LA REPRESSIONE DI ERDOGAN: FA ARRESTARE AVVERSARI E REPORTER IN VISTA DEL VOTO DEL 2038
AL POTERE DA UN QUARTO DI SECOLO CEMENTA UN REGIME FATTO DI ISLAM, NAZIONALISMO E CLIENTELISMO
Verrà un giorno in cui le biografie di Recep Erdogan finiranno nelle bancarelle della frusaglia a prezzo fisso, che non c’è pericolo siano comperate da nessuno. Accadrà. I Capi invecchiano, il tempo è l’unico avversario che non possono sconfiggere. Anche per il Tayyip di altri tempi, il tribuno autoritario e eloquente dai turgidi sermoni ove mescolava frasi dotte e il vernacolo delle periferie turche, arriverà l’autunno dei patriarchi. Anzi: qualcuno un po’ frettoloso lo aveva già anticipato al 2023 quando si candidò alla propria ennesima rielezione dopo due decenni di sultanato. Ipotesi sbagliata. Rivinse, tutt’altro che seppellito sotto una grave mora di deplorazioni e di prevenzioni. Non sono stati sufficienti il terremoto e le città-Potemkin crollate come se fossero di cartone, i soccorsi in ritardo come in un Paese del Quinto Mondo, gli autogolpe, l’inflazione al 73%, i sondaggi che lo danno per sepolto con la liretta turca svalutata del 20%… C’era di che disvogliare anche i fanatici dell’ottomanismo o gli affiliati al viva chi vince.
Due anni dopo quell’impossibile 53% nelle urne una mattinata del cadente terzo millennio sul Corno d’Oro, schiamazzare di volanti, strade isolate, sbirri abbigliati per moderne soppiatterie poliziesche: lui gioca di anticipo e il suo rivale (pericoloso)
per il 2028, Imamoglu, il sindaco della città, lo mette in galera e abolisce la possibilità amministrativa perfino che si candidi. Come si diceva un tempo il potere, se non la gloria, è un effetto del sopravviver molto, e lui è uno che ha doppiato molte volte il capo delle tempeste. Sbollita qualche sfuriata parolaia, gli alleati torneranno all’ovile e non soffriranno certo per Imamoglu i sudori del Getsemani.
All’orizzonte fra tre anni c’è di nuovo lui. Uno che dice e non dice, disdice, aiuta a dubitare e a intravvedere più che a vedere limpidamente. Soprattutto è uno che sa compromettere, che è purtroppo grande sapienza.
Populista e divisivo, autocrate e paternalista, calcolatore ma pragmatico, un freddo che diventa furibondo: scrutatelo bene ma la sua ideologia si modella sulle circostanze, si dirige secondo le contingenze che lui solo sa decifrare. Conosce nei suoi avversari i segreti di molte imbottiture e li sfrutta. Il nazionalismo, un po’ di Islam, la corruzione, i favori distribuiti alle masse dei fedeli: di questi ingredienti è fatto l’erdoganismo. Laddove mancano questi intingoli provvede con la repressione. Bersagli preferiti, oltre ai politici, giornalisti e letterati.
La paura la usa con la abilità di un acrobata. La Turchia sta nei primi posti per oppositori che riempiono le galere dei 47 Paesi del Consiglio d’Europa. Al suo fianco ha nomi imbarazzanti, Azerbaigian, Russia… Eppure le democrazie lo chiamano lo vogliono lo invocano si affannano a non provocarne le celebri furie. La Sublime Porta, come si chiamava ai tempo dei sultani-califfi, è sempre affollata di questuanti eccellenti che arrivano dalle capitali d’Occidente. La biografia di Erdogan non è un capitolo dell’islamismo conservatore nel Vicino Oriente, è un frammento delle nostre ipocrisie, smemoratezze, delle nostre vergognose amnesie etiche. Guardatelo ai vertici internazionali come allunga la mano sorniona a illustri e mediocri, come se li cova mentre i boccaloni di Bruxelles lo riveriscono con le ciarline da salotto. Sa come ribadir loro, ai piedi e ai polsi, le catene degli “interessi”. E poi alla prossima riunione molti non ci saranno più perché giubilati mentre lui sarà ancora lì, nonostante l’erario esaurito per impinguare l’ottomanismo e la fama di autocrate che non gli ha inimicato nessuno che conta.
E la Siria spossata dalla guerra civile? Operazione perfetta. Assume un criminale islamico dai mille delitti, sgherro obbediente di al-Zarkawi e del califfo dei massacri, gli garantisce l’impunità dalla taglia di dieci milioni di dollari, gli riserva un feudo imbottito di altri assassini di Allah; e poi al momento giusto lo lancia ben armato verso Damasco. Adesso la Siria è un protettorato, una colonia turca. Dove rimanderà i profughi della rivoluzione del 2011 che iniziavano ad esser molesti ai suoi elettori. Bashar Assad è a Mosca a riflettere sui suoi errori e al-Golani, il terrorista, impone la Sharia e nel contempo stringe mani sudaticce di intimiditi ministri europei che ne conoscono la biografia m
Erdogan ha realizzato in Siria quello che Putin voleva fare in Ucraina, creare uno
Stato obbediente e dipendente. In più occupa una fascia di sicurezza anti-curdi. Ma nessuno osa mormorare, anzi lo invitano tra i “volenterosi” che dovrebbero difendere l’Occidente orfano di Trump!
Ventitré anni, giorno dopo giorno. Che epopea! Guizza promette illude minaccia, contemporaneamente importante, intoccabile e indiscutibile: nella Nato ma in affari con Putin, vende droni micidiali all’Ucraina ma non applica sanzioni alla Russia, tutti a chiedersi da venti anni: ma a che gioco gioca? Offre non teologie ma interessi. Basta questo perché nessuno dei democratici abbia il coraggio di dirgli che la repressione interna e gli avventurismi internazionali, dall’Azerbaigian alla Libia al Corno d’Africa, sono una vergogna. Ci avviluppa in mille fili, ci impartisce lezioni
Il suo partito, “il partito bianco”, detto così per dar l’idea di purezza, è un partito-Stato, una macchina per vincere elezioni che distribuisce favori e consenso, dove non esistono dissidenze, aspiranti traditori, quelli che credendosi capaci di governare meglio del Vecchio non si vedono adoperati. L’indurimento delle arterie non lo ha reso meno certo che il destino dei turchi sia sempre il suo incoercibile e alacre potere. Che il popolo resterà mogio o plaudente e che i turbolenti resteranno quatti. Attorno a lui le idee, i leader, le mode sono sorte e tramontate come le costellazioni sul capo del navigante. Quando ha vinto la prima volta le elezioni Bush dava la caccia a Bin Laden e Putin era uno sconosciuto che si diceva a libro paga di oligarchi mafiosi. Ha utilizzato tutti coloro che pensavano di servirsi di lui, per le guerre in Iraq, per i migranti, quattro milioni che ha trasformato in un affare, per le convulsioni del Vicino Oriente.
(da agenzie)
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