Aprile 5th, 2025 Riccardo Fucile
L’ESECUTIVO AVEVA CHIESTO UNA PROROGA, ADDUCENDO COME CAUSA IL PROCEDIMENTO PENALE AVVIATO DAL TRIBUNALE DEI MINISTRI, CHE VEDE COINVOLTI LA PREMIER, IL SOTTOSEGRETARIO MANTOVANO E I MINISTRI NORDIO E PIANTEDOSI
Non può essere accolta dalla Corte internazionale la richiesta del governo italiano di prorogare il termine di presentazione della memoria difensiva sul caso Almasri nel procedimento che la Cpi ha avviato contro l’Italia.
Lo scudo dietro al quale Palazzo Chigi ha tentato di ripararsi è l’istruttoria penale avviata dal tribunale dei ministri. I giudici della Corte internazionale spiegano però al governo italiano che devono rispondere alle contestazioni sollevate contro l’Italia e che nessun procedimento nazionale può essere di ostacolo all’accertamento della Pre-Trial Chamber, chiamata ad accertare il motivo per il quale il governo non ha adempiuto alla consegna all’Aia del generale libico Almasri, accusato, con un mandato di cattura internazionale, di crimini contro l’umanità.
La Cpi aveva invitato il governo di Giorgia Meloni a fornire una memoria difensiva, entro marzo, motivando il perché non ha adempiuto alla richiesta della Corte, non solo sul fatto che non è stato trattenuto il ricercato, ma anche sulla mancata consegna del materiale che Almasri aveva con sé
Il governo, adesso, si è trincerato dietro al fatto che non può depositare la memoria difensiva perché è in corso il procedimento penale da parte del tribunale dei ministri che vede coinvolti la premier Giorgia Meloni, l’Autorità delegata alla sicurezza della Repubblica, Alfredo Mantovano, i ministri della Giustizia, Carlo Nordio, e dell’Interno, Matteo Piantedosi dopo un esposto dell’avvocato Luigi Li Gotti che aveva chiesto accertamenti per i presunti reati di favoreggiamento e peculato.
Una motivazione che ha fatto scattare i giudici della Chamber, i quali spiegano al governo nella loro decisione resa pubblica solo adesso che «la determinazione se uno Stato non abbia collaborato con la Corte internazionale è indipendente da qualsiasi procedimento nazionale, in particolare da quelli avviati dopo che la questione è all’esame della Chamber». E quindi per la Cpi: «Il procedimento davanti alla Corte non può essere condizionato da alcun procedimento nazionale».
Pur tuttavia, prendendo atto della volontà dell’Italia di impegnarsi in un ulteriore dialogo con la Corte, i giudici dell’Aia hanno dato una proroga fino al 22 aprile 2025, alle ore 16
Tutto parte da quando l’Italia non ha collaborato, e non ha cercato di interloquire con la Corte penale internazionale, prima di far tornare libero il torturatore libico. Per questo motivo è stata avviata all’Aia una procedura di condotta «inadempiente». Con l’avvio formale della procedura di accertamento la Cpi aveva impegnato l’esecutivo a consegnare una memoria entro trenta giorni che scadevano il 17 marzo.
Spiegazioni che devono essere valutate dalla Corte che sta procedendo per «accertamento di mancata cooperazione», e quindi valutare «se la questione debba essere deferita al Consiglio di sicurezza» dell’Onu.
(da agenzie)
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Aprile 5th, 2025 Riccardo Fucile
LA CASA BIANCA SOSTIENE CHE GLI SCAMBI COMMERCIALI CON
MOSCA SIANO IRRILEVANTI. MA RAGGIUNGONO COMUNQUE 3,5 MILIARDI, PIÙ DELLE ISOLE SVALBARD O DELL’ISOLETTA DI TOKELAU, CHE INVECE SONO NELL’ELENCO…
La Casa Bianca ha risposto alle critiche secondo cui il presidente Donald Trump
avrebbe deliberatamente escluso la Russia dalla nuova ondata di dazi globali annunciata mercoledì, suscitando interrogativi su un possibile trattamento di favore.
La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha dichiarato ad Axios che l’esclusione è stata una scelta voluta, spiegando che le sanzioni già in vigore contro Mosca “precludono qualsiasi scambio commerciale significativo.”
Tuttavia, questa spiegazione ha sollevato più domande di quante ne abbia risolte. Come ha fatto notare Sarah Rumpf di Mediaite, gli Stati Uniti commerciano ancora più con la Russia che con alcuni microstati e territori inclusi invece nella lista dei dazi. Axios, ad esempio, cita Tokelau (popolazione: 1.500) e Svalbard, l’avamposto artico della Norvegia (popolazione: 2.500).
Leavitt ha difeso la decisione osservando che anche Paesi come Cuba, Bielorussia e Corea del Nord sono stati esclusi per via delle restrizioni già estremamente severe a cui sono sottoposti.
«La Russia potrebbe comunque essere oggetto di ulteriori sanzioni pesanti», ha aggiunto — un riferimento alla crescente irritazione di Trump nei confronti del presidente russo Vladimir Putin per i progressi insoddisfacenti nei negoziati di pace sulla guerra in Ucraina.
In settimana, Trump ha dichiarato ai giornalisti di essere «molto irritato» con il leader del Cremlino per le sue ultime dichiarazioni sull’Ucraina, arrivando perfino a ipotizzare dazi secondari sul petrolio russo.
Ciononostante, l’impressione di risparmiare la Russia, nonostante minacce e retorica, alimenta la percezione — già diffusa — di un atteggiamento ambiguo da parte di Trump nei confronti di Mosca. Con il volume degli scambi commerciali tra Stati Uniti e Russia passato da 35 miliardi di dollari nel 2021 a soli 3,5 miliardi lo scorso anno, la Casa Bianca sostiene che non ci sia più molto da colpire.
Ma secondo i critici, si tratta piuttosto di una scelta politica calcolata.
(da agenzie)
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Aprile 5th, 2025 Riccardo Fucile
IL GUAIO È CHE APPLE, NONOSTANTE I TENTATIVI DI DIVERSIFICARE LA PRODUZIONE (EVIDENTEMENTE FALLITI), FABBRICA IL 90% DEI MELAFONINI IN CINA, PAESE CHE SOMMANDO VECCHIE E NUOVE TARIFFE È SOTTOPOSTO A DAZI DEL 54% … IERI LA SOCIETÀ, LA PIÙ CAPITALIZZATA DEL MONDO (3MILA MILIARDI) HA PERSO IL 9% IN BORSA
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha imposto una serie di dazi commerciali su larga scala a diversi Paesi del mondo […]. Secondo gli analisti, tra i beni di consumo più colpiti potrebbero esserci proprio gli iPhone, i cui prezzi potrebbero aumentare del 30% al 40% qualora l’azienda decidesse di scaricare i costi sui consumatori.
La maggior parte degli iPhone viene ancora prodotta in Cina, che è stata colpita da un dazio del 54%. Se tali tariffe dovessero rimanere in vigore, Apple si troverebbe di fronte a una scelta difficile: assorbire i costi aggiuntivi oppure aumentare i prezzi di vendita. Giovedì il titolo Apple ha chiuso in calo del 9,3%, registrando la peggior giornata dai tempi di marzo 2020.
Apple vende ogni anno oltre 220 milioni di iPhone, con mercati principali negli Stati Uniti, in Cina e in Europa.
Il modello base dell’iPhone 16 è stato lanciato negli Stati Uniti a un prezzo di 799 dollari, ma potrebbe arrivare a costare 1.142 dollari secondo le stime di Rosenblatt Securities, che prevede un aumento del 43% qualora Apple decidesse di trasferire l’intero sovrapprezzo agli utenti.
Un modello più costoso come l’iPhone 16 Pro Max, con schermo da 6,9 pollici e 1 terabyte di memoria, attualmente in vendita a 1.599 dollari, potrebbe salire a quasi 2.300 dollari in caso di rincaro analogo.
Durante il suo primo mandato, Trump aveva già imposto dazi su un’ampia gamma di importazioni dalla Cina per spingere le aziende americane a riportare la produzione negli Stati Uniti o, almeno, in Paesi più vicini come il Messico. All’epoca, Apple era riuscita a ottenere esenzioni per diversi prodotti. Questa volta, però, nessuna esenzione è stata concessa finora.
L’iPhone 16e, lanciato a febbraio come modello più economico per accedere alle nuove funzioni di intelligenza artificiale, parte da 599 dollari. Un aumento del 43% potrebbe portarlo a 856 dollari. Anche altri dispositivi Apple potrebbero subire rincari consistenti.
La domanda stagnante potrebbe dunque esercitare ulteriori pressioni sui margini di Apple, specialmente se i costi dovessero aumentare per effetto dei dazi. Angelo Zino, analista azionario di CFRA Research, ha affermato che Apple avrà grandi difficoltà a trasferire più del 5-10% dei costi sui consumatori.
«Ci aspettiamo che Apple rimandi qualsiasi aumento importante dei prezzi almeno fino all’autunno, quando è previsto il lancio dell’iPhone 17, come di consueto in occasione dei rincari pianificati», ha spiegato Zino.
Nonostante una parte della produzione sia stata spostata in Vietnam e India, la maggioranza degli iPhone viene ancora assemblata in Cina. Tuttavia, neanche questi Paesi sono stati risparmiati: al Vietnam è stato imposto un dazio del 46%, mentre per l’India si parla del 26%.
Secondo Neil Shah, co-fondatore di Counterpoint Research, Apple dovrebbe aumentare in media i prezzi di almeno il 30% per compensare l’impatto dei dazi.
Un simile aumento potrebbe raffreddare la domanda per l’iPhone, favorendo concorrenti come Samsung Electronics, il colosso sudcoreano che potrebbe approfittare della situazione per guadagnare quote di mercato.
(da agenzie)
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