BUGIE, INSULTI E LO SPOT FALSO: LA CAMPAGNA DI TRUMP AI CONFINI DEL RIDICOLO
CONTRAFFATTE LE IMMAGINI… “I MIGRANTI MESSICANI PRONTI ALL’INVASIONE”, IN REALTA’ SONO A MELILLA
Con una miserabile figura che fa rima con “perda”, nella traduzione letterale in italiano del primo commento costernato del manager della sua campagna elettorale Cory Lewandoski, Donald Trump ha lanciato il primo spot televisivo oltre i confini del ridicolo.
Anche da un personaggio tragicamente clownesco come il miliardario dall’aureola di richiamati arancione che aveva definito le donne “cagne, maiale, sciattone e disgustosi animali” e aveva trovato “ripugnante ” il tiralatte che le mamme usano per nutrire il figlio neonato, la colossale gaffe del superspot ripreso da RepubblicaTV e diffuso in Iowa per mostrare orde di messicani lanciati oltre la frontiere del Sud, risultati poi marocchini all’assalto del confine spagnolo a Mellina, ha già conquistato l’Oscar dell’imbarazzo.
Anche se non è mai il candidato in persona a produrre direttamente gli spot che vengono mandati in onda, regola e tradizione vogliono che siano lui o lei a visionarli e dunque a esserne responsabili e troppo bella, troppo efficace, troppo terrificante gli è apparsa quella sequenza di disperati in corsa oltre la frontiera per perdere tempo a controllarne la veridicità .
Come invece ha fatto il sito di PolitiFact, un servizio creato dal quotidiano della Florida Tampa Bay Times che puntigliosamente vede e rivede tutte le affermazioni dei politicanti per controllarne la fondatezza e per questo di vide assegnare il Premio Pulitzer nel 2014.
Non soltanto PolitiFact ha facilmente rivelato il falso di quella videoclip prodotta da governo spagnolo e messa online da Repubblica.
Per arrotondare ha rivisto tutte le sparate del “Donald” notando che su quattro sparate che lancia, tre sono false e soltanto una su dieci è completamente vera.
Per altri candidati alla investitura del proprio partito, il Repubblicano nel caso di Trump, una toppata di dimensioni così enormi, che appunto il manager della campagna ha riassunto in una parola che fa rima con “mitt”, per non dire “shit”, sarebbe, se non letale, almeno squassante.
Al senatore della Virginia George Allen bastò definire un giovane cineoperatore che lo seguiva per conto dell’avversario riprendendo tutti i suoi interventi pubblici “un macaco “, per la piccola statura e la carnagione bruna da indiano, per esserne distrutto.
Ma per l’Uomo dall’Aureola Arancione sembra valere, dall’inizio della sua resistibile ascesa verso la nomination a pretendente alla Casa Bianca un set di regole diverse. Trump, che pure vantava fino a ieri una grande amicizia con i Clinton, invitati d’onore al suo terzo matrimonio, e aveva licenziato come “del tutto irrilevanti” gli scandali sessuali di Bill, ora non soltanto demolisce la coppia che allora finanziava con insulti diretti (“Li conosco bene quei due, li ho sempre comprati”) e può riesumare l’affaire Lewinsky come “la prova che Bill era un molestatore di donne” e Hillary “gli teneva bordone rendendo possibili i suoi ignobili comportamenti”.
In più, vede i propri eccessi, la propria mimica istrionica, le sue sortite e ora lo svarione nello spot come conferme della propria diversità .
E come argomento da rivoltare contro le elite, gli snob, i media, la casta, come si direbbe nel dialetto politico italiano.
Lui, Trump, signore dei casinò di Atlantic City, dei permessi edilizi, dei grattacieli più sfacciamente lussuosi, dei cinque miliardi di dollari in portafoglio e della immensa egolatria scritta a maiuscole ciclopiche sul proprio jet privato, chiamato, non sorprendentemente, TRUMP, un jumbo jet Boeing 757.
Poi c’è lo sdegnoso disprezzo con il quale i Clinton, veterani di troppe risse elettorali e mische politiche per lasciarsi spettinare dalle gag del Donald, vorrebbero segnalare la distanza siderale che separa il superpalazzinaro newyorkese dalla serietà richiesta per governare una superpotenza nucleare, dove il “Comandante in capo” vive, giorno e notte, a pochi passi dalla valigetta con i codici per lanciare l’olocausto nucleare, il “football” come si dice nello slang della presidenza.
Bill, al suo esordio in New Hampshire, lunedì scorso per sostenere la moglie, tra breve impegnate nei consigli elettorali delloIowa, il primo febbraio e poi il 9 nelle fondamentali Primarie in quello Stato, ha ignorato l’esca del sexgate lanciata da Trump e la figura di “perda” fatta con quello spot.
“Io ho imparato a guardare alla prossima elezione, quella che si terrà qui in New Hampshire, non a quella di novembre”.
Lo snobismo sussiegoso dei Clinton, molto, forse troppo sicuri di sè, contro la istrionica furia del formidabile imbonitore, pronto a barare pur di “fare l’affare” come lui ripete, e prendersi la candidatura.
Non sarà questo l’ultimo shock inflitto da un Trump che deve vivere, o morire politicamente, di scosse sempre più forti.
Vittorio Zucconi
(da “La Repubblica“)
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