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SCORTE, POSTI IN PIU’, PRETESE ASSURDE: I CAPI DI STATO E DI GOVERNO PRESENTI AL FUNERALE DI PAPA FRANCESCO HANNO ASSILLATO IL CERIMONIALE DELLA SANTA SEDE MA SONO STATI TUTTI RIMBALZATI GRAZIE ALLE FERREE REGOLE DEL PROTOCOLLO

Aprile 26th, 2025 Riccardo Fucile

TUTTI HANNO DOVUTO RINUNCIARE ALLA SCORTA: IN BASILICA LA SICUREZZA È GESTITA DALLA GENDARMERIA VATICANA. C’È CHI HA VOLUTO DELUCIDAZIONI SUL DRESS CODE

C’è chi avrebbe voluto esserci, ma non era previsto. Chi sarebbe voluto entrare in basilica con la scorta e chi voleva varcare i cancelli con il consueto maxi-corteo di van
Giornate da incubo per gli addetti al cerimoniale della Santa Sede, quelle che hanno preceduto stamane. Alla complessità organizzativa della cerimonia di esequie di un Papa, che già non ha eguali, se ne sono aggiunte altre dovute alle modalità di svolgimento dei funerali, con il corteo funebre in uscita fino alla Basilica di Santa Maria Maggiore e la data che cade in un periodo di grande afflusso turistico.
Spazio per accontentare richieste, dunque, pressoché zero. L’arma per fronteggiarle? Il protocollo. Per quanti invece chiedevano posti nelle prime file, la risposta era la solita: «Siederà nella posizione prevista dal protocollo». Con grande gentilezza, ma con l’approccio che in diplomazia chiamano «franco» e in Vaticano «nitido». Un linguaggio che seda anche le personalità più incontenibili.
La battuta sussurrata nelle cancellerie venne pronunciata da un ministro della difesa inglese e riferita, al tempo, dall’attuale presidente del Senato, Ignazio La Russa: «Puoi cercare di discutere persino con i terroristi, ma con il cerimoniale vaticano è inutile, bisogna adeguarsi».
Sarebbe andata così anche stavolta. In Vaticano assicurano che non sono stati negati posti a politici o familiari e che «le delegazioni allargate siederanno in aree dedicate».
Ma i potenti hanno dovuto limitare le pretese. Trump e il premier francese Emmanuel Macron, ad esempio, rinunceranno a una parte del lungo corteo di auto. Non potranno essere «decine» a varcare la porta del Perugino.
Tutti hanno dovuto rinunciare alla scorta: in Basilica la sicurezza è gestita dalla gendarmeria vaticana. C’è chi ha voluto delucidazioni sul dress code: «Abito scuro e cravatta scura». Può essere nero, ma anche grigio scuro o blu (non elettrico). Nere o scure le scarpe: da evitare le sneaker. Nessun obbligo di velo in testa. Non ammessa alcuna deroga all’obbligo di essere al proprio posto per tutta la cerimonia, fino all’uscita del feretro seguito dalle autorità ecclesiastiche
(da Corriere della Sera)

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LA CONTRO-PROPOSTA DI ZELENSKY PER LA PACE IN UCRAINA: SECONDO IL “NEW YORK TIMES”, NEL TESTO CI SAREBBERO DEI MARGINI PER UN COMPROMESSO CON MOSCA, VISTO CHE NON SI FA MENZIONE DELLA COMPLETA RICONQUISTA DEL TERRITORIO OCCUPATO DALLA RUSSIA NÉ DELL’ADESIONE DI KIEV ALLA NATO, DUE QUESTIONI A LUNGO DICHIARATE NON NEGOZIABILI

Aprile 26th, 2025 Riccardo Fucile

ALCUNI DEI PUNTI PROPOSTI DA ZELENSKY: NESSUNA RESTRIZIONE ALLE DIMENSIONI DELL’ESERCITO DI KIEV, UN CONTINGENTE DI SICUREZZA EUROPEO” SOSTENUTO DAGLI USA E RIPARAZIONE DEI DANNI DI GUERRA

In risposta a una proposta della Casa Bianca per porre fine alla guerra in Ucraina, la leadership ucraina ha elaborato una controfferta, che per certi versi contraddice le richieste di Trump ma lascia anche spazio a possibili compromessi su questioni che da tempo sembrano irrisolvibili.
Secondo il piano, ottenuto dal New York Times, non ci sarebbero restrizioni alle dimensioni dell’esercito di Kiev, “un contingente di sicurezza europeo” sostenuto dagli Usa verrebbe schierato sul territorio ucraino per garantire la sicurezza e i beni russi congelati verrebbero usati per riparare i danni di guerra in Ucraina.
Queste tre disposizioni potrebbero essere inapplicabili per il Cremlino, ma alcune parti del piano ucraino – secondo il Nyt – suggeriscono la ricerca di un terreno comune. Non si fa menzione, ad esempio, della completa riconquista da parte dell’Ucraina di tutto il territorio conquistato dalla Russia o dell’insistenza sull’adesione di Kiev alla Nato, due questioni che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha a lungo dichiarato non negoziabili.
(da agenzie)

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IL CARDINALE GIOVANNI BATTISTA RE MENA BASTONATE AI SOVRANISTI: L’OMELIA “POLITICA” DEL DECANO AL FUNERALE DI PAPA FRANCESCO

Aprile 26th, 2025 Riccardo Fucile

“È SIGNIFICATIVO CHE IL PRIMO VIAGGIO DI BERGOGLIO SIA STATO QUELLO A LAMPEDUSA, ISOLA SIMBOLO DEL DRAMMA DELL’EMIGRAZIONE CON MIGLIAIA DI PERSONE ANNEGATE IN MARE. NELLA STESSA LINEA È STATA LA CELEBRAZIONE DI UNA MESSA AL CONFINE TRA IL MESSICO E GLI STATI UNITI, IN OCCASIONE DEL SUO VIAGGIO IN MESSICO” (CAPITO MELONI E TRUMP?)

“È significativo che il primo viaggio di Papa Francesco sia stato quello a Lampedusa, isola simbolo del dramma dell’emigrazione con migliaia di persone annegate in mare”, ha detto il cardinale decano Giovanni Battista Re nell’omelia della messa esequiale per Papa Francesco. “Nella stessa linea – ha proseguito – è stato anche il viaggio a Lesbo, insieme con il Patriarca Ecumenico e con l’Arcivescovo di Atene, come pure la celebrazione di una Messa al confine tra il Messico e gli Stati Uniti, in occasione del suo viaggio in Messico”.
“Dei suoi 47 faticosi Viaggi Apostolici resterà nella storia in modo particolare quello in Iraq nel 2021, compiuto sfidando ogni rischio”, ha sottolineato il cardinale decano. “Quella difficile Visita Apostolica è stata un balsamo sulle ferite aperte della popolazione irachena, che tanto aveva sofferto per l’opera disumana dell’Isis. È stato questo un Viaggio importante anche per il dialogo interreligioso, un’altra dimensione rilevante della sua opera pastorale – ha aggiunto il card. Re -. Con la Visita Apostolica del 2024 a quattro Nazioni dell’Asia-Oceania, il Papa ha raggiunto ‘la periferia più periferica del mondo'”.
“Papa Francesco ha realmente condiviso le ansie, le sofferenze e le speranze del nostro tempo della globalizzazione, e si è donato nel confortare e incoraggiare con un messaggio capace di raggiungere il cuore delle persone in modo diretto e immediato. Il suo carisma dell’accoglienza e dell’ascolto, unito ad un modo di comportarsi proprio della sensibilità del giorno d’oggi, ha toccato i cuori, cercando di risvegliare le energie morali e spirituali”, ha osservato ancora il cardinale decano Giovanni Battista Re nell’omelia.
“Il primato dell’evangelizzazione è stato la guida del suo Pontificato, diffondendo, con una chiara impronta missionaria, la gioia del Vangelo, che è stata il titolo della sua prima Esortazione Apostolica Evangelii gaudium”, ha sottolineato.
Secondo Re, “filo conduttore della sua missione è stata anche la convinzione che la Chiesa è una casa per tutti; una casa dalle porte sempre aperte”. “Ha più volte fatto ricorso all’immagine della Chiesa come ‘ospedale da campo’ dopo una battaglia in cui vi sono stati molti feriti – ha ricordato -; una Chiesa desiderosa di prendersi cura con determinazione dei problemi delle persone e dei grandi affanni che lacerano il mondo contemporaneo; una Chiesa capace di chinarsi su ogni uomo, al di là di ogni credo o condizione, curandone le ferite. Innumerevoli sono i suoi gesti e le sue esortazioni in favore dei rifugiati e dei profughi. Costante è stata anche l’insistenza nell’operare a favore dei poveri”.
Papa Francesco nel corso del suo Pontificato ha realizzato innumerevoli gesti ed esortazioni “in favore dei rifugiati e dei profughi. Significativo che il primo viaggio di Papa Francesco sia stato quello a Lampedusa, isola simbolo del dramma dell’emigrazione con migliaia di persone annegate in mare. Nella stessa linea è stato anche il viaggio a Lesbo, insieme con il Patriarca Ecumenico e con l’Arcivescovo di Atene”.
“Quando il card. Bergoglio, il 13 marzo del 2013, fu eletto dal Conclave a succedere a Papa Benedetto XVI, aveva alle spalle gli anni di vita religiosa nella Compagnia di Gesù e soprattutto era arricchito dall’esperienza di 21 anni di ministero pastorale nell’Arcidiocesi di Buenos Aires, prima come Ausiliare, poi come Coadiutore e in seguito come Arcivescovo”, ha detto il cardinale decano Giovanni Battista Re nell’omelia della messa esequiale per Papa Francesco. “La decisione di prendere il nome Francesco apparve subito come la scelta di un programma e di uno stile su cui egli voleva impostare il suo Pontificato, cercando di ispirarsi allo spirito di San Francesco d’Assisi”, ha aggiunto.
“Nonostante la sua finale fragilità e sofferenza, Papa Francesco ha scelto di percorrere questa via di donazione fino all’ultimo giorno della sua vita terrena.
Egli ha seguito le orme del suo Signore, il buon Pastore, che ha amato le sue pecore fino a dare per loro la sua stessa vita. E lo ha fatto con forza e serenità, vicino al suo gregge, la Chiesa di Dio”. Lo ha detto il cardinale decano Giovanni Battista Re nell’omelia della messa esequiale per Papa Francesco.
“Di fronte all’infuriare delle tante guerre di questi anni, con orrori disumani e con innumerevoli morti e distruzioni, Papa Francesco ha incessantemente elevata la sua voce implorando la pace e invitando alla ragionevolezza, all’onesta trattativa per trovare le soluzioni possibili, perché la guerra – diceva – è solo morte di persone, distruzioni di case, ospedali e scuole. La guerra lascia sempre, è una sua espressione, il mondo peggiore di come era precedentemente: essa è per tutti sempre una dolorosa e tragica sconfitta”. Lo ha affermato il cardinale decano Giovanni Battista Re nell’omelia della messa esequiale per Papa Francesco, applaudito dai fedeli. “‘Costruire ponti e non muri’ è un’esortazione che egli ha più volte ripetuto e il servizio di fede come Successore dell’Apostolo Pietro è stato sempre congiunto al servizio dell’uomo in tutte le sue dimensioni”, ha aggiunto.
(da agenzie)

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QUEL CIALTRONE DI PETE HEGSETH HA APERTO UNA FALLA ENORME NELLA SICUREZZA NAZIONALE AMERICANA: NUOVI GUAI PER LO SVALVOLATO CAPO DEL PENTAGONO

Aprile 26th, 2025 Riccardo Fucile

IL SUO NUMERO DI TELEFONO E’ STATO TROVATO SU SOCIAL, SITI DI FANTACALCIO E DI SCOMMESSE SPORTIVE … PER L’EX DIRETTORE DEL CONTROSPIONAGGIO AMERICANO, MIKE CASEY, “CI SONO ZERO POSSIBILITÀ CHE QUALCUNO NON ABBIA CERCATO DI INSTALLARE UN SOFTWARE SPIA SUL SUO TELEFONINO”

Il segretario alla Difesa Pete Hegseth era la porta d’accesso al Pentagono per gli hacker di tutto il mondo. Non bastava aver svelato su una piattaforma non protetta notizie riservate su un attacco militare in Yemen, e neanche aver passato a moglie, fratello e al proprio avvocato piani che un generale gli aveva
inviato su una linea segreta.
Il numero del suo cellulare personale, secondo il New York Times , era sui social, a disposizione dei pirati informatici. È stato trovato su Whatsapp, Facebook, Microsoft Teams, Airbnb, su un sito di fantacalcio e uno di scommesse sportive, dove l’ex conduttore televisivo si era registrato come “PeteHegseth”.
Quel numero è diventato lo stesso utilizzato dal capo del Pentagono per accedere alla piattaforma online Signal, sulla quale ha condiviso con due gruppi informazioni riservate su operazioni militari. La piattaforma non era tra quelle autorizzate dall’intelligence. Nessuno al Pentagono aveva mai usato il proprio cellulare per comunicazioni riservate.
Hegseth ha violato tutti i protocolli creando una falla gigantesca nella sicurezza. Secondo l’ex direttore del controspionaggio americano Mike Casey, «ci sono zero possibilità che qualcuno non abbia cercato di installare Pegasus o un altro software spia sul telefonino di Hegseth». Poche ore prima dello scoop del New York Times , il Wall Street Journal aveva confermato la notizia, uscita a marzo, che Hegseth voleva far partecipare Elon Musk a un briefing in cui si sarebbe parlato di notizie riservate sulla Cina, Paese con cui il capo di Tesla ha forti legami.
Uscita la storia, il capo del Pentagono è andato in paranoia e ha scatenato una caccia alla gola profonda. «Ti attacco a una fottuta macchina della verità», avrebbe urlato all’ammiraglio Christopher Grady, allora presidente ad interim dei Capi di Stato Maggiore Uniti. Hegseth pretendeva una prova che Grady non avesse fatto trapelare la notizia del briefing. […] Da allora cinque consiglieri sono stati cacciati. Il capo dello staff, Joe Kasper, si è dimesso.
Trump, che ha sempre difeso pubblicamente Hegseth, è infuriato. Nessuno sa cos’altro ha combinato il segretario alla Difesa e vorrebbero saperlo subito, prima di doverlo scoprire sui giornali.
(da “la Repubblica”)

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SE TRUMP NON FA QUALCOSA, IN DUE SETTIMANE GLI SCAFFALI DEI SUPERMERCATI AMERICANI SARANNO VUOTI

Aprile 26th, 2025 Riccardo Fucile

I CAPOCCIA DEI PIÙ GRANDI GRUPPI DI GRANDE DISTRIBUZIONE DEGLI USA (WALMART, TARGET, HOME DEPOT) HANNO FATTO PRESENTE AL TYCOON CHE SE NON AMMORBIDISCE I DAZI, SARANNO CAZZI … SMALTITO IL BOOM DI ORDINI PRE-GUERRA COMMERCIALE, IL TRAFFICO DI CONTAINER GIÀ DALLA PROSSIMA SETTIMANA CROLLERÀ

Donald Trump ha tenuto il mondo in tensione con una politica commerciale che sembra cambiare di giorno in giorno. Finora i consumatori americani sono stati al riparo da gran parte dell’impatto. Ma mentre il mondo del trasporto marittimo internazionale si adegua alle sue politiche, il presidente si trova ad affrontare una potenziale resa dei conti.
Con la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina che inizia a intasare il traffico di container tra le due maggiori economie mondiali, le compagnie di trasporto mettono in guardia da un crollo delle prenotazioni e da un aumento delle “partenze in bianco”, in cui i porti vengono saltati o i viaggi vengono annullati del tutto.
All’inizio di questa settimana, i più potenti dirigenti del commercio al dettaglio americano si sono recati alla Casa Bianca per formulare una prognosi cruda: i dazi sulle merci cinesi rischiano di causare “scaffali vuoti” in due settimane senza un cambiamento di rotta.
Le tre aziende che hanno partecipato all’incontro – Walmart, Target e Home
Depot – sono tra le più esposte alle politiche del presidente, che prevedono dazi fino al 145% sulle merci cinesi e tasse portuali più alte per le imbarcazioni di produzione cinese.
Secondo una ricerca di Reuters, Walmart si rifornisce in Cina per circa il 60% delle sue importazioni, tra cui abbigliamento, elettronica e giocattoli, mentre circa il 50% dei fornitori di Target ha sede in Cina.
Molti rivenditori e produttori disporranno di una “riserva” di scorte nei magazzini e in altre strutture di stoccaggio che inizialmente consentiranno loro di far fronte a eventuali interruzioni.
Ma queste scorte possono durare solo fino a un certo punto, di solito una manciata di settimane. Dopo di che, i rivenditori si troveranno di fronte a una scelta: pagare le tariffe e sopportare i costi aggiuntivi o scaricarli sui clienti; oppure smettere di acquistare prodotti dalla Cina e accettare la carenza sugli scaffali.
Secondo i dati pubblicati dal Porto di Los Angeles, che gestisce grandi quantità di merci spedite dai porti cinesi, tra cui Shanghai, questa settimana il traffico di container è stato superiore del 56% rispetto all’anno precedente, riflettendo probabilmente un’ondata di ordini effettuati poco prima dell’annuncio delle tariffe del “giorno della liberazione” di Trump, il 2 aprile. Ma la prossima settimana si prevede un traffico inferiore dell’11% e del 33% la settimana successiva.
Il calo degli arrivi previsti a Los Angeles fa seguito a quanto riportato dal fornitore di dati Vizion, che ha parlato di un “crollo” delle prenotazioni di container nel mese di aprile. Per le spedizioni dalla Cina agli Stati Uniti, le prenotazioni sono calate del 64% nella prima settimana del mese rispetto alla settimana precedente.
Gli analisti hanno attribuito il crollo agli importatori che hanno cancellato le spedizioni per “rivalutare i costi, le tempistiche e la strategia commerciale più ampia”.
Ciò lascia un numero maggiore di navi portacontainer semivuote e spinge le compagnie di navigazione a cancellare i viaggi nel tentativo di ridurre le perdite e impedire il crollo delle tariffe.
“Se analizziamo i dati, è evidente che l’impatto della guerra commerciale ha indotto molti caricatori a sospendere o cancellare le spedizioni”, hanno dichiarato giovedì gli analisti della società.
Questo a sua volta riduce la domanda di capacità sulle navi portacontainer e i vettori rispondono cancellando le partenze”.
“Questo livello di escalation della capacità annullata illustra un cambiamento drammatico nel mercato”.
In definitiva, l’uscita dalla guerra commerciale a condizioni accettabili per Washington non è solo nelle possibilità di Trump. Pechino ha risposto con tariffe del 125% sulle esportazioni americane.
Nonostante le sue affermazioni che le due parti sono in contatto regolare, giovedì un portavoce del ministero degli Esteri cinese ha respinto questa affermazione, dicendo ai giornalisti che il suggerimento era “privo di fondamento e non ha alcuna base fattuale”.
(da agenzie)

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OGNUNO HA I SUOI IMPEGNI

Aprile 26th, 2025 Riccardo Fucile

TRUMP E’ RIENTRATO SUBITO NEGLI STATES PERCHE’ IL SABATO POMERIGGIO DEVE GIOCARE A GOLF

Trump si è fermato a Roma solo poche ore perché nel pomeriggio di sabato è atteso nel suo golf club di riferimento in America. Il classico impegno irrinunciabile: è sabato, che diamine, il giorno più adatto per le attività ricreative.
Quelli che fanno la coda per “baciargli il culo” (parole sue) hanno modo di riflettere, e soprattutto di dotarsi di agende all’altezza di quella di Trump: lunedì ho il dentista, martedì non posso perché devo accompagnare mia figlia a judo, mercoledì ho il corso di cucina, il giovedì è dedicato a mia mamma che non sta bene, venerdì c’è il torneo di burraco.
Della supremazia americana sul resto del mondo si può pensare bene o male, dipende dalle opinioni; ma non si può che pensare male della mancanza di dignità che il resto del mondo, con poche eccezioni (la Cina perché è troppo grossa e troppo antica, la Russia perché è troppo imperialista e dunque troppo uguale all’America), mostra nei rapporti con gli Stati Uniti, anche da prima di Trump. Finché aspettano tutti di essere ricevuti o convocati, non se ne esce. Non è una relazione paritaria, specie adesso che la statura politica, umana e culturale del Presidente tutto suggerisce, tranne che reverenza.
Basta sentire come parla (ha un vocabolario ridotto a quanto basta per ordinare un hamburger) per stabilire che Trump ha qualcosa da imparare da chiunque, anche dal reggente del più trascurabile staterello.
Come sarebbe bello, e come sarebbe nuovo, se gli altri governanti del mondo gli dicessero che sì, sono disposti a incontrarlo, non per dovere ma per buona educazione; ma compatibilmente con i rispettivi impegni, tutti ugualmente importanti e rispettabili, per non dare l’impressione che uno solo riceva, e gli altri siano in coda per essere ricevuti. Utopia. L’uguaglianza tra le Nazioni è un’utopia, tal quale l’uguaglianza tra gli esseri umani. Non per questo è meno giusta e desiderabile.
(da repubblica.it)

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“PAPA FRANCESCO? AVEVAMO UN RAPPORTO STRAODINARIO”: LA GRANDE FAMIGLIA POSTUMA DEGLI IPOCRITI

Aprile 26th, 2025 Riccardo Fucile

ORA CHE E’ MORTO SONO DIVENTATI TUTTO AMICI SUOI, DALLA MELONI A SALVINI

Papa Francesco aveva moltissimi amici ed estimatori tra i politici italiani, solo che non lo sapeva: lo sta scoprendo ora che non c’è più. Da quando è morto, s’è alzato il coro imbarazzantissimo di quelli “molto vicini” al pontefice. Dalla premier in giù, una grande famiglia postuma.
Giorgia Meloni. “Tutto il mondo lo ricorderà per essere stato il papa della gente, il papa degli ultimi. Mancherà anche a me, avevamo uno straordinario rapporto personale, molto più assiduo di quanto si vedesse, molto oltre i nostri ruoli istituzionali. Sono orgogliosa di averlo convinto a venire al G7, è la prima volta per un pontefice. È una delle cose che ho fatto in questi due anni e mezzo di cui vado più fiera. Lui teneva da parte disegni che mia figlia gli aveva regalato nel cassetto del suo ufficio. Era capace di piccoli gesti che erano straordinari”. (Francesco ha posto al centro del suo magistero l’accoglienza dei migranti, la critica al neoliberismo e all’individualismo esasperato, l’attenzione ai poveri, la denuncia del cambiamento climatico e soprattutto la “scomunica” del riarmo. Praticamente il contrario dei valori della destra di governo)
Matteo Salvini. “Papa Francesco ha raggiunto la Casa del Padre”, con tre emoticon di mani congiunte in preghiera. (È lo stesso Salvini che nel 2016, da uno stand leghista, esibiva una sobria t-shirt con l’effigie di Bergoglio e lo slogan: “Il mio papa è Benedetto”)
Carlo Nordio. “Nella sua grande misericordia, Francesco era molto sensibile alle sofferenze dei carcerati. Nel suo nome lavoreremo per rendere il sistema
penitenziario sempre più umano”. (Da quando è Guardasigilli, Nordio ha ostacolato le misure alternative alla detenzione, sostanzialmente ignorato l’emergenza suicidi e ha messo in pratica l’ideologia securitaria che è uno dei distintivi della cultura politica del governo Meloni)
Matteo Piantedosi. “Lo stesso Papa Francesco affermò in più occasioni come non si potesse accogliere illimitatamente, ma che l’accoglienza dovesse essere ragionevole per potersi tradurre in reale integrazione”. (Bergoglio, tra le altre cose, commentò la tragedia di Cutro con parole lapidarie: “Dio ce ne chiederà conto”. Sostenere che fosse a favore di politiche restrittive sull’immigrazione è un pensiero lisergico)
Maurizio Gasparri. “Il papa non ha mai piegato la testa davanti a nessuno, ha rappresentato le sue idee. Alcuni le hanno rispettate quando gli facevano comodo e le hanno ignorate quando non erano utili al loro disegno. Parlo soprattutto della sinistra che è papista a fasi alterne”. Manolo Lanaro, giornalista de ilfattoquotidiano.it, gli domanda: “Perché non cita le frasi sui migranti e sul riarmo che voi non avete seguito?”, Gasparri: “Quando la incontrerò in chiesa condividerò i miei argomenti con lei, non la vedo mai in chiesa. Le nostre non sono incoerenze, siamo per la pace”. Altra domanda: “Ma voi non avete sostenuto ReArm Europe?”. Gasparri: “Le faccio sapere la mia parrocchia”.
Paolo Gentiloni. “Papa Francesco mostrava una cristiana compassione per i politici”. (Talmente compassionevole con i politici che nel 2022 disertò il forum Mediterraneo: “Se c’è Minniti, non vado”. Marco Minniti, da ministro dell’Interno, fu l’artefice degli accordi con la Libia per trattenere i migranti nei lager. Indovinate chi era il premier? Gentiloni)
(da ilfattoquotidiano.it)

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LE DEPORTAZIONI DI TRUMP COLPISCONO ANCHE I BAMBINI: TRE ESPULSI DAGLI STATI UNITI INSIEME ALLE MADRI, LA PIU’ PICCOLA HA 2 ANNI, UNO E’ MALATO DI CANCRO

Aprile 26th, 2025 Riccardo Fucile

PERSINO UN GIUDICE CONSERVATORE DELLA LOUSIANA SI RIBELLA: “QUELLE ESPULSIONI SONO ILLEGALI”

Tre bambini di età inferiore ai sette anni, tutti cittadini statunitensi, sono stati espulsi insieme alle loro madri perché prive di documenti. Lo ha reso noto l’Unione americana per le libertà civili (Aclu), secondo cui i tre bambini in questione avrebbero 2, 4 e 7 anni.
Le loro famiglie, si legge in un comunicato dell’associazione, vivevano da anni negli Stati Uniti e sono state espulse per via del controverso piano di deportazioni avviato dal presidente Donald Trump. Gli agenti dell’Ice, l’agenzia federale statunitense che si occupa di immigrazione e sicurezza delle frontiere, hanno fermato la prima famiglia con minore lo scorso 22 febbraio. Il 24 aprile la stessa sorte è toccata a un’altra madre e ai suoi figli.
L’isolamento e l’espulsione
In entrambi i casi, denuncia l’Aclu, le forze dell’ordine hanno tenuto le famiglie in isolamento. Rifiutando o non rispondendo ai molteplici tentativi di avvocati e familiari di contattarle. Le due madri erano candidate per l’assistenza all’immigrazione. Ma poiché l’Ice ha negato loro l’accesso ai loro avvocati, non hanno potuto riceverla e sono state entrambe deportate insieme ai figli.
«Queste azioni violano apertamente le direttive scritte e informali dell’Ice, che impongono il coordinamento della cura dei minori con tutori disponibili, indipendentemente dal loro status di immigrazione, quando vengono eseguite le espulsioni», attacca l’Unione americana per le libertà civili.
La madre incinta e il bambino malato di cancro
Uno dei tre bambini espulsi dagli Stati Uniti, si legge nel comunicato dell’Aclu, è affetto da una rara forma di cancro metastatico. È stato deportato senza ricevere farmaci né avere la possibilità di consultare i medici curanti. Tutto questo, precisa l’associazione, è accaduto nonostante gli agenti dell’Ice fossero stati informati in anticipo delle urgenti esigenze mediche del bambino. Una delle madri espulse, inoltre, è attualmente incinta e le forze dell’ordine americane hanno deciso di espellerla dal Paese senza garantire la continuità delle cure prenatali o la supervisione medica.
Verso una battaglia in tribunale?
Oltre che indignare una parte dell’opinione pubblica americana, l’espulsione dei tre bambini di cittadinanza statunitense solleva più di qualche perplessità giuridica. Terry Doughty, un giudice federale della Louisiana nominato proprio da Trump, ha mostrato preoccupazione per la decisione di espellere una bambina di due anni in Honduras senza nemmeno che si sia celebrato un processo. «Il governo sostiene che tutto questo va bene perché la madre desidera che la bambina venga deportato con lei. Ma la corte non sa se è davvero così», ha scritto il giudice, peraltro di orientamento conservatore. Il togato ricorda quindi che «è illegale e incostituzionale deportare» un cittadino statunitense. E visto che la bambina in questione è nata sul suolo americano, è a tutti gli effetti una cittadina americana. Il prossimo 16 maggio si terrà un’udienza per verificare gli aspetti legali del caso.
La tensione tra Trump e giudici sul piano di deportazioni
La vicenda dei tre bambini americani espulsi dagli Stati Uniti è destinata a riaccendere ancora una volta lo scontro tra Casa Bianca e potere giudiziario sul controverso piano di deportazioni avviato da Trump. Nei giorni scorsi, l’Fbi è
arrivato addirittura ad arrestare Hannah Dugan, giudice della corte distrettuale di Milwaukee, con l’accusa di aver aiutato un immigrato senza documenti a scampare all’arresto.
(da Open)

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I PRIMI CENTO GIORNI DI TRUMP? ”CAOTICI E SPAVENTOSI”, I DAZI HANNO FATTO CROLLARE LA POPOLARITA’ DEL PRESIDENTE

Aprile 26th, 2025 Riccardo Fucile

SONDAGGI IMPIETOSI: IL 54% DEGLI ELETTORI RITIENE CHE TRUMP ABBIA SUPERATO I POTERI CONCESSI DALLA COSTITUZIONE… ORA SI ACCORGONO CHE SI SONO AFFIDATI A UN EVERSORE, MA C’E’ ANCORA UN 40% DI DEMENTI RAZZISTI CHE GLI CONCEDE FIDUCIA

«Caotici» e «Spaventosi». Sono questi i due aggettivi più scelti dagli americani per descrivere i (quasi) primi cento giorni di Donald Trump alla Casa Bianca. L’ultimo sondaggio commissionato dal New York Times mostra una crescente disaffezione degli elettori statunitensi per l’operato del loro presidente, in particolare per quanto riguarda i suoi ripetuti tentativi di ampliare i poteri esecutivi ai danni di giudici, governatori statali e società civile.
A tre mesi dal suo ritorno a Washington, Trump ha un indice di approvazione del 42%. Una percentuale, fa notare il New York Times, insolitamente bassa, soprattutto se si considera che i primi mesi alla Casa Bianca coincidono in genere con una «luna di miele» tra il presidente e i suoi elettori.
L’opinione pubblica boccia la guerra dei dazi
A far storcere il naso agli americani non è solo la smania di potere di Trump, che con la sua raffica di ordini esecutivi ha avviato un vero e proprio braccio di ferro con il potere giudiziario, ma anche – se non soprattutto – le sue politiche economiche. Soltanto il 43% del campione intervistato nel sondaggio ha un’opinione favorevole di come la Casa Bianca ha gestito l’economia americana nei primi tre mesi dell’anno.
Se si parla espressamente di dazi, poi, il malcontento si allarga ulteriormente. Il 55% degli elettori, scrive il New York Times, si oppone alla guerra commerciale scatenata da Trump, che ha causato peraltro un terremoto sui mercati finanziari in tutto il mondo.
La svolta autoritaria e i timori degli americani
Ma a preoccupare, come detto, non sono solo le politiche economiche. Per la maggior parte degli americani (il 54%), Trump ha agito «superando i poteri a sua disposizione». In particolare, sull’applicazione ferrea delle nuove leggi
sull’immigrazione (che hanno portato, tra le altre cose, all’espulsione di bambini di cittadinanza statunitense) e sui licenziamenti di massa del personale federale su consiglio del Doge, il neonato dipartimento per l’efficienza governativa gestito da Elon Musk.
Non la vedono allo stesso modo gli elettori più radicali del partito repubblicano. Il 40% di loro crede, infatti, che il presidente degli Stati Uniti dovrebbe essere libero di fare tutto ciò che ritiene opportuno, anche se ciò potrebbe richiedergli di andare al di là dei poteri che la Costituzione gli attribuisce.
Soltanto l’8% degli elettori repubblicani afferma che le azioni di Trump rappresentano «una minaccia unica per il nostro sistema di governo».
(da agenzie)

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