IL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE DÀ L’ENNESIMA MAZZATA ALLA MELONI (E A SALVINI): “LA FLAT TAX E’ IRREALIZZABILE”
DOPO LA COMMISSIONE EUROPEA, BANKITALIA, LA CORTE DEI CONTI E INFINE L’UFFICIO PARLAMENTARE DI BILANCIO ANCHE L’ISTITUZIONE AMERICANA BOCCIA LA RIFORMA FISCALE E CHIEDE DI “TUTELARE LA PROGRESSIVITÀ DELLE IMPOSTE”
Ancora una bocciatura per il governo Meloni. A questo giro è il Fondo monetario internazionale (Fmi) a criticare: nel suo rapporto periodico rimarca che la crescita 2023 sarà sopra le attese, con il Pil a +1,1%, ma che l’inflazione resterà oltre il 2% almeno fino al 2026.
Dalla riforma del Fisco al Recovery, passando per il sistema pensionistico e i conti pubblici, sono svariate le fonti di preoccupazione per l’istituzione di Washington. Che chiede più proattività, puntualità ed efficacia all’esecutivo.
Il rischio, in un clima di tassi d’interesse crescenti, è quello di trovarsi nelle sabbie mobili. E l’invito è quello di non ricorrere a scorciatoie: «Una tassa sugli extraprofitti delle banche potrebbe avere conseguenze indesiderate». Risponde a distanza il ministro del Tesoro, Giancarlo Giorgetti: «Stiamo riducendo il debito, come chiesto dagli ispettori del Fmi».
Vero, il Pil italiano ha rimbalzato più delle stime preliminari, ma le criticità restano elevate, secondo il Fmi. «L’attività economica e l’occupazione sono cresciute fortemente nel 2022 grazie all’abile gestione delle forniture di gas da parte delle autorità e al sostegno del welfare fornito in risposta allo choc dei prezzi dell’energia», si sottolinea.
Roma crescerà dell’1,1% nel 2023 e nel 2024 per poi accelerare nel 2025, anche grazie al Pnrr, la cui spesa raggiungerà il picco quell’anno. Ma l’attuazione del Recovery dovrà essere «accelerata». Specie a fronte di rincari più poderosi di quanto ipotizzato. L’inflazione di fondo in Italia è destinata a ridursi «gradualmente» ma l’andamento del costo della vita tornerà «all’obiettivo del 2% solo intorno al 2026».
Una tassa aggiuntiva sugli utili bancari, si sottolinea, «tenderebbe a ridurre i tassi di interesse sui depositi, aumentare il costo dei prestiti e ridurre l’importo dell’intermediazione finanziaria in un momento in cui il volume dei prestiti è già in calo».
E poi la previdenza. «Per contenere la spesa legata all’invecchiamento» della popolazione in Italia «l’età pensionabile dovrebbe essere collegata all’aspettativa di vita e le prestazioni dovrebbero essere maggiormente allineate con i contributi, mentre i regimi di prepensionamento dovrebbero essere aboliti».
Una sfida per il governo Meloni. Come anche l’invito successivo, ovvero l’adozione di un modello di Fisco che «incoraggi l’occupazione, abolisca le spese fiscali inutili, rafforzi la riscossione delle entrate e tuteli la progressività». Il contrario della flat tax.
La critica del Fondo non è stata isolata. Prima la Commissione europea, poi Bankitalia, la Corte dei Conti, infine l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), intervenendo con una memoria sul ddl delega per la riforma fiscale ha sottolineato come il passaggio dagli attuali scaglioni Irpef a uno schema di progressività ad aliquota unica «determina effetti redistributivi che penalizzano i soggetti con redditi medi e favoriscono quelli con redditi più elevati a meno di rinunciare a una elevata quota di gettito
(da la Stampa)
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