BERLUSCONI E ALFANO ABBANDONANO FORMIGONI: ORA POSSONO PERDERE LE ELEZIONI INSIEME ALLA LEGA
“COTA E ZAIA NON RISCHIANO” SI AFFRETTANO A PRECISARE A PALAZZO GRAZIOLI, ANCHE PERCHE’ IN PIEMONTE E IN VENETO NEL PDL NON SI DIMETTEREBBE NESSUNO… MARONI FA LA FIGURA DEL PIRLA E CADE NELLA TRAPPOLA DI BOSSI
La battaglia è perduta, forse pure la guerra.
Per cui nessuno nel Pdl (tantomeno il Cavaliere) si accanisce nel difendere l’Indifendibile, cioè Formigoni.
Quattro righe di sostegno da parte del coordinatore nazionale La Russa, davvero il minimo sindacale.
Senza seguito la disperata minaccia lanciata dal Governatore, una bomba nucleare con le polveri bagnate: se la Lega mi farà cadere noi per ritorsione manderemo a casa i leghisti Zaia in Veneto e Cota in Piemonte…
Facile a dirsi, impossibile in pratica (e Maroni figurarsi se ci può cascare). Primo, perchè se da Roma partisse l’ordine «dimettetevi dalle giunte delle due Regioni», nessun assessore Pdl obbedirebbe.
Di questi tempi si tengono stretta la loro poltrona e, alcuni insinuano, anche lo stipendio.
Dunque i governatori della Lega non rischiano nulla.
In ogni caso, se pure loro venissero travolti da una vendetta trasversale, quale concreto vantaggio ne ricaverebbe il Pdl?
Zero, spiegano sconsolati ai piani alti del partito.
Anzi, un gravissimo danno. Perchè nelle due Regioni si andrebbe alle urne e il centrodestra non avrebbe alcuna speranza di vincere.
Sconfitta sicura.
Invece aspettando la normale scadenza del 2015, magari, mai dire mai…
E poi c’è una terza singlare considerazione che aleggia, sebbene a via dell’Umiltà ne parlino malvolentieri: la Lega in fondo non ha «tradito».
Mica si sta buttando a sinistra.
Semplicemente prende atto che Formigoni e la sua giunta non si reggono in piedi per un cumulo di fatti giudiziari.
Per il timore (secondo alcuni la certezza) che altre inchieste si aggiungano e per la conseguente ansia di fuggire prima del crollo.
Maroni ha cambiato le carte in tavola, è l’accusa di alcuni, aveva preso accordi diversi con Alfano salvo rimangiarseli, di lui non ci si può più fidare. Per altri che sono la maggioranza, invece, il segretario della Lega è stato lui stesso vittima della vecchia volpe Bossi, che prima ha consigliato a Formigoni di resistere, salvo pugnalarlo non appena Bobo e Angelino si sono stretti la mano.
Così va la politica.
Nel giudizio dei vertici Pdl, Maroni e la Lega possono ancora tornare utili in prospettiva, sbagliatissimo rompere.
Semmai il timore dei quadri dirigenti è che con la Lega Berlusconi possa rivelarsi troppo generoso.
Al punto che se il Carroccio chiedesse di esprimere il candidato presidente della Lombardia, offrendo in cambio un’alleanza nazionale, l’ex-premier non esiterebbe a metterci la firma.
Con il solo 5 per cento dei voti, ragiona perplesso il piemontese Osvaldo Napoli, «Maroni allungherebbe le mani sulle tre più grandi regioni del Nord». Ma prima il fato di Formigoni si deve compiere fino in fondo.
Deve togliersi di mezzo. L
a Santanchè glielo consigliava da tempo, «si dimetta prima che la Lega gli dia gli 8 giorni». Il mutismo del Cavaliere alimenta i sospetti che, in cuor suo, l’esito non gli sia così sgradito.
Tre sere fa Berlusconi si è informato distrattamente con Alfano sul suo colloquio con Maroni, lungo tutto il corso della giornata non aveva nemmeno avuto la curiosità di chiamare.
Ieri Berlusconi aveva un diavolo per capello.
Non per la Lombardia, bensì per certi articoli di giornale che lo dipingono più alto grazie ai tacchi e gli attribuiscono come fidanzata la giovane e piacente deputata Pascale.
Ma soprattutto si è sdegnato con il presidente del Palermo calcio Zamparini, secondo il quale Silvio si fa «la punturina» laddove una pillola basterebbe per restituirgli nuova linfa.
C’è un’ultima interpretazione, ancora più tremenda, del silenzio berlusconiano: come per Formigoni, pure per il Pdl l’ex padre padrone sta adottando la tattica del «laissez-faire».
Non si cura di quanto accade sul territorio, delle roccaforti perdute una dopo l’altra, del senso di un generale «rompete le righe», dei sondaggi in caduta libera ormai sotto il 15 per cento, delle sirene centriste e di Italia futura che cominciano a far breccia tra i gerarchi, del modello lombardo tanto decantato che rischia di rovesciarsi nel suo contrario…
Il Cavaliere osserva silenzioso in quanto convinto che non ci sia più speranza di salvare il partito.
Sta progettando di farne uno nuovo sotto forma di lista civica, dunque lascia che quello vecchio vada alla deriva per poter dire al momento buono: «Basta, si ricomincia. Da me».
Ugo Magri
(da “La Stampa”)
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