BERLUSCONI VUOLE LA RESA DEI CONTI ANCHE CON TREMONTI: “GIULIO COMPLOTTA, POSSO FARNE A MENO”
“SE LASCIA NON MI STRACCIO LE VESTI”: CONTINUA LA CACCIA ALLE STREGHE NEL MANICOMIO PIDIELLINO…TREMONTI: “SE E’ COSI’ MI DIMETTO”…LA LEGA IN CONFUSIONE PRENDE TEMPO
Sono trascorse appena 24 ore dalla chiusura dei seggi e il crollo elettorale colpisce il cuore politico del governo, allargando la crepa tra Berlusconi e Tremonti.
Già da Bucarest, commentando con Bossi i risultati, il premier aveva individuato nella mancata riforma del fisco la vera causa della «batosta» e nel ministro dell’Economia il responsabile primo.
Ma ieri trai due la frattura è arrivata quasi a un punto di non ritorno.
Con Tremonti che, pronto alle dimissioni, ha preteso dal Cavaliere un comunicato per smentire l’attacco pubblico pronunciato poche ore prima. E tuttavia la sostanza non cambia.
Berlusconi si è infatti convinto che il ministro dell’Economia abbia «complottato» alle sue spalle per scalzarlo da palazzo Chigi.
Non un piano teorico, ma un un’offensiva molto concreta, che avrebbe raggiunto il suo culmine proprio ieri, con il vertice a palazzo Chigi tra il ministro dell’Economia e i vertici della Lega.
Un summit con Berlusconi assente, in volo dalla Romania, durante il quale, stando a quanto hanno riferito al Cavaliere, Tremonti avrebbe esplicitamente fatto riferimento a un cambio in corso alla guida del governo.
«Dovete essere voi a chiedergli un passo indietro, è questo il momento giusto».
Una staffetta, quella tra Berlusconi e Tremonti, giustificata dalla pesantezza della sconfitta e dalle severe misure finanziarie che attendono il paese a giugno.
È per questo che il premier è stato così tagliente quando, poche ore dopo, parlando con i giornalisti al Quirinale, ha voluto umiliare pubblicamente il ministro dicendo che a via XXSettembre spetta soltanto il compito di «proporre», mentre la decisione sulla riforma del fisco è riservata a palazzo Chigi.
In privato Berlusconi è ancora più caustico, come se abbia deciso di spingere Tremonti con le spalle al muro, mettendolo nella condizione di farsi da parte.
«È lui che ci ha fatto perdere le elezioni al Nord, poche storie. Ormai quando appare in televisione, con quella faccia, la gente pensa aVisco. Se dovesse andar via non mi straccerei le vesti».
Evocare il ministro delle Finanze dell’Ulivo, quello che lo stesso Tremonti sbeffeggiava come «Dracula all’Avis», nel linguaggio di Berlusconi è più che un insulto, è una condanna politica.
E difatti, ai piani del Pdl, riferiscono che Berlusconi sia ormai pronto a fare a meno dell’uomo che finora ha custodito i conti pubblici.
Avrebbe anzi già garantito a Bossi, nel colloquio avuto ieri all’ora di pranzo, che nel caso al posto di Tremonti andrà un uomo gradito al Carroccio.
Se non direttamente un leghista.
I ministri del Pdl raccontano del resto che anche tra i padani la fiducia nel ministro dell’Economia abbia subito uno scossone.
Ieri ad esempio Calderoli e Maroni non hanno fatto mistero di non aver gradito la conferma di Attilio Becera come direttore dell’Agenzia delle entrate.
«Ma come – è sbottato Calderoli – quel Befera, con le sue ganasce fiscali, ci ha fatto perdere al Nord e Tremonti cosa fa? Al primo Consiglio dei ministri lo conferma direttore? Cose da pazzi».
Insomma, anche dentro la Lega, come nel Pdl, la confusione dopo il voto è massima e non si riesce più a distinguere bene tra amici e nemici.
Così per il momento Bossi ha deciso di prendere tempo, aspettando la fine di giugno per decidere cosa fare.
Nella settimana dopo Pontida (che si terrà il 19 di giugno) è calendarizzata alla Camera la discussione sul cambiamento di maggioranza richiesta da Napolitano.
E potrebbe essere quello, se la Lega non trovasse più le ragioni dell’alleanza, il terreno per una rottura con il centrodestra.
Al momento comunque il Carroccio si è messo di nuovo alla finestra, «dietro il cespuglio» come disse Bossi qualche mese fa. E tuttavia Tremonti, che oggi subirà un processo in contumacia all’ufficio di presidenza del Pdl (Berlusconi ha chiesto che si voti un documento per mettere fretta al ministro sulla riforma del fisco), è convinto di avere delle buone armi in arsenale per resistere agli attacchi.
«Non parlo – ripete ai suoi – per un po’ non esisto».
Gli basta quello che gli altri dicono di lui, gli attestati di stima che raccoglie a livello europeo. Persino un rivale come il governatore Mario Draghi ieri gli ha dato atto di aver garantito la tenuta dei conti pubblici, di aver raggiunto un’ ottima performance nella lotta all’evasione e di aver anticipato la manovra a giugno.
Tremonti è anche sicuro che Napolitano, con lo spettro della Grecia dietro l’angolo, non consentirà a Berlusconi di farlo fuori, esponendo il debito italiano a una possibile speculazione. E, al fondo, anche la sponda con la Lega reggerà .
Il rapporto tra Bossi e Tremonti, oltre che sulle cene degli ossi, è cementato dal sistema di potere che ruota intorno alle fondazioni bancarie del Nord.
E non basterà un Befera a scardinarlo.
Bei Francesco
(da “La Repubblica“)
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