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TRUMP STA DANDO IL COLPO MORTALE AL BIGLIETTO VERDE: LA VALUTA AMERICANA È IN CADUTA LIBERA E SI ATTESTA AI MINIMI DAL 2024, MENTRE L’EURO SALE A 1,1282 PORTANDOSI AI MASSIMI DAL 2022

Aprile 11th, 2025 Riccardo Fucile

L’ECONOMISTA BARRY EICHENGREEN: “IL DOLLARO SCONTA LE SCELTE CAOTICHE DELLA SUA PRESIDENZA. NON SI CAPISCE COSA VUOLE L’AMMINISTRAZIONE. HA DUE OBIETTIVI CHE CONFLIGGONO TRA DI LORO: RAFFORZARE IL DOLLARO COME MONETA DI RISERVA DEL MONDO O DEPREZZARLO. A UN CERTO PUNTO DOVRANNO SCEGLIERE”

Barry Eichengreen insegna a Berkeley ed è uno dei maggiori esperti di moneta al mondo. A Repubblica , il grande economista americano spiega quali sono stati gli effetti dei dazi sul dollaro e cosa rischierebbe l’Europa se l’America promuovesse massicciamente, come ha già annunciato, le stablecoin, monete private legate al dollaro.
Professore, i dazi di Trump hanno indebolito il dollaro. Normalmente dovrebbe accadere il contrario, ma probabilmente i mercati stanno scontando il rischio di una recessione e reagendo all’attuale fuga dai bond statunitensi. Che effetto fanno le politiche commerciali della Amministrazione americana sul biglietto verde?
«A dicembre ho scritto sul Financial Times che l’elezione di Trump avrebbe rafforzato il dollaro nel breve termine perché i mercati avrebbero reagito positivamente alle sue promesse del taglio delle tasse e di una deregulation finanziaria. Ma che nel lungo termine il dollaro avrebbe scontato le scelte caotiche della sua presidenza. Ed è esattamente ciò che sta accadendo».
Il Segretario al Tesoro Scott Bessent ha dichiarato che “faremo in modo che il dollaro resti la valuta di riserva dominante nel mondo e useremo le stablecoin per farlo”. Cosa vuol dire, anche per il settore bancario?
«Non si capisce. Bessent ha due obiettivi che configgono tra di loro: rafforzare il dollaro come moneta di riserva del mondo e deprezzarlo. A un certo punto dovrà scegliere. E da questo punto di vista le stablecoin mi sembrano un diversivo».
Perché Trump sta investendo così tanto sulle stablecoin?
«Personalmente credo che la sua famiglia pensa di poter fare rapidamente profitti grazie alle stablecoin – ed è già accaduto. Dal punto di vista delle sue policy ,perché dal settore delle valute cripto è arrivato e continua ad arrivargli un grande contributo finanziario».
Un euro digitale potrebbe essere una risposta?
«Un euro digitale sarebbe un modo, per le economie europee, di ridurre, almeno in parte, la loro dipendenza dal dollaro e dal sistema bancario americano sul fronte delle transazionicross-border ».
I piani di Trump sulle stablecoin sono una guerra delle valute?
«Secondo me si sbaglia a pensare che ci possa essere un qualsiasi metodo – o logica – dietro alle decisioni di Trump».
(da La Repubblica)

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MELONI RESTA IM-MOBILE: NON ANDRÀ AL SALONE DI MILANO PER EVITARE DI INCROCIARE ELLY SCHLEIN

Aprile 11th, 2025 Riccardo Fucile

IL “GIALLO” DELLA VISITA DELLA DUCETTA: IERI ALL’ORA DI PRANZO AVEVA ANNUNCIATO LA SUA PRESENZA ALLA FIERA DEL MOBILE, SALVO POI ANNULLARLA ALL’ORA DI CENA. COSA È SUCCESSO NEL GIRO DI QUALCHE ORA? LA SORA GIORGIA ERA PREVISTA OGGI TRA I PADIGLIONI ALLE 12.30, ELLY SCHLEIN DUE ORE DOPO

Alle 14 comunica che andrà, alle 20 ci ripensa. C’è un piccolo mistero dietro al forfait di Meloni al Salone del Mobile di Milano. La premier all’ora di pranzo ha annunciato ufficialmente la sua presenza alla fiera, salvo annullarla all’ora di cena.
Da Palazzo Chigi motivano questo strano cambio di programma con l’improvvisa esigenza di restare a Roma per preparare al meglio la missione del 17 aprile dal presidente americano Donald Trump.
C’è però una coincidenza che fa pensare a un’altra dinamica.
Meloni era prevista tra i padiglioni della Fiera alle 12.30, Elly Schlein sempre domani è attesa due ore dopo intorno alle 14.30. Possibile che la presenza quasi in contemporanea della leader dell’opposizione abbia spinto la premier a declinare l’invito?
Il Salone ieri è stato visitato da Giuseppe Conte, capo del M5s. E domani sarebbe toccato alle due donne della politica italiana. E con la possibilità per la stampa forse di misurare in diretta il rispettivo gradimento delle due leader.
E’ il secondo forfait che Meloni dà a Milano in un mese. A marzo ero toccato alla Settimana della moda. Anche in quel caso presenza annunciata, poi annullata.
(da agenzie)

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IL DRAGONE NON “BACIA IL CULO” A TRUMP: LA CINA ALZA I CONTRODAZI SULLE IMPORTAZIONI DEI BENI AMERICANI DALL’84 AL 125%. IL PRESIDENTE, XI JINPING: “NON ABBIAMO PAURA, NON CI SONO VINCITORI NELLE GUERRE COMMERCIALI”

Aprile 11th, 2025 Riccardo Fucile

PECHINO HA A DISPOSIZIONE MOLTE ARMI: DAI 760 MILIARDI DI DOLLARI IN TITOLI DI STATO A STELLE E STRISCE, ALLA SVALUTAZIONE DELLO YUAN (GIÀ PARTITA) FINO ALLO STOP ALLA VENDITA DI TERRE RARE, FONDAMENTALI PER L’INDUSTRIA TECH USA

La Cina ha rialzato i suoi controdazi sulle importazioni dei beni Usa dall’84% al 125%. Lo riferisce il ministero delle Finanze, precisando che le nuove misure entreranno in vigore il 12 aprile.
La Cina “non ha paura” della guerra dei dazi scatenata dagli Stati Uniti. Nelle prime dichiarazioni pubbliche, da quando è iniziata l’escalation con l’annuncio del 2 aprile scorso delle tariffe di Donald Trump, Xi Jinping ha scandito: “Non ci sono vincitori nelle guerre commerciali e andare contro il mondo porterà solo all’autoisolamento”.
Citato dall’emittente Cctv con al fianco il premier spagnolo Pedro Sanchez in visita a Pechino, il presidente cinese ha detto ancora: “Per oltre 70 anni lo sviluppo cinese si è basato sull’autosufficienza e sul duro lavoro,, mai sull’elemosina da parte di altri, e non ha paura di alcuna ingiusta repressione”. ”Indipendentemente da come cambierà l’ambiente esterno, la Cina rimarrà fiduciosa, concentrata e si concentrerà sulla gestione dei propri affari”, ha assicurato infine Xi
Chi si fermerà per primo? The Donald o Xi? Ciascuno pensa di avere gli strumenti per reggere il confronto meglio dell’avversario. L’amministrazione Trump guarda le cifre dei rapporti commerciali. La Cina vende agli Usa beni per 500 miliardi di dollari, pari al 15% del suo export totale. Gli Stati Uniti inviano merci per 143 miliardi di dollari, il 7,1% delle loro esportazioni.
Conclusione, vista da Washington: i cinesi non possono fare a meno del mercato americano, soprattutto ora che la loro economia sta rallentando. L’impatto dei dazi sarà disastroso, prima o poi dovranno piegarsi e accettare le condizioni dettate da Trump, a cominciare dalla riduzione del deficit commerciale. Ma questi numeri si possono anche rovesciare: l’import americano dipende per il 13% proprio dalla Cina.
A Pechino fanno grande affidamento sulle abitudini dei consumatori d’Oltreoceano. Molte aziende si sono già organizzate per aggirare le barriere doganali americane con una fitta rete di triangolazioni. Le sponde ideali sono il Centro e il Sud America. Nel complesso i cinesi controllano circa 40 porti, con basi molto attive in Brasile, Cile, Ecuador. Tutti Paesi tra i meno colpiti dalla furia daziaria di Trump, con importi mediamente intorno al 10%. Non sarà difficile per i cargo cinesi scaricare le merci nei loro scali sudamericani, rivestirle con un’etichetta di origine diversa e spedirle negli Usa.
In questi giorni l’amministrazione Trump sta osservando con attenzione anche le mosse della Banca centrale di Pechino. Ancora fino al 2019, la Cina possedeva il 17,3% del debito americano.
La percentuale è scesa drasticamente: 2,1%, cioè 768 miliardi su 36 mila miliardi. La leva per destabilizzare la finanza pubblica americana, per esempio con il mancato rinnovo della sottoscrizione dei titoli, è quindi molto più debole, anche se non del tutto azzerata.
Oggi, però, sembrano più allarmanti i movimenti dello yuan, che ieri ha raggiunto il cambio più basso rispetto al dollaro negli ultimi 17 anni.
La finanza di Wall Street teme che Xi Jinping possa sfoderare un’arma micidiale: una drastica svalutazione monetaria per dare sostegno all’export e ammortizzare l’impatto dei dazi Usa.
Il pericolo è che lo scontro commerciale si allarghi a una guerra economica totale, con una corsa al ribasso anche di altre monete. A quel punto si potrebbe innescare una pericolosa spirale che andrebbe a comprimere il valore della produzione, con possibili conseguenze su investimenti e salari. In una parola sulla crescita mondiale.
La manovra è rischiosa anche per la Cina: la svalutazione potrebbe, tra l’altro, accendere l’inflazione interna, perché i beni importati risulterebbero più cari e, inoltre, provocare una fuga disordinata di capitali dal Paese. Per questo motivo finora gli investitori internazionali consideravano questa ipotesi improbabile. Adesso non più.
Non basta. Nei giorni scorsi il governo ha imposto restrizioni all’export di alcuni minerali fondamentali per l’industria americana. Attenzione: la lista delle terre rare lavorate in Cina e vendute agli Usa è molto lunga.

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LO SCHIAFFO DELLA CORTE SUPREMA A TRUMP: “RIPORTI NEGLI USA IL CITTADINO SALVADOREGNO ESPULSO PER ERRORE”

Aprile 11th, 2025 Riccardo Fucile

IL GOVERNO COSTRETTO AD AMMETTERE L’ERRORE MA “IMPOSSIBILITATO” A FARLO TORNARE

È forse il caso più emblematico della politica dell’immigrazione del presidente Donald Trump. Kilmar Armando Abrego Garcia, cittadino salvadoregno sposato con una cittadina americana e padre di un bambino di cinque anni nato negli Stati Uniti, è stato deportato per errore in El Salvador il 15 marzo 2025.
Nonostante avesse ottenuto un provvedimento che vietava la sua espulsione verso il suo Paese d’origine. La Corte Suprema Usa ha ordinato all’amministrazione di facilitarne il ritorno negli Usa. Il governo deve «agevolare il rilascio di (Kilmar) Abrego Garcia dalla custodia in Salvador e garantire che il suo caso venga gestito come lo sarebbe stato se non fosse stato impropriamente trasferito a El Salvador», ha affermato la Corte, a maggioranza conservatrice.
Il governo Trump aveva ammesso l’errore ma si era detto impossibilitato a farlo tornare. L’amministrazione ha detto davanti al giudice di aver deportato Garcia a causa di un errore amministrativo. L’uomo, residente in Maryland, è ancora in un super carcere di El Salvador. L’accusa, non provata, nei suoi confronti è di far parte di gang criminali. I suo legali hanno presentato una denuncia con cui hanno chiesto di far tornare negli Stati Uniti Abrego Garcia. Nel 2019 l’uomo era stato accusato di far parte della gang criminale Ms-13, ma un giudice dell’immigrazione aveva considerato le accuse insufficienti per negargli il diritto d’asilo e per questo aveva sospeso un ordine di espulsione a tempo indeterminato.
L’arresto
Nonostante non avesse precedenti penali, Abrego Garcia era stato arrestato dagli agenti dell’ufficio immigrazione all’inizio di marzo, trasferito in un centro di detenzione in Texas e poi mandato a El Salvador il 15 marzo. Poi la giudice distrettuale Paula Xinis aveva preteso dal governo il rimpatrio. Ora la sentenza della Corte Suprema chiude i conti. La moglie lo aveva riconosciuto in un video shock che mostrava i prigionieri ammanettati, strattonati e inginocchiati per la rasatura dalle autorità salvadoregne. Garcia era su uno dei tre voli di deportazione del 15 marzo, decisi dal presidente americano invocando i poteri di guerra dell’Alien Enemies Act. Una mossa sospesa poi dai giudici.
La moglie e il figlio
Nel 2019, le autorità per l’immigrazione americane avevano concluso che fosse un membro della gang MS-13. Una decisione che l’uomo ha contestato duramente fino a che il tribunale ha deciso che non avrebbe dovuto essere deportato in Salvador, ritenendo che il suo timore di essere perseguitato o torturato fosse credibile. Da allora ha vissuto in Maryland con la moglie, cittadina americana, e il figlio.
(da Open)

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IL TURPILOQUIO COME METODO POLITICO

Aprile 11th, 2025 Riccardo Fucile

L’ARROGANZA E LA VOLGARITA’ ELEMENTI CHIAVE DEL SUO CONSENSO: CORRISPONDE ALLA IGNORANZA DI META’ DEGLI AMERICANI

Nel giorno dell’entrata in vigore dei dazi americani più aggressivi che hanno messo il mondo sotto sopra un Donald Trump senza freni riesce (di nuovo) a «rubare la scena» e distogliere per un attimo l’attenzione dal terremoto che ha causato. Con fare sprezzante e megalomane al tempo stesso, il presidente americano a una cena di
raccolta fondi per il suo partito offende i leader dei Paesi stranieri che – secondo lui – si stanno mettendo in coda per trattare e per tentare di far rimuovere i dazi. «Questi Paesi ci chiamano, mi baciano il cu, stanno morendo dal desiderio di fare un accordo».
Già lunedì scorso aveva riferito dei colloqui avuti nel weekend con leader stranieri in versione questuanti proni: «Dicono: “Per favore negoziate”. Ci offrono cose che non avremmo sognato di chiedere».
Ieri è tornato a fare di loro una caricatura irriverente, di mendicanti pronti a tutto pur di evitare i dazi, irridendoli, arrivando a fare loro il verso: «Per favore, per favore signore Per favore, per favore signore, fai un accordo. Farò qualunque cosa signore». Per poi concludere, con tono da peggior bar di Caracas: «Molti Paesi ci hanno fregato da destra e sinistra, e adesso è il nostro turno di fregarli, e renderemo il nostro Paese più forte».
Lo stesso verbo – «fregare» -usato qualche giorno fa quando aveva dichiarato che è «una follia» che gli Usa difendano i Paesi Nato e vengano «fregati» sul commercio. Tra i bersagli anche la storica alleata, l’Europa, aveva chiarito: «L’Europa ha fatto fortuna alle nostre spalle. Ora vogliono parlare, ma non c’è niente da dire a meno che non ci paghino un sacco di soldi».
Ma il presidente ha preso di mira anche chi nel partito in questi giorni ha espresso timori per le ricadute della nuova svolta protezionistica: «Vinceremo le elezioni di midterm e avremo un’enorme vittoria a valanga, ne sono certo» ha vaticinato puntando poi il dito contro il piccolo gruppo di repubblicani che sostengono al Congresso un’iniziativa bipartisan per una legge che permetterebbe di far scadere dopo 40 giorni i dazi: «Vedo alcuni repubblicani ribelli, dei tizi che vogliono mettersi in mostra e dicono “crediamo che il Congresso debba fare i negoziati”, ma lasciatemi dire voi non negoziate come negozio io», si è incensato Trump martedì sera, incurante della separazione dei poteri su cui si regge la democrazia.
Queste sono soltanto le ultime uscite di un presidente che ha fatto della provocazione e della volgarità gli elementi chiave della sua leadership e del suo consenso: perché l’insulto, la semplificazione estrema e il rifiuto del linguaggio istituzionale sono elementi strutturali di un modello comunicativo anti sistema, che rompe deliberatamente con il decoro e le convenzioni del linguaggio politico tradizionale.
Non stupisce che a questo modello attingano anche i suoi stretti collaboratori, come dimostra lo scontro sui dazi a suon di insulti tra Elon Musk (anti tariffe) e Peter Navarro (protezionista radicale). In mondovisione su X (mica in privato) il «Doge» ha attaccato il consigliere al commercio del presidente definendolo «un vero
cretino». E ha poi ribadito, rincarando la dose: «È più stupido di un sacco di mattoni».
L’affondo del miliardario è la risposta – a dir poco scomposta – alle parole di Navarro che, nel corso di un’intervista a Cnbc, per screditare la posizione sui dazi del patron di Tesla lo aveva definito «un produttore di auto. Anzi un assemblatore di auto». Parole troppo denigratorie per un narcisista come Musk che non poteva che ribattere alzando l’asticella dell’improperio.
Il Doge non è l’unico tra i sostenitori del presidente a essere preoccupato: un numero crescente di voci influenti all’interno del partito repubblicano si è unito agli oppositori dem e ai leader stranieri nell’attaccare i dazi. A loro Trump si è rivolto via social con uno slogan a dir poco irrispettoso e «impreziosito» da un neologismo: «Non essere un PANICAN (il nuovo partito dei deboli e degli stupidi)!» ha scritto in un post che trasuda tutto il suo fastidio per il dissenso interno. Panican, crasi tra «panic» e «republican».
«Panican» (alias cagasotto) sembra un termine destinato a unirsi al pantheon di altri insulti «famosi» firmati da Trump come Sleepy Joe e Crooked Hillary. La deputata repubblicana Marjorie Taylor Greene è stata una delle prime a rilanciarlo diligentemente su Truth: «I panicani sono dei perdenti e dei falliti! Non essere un panicano!» ha scritto Greene. L’account di un finto deputato repubblicano punta sull’ironia: « Oh, perbacco – ha scritto su X tale Jack Kimble – Quando ho sentito che Trump ha creato la nuova parola panican ho pensato che significasse che oggi avremmo invaso Panama e il Canada!».
Al di là degli insulti, anche la ricostruzione di negoziati internazionali ricalca la chiacchiera da bar e da social, sintomo delle trasformazioni profonde che hanno investito il modo in cui il potere viene esercitato e percepito. Domenica sera Trump ha spiegato così la trattativa sulla vendita di TikTok e la marcia indietro di Pechino: «Eravamo vicini, poi la Cina ha cambiato l’accordo. Ma se faccio un piccolo taglio ai dazi, lo approveranno in 15 minuti, il che vi mostra il potere dei dazi, no?».
(da corriere.it)

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AMERICANI IN VIA DI SVILUPPO

Aprile 11th, 2025 Riccardo Fucile

SI ACCETTANO AMERICANI SOLO SE ACCOMPAGNATI DA UN ADULTO

Un vecchio amico mi racconta di avere visto, sulla soglia di un bacaro (osteria) a Venezia, questo cartello: “Si accettano americani solo se accompagnati da un adulto”. È un piccolo trattato di sociologia del turismo, sicuramente ispirato da molteplici e poco liete esperienze dell’oste. Per giunta è una frase piena di humour, che dei mali della vita è uno dei linimenti più efficaci.
Sospenderei dunque eventuali critiche sul rischio di etno shaming che quel cartello corre, accorpando gli americani, che sono tanti e differenti, in una sola risma di bambinoni invadenti e fuori controllo. Ne applaudirei, piuttosto, la capacità di trattare con alta ironia la figura, oggi non solo ingombrante, anche piuttosto spaventosa, dell’americano infantile e smisurato, immaturo e invadente, mai adulto e dunque incapace di limiti.
La vecchia polemica sull’antiamericanismo rischia di essere molto riduttiva, perché è una polemica politica. Si tratta qui, invece, di valutazioni antropologiche. Della percezione di una esagerata presenza nel mondo e di una volontà di potenza che eccedono, e di molto, le capacità di controllo di chi ne è portatore.
Che Trump e Musk, per fare i due esempi più tristemente attuali, non siano adulti, non nel linguaggio, non nei comportamenti, non nella maniera di rapportarsi con il mondo, è evidente. Se entrassero in quel bacaro dovrebbero uscirne tutti gli altri clienti, per quanto insopportabile sarebbe la convivenza con due tàngheri del genere. Come metterli sotto controllo è un problema enorme, e con diverse sfumature è un problema che riguarda gli esseri umani adulti di tutto il pianeta.
(da repubblica.it)

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L’OMBRA DI MUSK SUL VIAGGIO DI MELONI DA TRUMP. IL GELO TRA I DUE AMICI

Aprile 11th, 2025 Riccardo Fucile

IL DOSSIER SATELLITI DIVIDE ELON E GIORGIA… TENSIONI SUL DDL SPAZIO

Incognita Musk. Sullo sfondo della missione in America di Giorgia Meloni da Donald Trump si staglia il ruolo del miliardario sudafricano. La cautela della premier e di Fratelli d’Italia sull’utilizzo della tecnologia satellitare Starlink sembra aver segnato una distanza fra Elon e Giorgia. E non ci sono solo i tweet di Andrea Stroppa, referente del Doge in Italia, a certificarlo. Sarà un caso, certo, ma su X per esempio Musk e Stroppa hanno smesso di magnificare la presidente del Consiglio. Il loro referente ormai è Matteo Salvini l’unico che ancora spinge per Starlink. Al punto che ha chiesto al presidente della commissione Difesa della Camera Nino Minardo di presidiare il campo dello spazio per arrivare a dimostrare che l’unica società veramente competitiva è quella di Musk.
Il ddl Spazio ha scavato un fossato nella maggioranza fra Musk e Meloni. Il disegno di legge ora in Senato continua a essere “attenzionato” dalla maggioranza. Il senatore Roberto Rosso di Forza Italia ha depositato un emendamento per “l’utilizzo delle operazioni nella stratosfera, comprendenti l’utilizzo di piattaforme stratosferiche quali Haps e palloni sonda”. Un emendamento considerato ostile e provocatorio dalla Lega sempre più punto di riferimento di Musk in Italia. Un feeling suggellato dall’intervento del magnate al congresso del Carroccio dello scorso weekend. Quello da dove è partito il nuovo assalto al Viminale da parte di Salvini, ipotesi caldeggiata nelle settimane scorse su X proprio da Stroppa. Lo stesso che non lesina critiche al ministro Adolfo Urso di Fratelli d’Italia, al lavoro per cercare un’alternativa a Starlink. Volgendo lo sguardo verso Eutelsat, azienda concorrente tenuta in considerazione da buona parte di Fratelli d’Italia compreso il ministro Guido Crosetto. Eutelsat in Italia è supportata da Telespazio, una società controllata per circa il 70 per cento da Leonardo e per il 30 dalla francese Thales. Da giorni l’ad di Leonardo Roberto Cingolani è finito nel mirino di Salvini tanto che lo scienziato ha chiesto ufficialmente un incontro al vicepremier leghista: parleranno anche di satelliti o solo delle future nomine dell’azienda
Sullo sfondo resta Musk entrato in rotta di collisione per via dei dazi con Trump in America e in Italia “deluso” da Meloni, almeno secondo gli sfoghi di Stroppa con
diversi leghisti. Qualcosa sembra essersi rotto da quando lo scorso settembre il patron di Tesla premiò a New York la presidente del Consiglio durante la cerimonia del Global Citizen Awards dell’Atlantic Council con queste parole: “E’ onesta, vera autentica”.
E Salvini, lesto, ha colto al volo l’occasione andando a riempire uno spazio, in tutti i sensi, diventando il paladino italiano dell’operazione Starlink, arrivando ad auspicare addirittura un incontro fra il capo dello stato e il magnate dell’alta tecnologia. Un attivismo ricompensato dall’intervento di Musk al congresso della Lega e anche dal colloquio telefonico con il vicepresidente Vance, fatto politico non banale annunciato ore prima da Stroppa sempre su X. Il fastidio a Palazzo Chigi nei confronti del referente italiano del Doge è ormai un fatto noto, c’è da capire quanto si riverberi sul rapporto personale fra Giorgia ed Elon.
Nell’entourage della premier c’è chi sostiene – ma sono voci che vanno prese con le molle – che la missione del 17 aprile alla Casa Bianca sia stata sbloccata in concomitanza con lo scontro fra Trump e Musk sui dazi. In molti in America scommettono su una rottura tra i due, in molti a Roma sono pronti a scommettere che in quel caso Meloni non avrebbe dubbi su come posizionarsi. Ma sono scenari lontani che in Italia si percepiscono sfocati. Qui la partita è quella dei satelliti. E Salvini si è schierato, facendolo sapere, con Starlink, al contrario appunto di Fratelli d’Italia e Forza Italia molto più guardinghi e aperti ad altre soluzioni anche se forse meno competitive. Tuttavia la soluzione è in evoluzione e il ddl Spazio servirà a misurare la temperatura della maggioranza nei confronti di Starlink, dopo le accuse di Stroppa a Fratelli d’Italia durante il primo via libera alla Camera. C’è chi si domanda in queste ore se a margine della visita del 17 Meloni incontrerà l’amico geniale e se lui vorrà vederla. La capacità della presidente del Consiglio di costruire rapporti diretti con le persone è una specialità della casa, dunque tutto potrebbe succedere. Così come un invito della premier alle opposizioni prima di partire per la missione. Lo chiede ufficialmente Carlo Calenda leader di Azione. Da Palazzo Chigi rispondono che al “momento non ci risulta”. Non chiudendo del tutto la porta. Intanto ieri sera a sorpresa ha annullato la visita di oggi al Salone del Mobile a Milano, il secondo forfait in un mese dopo quello alla settimana della moda.
(da il Foglio)

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NORDIO: “L’AUMENTO DEI DETENUTI NON E’ COLPA DEL GOVERNO, MA DELLA MAGISTRATURA CHE LI METTE IN CARCERE”. QUINDI BASTA LIBERARE TUTTI E IL PROBLEMA E’ RISOLTO, MA CHE BELLA IDEA

Aprile 11th, 2025 Riccardo Fucile

E ALLORA PERCHE’ IN DUE ANNI IL GOVERNO HA INTRODOTTO QUASI 50 NUOVI REATI E SVARIANTI AUMENTI DI PENA?… DOMANDA: IN QUALE PAESE EUROPEO UN MINISTRO DELLA GIUSTIZIA SAREBBE ANCORA AL SUO POSTO DOVE AVER DETTO UNA CAZZATE DEL GENERE?

«Se aumenta il numero dei carcerati non è colpa del Governo, ma di chi commette dei reati e della magistratura che li mette in prigione». A dirlo è il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, rispondendo al question time al Senato. «Anche perché – continua – non mi risulta che siano stati imprigionati in base a nuove leggi promulgate da questo Parlamento».
Eppure, in due anni il governo Meloni – uno degli esecutivi recenti più attivi nell’allungare il codice penale – ha introdotto quasi 50 nuovi reati e svariati aumenti di pena per un totale di 417 anni di carcere in più nel nostro ordinamento, scriveva il Foglio a ottobre.
Altri saranno, inoltre, in arrivo con l’imminente entrata in vigore del decreto Sicurezza. Per citare qualche dato, la popolazione detenuta – stando all’ultimo rapporto di Antigone – ha raggiunto le 62.153 unità al 16 dicembre 2024, a fronte di una capienza effettiva di circa 47.000 posti. Questo porta il tasso di sovraffollamento al 132,6%, con picchi critici in istituti come San Vittore a Milano (225%) e Brescia Canton Mombello (205%).
Sovraffollamento che incide anche sul numero elevato di suicidi in carcere, che nel 2024 sono stati 91.
«È vero che il numero è aumentato – afferma Nordio -, però se adesso sono 80, era intollerabile anche quando erano 50 o 60, dieci anni fa. Certamente, più aumenta il numero e più aumenta il nostro fardello di dolore e la nostra preoccupazione, ma è anche vero che è un fenomeno che evidentemente è radicato nel sistema carcerario e che non può essere risolto né con una legge né con l’aumento dell’edilizia carceraria», sottolinea il ministro del governo Meloni. «Probabilmente – prosegue – va risolto con tutta una rimodulazione di un sistema penitenziario che però richiede una rimodulazione dell’intero codice penale; non è una cosa che si possa fare oggi».
«Vicario al Dap? L’hanno fatto anche altri ministri»
Per quanto riguarda, invece, la poltrona del nuovo capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, vacante da tre mesi, Nordio spiega come «ai sensi della legge, il capo del Dap» sia «nominato con decreto del presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del ministero della Giustizia. Spetta quindi al ministro proporre al Consiglio dei ministri la nomina del capo del Dap, non certamente al sottosegretario. Giovanni Russo si è dimesso per ricoprire un incarico internazionale per il quale aveva manifestato interesse. Non c’è nulla di strano, è fisiologico – afferma -. Durante i trascorsi mesi il posto di Russo è stato occupato dalla vice Lina Di Domenico che ha messo in campo molteplici interventi. In passato affidamenti analoghi ai vicari sono stati fatti dai miei predecessori Piero Fassino, Andrea Orlando e Marta Cartabia: non c’è niente di nuovo sotto il sole». La nomina, comunque, assicura il ministro, «sarà abbastanza imminente».
«Case occupate? Non stupiscono con Salis all’Europarlamento»
Interpellato poi sul fenomeno dell’occupazione abusiva delle case, Nordio sottolinea: «Si tratta di un fenomeno doloroso in un Paese civile, tenendo conto che la casa è spesso acquistata con sacrifici e a un certo punto uno va a fare la spesa o in vacanza, torna e la trova occupata – afferma -. È un reato permanente di violazione di domicilio e la magistratura avrebbe avuto il dovere di evitare che venisse portato a conseguenze ulteriori. Ma non mi stupisco, perché al Parlamento europeo è stato spedito chi ha detto che è legittimo occupare le case, cioè è legittimo violare la legge», conclude il ministro riferendosi all’europarlamentare Ilaria Salis, attivista per il diritto alla casa. «La situazione – osserva – non è normale e per questo abbiamo cercato di porvi rimedio con il decreto dell’altro giorno che introduce un nuovo reato e aumenta l’efficienza delle procedure».
Peccato che Nordio non abbia detto che le case “occupabili” cui si riferiva la Salis fossero quelle vuote e lasciate in abbandono dallo Stato, non quelle abitate da un inquilino che era in vacanza. Concetto semplice: se ci fossero case popolari per tutti , non ci sarebbero occupazioni
(da agenzie)

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“LA PAURA C’È, NON SI PUÒ NEGARE. MA NON DEVE TRASPARIRE. AI CRIMINALI NON DEVI FARGLI CAPIRE NULLA” – LA DIFFICILE VITA DI UN POLIZIOTTO SOTTO COPERTURA

Aprile 11th, 2025 Riccardo Fucile

“AVERE UNA FAMIGLIA? IMPOSSIBILE. NEMMENO UNA FIDANZATA. MOGLIE E FIGLI POSSONO PORTARE A PENSARE AD ALTRO. E QUESTO OVVIAMENTE NON VA BENE PERCHÉ DURANTE LE OPERAZIONI SI RISCHIA LA VITA”

Vivere con la paura addosso di essere scoperti. Senza potersi permettere il lusso di una propria vita. Indossando una maschera e sperando di farla franca. Poi, quando tutto è finito e i buoni trionfano, nemmeno la soddisfazione di poterlo raccontare agli amici, perché nessuno deve sapere chi sei veramente.
È la straniante realtà degli agenti “undercover”, quelli che si infiltrano nelle organizzazioni criminali. Un gruppo selezionatissimo di cui si parla il meno possibile. E così, nel giorno in cui a Roma in piazza del Popolo la Polizia festeggia il 173° anniversario della fondazione, quando i loro colleghi sfilano con orgoglio, gli “undercover” possono solo incassare la stretta di mano dei pochi dirigenti che conoscono le segrete cose.
Agente Mario, cominciamo dall’inizio. Da quand’è in polizia e com’è finito a fare operazioni sotto copertura?
«Vesto la divisa da 13 anni e da 8 opero come “undercover”. Ho superato una selezione alla Direzione centrale antidroga, poi ho fatto un corso di formazione, e ho iniziato. Dapprima cose semplici, tipo infiltrarsi in una piccola piazza di spaccio.
Poi operazioni sempre più complicate. È come tutte le cose nella vita: si impara un passo alla volta, studiando molto, e ragionando sugli errori. Ci vuole comunque una buona palestra. Non è un mestiere che si improvvisa».
Non le è mai capitato di improvvisare?
«Certo. Capita sempre il momento in cui devi inventarti qualcosa. Ma la cosa funziona se è un buon mix. Molto studio che precede ogni operazione; del target devi sapere il più possibile e ci sono mesi di preparazione prima di iniziare. Poi la “leggenda”, cioè la figura che vai ad impersonare e che dev’essere credibile per gli interlocutori. Infine la squadra che ti copre le spalle».
Otto anni di operazioni sotto copertura. La maschera cambia oppure è sempre la stessa?
«La “leggenda” deve essere quella giusta, perciò raramente si cambia. Si parte dalla realtà, poi, man mano, anche in base alle esperienze pregresse, si costruisce meglio il personaggio. Il personaggio non va mai completamente stravolto. Se fosse necessario, in quel caso bisogna rifletterci bene perché ogni personaggio che si crea, andando ad affrontare un nuovo target, deve reggere al 150 per cento».
Mario, lei ha una famiglia?
«Impossibile. Nemmeno una fidanzata. È importante essere del tutto liberi perché durante un’attività sotto copertura la testa dev’essere completamente sgombra. È fondamentale. Immagino uno come me che ha dei bambini e una moglie… Non si può fare. Può portare, magari proprio in quel momento, a pensare ad altro. E questo ovviamente non va bene perché si rischia la vita».
Qual è “quel momento” a cui accenna?
«In una attività così speciale come quella sotto copertura, ogni singola fase è delicata, ma soprattutto lo è la fase iniziale, la più delicata e importante, perché lì si crea il rapporto fiduciario con il target. I criminali fanno quel che fanno per mestiere. Io ovviamente no, sono un agente di polizia. Indosso una maschera. E il personaggio lo devo interpretare per qualche mese. Se non sei bravo, quelli si accorgono che davanti hanno un falso, cioè un poliziotto. Quindi, tornando alla domanda della famiglia, io non ho vincoli e anche per questo motivo reggo ancora dopo 8 anni di attività. Dopodiché, se a un certo punto subentra la legittima voglia di avere una vita privata, l’undercover non si può fare più. Bisogna fare un passo indietro».
Parliamo della paura, compagna di viaggio?
«C’è, non si può negare. Soprattutto le prime volte. Ma non deve trasparire. A quelli non devi fargli capire nulla. Il tuo viso, gli occhi, le mani… Devi essere quanto più naturale possibile. È per questo motivo che la base di un personaggio è sempre la stessa. Non devi recitare troppo».
Di tutto questo non puoi parlare con nessuno. E tra voi agenti che operate sotto copertura?
«Sì, oltre lo psicologo che ci segue, facciamo dei seminari tra “undercover”. È il momento di tirare fuori tutto».
Anche degli imprevisti?
«Anche. L’imprevisto ogni tanto ci può essere. Chessò, a quelli dici dove abiti, e allora, siccome sospettano, ti entrano in casa o nella stanza di albergo. Vengono a controllarti. Te ne accorgi quando rientri, ma se sei consapevole di ciò che hai fatto, e l’hai fatto bene, vai avanti. Però, certo, quella notte non dormi».
Tutti penseranno: ma chi glielo fa fare?
«Per passione. È una soddisfazione professionale senza pari. E mi accorgo che quando resto fuori troppo tempo, l’attività sotto copertura mi manca».
(da “la Stampa”)

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