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IL RIARMO FA SCOPPIARE IL CAOS IN EUROPA, OGNUNO PENSA AL PROPRIO ORTICELLO: IL PIANO DA 800 MILIARDI PRESENTATO DA VON DER LEYEN RISCHIA DI NAUFRAGARE ANCOR PRIMA DEL SUO VARO

Marzo 20th, 2025 Riccardo Fucile

ITALIA, FRANCIA, OLANDA, SVEZIA E SPAGNA NON HANNO INTENZIONE DI ATTIVARE LA CLAUSOLA DI SALVAGUARDIA PER AUMENTARE IL DEFICIT DELL’1,5% PER SOSTENERE LE SPESE MILITARI, A DIFFERENZA DELLA GERMANIA CHE È MENO INDEBITATA … I PAESI “FRUGALI” NON HANNO INTENZIONE DI RICORRERE AL DEBITO COMUNE, COME È STATO PER IL RECOVERY FUND – LA RETROMARCIA DELLA MELONI SULL’IDEA DI SCORPORARE DAL DEFICIT GLI INVESTIMENTI NELLA DIFESA

Una falsa partenza. Che rischia di far naufragare il pacchetto “RearmEu” prima del suo varo. Il consiglio europeo che inizierà stamattina a Bruxelles sarà in primo luogo un test per la proposta da 800 miliardi (virtuali) lanciata nei giorni scorsi da Ursula von der Leyen.
Nelle trattative che precedono il summit per preparare il documento finale, infatti, la Commissione si è trovata dinanzi uno scenario piuttosto complesso. Il punto non è l’approvazione delle misure ma la loro attuazione. E l’accusa principale è molto chiara: è un’iniziativa che aiuta solo la Germania.
Molti Paesi, infatti, tra cui Italia, Francia, Olanda, Svezia e Spagna hanno già fatto sapere che non intendono attivare la cosiddetta clausola di salvaguardia che consente di aumentare il deficit dell’1,5 per cento per le spese militari e che può essere utilizzata («la Commissione invita a farlo») dal prossimo primo aprile. E non faranno ricorso nemmeno ai prestiti del fondo Safe. Solo la Germania, che ha uno spazio fiscale ampio, ricorrerà alla clausola.
Ma solo ad essa e non ai prestiti Safe perché più “costosi” rispetto ai tassi che applica per il suo debito pubblico. Risultato: gli 800 miliardi in quattro anni immaginati dalla presidente della Commissione sono per il momento solo un miraggio. E il rafforzamento della sicurezza del vecchio Continente almeno rimandato.
Tra l’altro alcuni governi – come l’Italia e la Francia – temono, vista la loro posizione debitoria, di ricevere dai mercati lo stigma dei conti in difficoltà se attivassero la clausola.
Non a caso hanno insistito sull’idea di impostare la misura non in chiave nazionale ma comunitaria. Conseguenza: sebbene proprio il governo Meloni avesse spinto con forza sull’idea di scorporare dal deficit gli investimenti nella difesa ora l’esecutivo di Roma ha deciso di fare marcia indietro.
In questo quadro nella bozza di documento finale del vertice – che formalmente conferma il piano di Ursula – è stata inserita la richiesta di «strumenti di finanziamento ulteriori». Il riferimento è al debito comune, come è accaduto con il Recovery fund. L’unica risposta efficace per investimenti massicci. Ma contro questa ipotesi si sono già scagliati i cosiddetti “frugali” tra cui la Germania, soddisfatta appunto della possibilità di aumentare il deficit
L’Ue che di fronte all’emergenza ucraina e alle minacce trumpiane relative al recesso delle garanzie sulla sicurezza europea, sembra dunque non cogliere la sfida. Almeno fino a giugno prossimo, quando si riunirà il vertice della Nato che dovrebbe fissare un nuovo tetto di spesa: dal 2 per cento del pil almeno al 3. A quel punto sarà difficile per tutti non ricorrere agli strumenti messi fino ad ora a disposizione. […]
Nel frattempo la Commissione ha presentato anche il “Libro Bianco” sulla Difesa da cui, guarda caso, è scomparso il riferimento al debito comune e si insiste sulla necessità di procedere agli acquisti in maniera congiunta e comprando il “made in Europe”. Un concetto che facilita i partner con industrie che producono armi.
(da agenzie)

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LA REPRESSIONE DI ERDOGAN: FA ARRESTARE AVVERSARI E REPORTER IN VISTA DEL VOTO DEL 2038

Marzo 20th, 2025 Riccardo Fucile

AL POTERE DA UN QUARTO DI SECOLO CEMENTA UN REGIME FATTO DI ISLAM, NAZIONALISMO E CLIENTELISMO

Verrà un giorno in cui le biografie di Recep Erdogan finiranno nelle bancarelle della frusaglia a prezzo fisso, che non c’è pericolo siano comperate da nessuno. Accadrà. I Capi invecchiano, il tempo è l’unico avversario che non possono sconfiggere. Anche per il Tayyip di altri tempi, il tribuno autoritario e eloquente dai turgidi sermoni ove mescolava frasi dotte e il vernacolo delle periferie turche, arriverà l’autunno dei patriarchi. Anzi: qualcuno un po’ frettoloso lo aveva già anticipato al 2023 quando si candidò alla propria ennesima rielezione dopo due decenni di sultanato. Ipotesi sbagliata. Rivinse, tutt’altro che seppellito sotto una grave mora di deplorazioni e di prevenzioni. Non sono stati sufficienti il terremoto e le città-Potemkin crollate come se fossero di cartone, i soccorsi in ritardo come in un Paese del Quinto Mondo, gli autogolpe, l’inflazione al 73%, i sondaggi che lo danno per sepolto con la liretta turca svalutata del 20%… C’era di che disvogliare anche i fanatici dell’ottomanismo o gli affiliati al viva chi vince.
Due anni dopo quell’impossibile 53% nelle urne una mattinata del cadente terzo millennio sul Corno d’Oro, schiamazzare di volanti, strade isolate, sbirri abbigliati per moderne soppiatterie poliziesche: lui gioca di anticipo e il suo rivale (pericoloso)
per il 2028, Imamoglu, il sindaco della città, lo mette in galera e abolisce la possibilità amministrativa perfino che si candidi. Come si diceva un tempo il potere, se non la gloria, è un effetto del sopravviver molto, e lui è uno che ha doppiato molte volte il capo delle tempeste. Sbollita qualche sfuriata parolaia, gli alleati torneranno all’ovile e non soffriranno certo per Imamoglu i sudori del Getsemani.
All’orizzonte fra tre anni c’è di nuovo lui. Uno che dice e non dice, disdice, aiuta a dubitare e a intravvedere più che a vedere limpidamente. Soprattutto è uno che sa compromettere, che è purtroppo grande sapienza.
Populista e divisivo, autocrate e paternalista, calcolatore ma pragmatico, un freddo che diventa furibondo: scrutatelo bene ma la sua ideologia si modella sulle circostanze, si dirige secondo le contingenze che lui solo sa decifrare. Conosce nei suoi avversari i segreti di molte imbottiture e li sfrutta. Il nazionalismo, un po’ di Islam, la corruzione, i favori distribuiti alle masse dei fedeli: di questi ingredienti è fatto l’erdoganismo. Laddove mancano questi intingoli provvede con la repressione. Bersagli preferiti, oltre ai politici, giornalisti e letterati.
La paura la usa con la abilità di un acrobata. La Turchia sta nei primi posti per oppositori che riempiono le galere dei 47 Paesi del Consiglio d’Europa. Al suo fianco ha nomi imbarazzanti, Azerbaigian, Russia… Eppure le democrazie lo chiamano lo vogliono lo invocano si affannano a non provocarne le celebri furie. La Sublime Porta, come si chiamava ai tempo dei sultani-califfi, è sempre affollata di questuanti eccellenti che arrivano dalle capitali d’Occidente. La biografia di Erdogan non è un capitolo dell’islamismo conservatore nel Vicino Oriente, è un frammento delle nostre ipocrisie, smemoratezze, delle nostre vergognose amnesie etiche. Guardatelo ai vertici internazionali come allunga la mano sorniona a illustri e mediocri, come se li cova mentre i boccaloni di Bruxelles lo riveriscono con le ciarline da salotto. Sa come ribadir loro, ai piedi e ai polsi, le catene degli “interessi”. E poi alla prossima riunione molti non ci saranno più perché giubilati mentre lui sarà ancora lì, nonostante l’erario esaurito per impinguare l’ottomanismo e la fama di autocrate che non gli ha inimicato nessuno che conta.
E la Siria spossata dalla guerra civile? Operazione perfetta. Assume un criminale islamico dai mille delitti, sgherro obbediente di al-Zarkawi e del califfo dei massacri, gli garantisce l’impunità dalla taglia di dieci milioni di dollari, gli riserva un feudo imbottito di altri assassini di Allah; e poi al momento giusto lo lancia ben armato verso Damasco. Adesso la Siria è un protettorato, una colonia turca. Dove rimanderà i profughi della rivoluzione del 2011 che iniziavano ad esser molesti ai suoi elettori. Bashar Assad è a Mosca a riflettere sui suoi errori e al-Golani, il terrorista, impone la Sharia e nel contempo stringe mani sudaticce di intimiditi ministri europei che ne conoscono la biografia m
Erdogan ha realizzato in Siria quello che Putin voleva fare in Ucraina, creare uno
Stato obbediente e dipendente. In più occupa una fascia di sicurezza anti-curdi. Ma nessuno osa mormorare, anzi lo invitano tra i “volenterosi” che dovrebbero difendere l’Occidente orfano di Trump!
Ventitré anni, giorno dopo giorno. Che epopea! Guizza promette illude minaccia, contemporaneamente importante, intoccabile e indiscutibile: nella Nato ma in affari con Putin, vende droni micidiali all’Ucraina ma non applica sanzioni alla Russia, tutti a chiedersi da venti anni: ma a che gioco gioca? Offre non teologie ma interessi. Basta questo perché nessuno dei democratici abbia il coraggio di dirgli che la repressione interna e gli avventurismi internazionali, dall’Azerbaigian alla Libia al Corno d’Africa, sono una vergogna. Ci avviluppa in mille fili, ci impartisce lezioni
Il suo partito, “il partito bianco”, detto così per dar l’idea di purezza, è un partito-Stato, una macchina per vincere elezioni che distribuisce favori e consenso, dove non esistono dissidenze, aspiranti traditori, quelli che credendosi capaci di governare meglio del Vecchio non si vedono adoperati. L’indurimento delle arterie non lo ha reso meno certo che il destino dei turchi sia sempre il suo incoercibile e alacre potere. Che il popolo resterà mogio o plaudente e che i turbolenti resteranno quatti. Attorno a lui le idee, i leader, le mode sono sorte e tramontate come le costellazioni sul capo del navigante. Quando ha vinto la prima volta le elezioni Bush dava la caccia a Bin Laden e Putin era uno sconosciuto che si diceva a libro paga di oligarchi mafiosi. Ha utilizzato tutti coloro che pensavano di servirsi di lui, per le guerre in Iraq, per i migranti, quattro milioni che ha trasformato in un affare, per le convulsioni del Vicino Oriente.
(da agenzie)

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LE “VINCITE PILOTATE AD AFFARI TUOI PER COLPIRE AMADEUS, LA DENUNCIA DI STRISCIA LA NOTIZIA

Marzo 20th, 2025 Riccardo Fucile

“UN MECCANISMO CONSOLIDATO PER COLPIRE LA CONCORRENZA E AUMENTARE GLI ASCOLTI”

La fortuna con il programma Affari tuoi non avrebbe alcun ruolo secondo Striscia la notizia. Anzi, il tg satirico di Antonio Ricci è sempre più convinto che le vincite siano praticamente pilotate in base a un tetto di spesa prestabilito e soprattutto in base alla concorrenza sugli altri canali. Striscia compresa.
Il meccanismo dietro Affari tuoi
Il tg satirico di Canale 5 analizza un altro meccanismo «molto interessante che negli anni si è consolidato» ad Affari tuoi. Ormai assodato che per il gioco dei pacchi c’è un budget, nonostante le smentite dei primi tempi. Annunciando nuova documentazione sul programma di Rai nella puntata di oggi 19 marzo, Striscia anticipa che che in questa stagione, De Martino all’esordio ha toccato una media di vincite per puntata nel mese di settembre di ben 48.394 euro. «Un’enormità rispetto al budget prefissato che si aggirava intorno ai 30.000 euro di vincita a puntata», spiegano da Striscia.
L’impennata del budget per gli ascolti
«Ma dietro questa impennata del budget ci sono dei motivi – continua l’analisi del tg satirico – innanzitutto si vuole creare attorno al nuovo conduttore affezione e consenso; in secondo luogo, sul Nove, il 22 settembre, parte il nuovo programma di Amadeus «Chissà chi è?» e quindi concentrare le vincite maggiori la settimana precedente e quella coincidente con l’esordio di Ama contrasterebbe la concorrenza del nuovo game show». Insomma numeri alla mano, le vincite della settimana del 16 settembre sono state 100.000, 75.000, 28.000, 50.000, 15.000 e 0 euro, come ricorda Striscia. Dal 22 settembre, cioè da quando parte Amadeus su Discovery, si fa fuoco: 65.000, 44.000, 50.000, 40.000, 300.000, 100.000, 45.000. «Risultato: Amadeus affondato, Striscia la notizia ferita e TG2 morto».
Il budget da riportare in linea
E poi ci sarebbe un altro obiettivo, cioè riportare il budget in linea. Perciò, sostiene Striscia, le medie mensili calano: ottobre 31.803 euro a puntata, novembre 26.640 euro a puntata e dicembre 17.413 euro a puntata. Per poi tornare alla media di 30.000 euro di vincite per puntata al mese. «Insomma, la solfa è sempre quella – concludono da Striscia – la fortuna non c’entra nulla con il gioco dei pacchi, il meccanismo delle vincite segue la logica del budget, del tipo “Questo abbiamo deciso di spendere e questo abbiamo deciso che potete vincere”».

(da agenzie)

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“GRAZIE AL DDL SICUREZZA SARANNO POSSIBILI SCHEDATURE DI MASSA DELLA POPOLAZIONE”: ROBERTO SCARPINATO, EX PM E SENATORE ELETTO CON I CINQUESTELLE, SI SCAGLIA CONTRO L’ARTICOLO 31 DEL DDL SICUREZZA, APPROVATO IN COMMISSIONE AL SENATO

Marzo 20th, 2025 Riccardo Fucile

IL PROVVEDIMENTO OBBLIGA LE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI, LE SOCIETÀ PARTECIPATE DALLO STATO O LE AZIENDE CHE EROGANO SERVIZI DI PUBBLICA UTILITÀ A FORNIRE I DATI DEI CITTADINI ALL’INTELLIGENCE (CHE DIPENDE DAL GOVERNO) … “È SPIONAGGIO ISTITUZIONALIZZATO, DOVREBBE CHIAMARSI DDL REPRESSIONE”

Una norma “pericolosa su cui non sono stati ancora aperti sufficienti riflettori”. Un’altra disposizione che “punta alla repressione e mina il principio della separazione dei poteri”. L’allarme lanciato dal centrosinistra riguarda un articolo, il 31, del ddl Sicurezza che passa, a sera, in commissione Affari costituzionali e Giustizia di
Palazzo Madama. Il testo consente “un ampliamento dei poteri a disposizione dei Servizi segreti per incidere sulla privacy di ignari cittadini”, secondo la denuncia delle opposizioni. Soprattutto: “funzioni sottratte al controllo del Parlamento”.
Dalle stanze cinquecentesche di Santa Maria in Aquiro, i senatori di Pd, M5s, Avs e di Iv, esaminano i rischi legati a quel segmento del ddl Sicurezza […]
Ma che cosa prevede, materialmente, l’articolo 31? La norma, modificando la legge numero 124 del 3 agosto 2007, stabilisce che “le pubbliche amministrazioni, le società a partecipazione pubblica o a controllo pubblico e i soggetti che erogano, in regime di autorizzazione, concessione o convenzione, servizi di pubblica utilità sono tenuti a prestare al Dis, all’Aise e all’Aisi (quindi a tutte le nostre agenzie di intelligence, ndr) la collaborazione e l’assistenza richieste, anche di tipo tecnico e logistico, necessarie per la tutela della sicurezza nazionale”.
Ed aggiunge che “il Dis, l’Aise e l’Aisi possono stipulare con i predetti soggetti (…) convenzioni” che “possono prevedere la comunicazione di informazioni ai predetti organismi anche in deroga alle normative di settore in materia di riservatezza».
Ergo, secondo le opposizioni: qualunque diritto alla privacy “potrà essere cancellato e calpestato dietro lo scudo della sicurezza nazionale. Già abbiamo visto con il caso Paragon che venivano spiati illecitamente attivisti e giornalisti. E dopo questa norma, cosa accadrà?”
“Premesso che sarebbe più corretto chiamarlo ddl repressione, per la deriva autoritaria che emerge – spiega la senatrice Alessandra Maiorino, del M5s – all’interno del testo allarma la formulazione dell’articolo 31 che è uno strappo democratico e dà mano libera ai Servizi segreti in tutte le pubbliche amministrazioni senza controlli. Un paese democratico non ha bisogno di spionaggio istituzionalizzato: mentre è esattamente quello che accadrà”.
Rincara la dose il senatore (ed ex pm) pentastellato Roberto Scarpinato: “Stiamo parlando di una norma molto pericolosa. Non è ben chiaro ai cittadini e occorre far sapere che, con questa legge, dentro le Università un professore non potrà opporsi alla richiesta di Servizi di avere informazioni riservate su uno studente; né sarà possibile ad un primario, in un ospedale, sottrarsi ad analoghe richieste sui dati sensibili di un paziente. Parliamo dell’abbattimento della protezione della privacy. Grazie alla quale saranno possibili anche schedature di massa della popolazione. E la trasformazione dell’intelligence in qualcosa che somiglia a una sorta di Ovra, di epoca mussoliniana”.
Tutte le pubbliche amministrazioni, sottolinea il senatore dem Alfredo Bazoli, “insieme alle società controllate e partecipate, avranno l’obbligo di comunicare tutti i dati all’intelligence: è uno scenario che apre a una serie di rischi”. E Andrea Giorgis : “L’articolo 31 che prevede l’incremento dei poteri dei servizi di sicurezza non solo incide su libertà fondamentali dei cittadini, ma rischia di limitare anche prerogative dell’autorità giudiziaria poste a garanzia dei singoli, come ad esempio il segreto istruttorio”.
La preoccupazione ulteriore? “All’interno della società civile non c’è la consapevolezza del rischio di compressione delle libertà, individuali e collettive, che si concretizzeranno con queste norme che si apprestano ad approvare in Senato”, puntualizza Ilaria Cucchi, di Avs. E anche dal partito di Renzi, Dafne Musolino mette all’indice “una norma da regime liberticida: inaccettabile nell’Italia che vive ferite ancora aperte risalenti al periodo delle stragi”.
Ma per il ddl sicurezza siamo ormai al count down. Il pacchetto dovrebbe essere approvato, secondo la road map della maggioranza, entro la prima decade di aprile in Senato: dove però la maggioranza rischia di dividersi su alcune correzioni, la cui necessità è stata sottolineata anche attraverso la moral suasion del Quirinale.

(da La Repubblica)

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IL VERO MOTIVO PER CUI GIORGIA MELONI CE L’HA TANTO CON IL MANIFESTO DI VENTOTENE

Marzo 20th, 2025 Riccardo Fucile

IL DOCUMENTO HA UNA VISIONE DELL’EUROPA AGLI ANTIPODI CON IL PATRIOTTISMO D’ACCATTO DEI SOVRANISTI

“Questa non è la mia idea di Europa”. Così Giorgia Meloni, dai banchi del governo alla Camera dei Deputati ha liquidato il manifesto di Ventotene, scatenando le ire dell’opposizione (e del Quirinale) per lo sfregio a quello che è considerato uno dei testi fondativi dell’Unione Europea.
Certo, potrebbero obiettare da Palazzo Chigi, Meloni ha fatto riferimento esclusivo al passaggio in cui si parlava di dittatura del proletariato e abolizione della proprietà privata. Però, attenzione: non ha detto “questa non è la mia idea di democrazia”. Ha detto “questa non è la mia idea d’Europa”. E forse, quindi, questa polemica può essere utile per capire quale sia l’idea di Europa di Giorgia Meloni e perché sia così antitetica al manifesto di Ventotene.
Per capirlo, innanzitutto, bisogna aver presente cosa scrissero Spinelli, Rossi e Colorni quando furono spediti al confino da Benito Mussolini e dalla dittatura fascista – e sarebbe stato carino, per inciso, che Giorgia Meloni qualche volta ci ricordasse che quella non è la sua idea di Italia.
Scrissero, i tre firmatari del manifesto, della necessità della “definitiva abolizione della divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani”. Scrissero della necessità di “una riorganizzazione federale dell’Europa”. E lo scrissero, perché convinti che “la federazione europea” fosse “l’unica garanzia concepibile che i rapporti con i popoli asiatici e americani possano svolgersi su una base di pacifica cooperazione”.
Altrettanto importante è però ricordare contro chi scrissero quel manifesto, mentre la Germania Hitleriana, sostenuta da Benito Mussolini, marciava a passo d’oca sul continente.
Lo scrissero contro quelle forze conservatrici e reazionarie, che al momento giusto “sapranno presentarsi ben camuffati. Si proclameranno amanti della pace, della libertà, del benessere generale delle classi più povere”.
Quelle forze, scrivono ancora, cercheranno di far leva sulla “restaurazione dello stato nazionale”. Il motivo? Semplice: in questo modo “potranno così far presa sul sentimento popolare più diffuso, più offeso dai recenti movimenti, più facilmente adoperabile a scopi reazionari: il sentimento patriottico”. Spinelli, Rossi e Colorni definiscono questa forza come “la più pericolosa con cui fare i conti”.
Se dietro queste parole, leggete in filigrana tutta la retorica dei “Fratelli d’Italia”, del “prima gli italiani”, dei “patrioti europei”, del Make America (Europe, Italy) Great Again, sappiate che non siete fuori strada.
Con un invidiabile dose di lungimiranza, Spinelli, Rossi e Colorni ci stavano dicendo, quasi un secolo fa, che l’Unione Europea, o quelli che loro chiamavano Stati Uniti d’Europa, fossero l’unico argine possibile al ritorno dei nazionalismi.
E l’unica possibilità per contrapporsi loro a livello geopolitico. Lo sapevano bene loro, e lo sanno bene quelle stesse forze nazionaliste, conservatrici, reazionarie. Che infatti da sempre combattono l’idea di un’Europa che si unisce ancora di più. E che alla visione federale dell’Europa contrappongono quella della cosiddetta Europa delle nazioni.
Per capire di che si tratta bisogna rifarsi a un altro manifesto, quello dell’Europa dei popoli, che proprio Fratelli d’Italia presentò il 25 marzo del 2017, in occasione del sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma. In quel manifesto in sette punti, che ancora si può trovare in rete, nel sito personale di Giorgia Meloni, c’è l’Europa che ha in testa la premier. È un manifesto che considera quella dell’Unione Europea “un’esperienza fallita” e l’Euro “una moneta sbagliata”. Che propone una clausola di sovranità “che impedisca l’adesione a trattati e accordi internazionali che ledono il nostro interesse nazionale o mettono in discussione la sovranità popolare”. Che vuole
“affermare in ogni scelta il principio ‘Prima gli italiani’”. E che vorrebbe difendere “la nostra identità e le nostre radici greche, romane e cristiane dal processo di islamizzazione in corso e dall’ideologia mondialista che vorrebbe negare le appartenenze nazionali e l’esistenza stessa dei popoli europei”.
È un’Europa, quella di Meloni e dei patrioti che cessa di essere una comunità unita da valori universali. In cui si afferma il principio che il diritto nazionale debba prevalere su quello comunitario. Che nessuna sanzione possa essere comminata a chi discrimina i gay, come accade oggi nell’Ungheria di Viktor Orban, grande amico di Meloni e Salvini.
Che non dice niente se si cancella il diritto ad abortire, com’è avvenuto nella Polonia di Mateusz Moraviecki, oggi presidente dei Conservatori e Riformisti Europei, il partito europeo cui appartiene Fratelli d’Italia.
L’Europa, di Meloni, Orban, Moraviecki, Salvini, Le Pen è esattamente, parola per parola, tutto ciò contro cui Spinelli, Rossi e Colorni scrivevano, a Ventotene. Ecco perché Giorgia Meloni ce l’ha tanto con loro. Ed ecco perché chi si oppone alle destre, quel manifesto – opportunamente contestualizzato – dovrebbe impararlo a memoria.

(da Fanpage)

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ARRESTATA LA COLLABORATRICE DELL’EURODEPUTATO MARTUSCIELLO DI FORZA ITALIA, ESPLODE IL NUOVO SCANDALO AL PARLAMENTO UE

Marzo 20th, 2025 Riccardo Fucile

E’ ACCUSATA DI ASSOCIAZIONE A DELINQUERE, RICICLAGGIO E CORRUZIONE

È stata arrestata Lucia Simeone, la collaboratrice del parlamentare europeo di Forza Italia Fulvio Martusciello. La donna era ricercata in base a un mandato di arresto europeo emesso dalle autorità giudiziarie belghe nell’ambito dell’inchiesta sul cosiddetto Huawei-gate, una complessa rete di regali e interferenze con cui il gigante tecnologico cinese mirava a influenzare l’Europarlamento.
Lucia Simeone, detta Luciana, è stata portata nel carcere di Secondigliano. È accusata di associazione a delinquere, riciclaggio e corruzione. Simeone da tempo segue il politico di Forza Italia, considerato il capo del partito in Campania e candidato in pectore per le prossime Regionali. La donna è stata rintracciata a Caserta, dove alloggiava in un bed&breakfast. Come da procedura, sarà interrogata dal consigliere delegato della Corte di Appello.
L’indagine su Martusciello e le irregolarità nelle note spesa
Martusciello, insieme all’ex eurodeputato di Azione Giuseppe Ferrandino, erano stati citati dai media belgi nella giornata di ieri – mercoledì 19 marzo – per presunte irregolarità nelle loro note spesa.
Un elemento che li aveva proiettati immediatamente sotto i riflettori della Procura europea (la Eppo), che tuttora sta indagando ma ha escluso di aver emesso mandati di arresto in connessione all’operato degli inquirenti. Sempre negli scorsi giorni, gli investigatori avevano disposto il sequestro momentaneo degli uffici di due assistenti legati a Forza Italia a Bruxelles, per poter condurre delle perquisizioni. Fino all’arresto di Simeone, però, nessun deputato o assistente risultava indagato. E l’operazione della polizia belga si limitava ai 4 lobbisti arrestati lo scorso giovedì, tra cui Valerio Otteri.
(da agenzie)

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BENIGNI DA INCUBO PER TELE-MELONI, “IL SOGNO EUROPEO È FIGLIO DEGLI EROI ROSSI, SPINELLI E COLORNI”: NEL GIORNO IN CUI MELONI ATTACCA IL MANIFESTO DI VENTOTENE, ROBERTO BENIGNI TORNA IN TV SU RAI 1 CON UNO SHOW IN CUI IMPARTISCE UNA LEZIONE DI STORIA ALLA DUCETTA SMONTANDO IL NAZIONALISMO CARO AI SOVRANISTI (E FA BOOM DI ASCOLTI: 28.1%, 4,4 MILIONI DI SPETTATORI)

Marzo 20th, 2025 Riccardo Fucile

“DIFFIDATE, È IL CARBURANTE DI TUTTE LE GUERRE, IL PATRIOTTISMO È UN’ALTRA COSA. UN PATRIOTA ERA GARIBALDI, E ANCHE LUI SOGNAVA L’EUROPA”

I sogni sono desideri cantava la Cenerentola di Walt Disney e il desiderio più grande è che le coincidenze, con tempismo magistrale, facciano il loro corso.
La risposta più bella, in Eurovisione, alla lettura infelice che la presidente del Consiglio ha fatto ieri del Manifesto di Ventotene (ma sapeva del programma?), è stato proprio l’elogio di quella famosa utopia da parte di Roberto Benigni (in Rai non se ne sono accorti).
Culla della filosofia, della libertà, della scienza, dell’arte, della stampa, del cinema, della musica, della Magna Carta, l’Europa si è anche macchiata di dittature, guerre, nazismi, fascismi, comunismi ma ha saputo reagire con un sogno scritto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni. Per fortuna è nata l’ Unione Europea, partorita da un sogno economico e politico e diventata l’esperimento democratico più emozionante del secolo scorso, un inno alla gioia.
Ciò che siamo, ciò che vogliamo è il tentativo di capire che cosa significhi essere un europeo oggi, quale prospettiva le circostanze presenti, così drammatiche, siano in grado di indicarci. Per questo è importante combattere il nazionalismo (sovranismo?), che è dominato dalla paura, «paura degli altri, dei diversi, del progresso. E la paura è all’ origine di quasi tutte le stupidaggini umane». Benigni ha da tempo smesso gli abiti del giullare che irrompeva nelle serate tv per elencare le anatomie genitali e scandalizzare il pubblico del sabato sera.
Risposta più bella, più complessa, più decisiva a Giorgia Meloni non si poteva dare. Sono i piccoli miracoli che anche la Rai (involontariamente) sa compiere
Quando Roberto Benigni scandisce la parola Ventotene, il pubblico – per la prima
volta applaude come liberato. In prima serata, in eurovisione, su Rai Uno, il comico più amato d’Italia fa in poesia un ripasso della storia che sembra fatto apposta per la presidente del Consiglio. Nel giorno in cui Giorgia Meloni insulta il manifesto di Ventotene, stravolgendolo e manipolandone il significato, Benigni racconta che erano davvero gli eroi dell’Europa: Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni che «pensarono al nostro futuro con un progetto che era un documento politico ».
Quel manifesto «grazie a due donne, Ursula Hirshmann e Ada Rossi, è stato custodito e trasmesso perché noi potessimo costruire un futuro migliore». Fa una pausa, Benigni. Dice: «Fortuna che vivo in un Paese che dà libertà di parola, altrimenti altro che Ventotene, già con questo spettacolo mi manderebbero a Sant’Elena».
Non poteva immaginare, la premier, che il sogno di cui Benigni avrebbe parlato nel suo tanto atteso ritorno in Rai sarebbe stato l’Unione europea. «Vi chiedete a che è servita? Qual è il risultato? Ebbene, il risultato è stupefacente: il mio babbo ha conosciuto la guerra, mio nonno, il mio bisnonno l’avevano conosciuta. Io no. La mia generazione è la prima che in Europa non ha vissuto guerre».
Per Benigni, l’Europa non è un confuso insieme di burocrati, ma «la più grande costruzione istituzionale, politica, sociale, economica degli ultimi cinquemila anni realizzata dall’essere umano sul pianeta terra». È «un progetto, un ideale, una speranza, una sfida, un sogno». Nato per combattere i nazionalismi, che hanno portato solo guerre e odio. Nefasti come nulla al mondo. «Il nazionalismo è guerra, ne è la causa, il carburante. L’Unione europea è nata per combatterlo, perché si tratta di una fede integralista, di un’ossessione che mette la Nazione al di sopra di tutto, perfino sopra Dio».
Bisogna stare attenti, non lasciarsi ingannare, «perché il nazionalismo spesso si maschera da patriottismo. Ma è un inganno. Io amo l’Italia più della mia mamma – pausa, applauso – ma il patriottismo è un’altra cosa. Un patriota era Garibaldi, e anche lui sognava l’Europa». E invece, i nazionalismi, si nutrono di paura. La provano e la provocano.
«Vogliono che abbiamo paura dello straniero, del diverso. E badate, la paura è all’origine di tutte le stupidaggini umane e soprattutto delle stupidaggini politiche. Walter Benjamin diceva che felicità è vivere senza timori».
Perché non c’era, la libertà, prima. E ha dovuto riconquistarla, l’Europa, attraversando la distruzione delle guerre che ha provocato per l’istinto di sopraffazione e di conquista. «La più grande invenzione del Novecento – dice Benigni – sono le organizzazioni sovranazionali ». Quelle in cui ogni Stato cede sovranità, decide di sottostare a regole comuni, per non distruggersi più a vicenda. E l’Unione europea è «un colpo di scena della storia, una rivoluzione silenziosa che può trasformare il mondo se prima 6, poi 12 e infine quasi 30 Paesi si uniscono e condividono regole democratiche
Non mancano le battute su Ursula von der Leyen nel bunker del riarmo, su Meloni che giura «sulla sua Tesla» di non stare con Elon Musk, ma sono il contorno di un messaggio che è molto più serio: la lunga digressione su come sono nati gli Stati Uniti d’America, di come si è arrivati alla forma federale che li ha resi la potenza che sono, serve solo a invocare gli Stati Uniti d’Europa. Con una Costituzione, un esercito comune, una difesa comune. «Ma se ci uniamo poi scompariamo», sento dire. «È l’opposto! Con la federazione si uniscono i popoli senza violenze, in modo pacifico, democratico». Benigni porta l’esempio dell’America per spingere gli europei ad andare dove non vogliono ancora. «A Ventotene Ernesto Rossi riceve da Einaudi questi libri sul federalismo.
Intanto in Europa è scoppiata la guerra, il mondo sembra impazzito, ma leggendo, meditando, Spinelli e Colorni scoprono che c’è una speranza per l’Europa; federarsi. Sapete come si è sparso in tutt’Europa quel manifesto? Dentro un pollo arrosto. Alla faccia dei social».
(da Corriere della Sera)

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SIAMO IN DIFFICOLTA’? BUTTIAMOLA IN CACIARA: L’AFFONDO CONTRO IL MANIFESTO DI VENTOTENE E’ UN’ARMA DI DISTRAZIONE DI MASSA: SERVE A GIORGIA MELONI PER SVIARE L’ATTENZIONE DALLE SPACCATURE DELLA SUA MAGGIORANZA SUL PIANO URSULA

Marzo 20th, 2025 Riccardo Fucile

LEGA E FORZA ITALIA SI STANNO SCANNANDO SUL RIARMO… SALVINI AVVISA LA DUCETTA: “HA MANDATO A DIFENDERE L’INTERESSE NAZIONALE, NON CREDO CHE IL REARM EU LO SIA”

Meloni ha in testa la stoccata già al mattino. Prova ne sono i fogli letti alla Camera. Passaggi evidenziati, certo non citati a memoria, per bersagliare uno dei documenti ispiratori dell’ideale europeista e «il sogno federalista di Altiero Spinelli», uno dei «padri fondatori dell’Europa», come scriveva il vicepremier Antonio Tajani in una lettera del 9 maggio 2024, inviata agli organizzatori del Ventotene Europa Festival.
Il leader azzurro non ripete la tesi, nella sera di Bruxelles. Se la cava così, davanti ai cronisti: «Meloni non ha offeso Spinelli, la mia Europa è quella di De Gasperi».
Tutta FdI si schiera a testuggine sulla linea della premier, bersagliando il Manifesto firmato dagli antifascisti al confino. Qualche meloniano, sottovoce, esalta pure la «mossa comunicativa» della leader della destra.
Perché la critica feroce alle tesi di Ventotene serve a offuscare la spaccatura in maggioranza sul piano di riarmo europeo firmato Ursula von der Leyen.
Strappo tutt’ora marcatissimo, nonostante i tentativi di rammendo durante il dibattito parlamentare.
Basta sentire cosa sostiene in serata Tajani, parlando con Repubblica a margine di un evento di Vinitaly ospitato in Belgio dalla rappresentanza diplomatica italiana (tra bottiglie riserva, una speciale anche dalle vigne di Predappio): «Da Forza Italia, Meloni ha pieno mandato a votare sì al Rearm Eu. Punto».
La Lega soltanto poche ore prima aveva sostenuto l’opposto, per bocca di Riccardo Molinari: «Meloni non ha il mandato di approvare il Rearm Ue al Consiglio europeo». Sortita tranchant , quella del capogruppo leghista alla Camera. Che finisce al centro di una telefonata tra la stessa premier e il vice del Carroccio. Chiamata tesa, anche se gli sherpa di Lega e FdI la descrivono naturalmente «cordiale e collaborativa, come sempre».
Certo è che poco dopo Salvini aggiusta il tiro: «Meloni ha mandato a difendere l’interesse nazionale», è la linea. Con un’aggiunta: «Non credo che il Rearm Eu lo sia».
Il capo lumbard è a Bruxelles da martedì. Ieri ha incontrato faccia a faccia i sovranisti Viktor Orbàn, Marine Le Pen e Jordan Bardella, invitati al congresso leghista di Firenze. Dalle mani dell’ungherese, che domani si batterà contro il piano di Ursula in
Consiglio, Salvini si fa consegnare un premio dedicato a Hunyadi János, condottiero che sfidò i turchi a Varna e Belgrado nel ‘400.
Per Orbàn lo stesso Salvini sarebbe «un guerriero». E lui, il Capitano, si cala perfettamente nella parte, citando San Giuda, la battaglia di Lepanto, la sua personale crociata contro l’immigrazione clandestina.
Condendo le citazioni bibliche con randellate alla commissione europea. L’alto rappresentante Ue, Kaja Kallas, e il presidente francese Emmanuel Macron? «Estremisti, io dico: pace e disarmo». La commissione von der Leyen? «Boicottano la pace, vivono su un altro pianeta, forse sono già arrivati su Marte grazie a Musk». Tra lodi a Donald Trump, «che ci può salvare», aperture alla Russia, «che non è una minaccia», Salvini conia pure uno slogan: «Occupy Bruxelles».
Soprattutto, non ha intenzione di mollare la presa sul Rearm, insistendo su una narrazione smentita dalla premier ieri l’altro in Senato: per il leghista «se ci sono 800 miliardi da investire, non li usiamo per comprare armi, ma per ospedali, pensioni, strade ». E se la Germania ha scelto «di sforare il debito, ora lo faremo anche noi, ma per ponti e ferrovie».
Nella capitale belga Meloni si mostra poco. Nella notte incontra, come prima Tajani, la presidente dell’Eurocamera, la popolare Roberta Metsola. Poi si fa raggiungere a cena dagli eurodeputati di FdI, fatti scortare da un van riservato che dribbla i cronisti. Ai commensali, anticipa la linea che terrà oggi al summit Ue: il ReArm non funziona, non possiamo spendere in deficit e dunque servono altre regole. Critiche, ma con una postilla: l’Italia sosterrà comunque l’operazione di von der Leyen.

(da La Repubblica)

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LA NIPOTE DI SPINELLI: “GIORGIA MELONI BESTEMMIA: LA SUA E’ IGNORANZA, DOVREBBE STUDIARE LA STORIA SCRITTA DA MIO ZIO”

Marzo 20th, 2025 Riccardo Fucile

“GLI ANTIFASCISTI STAVANO AL CONFINO, LEI VIENE DAL FASCISMO”

Gioconda Spinelli, figlia di Veniero e nipote di Altiero, dice che Giorgia Meloni dovrebbe studiare meglio la storia. «Anche quella scritta da mio zio», aggiunge oggi in un’intervista a La Stampa. Secondo la nipote dell’autore del Manifesto di Ventotene quello che ha detto la premier alla Camera è una «bestemmia». Che «conferma quello che ho sempre pensato di Meloni. La sua storia viene dal fascismo e lo conferma. E quindi è chiaro che quella di mio zio non può essere la sua Europa». E sui passi che parlano di abolizione della proprietà privata e di rivoluzione socialista spiega che quella di Meloni è «ignoranza. Gli antifascisti stavano in carcere al
confino, non in una situazione bella e beata. Nel 1941 in Italia c’era la dittatura fascista e l’Europa si trovava sotto il dominio della Germania hitleriana».
La rivoluzione
«In quel contesto si pensa alla rivoluzione, a un terremoto che possa abbattere quei regimi» spiega Gioconda, nel colloquio con Maria Corbi. Per questo «Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi hanno avuto la capacità e la forza di immaginare un’Europa e un mondo diversi che non coincidono certo con la visione della premier che nasce da un’ideologia nazionalista e sovranista».
E spiega: «Per loro, mio zio e gli altri, la restaurazione dei vecchi Stati nazionali avrebbe contenuto un pericolo, perché anche in un sistema democratico perseguire interessi egoistici, alimenta comunque conflitti».
Mentre sul ReArm Europe «forse è necessario, per una difesa europea, e quando ci si difende occorre avere la armi. Ma non ci si può riarmare Paese per Paese in una situazione in cui vengono fuori i nazionalismi e non un’unità sovranazionale. Questo lo ritengo molto pericoloso. Perché a quel punto ognuno ha la sua piccola bomba e non sappiamo cosa può succedere. Dobbiamo tenere conto che purtroppo i nazionalismi stanno vincendo. Ed era la paura che aveva spinto Spinelli, Rossi e Colorni a scrivere il Manifesto».
Israele e Palestina
E che questa non sia l’Europa sognata dallo zio lo si capisce dal silenzio sulle violenze di Israele sulla Palestina. È un’Europa che sta in silenzio su una tragedia e tra 20 anni forse diranno “non ce ne eravamo accorti”. Noi non lo possiamo dire. È una situazione drammatica e assurda. Come si protesta si viene accusati di essere antisemiti. E lo dico forte del fatto che mia madre, come la moglie di Altiero del resto, era ebrea. C’è un governo che sta massacrando una popolazione e non si può dire nulla».
Infine: «Il problema non è che Europa deve diventare ma quella che non è mai diventata. E adesso che Meloni si è rivelata e occorrerebbe scendere di nuovo in piazza ed essere molto di più di quelli di piazza del Popolo. Il suo è stato un attacco all’Europa e un modo per dire in modo chiaro io sto con Trump. Almeno questo mi sembra di capire».

(da agenzie)

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