BERLUSCONI CI PROVA E PROPONE UN PATTO CON L’OPPOSIZIONE: OBIETTIVO FAR DIMENTICARE RUBY E CERCARE UNA SPONDA IN CHIAVE ANTI-TREMONTI
LA LETTERA DEL PREMIER AL “CORRIERE DELLA SERA”: “PIANO BIPARTISAN PER LA CRESCITA”…ORA PER CONVENIENZA DICE QUELLO CHE FINI GLI RIPETE DA MESI: TEME CHE LA LEGA LO MOLLI E CERCA DI STARE ATTACCATO ALLA POLTRONA… COSI’ DIMOSTRA DI AVERE PAURA DELLE ELEZIONI TANTO MINACCIATE
La lettera di stamane del premier al Corriere della Sera
Gentile direttore,
il suo giornale ha meritoriamente rilanciato la discussione sul debito pubblico mostruoso che ci ritroviamo sulle spalle da molti anni, sul suo costo oneroso in termini di interessi annuali a carico dello Stato e sull’ostacolo che questo gravame pone sulla via della crescita economica del Paese.
Sono d’accordo con le conclusioni di Dario Di Vico, esposte domenica in un testo analitico molto apprezzabile che parte dalle due proposte di imposta patrimoniale, diversamente articolate, firmate il 22 dicembre e il 26 gennaio da Giuliano Amato e da Pellegrino Capaldo.
Vorrei brevemente spiegare perchè il no del governo e mio va al di là di una semplice preferenza negativa, «preferirei di no», ed esprime invece una irriducibile avversione strategica a quello strumento fiscale, in senso tecnico-finanziario e in senso politico.
Prima di tutto, se l’alternativa fosse tra un prelievo doloroso e una tantum sulla ricchezza privata e una poco credibile azione antidebito da «formichine», un gradualismo pigro e minimalista nei tagli alla spesa pubblica improduttiva e altri pannicelli caldi, staremmo veramente messi male.
Ma non è così.
L’alternativa è tra una «botta secca», ingiusta e inefficace sul lungo termine, e perciò deprimente per ogni prospettiva di investimento e di intrapresa privata, e la più grande «frustata» al cavallo dell’economia che la storia italiana ricordi.
Il debito è una percentuale sul prodotto interno lordo, sulla nostra capacità di produrre ricchezza.
Se questa capacità è asfittica o comunque insufficiente, quella percentuale di debito diventa ingombrante a dismisura.
Ma se riusciamo a portare la crescita oltre il tre-quattro per cento in cinque anni, e i mercati capiscono che quella è la strada imboccata dall’Italia, Paese ancora assai forte, Paese esportatore, Paese che ha una grande riserva di energia, di capitali, di intelligenza e di lavoro a partire dal suo Mezzogiorno e non solo nel suo Nord europeo e altamente competitivo, l’aggressione vincente al debito e al suo costo annuale diventa, da subito, l’innesco di un lungo ciclo virtuoso.
Per fare questo occorre un’economia decisamente più libera, poichè questa è la frustata di cui parlo, in un Paese più stabile, meno rissoso, fiducioso e perfino innamorato di sè e del proprio futuro.
La «botta secca» è, nonostante i ragionamenti interessanti e le buone intenzioni del professor Amato e del professor Capaldo, una rinuncia statalista, culturalmente reazionaria, ad andare avanti sulla strada liberale.
La Germania lo ha fatto questo balzo liberalizzatore e riformatore, lo ha innescato paradossalmente con le riforme del socialdemocratico Gerhard Schrà¶der, poi con il governo di unità nazionale, infine con la guida sicura e illuminata di Angela Merkel.
E i risultati sono sotto gli occhi di tutti: la locomotiva è ripartita.
Noi, specialmente dopo il varo dello storico accordo sulle relazioni sociali di Pomigliano e Mirafiori, possiamo fare altrettanto.
Non mi nascondo il problema della particolare aggressività che, per ragioni come sempre esterne alla dialettica sociale e parlamentare, affligge il sistema politico.
Ne sono preoccupato come e più del presidente Napolitano.
E per questo, dal momento che il segretario del Pd è stato in passato sensibile al tema delle liberalizzazioni e, nonostante qualche sua inappropriata associazione al coro strillato dei moralisti un tanto al chilo, ha la cultura pragmatica di un emiliano, propongo a Bersani di agire insieme in Parlamento, in forme da concordare, per discutere senza pregiudizi ed esclusivismi un grande piano bipartisan per la crescita dell’economia italiana; un piano del governo il cui fulcro è la riforma costituzionale dell’articolo 41, annunciata da mesi dal ministro Tremonti, e misure drastiche di allocazione sul mercato del patrimonio pubblico e di vasta defiscalizzazione a vantaggio delle imprese e dei giovani.
Lo scopo indiretto ma importantissimo di un piano per la crescita fondato su una frustata al cavallo di un’economia finalmente libera è di portare all’emersione della ricchezza privata nascosta, che è parte di un patrimonio di risparmio e di operosità alla luce del quale, anche secondo le stime di Bruxelles, la nostra situazione debitoria è malignamente rappresentata da quella vistosa percentuale del 118 per cento sul Pil.
Prima di mettere sui ceti medi un’imposta patrimoniale che impaurisce e paralizza, un’imposta che peraltro sotto il mio governo non si farà mai, pensiamo a uno scambio virtuoso, maggiore libertà e incentivo fiscale all’investimento contro aumento della base impositiva oggi nascosta.
Se a questo aggiungiamo gli effetti positivi, di autonomia e libertà , della grande riforma federalista, si può dire che gli atteggiamenti faziosi, ma anche quelli soltanto malmostosi e scettici, possono essere sconfitti, e l’Italia può dare una scossa ai fattori negativi che gravano sul suo presente, costruendosi un pezzo di futuro.
Silvio Berlusconi
presidente del Consiglio
Chiuso nel bunker con lo scandalo Ruby che gli erode fette di consensi, con il Terzo Polo che si attrezza per andare alle urne per una “vera alternativa”, con Massimo D’Alema che lancia un’alleanza costituente ai moderati, con la morsa della Bicamerale che giovedi rischia di far naufragare il federalismo e quindi lo stesso governo per la conseguente reazione della Lega, Berlusconi si sente ormai accerchiato e ha cercato il solito colpo di teatro: un patto con l’opposizione, dove averne detto peste e corna per anni.
Non solo, dopo aver ripetuto per settimane “il governo va avanti, abbiamo i numeri, i “responsabili” saranno la terza gamba del centrodestra”, ora si ritrova azzoppato dalla sua spocchia.
Per aver chiesto, oltre ad una maggiore democrazia interna, un confronto costante e sereno con le opposizioni, qualche mese fa Fini è stato cacciato dal Pdl.
Per aver sostenuto che la crisi economica è grave e va affrontata con l’impegno e la collaborazione di tutte le forze politiche, non con i diktat e la litania del “tutto va bene, la crisi è passata”, Fini è stato ritenuto un disfattista.
Ora Berlusconi, solo per misero interesse personale, finisce per dargli ragione, chiedendo “collaborazione” a Bersani.
Come non ricordassimo la prepotenza e la supponenza sua e della sua corte dei miracolati quando bollavano qualsiasi critica come un delitto di lesa maestà .
Improvvisamente ora il premier lancia una proposta “nell’interesse del Paese” e per “salvare l’economia”: “facciamo insieme le riforme per uscire dalla crisi”.
Tutto per evitare una campagna elettorale “che il Paese non può permettersi” o che forse lui sa che non lo porterebbe più a Palazzo Chigi.
Un “colpo di teatro” di cui si parlava da giorni, suggeritogli dal moderato Letta, per evitare una deriva ormai inarrestabile.
Un modo per oscurare lo scandalo Ruby e tamponare l’operazione Tremonti-Lega che vogliono scalzarlo in modo indolore e senza farsi beccare col pugnale dei sicari in mano.
“Passare la mano” il premier? Non può permetterselo a causa dei suoi guai giudiziari.
Occorre “resistere” e non mollare la poltrona, altrimenti non la ritrova mai più, questa l’unica motivazione dell’offerta di oggi.
Dpo aver sfasciato il Pdl, dopo aver ceduto ai quotidiani ricatti leghisti, portando il governo su posizioni affaristico-razziste, dopo essere stato sommerso da scandali pubblici e privati, ora il premier pensa di fare l’ennesimo numero da “illusionista”, facendo uscire il coniglio dal cappello.
Ossessionato da chi “vuole farmi fuori e togliermi il potere”, come se non fosse legittimo che in una democrazia l’opposizione faccia le sue critiche e si ponga come alternativa, accorgendosi che la sua “fedele alleata” Lega sta ormai guardando oltre questo governo, il premier non sa più come uscirne.
O forse spera, forte della sua esperienza nel mondo dello spettacolo, che un colpo di teatro possa ancora salvarlo?
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