate: il 3 dicembre del 2022, quando a Milano pioveva, o il 3 dicembre del 2020, non pioveva ma era coperto. Quindi, nel tentativo di sollevare un problema sulla sicurezza a Milano, Salvini ha accostato due episodi di cronaca che (se va bene) hanno almeno sei mesi di distanza.
(da Fanpage)
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Maggio 27th, 2023 Riccardo Fucile
E QUESTA SAREBBE LA DESTRA DELLA LEGALITA’?
Da Giorgia Meloni l’ennesimo messaggio al popolo degli evasori, soprattutto a quelli che appartengono alle corporazioni di riferimento dei sovranisti oggi al governo. E per farlo arriva a equiparare lo Stato alla mafia.
«Sulla riforma fiscale la sinistra dice che gettiamo la spugna sulla lotta all’evasione. Questo non avverrà mai, ma l’evasione va combattuta dove sta, non sul piccolo commerciante a cui chiedi il pizzo di Stato solo perché devi fare la caccia al reddito più che all’evasione fiscale».
Lo ha detto il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, intervenendo a Catania all’evento di chiusura della campagna elettorale a sostegno del candidato sindaco del centrodestra Enrico Trantino.
Il Partito democratico parte all’attacco contro Giorgia Meloni, che a Catania ha definito le tasse ai piccoli commercianti come “pizzo di Stato”. Inaccettabile, dice il Pd, che la presidente del Consiglio paragoni le istituzioni alla mafia.
Per Giorgia Meloni far pagare le tasse ai piccoli commercianti è “pizzo di Stato”. Un’espressione che, pronunciata dal palco di Catania per la chiusura della campagna elettorale, ha subito scatenato le polemiche.
Il fatto che la presidente del Consiglio paragoni le tasse a un’estorsione criminale mafiosa, è quantomeno discutibile. In un Paese che ha un enorme problema con l’evasione, il messaggio che dovrebbe arrivare dalle istituzioni è un altro. “L’espressione ‘pizzo di Stato’ è squallida”, ha subito detto la vicepresidente della Camera, la dem Anna Ascani.
“Normalizza l’idea del pizzo, criminalizza la lotta all’evasione. Ridicolizza chi paga le tasse, finanziando i servizi. Credo che Giorgia Meloni debba scusarsi. Le parole sono importanti sempre, se sei presidente del Consiglio di più”, ha aggiunto.
Sempre dal Partito democratico, anche Chiara Gribaudo ha attaccato le parole della leader di Fratelli d’Italia: “Meloni definisce le tasse ‘pizzo di Stato’. Lo fa da un palco a Catania, associando lo Stato alla mafia proprio nella Sicilia strozzata dal gioco della criminalità organizzata. Una retorica ripugnante, pericolosa. Inaccettabile che la presidente del Consiglio si esprima così”.
Anche Maria Cecilia Guerra, ex viceministra e sottosegretaria, esponente di Articolo 1, ha criticato la presidente del Consiglio. “Definire le tasse ‘pizzo di Stato’, come ha fatto la Meloni a Catania, è un’affermazione grave che legittima l’evasione, e ancor più grave perché associa l’attività dello Stato a quella mafiosa. Parole inaccettabili”, ha scritto su Twitter.
La strategia del centrodestra al governo contro l’evasione fiscale è stata duramente criticata dalle opposizioni.
Dai condoni alla lotta a favore del contante in legge di Bilancio, Pd e M5s hanno accusato la maggioranza di voler fare favori agli evasori e strizzare l’occhio a chi non paga le tasse. Da parte sua Meloni, parlando specialmente delle imprese, ha detto che lo Stato non deve intralciare e “disturbare chi vuole fare”
(da Fanpage)
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Maggio 27th, 2023 Riccardo Fucile
BEPPE GRILLO E’ DELUSO DELLA STRATEGIA DI CONTE AVVERSA ALL’ALLEANZA COL PD… APPENDINO, DONNA SAGGIA E AVVEDUTA, BENEAMATA DA TUTTI, E’ LA CURA OMEOPATICA PER RISOLLEVARE IL M5S
“Quanto agli orientamenti di voto, il dato più significativo è rappresentato dalla flessione di 1,5 punti del M5S che, con il 15% dei consensi, per la prima volta viene stimato su valori inferiori al risultato ottenuto alle Politiche dello scorso anno”, annota oggi sul Corrierone il buon Nando Pagnoncelli.
Un segnale d’allarme che risuona da giorni all’interno del corpaccione dei pentastellati. “Conte ci manda a sbattere”; “Conte vuole essere il leader del centrosinistra e si mette di traverso a Elly Schein”; “Conte non puoi mettersi contro il Pd, si sta comportando con Elly come Calenda con Renzi”, eccetera.
Essì, giorno dopo giorno, sondaggio dopo sondaggio, cazzata dopo cazzata, sta montando una fronda nel Movimento contro Peppiniello Conte. Una battaglia interna, per ora sotterranea, che mira a sostituirlo con Chiara Appendino.
L’ex sindaco di Torino, donna saggia e avveduta, beneamata da tutti – argomentano i los grillinos – potrebbe essere la cura omeopatica per risollevare il Movimento. Ormai la politica è donna: dalla Meloni alla Schlein, per non parlare del duplex Marta Fascina-Marina Berlusconi che dettano legge in Forza Italia.
Nel mirino dei grillinos c’è la strategia di Conte avversa all’alleanza con il Pd, che tratta Elly alla stregua della Meloni: un’avversaria. E si comporta da Tafazzi, quando invece un accordo con il maggior partito dell’opposizione farebbe recuperare centralità politica e mediatica ai 5Stelle.
Con l’inaspettata irruzione sulla scena politica della dem, Conte è invecchiato di colpo, non è più la ‘’new thing” della politica italiana con la pochette e linguaggio da azzeccagarbugli, è diventato un altro “arieccolo”, e l’Avvocato del Popolo ha sbroccato.
Per far vedere a Elly che ce l’ha più lungo, l’ex anonimo avvocato dello studio Alpa che la fervida fantasia di Grillo e Di Maio trasformarono in premier, colpito dall’ansia di prestazione, fa una cilecca dopo l’altra. Dal mancato rapporto con i sindacati alla battaglia sulle vigilanza e sulle nomine Rai dove ha fatto astenere il suo consigliere nel cda Rai avallando di fatto la Eiar Eiar Alalà meloniana, l’immagine del Movimento sta stingendo nell’irrilevanza.
E i frondisti sbertucciano: “La sua sfida in piazza per recuperare consensi nei confronti del Pd e accreditarsi come leader dell’opposizione, è fallita: i voti del Pd non li prenderà mai”.
Purtroppo la pochette con le unghie è talmente pieno di sé che potrebbe stare tre mesi senza mangiare e a chi contesta la sua linea “stand alone” (mentre Meloni e Schlein continuano a crescere) fa orecchie da arrogante. In compenso, non avendo ancora trovato un’Alka-Seltzer per digerire l’uscita da Palazzo Chigi, in ogni incontro si autocelebra come statista e ai malcapitati interlocutori sottolinea ogni due frasi che è stato bi-presidente del Consiglio, e sospira: “Ah, quando c’ero io a Palazzo Chigi…”.
Aspettando l’esito dei ballottaggi delle comunali, tra i deputati e senatori pentastellati circola sempre più insistentemente l’idea di Chiara Appendino al posto di Conte. Ovviamente i frondisti non potevano non rendere conto della situazione al padre-padrone del Movimento, sapendo bene quanto Beppe Grillo sia contrario alla linea anti-Pd di Conte.
Così l’Elevato cinque giorni fa si è scapicollato a Roma e ha incontrato i parlamentari nella sede del M5S in via di Campo Marzio, dopo aver pranzato con Giuseppe Conte. “Una visita incentrata sull’organizzazione”, hanno scritto. In realtà in ballo c’era il futuro dei 5 stelle: e Grillo si è trovato d’accordo sull’up-grading di Appendino. Conte, bye bye?
(da Dagoreport)
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Maggio 27th, 2023 Riccardo Fucile
E ORA PENSA PURE A LIMITARNE I POTERI DI CONTROLLO: AVANTI, ORBANIANI…
Il richiamo è a un “approccio costruttivo”. Ma dietro alla nota del ministro per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il Pnrr, Raffaele Fitto, è chiaro che si alza il tono di scontro con la Corte dei Conti.
I magistrati contabili hanno appena licenziato il Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica e la diagnosi sull’attuazione del Piano nazionale di ripresa è impietoso. Spese alla mano, nei primi quattro mesi dell’anno siamo a quota 1,1 miliardi su una programmazione da 32,7 miliardi per l’intero 2023.
Numeri che arrivano solo ad aprile, ma restituiscono una evidente immagine d’affanno nella messa a terra dei progetti del Pnrr, per altro mentre il governo è alle prese con una revisione e una trattativa per la rimodulazione in sede europea, il cui esito è ancora incerto.
Fitto parte proprio dalla necessità di un impegno istituzionale congiunto per il successo del Piano, per attaccare i magistrati contabili. “L’attuazione del Pnrr è una sfida per tutto il Paese, come ci ricorda sempre il presidente Mattarella. Serve un approccio costruttivo da parte di tutti, affinchè i progetti si realizzino e si rendicontino in modo adeguato”, si legge nella nota vergata da Fitto. Quindi l’affondo diretto verso la Corte: “Ognuno deve contribuire in maniera proattiva al raggiungimento dell’obiettivo comune: realizzare interamente il Piano, ammodernare il Paese e renderlo competitivo. Quindi tutti dobbiamo lavorare, soprattutto tra istituzioni, privilegiando la prudenza e il confronto preventivo”.
Fitto assicura che “nei prossimi mesi partiranno le rendicontazioni di molti progetti e di molti interventi”, come a dire che la visione della Corte è per ora parziale. E quindi guarda direttamente ai magistrati contabili: “Sarebbe auspicabile un approccio costruttivo della Corte dei Conti, che potrebbe supportare tutti i soggetti attuatori nella fase di rendicontazione, di campionamento, e di verifica del raggiungimento dei risultati, elaborando format, sistemi di autocontrollo che semplificherebbero i compiti dei singoli soggetti attuatori”. “In tal senso, quindi, i controlli non si sovrapporrebbero e il sistema sarebbe in grado di rispondere più efficacemente alle richieste europee. Lavorare insieme, lavorare costruttivamente, lavorare bene”, aggiunge.
Il ruolo di controllo della Corte
Il riferimento in questo caso è duplice. Non solo ai numeri messi nero su bianco nel Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica. Ma mira al cuore del ruolo di controllo che la Corte esercita sui progetti del Piano. E il passaggio della “non sovrapposizione” svela quanto ha in animo il governo.
Già a inizio mese, l’esecutivo aveva lamentato una “invasione di campo” della Corte per alcuni rilievi rilasciati dal Collegio per il controllo concomitante sui ritardi dei progetti del Pnrr, come nel caso dell’idrogeno.
Nel mirino erano finite “le gravi irregolarità gestionali”, cioè “i rilevanti e ingiustificati ritardi nell’erogazione” dei fondi in relazione a due dei 27 obiettivi del Pnrr che l’Italia deve centrare entro il 30 giugno, se vuole richiedere all’Europa la quarta tranche da 16 miliardi. Per l’esecutivo, però, la valutazione del rispetto dei tempi dovrebbe esser però prerogativa di Bruxells. Accuse d’invasione di campo alle quali la Corte aveva risposto di avere agito corettamente, nel rispetto dei suoi poteri.
Il governo starebbe ora pensando, ha scritto il Sole24Ore, di intervenire sul potere di controllo della magistratura contabile, definendo un perimetro più stretto per l’azione della Corte. E potrebbe anche rimettere mano alla scadenza dello “scudo erariale”, ovvero il meccanismo che limita il danno erariale ai casi di dolo o estrema inerzia delle amministrazioni. Il disegno sarebbe di estendere la scadenza dello scudo (prevista a fine giugno) per portarlo avanti in parallelo con la realizzazione del Pnrr. Una eventualità che potrebbe tornare ad accendere la contrarietà della Corte, cui lo scudo certo non va giù.
(da agenzie)
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Maggio 27th, 2023 Riccardo Fucile
DOPO LA COMMISSIONE EUROPEA, BANKITALIA, LA CORTE DEI CONTI E INFINE L’UFFICIO PARLAMENTARE DI BILANCIO ANCHE L’ISTITUZIONE AMERICANA BOCCIA LA RIFORMA FISCALE E CHIEDE DI “TUTELARE LA PROGRESSIVITÀ DELLE IMPOSTE”
Ancora una bocciatura per il governo Meloni. A questo giro è il Fondo monetario internazionale (Fmi) a criticare: nel suo rapporto periodico rimarca che la crescita 2023 sarà sopra le attese, con il Pil a +1,1%, ma che l’inflazione resterà oltre il 2% almeno fino al 2026.
Dalla riforma del Fisco al Recovery, passando per il sistema pensionistico e i conti pubblici, sono svariate le fonti di preoccupazione per l’istituzione di Washington. Che chiede più proattività, puntualità ed efficacia all’esecutivo.
Il rischio, in un clima di tassi d’interesse crescenti, è quello di trovarsi nelle sabbie mobili. E l’invito è quello di non ricorrere a scorciatoie: «Una tassa sugli extraprofitti delle banche potrebbe avere conseguenze indesiderate». Risponde a distanza il ministro del Tesoro, Giancarlo Giorgetti: «Stiamo riducendo il debito, come chiesto dagli ispettori del Fmi».
Vero, il Pil italiano ha rimbalzato più delle stime preliminari, ma le criticità restano elevate, secondo il Fmi. «L’attività economica e l’occupazione sono cresciute fortemente nel 2022 grazie all’abile gestione delle forniture di gas da parte delle autorità e al sostegno del welfare fornito in risposta allo choc dei prezzi dell’energia», si sottolinea.
Roma crescerà dell’1,1% nel 2023 e nel 2024 per poi accelerare nel 2025, anche grazie al Pnrr, la cui spesa raggiungerà il picco quell’anno. Ma l’attuazione del Recovery dovrà essere «accelerata». Specie a fronte di rincari più poderosi di quanto ipotizzato. L’inflazione di fondo in Italia è destinata a ridursi «gradualmente» ma l’andamento del costo della vita tornerà «all’obiettivo del 2% solo intorno al 2026».
Una tassa aggiuntiva sugli utili bancari, si sottolinea, «tenderebbe a ridurre i tassi di interesse sui depositi, aumentare il costo dei prestiti e ridurre l’importo dell’intermediazione finanziaria in un momento in cui il volume dei prestiti è già in calo».
E poi la previdenza. «Per contenere la spesa legata all’invecchiamento» della popolazione in Italia «l’età pensionabile dovrebbe essere collegata all’aspettativa di vita e le prestazioni dovrebbero essere maggiormente allineate con i contributi, mentre i regimi di prepensionamento dovrebbero essere aboliti».
Una sfida per il governo Meloni. Come anche l’invito successivo, ovvero l’adozione di un modello di Fisco che «incoraggi l’occupazione, abolisca le spese fiscali inutili, rafforzi la riscossione delle entrate e tuteli la progressività». Il contrario della flat tax.
La critica del Fondo non è stata isolata. Prima la Commissione europea, poi Bankitalia, la Corte dei Conti, infine l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), intervenendo con una memoria sul ddl delega per la riforma fiscale ha sottolineato come il passaggio dagli attuali scaglioni Irpef a uno schema di progressività ad aliquota unica «determina effetti redistributivi che penalizzano i soggetti con redditi medi e favoriscono quelli con redditi più elevati a meno di rinunciare a una elevata quota di gettito
(da la Stampa)
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Maggio 27th, 2023 Riccardo Fucile
“SE SI CONTINUA IN QUESTO MODO SI RISCHIA LA RECESSIONE”
Al Festival dell’Economia di Trento il premio Nobel dell’Economia 2001 Joseph Stiglitz stigmatizza “l’incompetenza” del governo Meloni nella gestione dei fondi del Pnrr.
Nel briefing con i giornalisti che precede la conferenza al Festival, l’economista americano, nella sorpresa generale, ha affermato: “Il problema del vostro governo è l’elevato livello di incompetenza che ha mostrato nella gestione dei fondi dell’Unione Europea, che sono estremamente importanti. Infatti un buon utilizzo di questi fondi potrebbe provvedere a un buon stimolo a tutto il sistema economico per ridurre i rischi derivanti dall’alta inflazione. Se continuano a gestire i finanziamenti in questo modo, la recessione sarà sempre più probabile”.
Stiglitz ha messo in guardia dai rischi di autoritarismo nel mondo, “La base della nostra società, la democrazia, è a rischio ovunque nel mondo – ha affermato nel corso dell’intervento al Teatro Sociale di Trento – avanzano populismi ed autoritarismi. C’è un rischio del ritorno di fenomeni fascisti.Questo autoritarismo sta diventano sempre più evidente, penso all’insurrezione a Capitol Hill. Penso anche alla sospensione di parte della stampa libera in India”.
L’economista si è soffermato anche sulle difficoltà di combattere il cambiamento climatico in un mondo che sta tornando a una nuova forma di guerra fredda, per via della crescente inimicizia tra Cina e Stati Uniti. “E’ come nel Titanic: se la nave affonda non possiamo chiederci chi è buono e chi è cattivo, prima dobbiamo salvarci, insieme, e poi pensiamo a tutto il resto”.
(da agenzie)
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Maggio 27th, 2023 Riccardo Fucile
A “PIAZZAPULITA” L’USCITA AD MINCHIAM DI BOCCHINO: “QUANDO C’È UNO PSICOPATICO CHE VUOLE VIOLENTARE SUA FIGLIA O SUA SORELLA COME SI GARANTISCE L’ORDINE PUBBLICO?”. E IN STUDIO URLANO: “MA COSA C’ENTRA?”
Alta tensione a PiazzaPulita, dove Italo Bocchino contesta Corrado Formigli. Ospite della puntata di giovedì 25 maggio su La7, il giornalista critica la conduzione del collega. Tutto ha inizio quando Formigli trasmette l’inchiesta sulle condizioni di vita dei migranti all’interno dei Centri di Permanenza e di Rimpatrio. “Il Cpr per come sono oggi ce li ha lasciati il tuo partito – spiega Bocchino rivolgendosi a Paolo Romano, esponente del Pd -. L’ultimo aggiustamento…”.
Ma il direttore del Secolo d’Italia non fa in tempo a finire che il conduttore lo interrompe: “Ma chi se ne frega? Parliamo di quello che abbiamo visto”. Un’uscita che non piace all’ospite. “Ma perché mi interrompi sempre quando parlo?” chiede a quel punto Bocchino che rincara la dose: “Che mi inviti a fare? Io ho il diritto di dire quello che penso politicamente Così non ci sto, me ne vado”.
Finita qui? Niente affatto. La discussione prosegue quando il conduttore stoppa bruscamente il dibattito, lamentando sei minuti di ‘sforo’: “Abbassate i microfoni”. Atteggiamento che scatena la reazione di Bocchino, a cui però Formigli ribatte: “Credo che adesso in Rai se ne può far dare uno di programma”. “Non ho bisogno di andare in Rai”, lo zittisce Bocchino prima della pubblicità.
Il direttore editoriale del Secolo d’Italia, sorrideva mentre Leonardo Mendolicchio, psicologo e psicoterapeuta, commentava il reportage su come vivono i migranti nei CPR tra psicofarmaci, violenze, umiliazioni privati di ogni dignità umana pur non avendo commesso alcun reato.
“Da cittadino di questo Paese che dovrebbe fregiarsi di avere un etica e una cultura che fonda sulla piétas umana uno dei suoi capisaldi culturali vedere queste immagini mi fa rabbrividire. Io mi vergogno di essere italiano perché non è possibile che in un Paese civile si possa perpetrare questa barbarie”, ha tuonato Mendolicchio che poi è passato a commentare i calci e le manganellate delle forze dell’ordine sia a Livorno che a Milano.
“Sono preoccupato che ci sia gente che cerca di annacquare quello che abbiamo visto volendo analizzare immagini che non ci sono: nessun reato pericoloso socialmente può giustificare quel tipo di violenza”, puntualizza lo psicologo. “La narrazione che l’ordine pubblico in Italia si può garantire con quel tipo di metodo è pericolosissima”. A questo punto interviene Bocchino: “Come si garantisce scusi? Quando c’è uno psicopatico che vuole violentare sua figlia o sua sorella come si garantisce l’ordine pubblico?”. “Ma cosa c’entra?”, urlano in studio.
(da Libero)
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Maggio 27th, 2023 Riccardo Fucile
I CALCIATORI GYASI E BASTONI (SPEZIA) INVITANO IL PUBBLICO A FARLA FINITA: “SERVONO PROVVEDIMENTI FORTI, E’ INACCETTABILE”… SERVE UN VIMINALE CON LE PALLE: CHIUDERE I CANCELLI E IDENTIFICARLI UNO A UNO
A meno di una settimana dal caso Vinicius, anche in Serie A un arbitro è costretto a fermare la partita per offese vergognose. È successo in Spezia-Torino: i tifosi dello Spezia hanno rivolto un coro di chiara matrice razzista contro il tecnico del Torino, Ivan Juric.
Il sottofondo era talmente chiaro e insistito che l’arbitro Guida si è trovato a dover interrompere la partita per qualche minuto, mentre un messaggio degli altoparlanti invitava il pubblico a piantarla, per evitare conseguenze peggiori.
Di tutta risposta, dalle tribune è partito un “buffone” rivolto forse all’arbitro, forse ancora all’allenatore avversario. Anche i giocatori dello Spezia hanno preso una posizione netta, chiedendo con gesti evidenti alle tribune di smetterla.
I più attivi Bastoni e Gyasi, che è anche andato a mostrare la propria solidarietà a Juric, quasi a scusarsi per ciò che stava accadendo allo stadio.
Gli insulti razzisti sono piovuti addosso a Juric soprattutto dal settore alle spalle della panchina. Un episodio vergognoso, l’ennesimo caso di esplicito razzismo sulle tribune degli stadi italiani dopo episodi analoghi all’Olimpico di Roma per Roma-Samp contro Stankovic e a Bergamo contro Vlahovic in Atalanta-Juventus, senza dimenticare gli ululati razzisti contro Lukaku allo Stadium di Torino.
A La Spezia si erano già viste scene simili, con cori contro un altro juventino, Kostic, mentre l’allenatore della Lazio Sarri era stato bersaglio di sputi del pubblico.
Gyasi: “Servono provvedimenti forti”
A fine partita, Juric ha ringraziato gli avversari e l’arbitro che hanno preso posizione contro i tifosi e ha ribadito che “Passarci sopra non è facile”.
Mentre l’attaccante dello Spezia Gyasi si è espresso con parole inequivocabili di condanna per il suo pubblico: “Fa male vedere queste cose. Parliamo sempre delle stesse cose, è successo a Bergamo con Vlahovic e adesso qui. Servono provvedimenti forti, sia se succede contro persone di colore, sia se vengono urlate cose simili ad altre persone, è inaccettabile”.
(da agenzie)
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Maggio 27th, 2023 Riccardo Fucile
SONO 16.000 IN ITALIA, RESTERANNO SOLO NEGLI OSPEDALI, CARCERI, CASERME E RIFUGI DI MONTAGNA
Si appresta a calare il sipario su un piccolo pezzo di storia del 900, almeno nel campo delle comunicazioni. Le circa 16mila cabine telefoniche pubbliche dislocate su tutto il territorio italiano, ormai soppiantate dai telefonini, saranno progressivamente rimosse e resteranno solo quelle che si trovano negli ospedali con almeno dieci posti letto, nelle caserme con almeno 50 occupanti o nelle carceri perché svolgono ancora una funzione sociale importante. Verranno garantite inoltre quelle dove non arriva la copertura della rete mobile, ad esempio i telefoni pubblici installati nei rifugi delle montagne.
L’Agcom, dopo una consultazione pubblica che ha trovato in larga misura d’accordo tutti gli operatori, ha stabilito che Tim non è più obbligata a garantire il servizio pubblico e può iniziare a smantellarlo. Si tratterà comunque di un processo graduale che si concluderà nel giro di qualche anno. Il processo si inquadra nell’attuazione della direttiva europea 2018/1972 che prevede di modernizzare le telecomunicazioni negli stati membri dell’UE. Spariranno anche gli elenchi telefonici, anch’essi soppiantati da internet e dalle rubriche “digitali” degli smartphone.
Che le cabine telefoniche sarebbero presto state soppiantate era nell’aria. D’altro canto secondo un sondaggio condotto da Swg per conto dell’AgCom meno dell’1% degli intervistati ha usato i telefoni pubblici nei 90 giorni precedenti e addirittura il 12% non ha mai fatto chiamate da questi apparecchi. Oltre l’80% della popolazione non sente più l’esigenza di utilizzare questo servizio e tre persone su quattro non saprebbero neanche dove cercare una cabina nei pressi di casa. Secondo la stessa indagine di mercato per circa il 70% della popolazione le cabine telefoniche non sono indispensabili e il dato finale è lapidario: sono state solo 118 le chiamate fatte dai telefoni pubblici nel 2021, 3 delle quali ai numeri di emergenza.
(da Fanpage)
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