DA EX PUTINIANI A FILO-NATO: COSA NON FANNO PER UNA POLTRONA QUEI CAMALEONTI AL GOVERNO
L’ITALIA COME I PAESI DI VISEGRAD
C’è una visibile contraddizione tra i media italiani e quelli internazionali quando si tratta del nostro governo. Per l’informazione nostrana abbiamo una coalizione e un esecutivo “di centrodestra”, testate come il New York Times, la Bbc, il Financial Times e il Guardian preferiscono invece la definizione far right , “estrema destra”.
In effetti, superando persino il governo Tambroni, l’Italia di oggi è guidata dall’esecutivo più a destra della storia del nostro Paese.
PUTINIANI DOCG
Non è l’unico primato di questa coalizione di governo, che è anche la più putiniana d’Europa. La colonna principale di questo esecutivo è un partito post-fascista che si rivede perfettamente nella lettura putiniana della società: Dio, Patria, Famiglia.
Il secondo pilastro è il partito personale di un ex premier che ospitò Putin (ritenuto “un sincero democratico”) nella sua villa in Sardegna ricambiato con vacanza nella dacia presidenziale. Se le dichiarazioni più recenti di Berlusconi scolpiscono il suo immutato putinismo, una premurosa stampa le ha trattate come quelle di uno statista un po’ provato dagli anni, da tenere al riparo da sberleffi o irrispettosi commenti.
Del resto all’epoca in cui Berlusconi era sulla cresta dell’onda pochissimi denunciarono, per esempio, il gesto osceno di “sparare” su una cronista russa che aveva osato fare a Putin una domanda sulla sua vita privata. Matte risate di fronte a quel gesto “burlone”, nonostante fossero passati meno di due anni dall’uccisione a Mosca di Anna Politkovskaja, un’altra giornalista che doveva smettere di fare domande scomode.
Terzo pilastro di questo governo è la Lega che al partito di Putin, Russia Unita, è legata da un contratto. Il suo leader si è esibito in atti di ammirazione putiniana direttamente sulla piazza Rossa, poco distante dall’hotel dove imbarazzanti intercettazioni, protagonista uno dei suoi, divennero spunto per la Procura di Milano: indagine per finanziamento illecito ai partiti e corruzione internazionale. Tutto archiviato anche per la mancata collaborazione russa.
LENINISMO MELONITA
La premier Giorgia Meloni ha condotto un’operazione post-leninista da antologia della tattica politica. Tacitando preventivamente qualsiasi dissenso interno, ha schierato il governo contro Putin e a favore della guerra. Del resto era già cominciato da tempo l’avvicinamento della futura premier a Washington, che in Italia con i fascisti ha sempre avuto ottimi rapporti, anche ai tempi della strategia della tensione, come ci ricorda la recente sentenza sulla strage di Bologna.
Basta pensare che, in quasi contemporanea con l’annuncio di una dura opposizione all’atlantista Draghi, la Meloni viene ammessa all’Aspen Institute, il più vicino agli Stati Uniti tra gli italici think tank. L’aver schierato così il suo governo, ha dissipato i dubbi internazionali sul putinismo dell’esecutivo o, più banalmente, ha soddisfatto le richieste di Washington che a questa guerra attribuisce molte funzioni, tra cui il “riallineamento” dell’Europa.
IL MODELLO POLACCO
La Meloni ha usato il conflitto per emulare la formula polacca. A Varsavia c’è un governo di destra che limita i diritti civili, tiene la magistratura al guinzaglio, ridicolizza la libertà di stampa ma si è guadagnato l’“immunità” internazionale con una linea iper-atlantista, sbocco naturale dell’ultra-nazionalismo al potere e dell’antica ostilità alla Russia. L’Italia pare stia investendo su questo tipo di “scambio” alla polacca: lasciateci in pace a casa nostra che noi restiamo allineati in politica estera. Il caso Lollobrigida, o della sostituzione razziale, ci dimostra quanto il governo benefici dell’indifferenza internazionale, sulla sua natura politica e sul suo non prendere le distanze dal fascismo. È lecito pensare che sia appunto un frutto del suo sostegno alla guerra.
EUROPA VECCHIA E NUOVA
Il modello polacco va però molto oltre questo “scambio”, ce lo ha ricordato il premier Mateusz Morawiecki tirando fuori nei giorni scorsi la contrapposizione tra una presunta nuova Europa (l’Est bellicista, nazionalista, iper-atlantista e conservatore) e la vecchia Europa (il molle Ovest cosmopolita). È il paradigma di Donald Rumsfeld, artefice di quel concentrato di crimini di guerra chiamato esportazione della democrazia in Afghanistan e Iraq, il quale non tollerava che l’Europa si volesse tenere fuori dal mattatoio iracheno. Da allora gli Usa hanno lavorato per spostare il motore politico della Ue. Se Berlusconi all’epoca diede un aiutino con la nostra missione militare in Iraq, oggi Meloni è strategica per traslare l’asse gravitazionale dell’Unione. Poco importa se la nuova Europa è un concentrato di pericolosi nazionalismi di destra: bisogna ridimensionare Francia e Germania; evitare che a livello economico o politico possano esistere forme di cooperazione al di là di quelle con Washington.
IL SESTO POLO
Nel panorama dei dividendi di guerra che il governo fascioleghista sta incassando, ha un ruolo anche quel polo, sesto nelle urne e nei sondaggi, ma sempre terzo per i media italiani. Dalla vittoria elettorale della Meloni a oggi, il sesto polo è servito a fare da navetta per tanti “riformisti” diretti nella curva dei tifosi governativi. A dare loro l’occasione di correre in soccorso del vincitore è stata proprio la posizione della Meloni sulla guerra.
I POVERI MIGRANTI
Quelli che dicono “La Meloni sull’Ucraina? Una statista” “Eh… il viaggio in Africa, finalmente un po’ di politica estera” “L’economia, meno male cancellato il Reddito di cittadinanza” come conciliano queste posizioni con la critica sui migranti? Non è che magari il tema lo stanno strumentalizzando per salvare un po’ la faccia e ricominciare a sparare contro qualsiasi cosa di sinistra respiri e si muova? Quella di criticare i fascioleghisti su questi temi è una scadente furbata, si trattano come errori quelli che sono invece frutto di un organico quadro ideologico, chiaro e persino rivendicato. Altra versione di questa tattica è il salvataggio della premier silente, mentre suonano orchestrine di pensionati in via Rasella, attribuendo ogni “errore” a chi le sta vicino. Meno male per i “moderati” che ci sono le vignette a ridare loro l’occasione di esprimere solidarietà al governo, ricordandoci però i rischi censori del modello polacco.
Di fronte a questi slalom, il pensiero torna a quei liberali che un secolo fa si girarono dall’altra parte di fronte al vero volto del fascismo, convinti di poterlo pilotare per mettere in ordine un po’ di cose nel Paese prima di prenderne le redini.
(da Il Fatto Quotidiano)
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