I VERBALI DEL CASO CUCCHI: I TENTATIVI DI INSABBIARE L’INCHIESTA
GIALLO SU UNA RIUNIONE CON I VERTICI DELL’ARMA… I MILITARI SMENTISCONO L’INDAGATO: “CUCCHI FACEVA IMPRESSIONE QUANDO CI E’ STATO CONSEGNATO, ALTRO CHE IN OTTIMA SALUTE”… “LE SPESE LEGALI LE PAGA L’ARMA”
Stava benissimo Stefano Cucchi. Anzi: è stato trattato con i guanti. Questa la versione fornita il 30 luglio scorso dal carabiniere Vincenzo Nicolardi, indagato per falsa testimonianza, al pm Giovanni Musarò.
Seccamente smentita (“Cucchi faceva impressione “) da un suo collega, un carabiniere della stazione di Tor Sapienza che prese in consegna Cucchi dalle mani di Nicolardi.
E sempre dalle sommarie informazioni dello stesso carabiniere, Gianluca Colicchio (non indagato), emerge un altro pezzo del puzzle.
Nicolardi gli consegna gli effetti personali del detenuto: all’interno c’è un foglietto con il numero di cellulare del maresciallo Mandolini, comandante della stazione Appia, il primo luogo in cui, secondo la procura, Cucchi fu pestato.
Un comportamento che Colicchio giudica “inusuale”. Perchè questa scelta? E di cosa voleva essere tenuto al corrente Mandolini?
È ancora il militare a riferire ai magistrati di una riunione con i vertici dell’Arma pochi giorni dopo la morte di Cucchi. Cosa fu detto durante quell’incontro?
Dall’interrogatorio non emerge, il sottufficiale però fa i nomi dei partecipanti.
E infine il giallo delle spese legali: il maresciallo Mandolini comunica alla moglie di essere indagato per la vicenda Cucchi, ma le dice di non preoccuparsi: “Ho parlato con un colonnello, mi fa pure le spese legali”.
Millanta o qualcuno gli ha promesso un aiuto economico, nonostante le regole lo prevedano solo come rimborso e in caso di assoluzione?
Nuove rivelazioni che arrivano nel giorno in cui Ilaria Cucchi torna sulle polemiche seguite alla pubblicazione, sul suo profilo Facebook, della foto di uno dei carabinieri accusati del pestaggio, che le è valsa una denuncia: “I processi non vanno fatti sul web, ma nelle aule di giustizia. Ma anche Stefano era incensurato: è facile processare un morto che non ha più diritti”.
L’interrogatorio.
“So che si dice che Cucchi – spiega Nicolardi al pm Musarò – è stato malmenato, ma io posso dire che (…) presso la nostra stazione (Appia, ndr) era stato trattato benissimo. Anzi, ho notato che non veniva trattato neanche da detenuto: lo hanno fatto mangiare, hanno dato da mangiare al cane, non lo hanno neanche messo in cella”.
L’altra versione.
A smentire Nicolardi è Colicchio, il militare che a Tor Sapienza riceve il detenuto dal collega: “Sinceramente lo stato del Cucchi destava impressione”. Poco dopo, infatti racconta al pm di aver chiamato “il 118 non solo perchè il Cucchi mi disse di avere dolori alla testa e all’addome, ma percepii in lui un evidente stato di sofferenza. Inoltre aveva un arrossamento anomalo sul viso, immediatamente sotto gli occhi e quasi fino alle guance”.
Il telefonino.
Nicolardi consegna ai colleghi insieme agli effetti personali di Stefano il numero privato del comandante della stazione Appia, Mandolini. Il carabiniere che lo riceve, Colicchio), spiega al pm che è una cosa inusuale.
“Il fatto che mi fosse stato dato (da Nicolardi, ndr) il numero di telefono personale del comandante era una cosa strana, perchè il numero della stazione era indicato sul verbale di arresto e soprattutto perchè, per qualsiasi problema, io avrei dovuto contattare esclusivamente il 112 e non rapportarmi autonomamente con un collega “. Al contrario, Nicolardi giustifica questa scelta sostenendo che il suo maresciallo Mandolini “è un tipo molto premuroso”.
“Paga l’Arma”.
“Ho parlato con il colonnello – spiega Mandolini alla moglie nel corso di una telefonata intercettata il 16 luglio del 2015 – mi fa pure le spese legali, hai capito? (…) . Paga l’Arma. Pè stà tranquillo “.
L’incontro.
“Quindici giorni dopo la mia deposizione davanti al pm – spiega ancora Colicchio – (si tratta della prima indagine, ndr), tutti i carabinieri coinvolti furono convocati presso la sede del comando gruppo carabinieri Roma. Fummo ricevuti davanti al comandante provinciale, generale Tomasone, al comandante del gruppo colonnello Casarsa, ai comandanti della compagnia Casilina e Montesacro. Ricordo che c’era il maresciallo Mandolini. I nostri superiori ci chiesero conto di quanto accaduto. Ci limitammo a fare un rapporto orale, senza sottoscrivere nulla”.
Giuseppe Scarpa
(da “La Repubblica”)
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