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“GLI EVASORI? FACCIAMO COME IN AMERICA. LÌ PER QUESTE COSE TI METTONO IN CARCERE E BUTTANO LA CHIAVE” : LE RICETTE DEL SENATORE FORZISTA CLAUDIO LOTITO SULL’EVASIONE FANNO RIVOLTARE NELLA TOMBA SILVIO BERLUSCONI (CONDANNATO PER FRODE FISCALE) E I SOVRANISTI AMICI DEGLI EVASORI

Marzo 28th, 2025 Riccardo Fucile

LA LAZIO OGNI ANNO, DAL 2005 QUANDO LOTITO HA PRELEVATO IL CLUB, VERSA AL FISCO 5,65 MILIONI CHE VANNO A COMPENSARE I 140 DI BUCO LASCIATI IN PASSATO PER IL MANCATO PAGAMENTO DI IRPEF E IVA

«Hai avuto problemi con le tasse? Benissimo. Io Stato ti do dieci anni per pagare, ma poi stop. A quel punto, se non lo fai, vuol dire che o sei morto o che non vuoi pagare.
E io ti denuncio per frode». La ricetta di Claudio Lotito per affrontare l’evasione fiscale è molto semplice: «Sconti a chi è fedele e ha sempre pagato tutto e carcere per gli evasori. Come in America. Lì per queste cose ti mettono dentro e buttano la chiave».
«Dobbiamo fare delle scelte. Qui abbiamo tremila miliardi di debito pubblico, e dobbiamo ripagare il Pnrr, e 1.200 miliardi di tasse non riscosse, ma è possibile?» ripete il senatore di Forza Italia impegnato in questi giorni in commissione Finanze nelle audizioni sulla proposta della Lega di una nuova rottamazione delle cartelle.
«La nuova rottamazione ok, ma poi le cose devono cambiare. Io sono un cittadino modello, pago tutto, e allora fammi uno sconto: dieci, venti per cento» dice Lotito. Per gli evasori nessuna pietà. «E bisogna cercare i veri proprietari delle società, che usano teste di legno come amministratori. La Lazio, per esempio: è la mia, ma tra i soci non mi vedi. Solo alla fine della settima catena di controllo risulto proprietario effettivo».
(da agenzie)

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VINO E AUTO, L’INDUSTRIA ITALIANA SI PREPARA ALLA BOTTA DEI DAZI DI TRUMP: “EXPORT GIA’ BLOCCATO, ECCO QUANTO PERDEREMO”

Marzo 28th, 2025 Riccardo Fucile

LE TARIFFE ENTRERANNO IN VIGORE DAL 2 APRILE… IMPATTO DEVASTANTE SUL COMPORTO VINICOLO

Vino e auto. Due eccellenze italiane che tremano di fronte alla prospettiva dei dazi di Donald Trump. Quelli già annunciati sul comparto automobilistico, che aumenteranno del 25% il prezzo di ogni veicolo importato negli Usa. E quelli che colpiranno il settore vitivinicolo, triplicando il prezzo delle bottiglie italiane ed europee vendute oltreoceano, se le intenzioni dell’inquilino della Casa Bianca non cambieranno prima del 2 aprile, giorno in cui entreranno ufficialmente in vigore le tasse aggiuntive che nelle intenzioni del presidente repubblicano serviranno a rinvigorire la produzione interna degli Stati Uniti.
I dazi di Trump sul vino: «Esportazioni già bloccate»
I dazi arriveranno a breve, ma le conseguenze sono già in atto. Se il mondo dell’auto si prepara, quello del vino è già passato all’azione. «I dazi sono già applicati anche se non esistono perché le esportazioni sono bloccate», ha fatto sapere Paolo Castelletti,
direttore generale Unione Italiana Vini a margine della presentazione della 57ma edizione del Vinitaly. Infatti, informa Castelletti, «gli importatori americani hanno bloccato l’import dei nostri vini temendo di dover farsi carico loro del dazio perché non c’è una norma che quanto meno adesso escluda dai dazi i prodotti che sono in transito». Se questa prospettiva si avverasse, avverte il direttore generale dell’Unione Italiana Vini. «Il dazio ricadrebbe sull’importatore, questo vorrebbe dire sostanzialmente fallire». L’attesa è per il 14 aprile, quando verranno definite con chiarezza le norme delle nuove tariffe. Il giro d’affari messo a rischio vale 2 miliardi di euro, ovvero il 24% del settore a livello globale.
Il colpo Usa alle auto: «Costeranno fino a 10 mila euro in più»
Preoccupante appare pure l’impatto sull’industria dell’auto. «I dazi avranno un effetto non devastante, ma importante. In un momento in cui i produttori e i componentisti stanno soffrendo e questo è un ulteriore elemento di incertezza», commenta il direttore dell’Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica (Anfia) Gian Marco Giorda. «Esportiamo dall’Italia circa 1,2 miliardi di componenti negli Stati Uniti – prosegue Giorda – e ne importiamo 230 milioni, mentre per quanto riguarda i veicoli esportiamo tre volte quelli che importiamo». Con il commento, Giorda ricorda che l’intenzione di Trump è applicare i dazi non solo alle vetture finite, ma anche ai singoli pezzi, che viaggiano da una parte all’altra dell’Atlantico. Il direttore dell’Anfia si augura «che sia una mossa negoziale e che ci sia spazio per fermare questa manovra». Infatti, «una vettura (esportata negli Usa, ndr) potrebbe costare tra 6.000 e 10.000 dollari in più rispetto al prezzo attuale».
(da agenzie

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CARTELLE FISCALI, LA ROTTAMAZIONE E’ UN FLOP: MANCANO 63 MILIARDI

Marzo 28th, 2025 Riccardo Fucile

A QUESTO RITMO OGNI ROTTAMAZIONE PORTERA’ MENO DELLA META’ DEL PREVISTO… IL 73% DEGLI AMICI DEI SOVRANISTI SONO RECIDIVI

La rottamazione delle cartelle fiscali è un flop. Da 63 miliardi. Perché manca esattamente quella cifra ai 111,2 attesi.
Il conto finale, scrive oggi Il Sole 24 Ore, porterà gli incassi a 48,2 miliardi, il 43,3% del dovuto. Per l’altro 56,7% bisognerà attendere. O mettersi l’animo in pace. Il direttore dell’Agenzia delle Entrate Vincenzo Carbone ha spiegato ieri in commissione finanze al Senato che se la quarta edizione della rottamazione continuerà a questo ritmo gli incassi saranno pari a meno della metà del dovuto
Rispetto al debito totale iniziale, comprensivo di sanzioni, interessi e aggi, la flessione è di 113,5 miliardi, il 70,2%.
I rottamatori
Spesso, ha spiegato Carbone, c’è chi aderisce alla rottamazione più per guadagnare tempo e sospendere i pignoramenti dei conti correnti e degli stipendi che per chiudere i debiti con il fisco. E infatti molti di loro pagano la prima rata e spariscono. Aprendo così i «buchi della rottamazione».
In termini di adesioni effettive i successi maggiori sono stati raggiunti dalla prima e dalla quarta puntata, che hanno perso per strada “solo” metà (52,8% la prima, 51,1% l’ultima) del gettito atteso. E non è tutto. Nella relazione di Carbone si legge che «dei circa 10 milioni di contribuenti destinatari ogni anno di cartelle di pagamento, avvisi di addebito e avvisi di accertamento esecutivi, oltre il 77% risulta avere già avuto iscrizioni a ruolo nei tre anni precedenti».
(da agenzie)

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DECRETO ALBANIA BIS, CONTINUA LA TRAGICA FARSA: VERSO I CPR DI SHENGJIN E GJADER, COSI’ I COSTI SALIRANNO ANCORA

Marzo 28th, 2025 Riccardo Fucile

POTRANNO FINIRE IN ALBANIA GLI STRANIERI IN ATTESA DI RIMPATRIO, MA POI DOVRANNO RITORNARE IN ITALIA

Il decreto Albania cambia. E Shengjin e Gjader diventano centri di permanenza e rimpatrio. Dopo gli annunci durati quasi un mese il piano del ministro degli Interni Matteo Piantedosi approda al consiglio dei ministri. Grazie a un vuoto normativo del Testo Unico dell’Immigrazione e della direttiva rimpatri Ue, il nuovo provvedimento fatto di due soli articoli nei due centri potranno essere trasferiti tutti gli stranieri che approdano sulle nostre coste senza avere i requisiti. E dunque sono in attesa di rimpatrio.
Il governo Meloni porta in Cdm anche una stretta sulla concessione della cittadinanza per ius sanguinis (che ora sarà possibile ottenere per non più di due generazioni). E la tutela legale per i poliziotti coinvolti in inchieste per l’uso di armi durante il servizio.
Cosa cambia a Shengjin e Gjader
La premier Giorgia Meloni prova a far ripartire il suo progetto dopo lo stallo dei tribunali. E lo fa decidendo di trasferire in Albania chi è in attesa del provvedimento di espulsione perché gli è stato già negato il diritto di asilo. Ora quindi nelle strutture finiranno anche migranti che non provengono da paesi sicuri.
Il decreto modificherà la legge di recepimento del protocollo Italia-Albania firmato da Meloni con Edi Rama a Roma. Ma secondo Piantedosi si tratta di una «prossima riattivazione almeno per una componente delle funzioni di quel centro, che è già esistente: quella di centro per i rimpatri. In attesa, di qui a poche settimane o pochi mesi, di una decisione della Corte di giustizia europea. Che noi non vediamo come
sia possibile che non sia in linea con le posizioni italiane». Adesso nel centro si potrà rimanere fermi fino a 18 mesi. In attesa che i paesi d’origine accettino il loro ritorno a casa.
Il problema dei costi
Per il quale, fa notare oggi Repubblica, c’è un problema di costi. Visto che non ci sono nuove intese con il governo, il rientro dovrà avvenire da territorio italiano. Quindi, per esempio, gli immigrati irregolari oggi trattenuti al Cpr di Ponte Galeria, potranno finire in Albania mentre vanno avanti le pratiche di espulsione. Ma per il rimpatri effettivo dovranno essere riportati in Italia. Prima di partire per il loro paese. Mediamente il 50% dei migranti trattenuti nei Cpr viene rimpatriato.
Per questo è facile prevedere un nuovo via vai di mezzi dall’Italia all’Albania con un ulteriore aggravio di costi. La prassi prevede infatti che ogni immigrato trattenuto debba essere scortato da due poliziotti. Ci sono comunque anche dubbi giuridici. È vero che i return hub in Paesi terzi saranno previsti (non prima del 2027) dal nuovo regolamento europeo. Ma oggi non è previsto da nessuna norma il trasferimento in un un Paese che non è né quello di origine né quello di transito.
La tutela legale dei poliziotti
Poi c’è la tutela legale dei poliziotti sotto indagine per atti commessi nell’esercizio delle loro funzioni. Anche qui ci vorrà un decreto che prevede spese legali a carico dello Stato e un possibile risarcimento ex post.
(da agenzie)

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LA CATASTROFE IN MYANMAR, MIGLIAIA DI VITTIME PER IL TERREMOTO CHE HA COLPITO ANCHE BANGKOK

Marzo 28th, 2025 Riccardo Fucile

CROLLATE ABITAZIONI, TEMPLI E OSPEDALI… UNA POTENZA SUPERIORE 300 VOLTE AD AMATRICE

Un terremoto di magnitudo 7.7 ha sconvolto questa mattina il Myanmar (ex Birmania). Al momento si contano ufficialmente alcune decine di vittime, ma il numero è destinato a salire copiosamente. Secondo il Servizio geologico americano (Usgs) potrebbero essere decine di migliaia: ne stima almeno 10mila con una probabilità del 25%, sino a 100mila con la probabilità dell’8%.
Dei feriti si sa solo che si stanno accumulando «in massa» dentro e fuori dal principale ospedale di Naypydaiw, la capitale del Myanmar, nel sud-est dell’Asia. «Alcuni si contorcevano dal dolore, altri giacevano immobili mentre i parenti
cercavano di confortarli», ha raccontato un funzionario birmano. Una situazione catastrofica che fa seguito alle due tremende scosse di stamattina. Secondo quanto riporta la Bbc, la Croce Rossa avrebbe grandi difficoltà a raggiungere le zone più colpite a causa dei «danni significativi» alle strade e alla rete elettrica.
Le due scosse e il disastro: «300 volte più forte di Amatrice»
Prima è arrivata la scossa più forte, di magnitudo 7.7, poi una seconda «di assestamento» di grado 6.4 dodici minuti dopo. In sei regioni del Paese è stato dichiarato lo stato di emergenza, mentre la giunta militare – al governo dal 2021 – sta continuando a lanciare appelli urgenti alla comunità internazionale perché siano inviati aiuti. Secondo Salvatore Stramondo, dirigente di ricerca dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, si tratta di un terremoto «300 volte più forte rispetto a quello di Amatrice del 2016 e otto volte più forte a quello più forte mai registrato in Italia», quello di Messina nel 1908.
Il crollo del palazzo a Bangkok: 43 dispersi
Le scosse sono state percepite fino a Bangkok, capitale della Thailandia, dove migliaia di persone sono scese in strada per mettersi in salvo. Un grattacielo in costruzione nella città è collassato su se stesso, intrappolando al suo interno almeno 43 operai che al momento risultano dispersi. Almeno uno di loro sarebbe morto. Molti altri edifici sono stati danneggiati e sono stati evacuati per paura di ulteriori collassi, mentre il primo ministro, Paetongtarn Shinawatra, ha dichiarato lo stato di emergenza nella città.
Il disastro nella storica Mandalay: crolli al Palazzo Reale, moschee e templi buddisti, almeno 20 vittime
I posti letto dell’ospedale di Naypydaiw sono mille, i feriti – stando alle informazioni sarebbero molti di più. Il primo terremoto, con un epicentro a 16 chilometri dalla città di Saigong nel centro del Paese, sarebbe stato avvertito fino a Bangkok, capitale della Thailandia, dove un grattacielo in costruzione è crollato. Al momento mancherebbero all’appello 43 lavoratori, intrappolati sotto le macerie. Secondo il centro sismico tedesco Gmz, la scossa si è propagata partendo da 10 chilometri di profondità. Si registrano danni ingenti in molte zone del Paese. Colpita duramente anche la storica città di Mandalay, antica capitale pre-coloniale ricca di templi buddisti tra le mete turistiche più visitate dell’area. Secondo i media locali, sarebbero almeno 55 le vittime. Una ventina di bambini sarebbero rimasti intrappolati sotto le macerie di un monastero a Taungoo.
La giunta militare: «Aiuti umanitari il prima possibile»
Da governo militare birmano, intanto, arrivano ripetute richieste di aiuti umanitari. «Ne abbiamo bisogno il prima possibile», ha dichiarato il portavoce della giunta, Zaw Min Tun, alla Agence France-Press. Le richieste di aiuto da parte di questo governo, fanno notare molti quotidiani, sono molto rare. Il che potrebbe essere sintomo di una situazione gravissima e ingestibile. Le sei aree più colpite, dove è stato dichiarato lo stato di emergenza, sono Sagaing, Mandalay, Magway, nello Stato di Shan nord-orientale, Naypyidaw e Bago. La giunta ha chiesto urgenti donazioni di sangue per gli ospedali. Secondo lo Usgs, le perdite economiche avranno un impatto dal 2 al 30 percento del Pil, che nel 2023 era stimato intorno ai 70 miliardi di dollari statunitensi.
(da agenzi

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LO SMALTIMENTO DEI CORPI UMANI

Marzo 28th, 2025 Riccardo Fucile

KRISTI NOEM RAPPRESENTA DEGNAMENTE LA FECCIA SOVRANISTA, IL RIFIUTO UMANO E’ LEI

Non so se avete visto il video della segretaria alla Sicurezza americana Kristi Noem davanti a un gabbione pieno di esseri umani seminudi, stipati come bestiame, e lei sorridente, felice, che dice “questa è la fine che devono fare i terroristi (cioè i migranti illegali) che entrano nel nostro Paese”
La scena ha una tale feroce, torva potenza simbolica che mi è tornato in mente il “Salò” di Pasolini, il sadismo e la perversione come chiave di lettura del potere.
La carceriera mostra i carcerati come prede, come trofeo, non sono esseri umani i corpi alle sue spalle, Noem non pensa nemmeno per un istante che ciascuno di loro possa avere genitori, figli, mogli che, in quell’ammasso di spogliati e di impotenti, riconoscono la persona cara, e chinano il capo per l’umiliazione.
La disumanizzazione degli umani, la loro mutazione in una massa anonima di assoggettati, non più persone ma ammassi di corpi da ammucchiare in gabbie, ci riporta ai lager, ai gulag, a quei luoghi di detenzione nei quali gli uomini diventano cose, trasformazione indispensabile per potersene poi liberare come si fa con le cianfrusaglie. Buttarli via. Smaltirli.
Quasi certamente Noem è troppo ignorante per saperlo e troppo arrogante per capirlo, ma a questo, solo a questo fa pensare il suo video.
Qualunque Paese civile, se ne esistessero, convocherebbe d’urgenza l’ambasciatore americano e gli chiederebbe: ma davvero questa abominevole signora è il vostro segretario di Stato? E come è possibile che sia accaduto, che stia accadendo?
(da Repubblica)

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STRATEGIA DEL PORCOSPINO E LA FORZA DI RASSICURAZIONE: IL PIANO DEI VOLENTEROSI PER DIFENDERE KIEV

Marzo 28th, 2025 Riccardo Fucile

I PAESI PIU’ DETERMINATI SUBITO SUL TERRENO PER TUTELARE IL CESSATE IL FUOCO… GLI ALTRI EUROPEI IN ROMANIA CON LA NATO R L’ONU PER SORVEGLIARE IL FRONTE

È un piano sempre flessibile, perché esposto ad un’incognita enorme: il buio degli europei sulla trattativa segreta tra Donald Trump e Vladimir Putin. Ma è un progetto che, proprio a causa di questa incertezza, i francesi considerano fondamentale per garantire un ruolo all’Unione. Il contenuto che riportiamo è frutto delle intense interlocuzioni diplomatiche di queste ore. Quelle tra l’Eliseo, Downing Street e gli altri partner, Italia compresa. Un disegno sempre più dettagliato che Emmanuel Macron, mosso dalla volontà di evitare una frattura insanabile tra l’Unione e Washington, continua a condividere con il presidente Usa. Con una cadenza fissa: una telefonata ogni 48 ore.
Strategia del porcospino
Il primo obiettivo è la sicurezza dell’Ucraina. E, di riflesso, dell’Europa. Secondo il progetto di Macron, questa garanzia passa innanzitutto da un esercito ucraino forte, moderno e ben equipaggiato. In vista di un possibile scenario postbellico, i paesi europei vogliono evitare che Kiev smantelli le proprie forze armate: con 900 mila soldati, di cui 400 mila con esperienza diretta di combattimento, Kiev è oggi la potenza militare più consistente del continente. La proposta, che è anche il primo pilastro di Parigi e Londra, è allora quella di una “strategia del porcospino”, un modello difensivo ispirato a Israele, basato su una forza armata tecnologicamente avanzata, altamente addestrata e pronta a dissuadere qualsiasi nuova aggressione. Una delegazione franco-britannica sarà inviata nei prossimi giorni a Kiev per definire con i vertici ucraini le dimensioni e le capacità – di terra, di mare e d’aria – da garantire nel lungo periodo. Intanto, Parigi ha annunciato un nuovo pacchetto di aiuti militari da due miliardi di euro, con missili terra-aria Mistral, carri armati Amx e munizioni. Zelensky preme anche su Berlino per lo sblocco dei missili Taurus. Sul fronte industriale, si moltiplicano gli accordi per rafforzare la produzione locale di droni e armamenti.
La forza di rassicurazione
Più controversa la proposta di creare una “forza di rassicurazione”, un contingente multinazionale da inviare in Ucraina solo dopo un cessate il fuoco completo, vale a dire una tregua che includa aria, mare e infrastrutture civili. Francia e Regno Unito, promotori della cosiddetta “coalizione dei volenterosi”, vedono in questa forza un elemento dissuasivo e di protezione, capace di sostenere Kiev con sorveglianza, consulenza, addestramento, supporto alla difesa aerea e sicurezza delle infrastrutture critiche. Il suo eventuale dispiegamento, ha spiegato Macron, avverrebbe su richiesta delle autorità ucraine, nelle aree considerate più sensibili: tra le ipotesi circolate, il porto di Odessa, l’aeroporto di Leopoli e lungo il corso del fiume Dnepr. Londra mira a raccogliere circa 20 mila soldati, Parigi immagina un contributo di «qualche migliaio». La missione esplorativa attesa a Kiev dovrebbe definire entro aprile una mappatura dettagliata. Oltre a Francia e Regno Unito, potrebbero partecipare anche Canada, Australia e diversi Paesi baltici e nordici. Ancora incerta, invece, la posizione degli Stati Uniti: l’inviato Steve Witkoff ha bollato la proposta come «non realistica». L’Italia frena.
Missioni di monitoraggio
Parallelamente, si lavora a una missione di monitoraggio di un eventuale cessate il fuoco. I ministri degli Esteri dei Paesi alleati devono elaborare, entro tre settimane, una proposta concreta. Sul tavolo diverse opzioni: affidare il mandato all’Osce, che però ha fallito nel monitoraggio degli accordi di Minsk; coinvolgere le Nazioni Unite,
con il rischio di un veto russo al Consiglio di Sicurezza; oppure creare un meccanismo ad hoc. Italia e Germania spingono per una missione Onu che possa coinvolgere anche Cina, India, Brasile, così da rafforzare la legittimità del processo. Ma restano però enormi ostacoli operativi: la linea del fronte da controllare si estende per oltre 1.400 chilometri.
Il patto tra la Ue e la Nato
Non sarà semplice schierare truppe europee nei punti più sensibili del territorio ucraino. Ecco perché Macron e Starmer oltre alla “forza di rassicurazione” direttamente nel Paese, ipotizzano anche di inviare una missione militare che faccia base in uno dei Paesi alleati del fronte orientale. L’idea è di farlo in Romania. Il quadro politico sarebbe quello dei “volenterosi”, sfruttando le strutture di comando e controllo della Nato. Il modello quello di Eufor Althea (la missione europea in Bosnia-Erzegovina) o del Berlin Plus: è il patto siglato nel 2002 che permette all’Ue di avvalersi delle capacità di pianificazione e comando dell’Alleanza atlantica, utilizzandone i mezzi per gestire gli scenari di crisi. Per farlo, servirebbe un accordo ad hoc tra “volenterosi” e Nato. Nella prima fase, comunque, a gestire il comando di questa operazione potrebbe essere il Cjef (Combined Joint Expeditionary Force), il coordinamento militare anglo-francese. Gli inglesi insistono sulla necessità che la missione preveda anche copertura aerea, per la quale servirebbe necessariamente la collaborazione degli Stati Uniti. Altro nodo: la mobilitazione delle forze navali.
Nato post trumpiana
Quello sostenuto da Macron e Starmer è un progetto militare, ma anche politico: tracciare un’Alleanza atlantica in un mondo post trumpiano. Disegnare il pilastro europeo della Nato, capace di difendersi indipendentemente dal reale impegno degli Stati Uniti. Uno schema che verrebbe testato operativamente proprio permettendo ai “volenterosi” di sfruttare le strutture dell’Alleanza. In questo quadro, la Francia sarebbe la nazione guida capace di guidare le future missioni.
(da Open)

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IL GELO TRA FRATELLI D’ITALIA E COLDIRETTI (GRAN SOSTENITORE COL SUO BACINO DI VOTI DELLA PRESA DI PALAZZO CHIGI)

Marzo 28th, 2025 Riccardo Fucile

LA PIU’ GRANDE ORGANIZZAZIONE DEGLI IMPRENDITORI AGRICOLI (1,6 MILIONI DI ASSOCIATI), È TERRORIZZATA PER GLI EFFETTI DEVASTANTI DEI DAZI USA SULLE AZIENDE TRICOLORI, E’ PIU’ CHE IRRITATA PER L’AMBIVALENZA DI MELONI PER LE MATTANE TRUMPIANE

Scende il sipario sull’idillio tra Giorgia Meloni e Coldiretti? La minaccia del “dazista” Trump ai prodotti esportati dalla “Europa parassita” negli Stati Uniti, attesi per il 2 aprile, con una Meloni sempre più indecisa tra la postura da cheerleader di “King Donald” e la decisione dell’Unione di far fronte comune alle trumpate, sta avvelenando i rapporti tra Fratelli d’Italia e la più grande organizzazione degli imprenditori agricoli a livello nazionale ed europeo (1,6 milioni di associati), guidata dal presidente Ettore Prandini e dal segretario generale Vincenzo Gesmundo.
Una “diversità di vedute” avvenuta senza clamori, ma politicamente significativa, dal momento che la Coldiretti ha sostenuto strenuamente, grazie al suo bacino di voti, la cavalcata meloniana verso il primo piano di Palazzo Chigi, per ritrovarsi cornuta e mazziata, qualora i dazi minacciati dall”’amico americano” della Meloni diventassero dura realtà. (Va ricordato che la prima uscita pubblica di Giorgia premier fu al convegno milanese di Coldiretti).
L’idillio di ieri si è incrinato quando la cuccagna agroalimentare italiana, una volta applicato il dazismo trumpiano, rischia seriamente di mandare a gambe all’aria i conti di tante aziende.
I prodotti agroalimentari più esportati negli Stati Uniti sono infatti: olio di oliva, pasta, formaggi, vino, salse, prosciutto, insaccati, cioccolata.
Nel 2023, il comparto ha raggiunto un valore di esportazioni pari a 64 miliardi di euro, con un aumento del 6% rispetto all’anno precedente. Nel primo quadrimestre del 2024 le esportazioni italiane di vino e alimentari negli USA sono cresciute del 18% rispetto allo stesso periodo del 2023.
In un’intervista rilasciata a ”La Stampa” (vedi il pezzo a seguire), il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, ha fatto trapelare tutta l’angoscia dei suoi associati sui danni che la guerra commerciale di Trump può causare alle aziende agroalimentari italiane e il suo scetticismo sulla posizione “soft”, al limite della paraculaggine, assunta da Meloni nei confronti delle mattane compulsive del Caligola della Casa Bianca (la mattina tuitta un dazio per poi smentirlo nel pomeriggio
A dare man forte a Prandini-Gesmundo è arrivato il ministro della Sovranità
Alimentare, Francesco Lollobrigida, da sempre caro alla Coldiretti, ma che, nel frattempo, non è più il “Cognato d’Italia” dopo la brusca separazione da Arianna Meloni.
Una volta ”espulso” dalla Fiamma Magica meloniana, “Lollo” usa toni molto distanti da quelli della premier nel parlare dei dazi trumpiani: “Sono culturalmente inaccettabili. Illogici, se vengono applicati tra alleati che dovrebbero invece crescere insieme. Le parole del Capo dello Stato sono pienamente condivisibili”. E aggiunge, per la gioia di Giorgia: “I dazi mettono a rischio l’alleanza con gli Usa. Può trattare solo l’Europa”.
In questo scontro, a favore della Trump immaginaria de’ noantri, è arrivato “Il Foglio”, che ha rifilato una bordata a Coldiretti, parlando di un conflitto d’interessi: per la “Strategia Nazionale 2030” il ministero dell’Ambiente ha nominato come presidente dell’organo istituzionale un rappresentante dell’associazione degli agricoltori, che siede al tavolo come “parte interessata”.
Una stilettata per pochi intimi, ma dal chiaro significato, perché arriva all’indomani di rumors di incontri milanesi di Coldiretti con rappresentanti di Forza Italia…
(da Dagoreport)

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RUSSIA, LA GIORNALISTA MARIA PONOMARENKO DI NUOVO CONDANNATA DOPO IL TENTATO SUICIDIO IN CARCERE

Marzo 27th, 2025 Riccardo Fucile

QUESTA E’ LA LIBERTA DI STAMPA IN RUSSIA… E POI IN ITALIA CI SONO DEGLI INFAMI CHE FANNO IL TIFO PER IL BOIA DEL CREMLINO

Il 17 marzo, in Russia, la giornalista Maria Ponomarenko ha tentato il suicidio in carcere, cercando di tagliarsi le vene, dopo essere stata arrestata nel 2022 e successivamente condannata a 6 anni di reclusione per un post Telegram contrario alla propaganda del Cremlino.
Come ben riportato da Amnesty International, Maria aveva osato raccontare la verità sul «bombardamento del teatro di Mariupol, in Ucraina, da parte delle forze russe, con un breve commento che denunciava la morte dei civili che erano rifugiati all’interno». Oggi, come riportato dal media indipendente russo Sota Vision, Maria è stata condannata a un altro anno di reclusione con l’accusa di aver aggredito due ufficiali come reazione per i maltrattamenti subiti.
Come raccontato da Sota Vision nel lungo post su X, Maria Ponomarenko si era rifiutata di comparire davanti a una commissione disciplinare dopo essersi lamentata di essere senza scarpe. Non si tratta dell’unica denuncia sulle condizioni in cui si trova in carcere, ritenute prossime alla tortura. Nonostante soffra di disturbi dissociativi e claustrofogia, è stata messa in isolamento per ben 13 volte. La giornalista russa ha denunciato anche violenze nei suoi confronti da parte dei dipendenti del carcere, subendo colpi allo stomaco, calci e persino sbattuta contro i muri. Se da un lato le viene impedito di lavarsi, dall’altro le viene aperta solo l’acqua ghiacciata per potersi fare la doccia.
(da agenzie)

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