LE VITTIME DI BRANDIZZO: UCCISI DALLA MANCATA SICUREZZA, UMILIATI DALLA BUROCRAZIA
I SOLDI PER I RISARCIMENTI AI FAMILIARI DELLE VITTIME SONO BLOCCATI
È una strage che non conosce tregua, quella dei morti sul
lavoro. L’incidente alla stazione di Brandizzo, in provincia di Torino, che è costato la vita a cinque addetti alla manutenzione ferroviaria è soltanto l’ultimo caso che aggrava un bilancio inaccettabile: da gennaio a giugno l’Inail ha contato 450 “morti bianche”, una media di 2,4 vittime al giorno. E così crescono, di anno in anno, le famiglie italiane che reclamano giustizia per i propri cari: nessuna cifra può risarcire moglie, mariti, genitori e figli della perdita di chi muore di lavoro o per il lavoro, ma il tema degli indennizzi resta al centro del dibattito. E la coperta sembra sempre troppo corta: la politica spesso gioca al ribasso con gli stanziamenti, e la burocrazia non rende facile l’accesso ai fondi.
In questo quadro, non poche perplessità aveva suscitato la scelta del governo Meloni di decurtare il “Fondo di sostegno per le famiglie dei lavoratori vittime di gravi infortuni sul lavoro”, istituito nel 2007 dal secondo governo Prodi.
Con la legge di Bilancio 2023, infatti, l’esecutivo aveva previsto un finanziamento di circa 5,5 milioni di euro: circa il 44% in meno rispetto al 2022, in linea con le cifre contenute negli stati di previsione del Ministero del Lavoro del 2021 e del 2022.
Poi, complici le polemiche, il 21 giugno l’esecutivo è corso ai ripari approvando un emendamento, presentato dalla senatrice Paola Mancini (Fratelli d’Italia), per aggiungere 5 milioni di euro alle risorse per l’anno corrente, portandole a circa 10,5 milioni di euro.
Al momento, però, “questi fondi sono ancora bloccati perché manca un decreto ministeriale di attuazione, anche se dalla segreteria tecnica del Ministero ci hanno rassicurato che è questione di poco affinché tutto si sblocchi”, spiega a Huffpost l’Associazione Nazionale Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro (ANMIL) che, dopo il paventato ridimensionato dei benefici, annunciava barricate. “Eravamo pronti ad intraprendere azioni di protesta in difesa di vedove e orfani di caduti sul lavoro”, aveva dichiarato a giugno Zoello Forni, presidente dell’Associazione.
Da questi stanziamenti dipende il risarcimento che l’INAIL versa una tantum alle famiglie, in attesa dell’indennizzo che viene stabilito e fissato in seguito alle adeguate e dovute verifiche sull’incidente di cui il lavoratore è rimasto vittima. I criteri di ripartizione del fondo – stabiliti dal Decreto ministeriale n. 75 del 2023 – stabiliscono che nel 2023 l’importo massimo dell’assegno per i familiari di lavoratori morti per infortuni è pari a 14.500 euro (contro i 22.400 del 2022) per i nuclei formati da più di tre persone, mentre il minimo è di 4 mila euro (erano 6.000 euro lo scorso anno) per le famiglie composte da una sola persona oltre alla vittima.
Ne hanno diritto i “superstiti”, ovvero principalmente coniugi e figli. In assenza di questi, il risarcimento può andare a genitori, fratelli e sorelle, a condizione che risultino a carico del deceduto. L’importo viene erogato una volta sola entro un mese dall’accertamento sommario dell’incidente e le richieste vanno inoltrate entro 40 giorni dalla data del decesso del lavoratore. Un’ulteriore criticità, spiega ANMIL, dipende proprio dalle modalità di accesso agli indennizzi: “Non sono erogati in automatico e dunque, per un motivo o per l’altro, spesso le vittime delle tragedie non riescono a usufruire dell’aiuto concreto che gli spetterebbe. La nostra associazione si batte affinché il sistema cambi”.
“È il più triste dei paradossi. Già il fondo per le famiglie delle vittime arriva tardi, quando dobbiamo rassegnarci a compensare l’incompensabile piuttosto che prevenire gli infortuni con la formazione e gli investimenti. Almeno facciamolo arrivare, non aggiungiamo ritardi e paletti burocratici che in una materia come questa non ci dovrebbero mai essere”, ha detto Tommaso Nannicini, professore ordinario di economia alla Bocconi (in procinto di trasferirsi all’Istituto Universitario Europeo di Firenze), già sottosegretario alla presidenza del consiglio e senatore del partito Democratico. Secondo Nannicini, ‘padre’ della commissione d’inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati, “la logica compensatoria, ancorché necessaria, non basta. Servono fondi per sostenere gli investimenti in tecnologie e processi produttivi che aumentino la sicurezza sul lavoro. Oggi una delle due parole chiave in tema di sicurezza è: tecnologia”.
Tornando agli indennizzi destinati ai superstiti, al di là di quanto stabilito dal governo Meloni, non era la prima volta che l’entità del fondo subiva modifiche. Pagella Politica spiega che, dal 2010 a oggi, il picco degli stanziamenti è stato di 12,5 milioni nel 2012, durante l’esecutivo guidato Mario Monti. A partire dall’anno successivo, sia Monti che i governi Letta e Renzi, hanno ridotto le risorse a circa 3 milioni di euro nel 2016. Mentre dal 2017 in poi gli stanziamenti sono tornati a crescere. Nel 2021, il Conte II – sostenuto dal Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, da Liberi e Uguali e da Italia viva – aveva previsto nella legge di Bilancio uno stanziamento di circa 7,5 milioni di euro per il fondo. Poi, a giugno 2021, l’allora ministro del Lavoro, Andrea Orlando, aveva approvato un decreto che aumentava lo stanziamento fino a 8,5 milioni di euro. Tale somma è stata confermata nella legge di Bilancio per il 2022 dal governo Draghi, e poi aumentata a giugno dello stesso anno fino a 9,8 milioni di euro.
“I fondi ci sono, ma non bastano. Ho perso mio marito nel 2019: io avevo quarant’anni e nostro figlio, Giulio, soltanto dieci. Quando sarà maggiorenne, se dovesse smettere di studiare, a lui non sarà più riconosciuto nulla”, racconta a Huffpost Paola Batignani, che 2019 perse il marito Alessandro Rosi per un incidente sul lavoro. L’uomo, a soli 44 anni, morì schiacciato da una trave che stava spostando con la sua gru, all’interno delle acciaierie Arvedi di Cremona, dove lavorava con la sua ditta in appalto. E mentre il processo per quella morte è ancora in corso, Paola non si è fermata: ha fondato l’associazione ‘Agganciamoci alla Vita’, nata proprio per combattere le morti sul luogo di lavoro, ed è vicepresidente della Fondazione ANMIL ‘Sosteniamoli subito’. “Io ho la fortuna di avere un buon lavoro alle spalle, in un’azienda forte e consolidata – prosegue Batignani –, ma la maggioranza delle famiglie dei lavoratori scomparsi non può contare su questo tipo di sicurezza. Trovarsi, da un giorno all’altro, a pagare l’affitto o il mutuo, a sostenere gli studi per i propri figli e la spese quotidiane con un’entrata in meno (che, a volte, è anche l’unica della famiglia) è difficilissimo”. Poi c’è il trauma: “Tante donne in difficoltà economica non riescono a chiedere aiuto, tanti figli non vengono supportati nel loro percorso di vita. La burocrazia certamente non aiuta”. “Mio figlio Giulio non avrà ricordi di suo padre – prosegue Batignani con voce commossa – . Alessandro non lo vedrà scendere in campo tutte le domeniche a giocare a calcio, Alessandro non lo vedrà quando si sposerà, e i figli di Giulio non avranno un nonno. La sua storia è quella di tanti ragazzi. Perciò – conclude – faccio un appello affinché agli orfani e ai vedovi venga permesso di poter vivere il proprio dolore, senza dover vivere anche il dramma della povertà. La politica deve capirlo: non siamo soltanto numeri, ma persone”.
Parole che risuonano più forti nel giorno della tragedia di Brandizzo, in cui hanno perso la vita cinque lavoratori, travolti da un treno mentre lavoravano alla manutenzione dei binari: Kevin Laganà, 22 anni, Michael Zanera, 35, e Giuseppe Saverio Lombardo, 52, nato a Marsala, tutti residenti a Vercelli; Giuseppe Sorbillo, 43, nato a Capua e residente a Brandizzo; Giuseppe Aversa, 49, di Chivasso. Rete Ferroviaria Italiana (Rfi) ha fatto sapere che lavoravano tutti per conto di una ditta appaltatrice esterna, la Sigifer, nata nell’ottobre del 1993 a Borgo Vercelli e leader nel settore di costruzione e manutenzione impianti ferroviari. Secondo quanto emerso finora sulla dinamica dell’incidente, risulta che il treno che ha investito e ucciso gli operai viaggiava a 160 chilometri orari e non ha lasciato scampo alle vittime, trascinate per centinaia di metri. Un collega del 118 mi ha detto di aver visto una scena da brividi, con frammenti umani nell’arco di 300 metri. É una tragedia enorme” ha raccontato il sindaco di Brandizzo, Paolo Bodoni, che di mestiere fa il medico. “Uno dei sue sopravvissuti dovrebbe essere il caposquadra” ha aggiunto il primo cittadino, spiegando che “non è da escludere che possa essersi trattato di un errore di comunicazione, in ogni caso servirà attendere l’esito delle indagini”. A fare chiarezza sarà la procura di Ivrea, che ha aperto un fascicolo a carico di ignoti: le ipotesi di reato sono disastro ferroviario colposo e omicidio plurimo colposo.
Intanto sindacati e lavoratori tornano a chiedere maggiori tutele. “Trovo sconcertante vedere il governo esprimere condoglianze ai famigliari dei lavoratori morti, mentre soltanto qualche settimana fa aveva deciso di tagliare il fondo per le vittime del lavoro. A volte il silenzio potrebbe essere preferibile.
(da Huffingtonpost)
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