Novembre 24th, 2017 Riccardo Fucile
RECUPERA IL BONUS BEBE’… PORTA CHIUSA AL CENTRODESTRA: “O COL PD O DA SOLI”
“Sono abituata a rispettare i patti, fedele al principio che quando si stringe un accordo
lo si onora. Si vocifera, infatti, che in merito alle risorse stanziate sul bonus bebè queste non sarebbero quelle concordate, ma diverse. Se fosse così è chiaro che non solo saremmo insoddisfatti ma soprattutto sarebbe per Ap inaccettabile un’ipotesi simile. Pretendiamo perciò il rispetto dei patti”. Lo afferma, prima di entrare alla direzione di Ap, ala capogruppo centrista al Senato Laura Bianconi.
“E’ esclusa l’alleanza con la coalizione di centrodestra”.
E’ quanto ha sottolineato, secondo quanto emerge dalla direzione di Ap, il leader dei centristi Angelino Alfano nel suo intervento di apertura della riunione in corso all’hotel Kolbe.
Anche il coordinatore nazionale di Ap e capogruppo alla Camera, Maurizio Lupi, ha escluso nel suo intervento nella direzione del partito un’alleanza con il centrodestra: “oggi mettersi a discutere di questa ipotesi quando il leader di quella coalizione, Silvio Berlusconi, ha detto dichiaratamente che non ci considera” sarebbe ‘da ‘cogl….'”.
Le opzioni sono due, ha spiegato nella sua relazione introduttiva, in cui ha illustrato gli incontri avuti fino ad oggi: “trasformare in alleanza politica quella di Governo come ci è stato formalmente proposto, o andare da soli. E voi sapete come la penso”, ha aggiunto Lupi che già nei giorni scorsi ha sostenuto questa strada.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 7th, 2017 Riccardo Fucile
IL DISASTRO ELETTORALE, LA PAURA DELLA NON RIELEZIONE… SABATO IL REDDE RATIONEM
“La verità è che al nostro interno siamo esplosi. Lo eravamo prima delle elezioni in Sicilia, lo siamo a maggior ragione dopo”. Un deputato di lungo corso mastica stancamente una gomma.
Siamo nel corridoio fumatori di Montecitorio, metà mattina, la sigaretta rimane spenta. Alternativa Popolare non ha conquistato nessun seggio in Sicilia. Il granaio dei centristi, la patria di Angelino Alfano.
“Ci sono tre posizioni che si mescolano continuamente tra i nostri – continua il deputato – chi vuole mollare il Pd e tornare nel centrodestra, chi vuole tentare l’avventura da solo e chi vuole rimanere al fianco di Matteo Renzi. Sempre che ci voglia”. E Alfano? “Alfano è in Russia”.
Già , perchè bisogna partire da qui nel racconto della truppa dell’ex delfino di Silvio Berlusconi, logorata dai tanti mesi a votare provvedimenti che fuori dal Palazzo diventavano comunicativamente le leggi del Pd, sballottata dai non rosei risultati elettorali siciliani, terrorizzata dalla non rielezione di qui a qualche mese.
Bisogna partire da Angelino Alfano. Che effettivamente è a Mosca nelle sue ultime vesti di una poliedrica carriera politica, quelle di ministro degli Esteri.
E dalla patria di Lenin alla domanda “che fare?” risponde con un laconico: “Ci ragioneremo su”.
Salvo poi stancamente aggiungere che “in questi anni abbiamo collaborato con governi che hanno preso l’Italia in una condizione peggiore, la stanno lasciando in una condizione migliore. Il saldo per gli italiani di questi anni è stato positivo”. Quasi un no comment.
C’è una fetta del partito che, con diversi gradi di maturazione, ha elaborato l’idea che quella di Angelino sia una carta troppo logora da giocarsi in campagna elettorale.
Il corollario, risultati siculi alla mano, sarebbe quello di chiedergli di fare un passo di lato, quantomeno di non essere il frontman della formazione che questo weekend si riunirà a in una conferenza organizzativa a Roma per raccapezzarsi su come presentarsi alle elezioni.
E qui è utile fare un passo indietro. Perchè occorre capire dove e come scendere in campo.
Tutti nel microcosmo popolare hanno notato una cosa. Vale a dire che Maurizio Lupi, attuale coordinatore e a detta di molti il volto più spendibile in vista delle urne, negli ultimi giorni è rimasto asserragliato in un ostinato mutismo.
“Stava a New York per correre alla maratona”, dice il suo entourage. Cosa che non spiega perchè tra i tweet e i post su Facebook non si trovi mezza parola sulle elezioni siciliane. Di nessun tipo.
Il coordinatore si deve districare in una situazione esplosa, tirato per la giacca tra le varie istanze che si muovono magmaticamente in Ap.
I più rumorosi sono quelli che con un misto di ammirazione e ironia vengono chiamati “i lombardi”, ma che non sono solo tali. I quali spingono decisamente per una virata a destra, un ritorno all’ovile di Berlusconi.
A tirare le fila è Roberto Formigoni. Sentite: “Le elezioni hanno evidenziato che i sostenitori dell’alleanza con il Pd hanno commesso un errore enorme”. E ancora: “È ineludibile un’inversione a 180 gradi quando ci riuniremo sabato”.
Formigoni ha in dote un gigantesco tessuto relazionale, suo e dei tanti amministratori che l’hanno seguito al centro e che vengono dalla comune esperienza di Comunione e Liberazione. In più, negli anni si è cementato un solido rapporto con Roberto Maroni, che non si ha nessuna intenzione di interrompere.
L’anno prossimo la Lombardia andrà al voto, e la pattuglia di Ap al Pirellone non ha nessuna intenzione di cambiare casacca. Una scelta che sarebbe difficilmente spiegabile ai propri elettori, potenzialmente suicida.
La senatrice Simona Vicari usa la clava. E parla di “numerosi errori di valutazione politica e di comunicazione da parte di tutto il gruppo dirigente del Partito. Nascondere questo risultato dietro calcoli percentuali che dimostrerebbero la possibilita’ di restare in vita a livello nazionale, puntando semplicemente a superare il 3 per cento nazionale, è un atteggiamento sbagliato”. Chiaro no?
Sull’altro piatto della bilancia c’è il fitto lavorio di Pier Ferdinando Casini. Il suo rapporto con Renzi si è consolidato negli anni. In molti dentro il partito hanno ironizzato per l’incontro tra i due andato in scena negli scorsi giorni a Firenze: “È andato a battere cassa”.
Ma al di là delle battute salaci, non è un mistero che il già presidente della Camera accarezzi l’idea di un accordo con il Pd, anche se i contorni non ne sono ancora stati definiti.
Sergio Pizzolante, vicepresidente del gruppo a Montecitorio, la mette giù chiara: “Per una forza moderata e centrista che ha governato il Paese per 5 anni con il Pd e altre forze, non c’era in Sicilia e non potrà esserci in Italia altra scelta se non quella di organizzare un’alleanza partendo dall’area di governo”.
La linea che esprime Pizzolante è quella su cui colloca tutta l’area filo-governativa, Beatrice Lorenzin e Fabrizio Cicchitto su tutti. Che temono, come molti sono pronti a giurare, che Lupi alla fine rompa gli indugi, e viri decisamente verso destra.
Cicchitto parla di due scelte: “Quella di collocarsi su una posizione autonoma o quella di verificare se esistono le condizioni politico programmatico di stampo riformista per una convergenza con il Pd”. Tertium non datur.
Trasversalmente, riaffiora costantemente l’idea: “E se andassimo da soli?”.
Una posizione che è sempre stata quella del coordinatore, ma che vacilla pesantemente dopo il magro bottino siciliano. “Con il 4% in una Regione forte come la Sicilia è tanto se a livello nazionale prendiamo il 2%”, ragiona un senatore centrista.
“Il punto – prosegue – è che rischiamo di prendere ancora meno se facciamo una listerella apparentata con il Pd. Perchè a quel punto un elettore dovrebbe votare noi e non direttamente Renzi?”.
Un problema, per usare un eufemismo. Del quale al momento non si intravede una soluzione. Non una che tenga uniti tutti i pezzi, almeno, senza un’ulteriore doloroso sbrindellamento.
Il tandem Alfano-Lupi rimane imperscrutabile in vista del redde rationem di sabato. Troppo alta la posta in gioco per sbagliare anche la più piccola mossa.
Sempre che si sia ancora in tempo per rattoppare alle scelte del passato.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 6th, 2017 Riccardo Fucile
I CENTRISTI FALLISCONO ANCHE LA SOGLIA DEL 5%, NESSUN SEGGIO IN SICILIA… LUPI E FORMIGONI PRONTI ALLA SPALLATA
Il raggiungimento della soglia del 5% poteva fare la differenza tra galleggiamento ed
implosione.
Alla fine, sebbene il lento scrutinio avesse lasciato accesa l’ultima speranza, il verdetto è impietoso: per Alternativa popolare le elezioni siciliane sono una debacle. Un disastro soprattutto per Angelino Alfano e quell’area più filo governativa che ha voluto l’alleanza con il Pd a sostegno di Fabrizio Micari.
Il leader centrista non nasconde il “risultato negativo”, ma rivendica: “Anche se non abbiamo ottenuto i risultati sperati, non abbiamo rimpianti perchè abbiamo fatto la scelta giusta”.
Una scelta che, però, fu fatta a dispetto dell’ala nordista, guidata da Maurizio Lupi, che guardava al centrodestra e – anche a fronte del veto di Salvini – avrebbe comunque preferito una corsa solitaria.
Una decisione che dunque si è rivelata fallimentare e che brucia ancora di più sulla pelle del ministro degli Esteri che nella natale Agrigento ha, o a questo punto aveva, il suo piccolo feudo. E che ora corre il rischio di ritrovarsi minoranza nel partito che lui stesso ha costruito.
Non superare il 5% vuol dire infatti non avere nemmeno un seggio, dunque neanche una briciola di potere contrattuale quando Nello Musumeci andrà a cercare “rinforzi” per formare il governo.
Perchè è esattamente questo lo scenario che prefiguravano molti notabili locali di Ap che in numerosi comizi, spudoratamente, chiedevano il voto per i propri candidati in lista, ma poi suggerivano di votare per il governatore del centrodestra.
I dati lo confermano: il sostegno di Alfano ha portato a Micari poco e niente, al centro è risultata assai più credibile la proposta dell’Udc di Lorenzo Cesa per Musumeci.
Ed ecco che sotto quella soglia, reale e psicologica allo stesso tempo, è già partito quel processo di disgregazione in realtà strisciante da tempo.
I big per ora scelgono la strada della prudenza, Maurizio Lupi approfitta del provvidenziale viaggio a New York per la maratona, e sfrutta il fuso rinviando ogni commento.
Ma il dado sembra ormai tratto e la linea che emergerà è: basta alleanza con il Pd, bisogna guardare al centrodestra.
Lo “sfogatoio” è già pronto: per sabato a Roma è in programma una conferenza organizzativa di Ap, e i “critici” già affilano le armi.
Esplicitamente ne parla Roberto Formigoni: “C’è un’unica cosa che Alternativa Popolare non deve fare dopo le elezioni siciliane: riproporre a livello nazionale – sostiene – l’alleanza con il Pd. È questa l’indicazione chiara che ci viene dai nostri elettori, sia pure a risultati non definitivi”. L’ex hovernatore lombardo invita anche a mollare il governo, già a cominciare dalla legge di bilancio.
Lupi, che proprio per scongiurare scollamenti Alfano ha nominato qualche mese fa coordinatore del partito, per il momento continua a dire che la strada di Ap dovrebbe essere quella di andare da soli alle Politiche.
Ma l’ex ministro sa bene che con il Rosatellum questo percorso è poco praticabile. E, infatti, c’è chi giura che in realtà ormai da tempo abbia stretto un accordo con Silvio Berlusconi per tornare nel centrodestra.
E a quel punto l’implosione sara inevitabile: si tratta solo di capire se i filo governativi – due nomi tra tutti Fabrizio Cicchitto e Beatrice Lorenzin – se ne andranno di loro spontanea volontà o se saranno accompagnati alla porta.
Nè sarebbe un problema il veto che da tempo il leader della Lega ha posto su un ritorno di Ap. Il modo per superare questa impasse sarebbe già pronto: “sacrificare” Angelino Alfano, non candidarlo, lasciarlo al suo destino, magari a cercare un “salvacondotto” con il Pd.
L’esperienza lombarda del governo Maroni che tiene tutti assieme aiuterebbe. Silvio Berlusconi avrebbe già dato il suo benestare: ok al ritorno dei “figlioli prodigi”, tutti – appunto – tranne il suo ex delfino.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 1st, 2017 Riccardo Fucile
DIFFICILE CACCIARE UNO CHE NON C’E’, MA PER ALFANO CONTA LO SPOT
“L’ambasciatore di Kim verrà espulso”. L’Italia che tra molte polemiche ha rimandato in Egitto il suo
ambasciatore ora espelle quello Nord Coreano.
Ad annunciarlo è il ministro degli Esteri Angelino Alfano in un’intervista a Repubblica il cui pezzo forte è proprio il pugno di ferro contro il dittatore che coi suoi missili minaccia gli Usa e mezzo mondo.
Alfano parla di “decisione forte”, spiegando che “l’ambasciatore dovrà lasciare l’Italia”, sottolineando come “il nostro Paese presieda il Comitato Sanzioni del Consiglio di Sicurezza, e chiede alla comunità internazionale di mantenere alta la pressione sul regime”.
A dirla tutta in realtà non viene cacciato proprio nessuno per il semplice fatto che formalmente e ufficialmente oggi in Italia non c’è un ambasciatore nord coreano da cacciare: quello accreditato, Kim Chun-guk, è morto nel 2016 a Roma mentre era in servizio e le credenziali del suo successore Mung Jong-nam non sono state accolte dal Quirinale che le sta ancora esaminando.
L’esibizione muscolare del nostro Paese, va detto, segue in realtà quelle di altri che ben prima di Roma hanno messo alla porta gli ambasciatori di Kim: il Perù, la Malesia, il Kuwait, il Messico e in Europa il Portogallo e la Spagna, che ha appena dichiarato l’ambasciatore “persona non grata”.
Alfano nell’intervista si premura di rassicurare sul fatto che sarà tenuto comunque aperto un canale diplomatico con il governo nord coreano. Vero è che Kim non ha mai mancato di far pervenire segnali di simpatia verso l’Italia, ad esempio con le congratulazioni nel giorno della proclamazione dei suoi Presidenti della Repubblica (Mattarella compreso). E che l’Italia ringrazia e ricambia spendendo a Pyongyang l’onorevole Antonio Razzi.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 5th, 2017 Riccardo Fucile
L’EX SINDACO PRENDE LE DISTANZE SIA DA FAVA CHE DA MICARI: “OBIETTIVO DEVE ESSERE UNA SINISTRA UNITA”
Pisapia ha detto “nì”.
Dopo giorni di stallo, il leader di Campo Progressista ha finalmente sciolto la riserva sulle elezioni regionali siciliane, decidendo di non appoggiare ufficialmente nè Fabrizio Micari, emanazione del sindaco di Palermo Leoluca Orlando e appoggiato dal Pd, nè il candidato di Mdp, Claudio Fava.
Un “nì” appunto. Del resto per l’ex sindaco di Milano il tema è un altro: e cioè una lista unitaria di tutto il centrosinistra in Sicilia con un solo paletto: Alfano fuori dai piedi.
“Nessuno di noi avrebbe problemi a sostenere Micari — è il ragionamento che fanno gli uomini di Pisapia, riuniti dall’ex sindaco di Milano questo pomeriggio al centro congressi Cavour di Roma per fare il punto – si tratta di un nome civico, caldeggiato da Orlando e dalla sinistra. Il problema per noi sono gli alfaniani”.
Con Ap, dicono gli uomini di Giuliano, “non è possibile fare alleanze”.
Il cerino torna quindi nelle mani del Pd, che a questo punto dovrà prendersi la responsabilità di decidere “se cogliere l’occasione di ricostruire il centrosinistra o proseguire con l’anomalia portata avanti con il Nuovo centrodestra di Alfano” e i voti che il ministro dell’Interno sposta in Sicilia.
(da agenzie)
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Agosto 14th, 2017 Riccardo Fucile
VERSO IL SI’ AL PD… NEL PACCHETTO SICILIA, LEGGE ELETTORALE E POLITICHE… FALLISCE LA MEDIAZIONE DI BERLUSCONI DOPO IL NO DI LEGA E FDI
Non più solo “prova generale” per le Politiche, ma anche “spartiacque” per la legge elettorale.
Il valore del voto siciliano del 5 novembre ha ormai abbondantemente superato i confini dell’isola, perchè in questa fase di trattative ci sono sostanzialmente due schemi che si confrontano: da una parte un centrosinistra allargato fino ai moderati (il cosiddetto “modello Palermo” che ha portato all’elezione di Leoluca Orlando) e dall’altro la riunificazione del centrodestra (“modello Genova”).
In mezzo, conteso dagli uni e dagli altri ma altrettanto vittima di veti incrociati (vedi Mdp e Fdi-Lega), c’è il partito di Angelino Alfano.
Ma parlare di coalizioni, soprattutto quando si esce dal confine regionale, vuol dire necessariamente parlare di legge elettorale.
E in questi giorni agostani almeno due interviste hanno fatto fischiare le orecchie a Matteo Renzi: a sinistra quella di Andrea Orlando e a destra quella di Silvio Berlusconi.
Il leader di Forza Italia, in un colloquio con ‘Il Mattino’, sostiene che “sarebbe gravissimo” se “gli appelli del Capo dello Stato a modificare la legge elettorale in vigore, una legge disomogenea e contraddittoria fra Camera e Senato, cadessero nel vuoto”.
La sua proposta è di ripartire dal modello tedesco su cui era stato raggiunto un accordo a tre con Pd e M5s, poi saltato a Montecitorio.
Ma il vero nodo politico, soprattutto all’interno dei dem, è quello del premio di coalizione.
Attualmente il premio di maggioranza — restando in vigore il cosiddetto Consultellum – è previsto per la sola legge della Camera ma viene attribuito al partito, o alla lista, che riuscisse a raggiungere il 40% delle preferenze.
Andrea Orlando invita invece Matteo Renzi a riaprire la discussione sul sistema di voto prevedendo quel premio di coalizione che consentirebbe di creare una maggioranza che vada da Pisapia ai moderati. “Se votiamo con questa legge — argomenta il ministro della Giustizia in un’intervista a ‘La Stampa’ – abbiamo l’altissima probabilità di non avere una maggioranza di governo. Il Paese sarebbe esposto a rischi di sistema”, “occorre ridurre le distanze nel centrosinistra, discutendo di proposte comuni con le altre forze della sinistra e le forze più moderate”.
Parole che l’ala di Alternativa popolare che “tifa” per un’intesa con i dem ha considerato come acqua al proprio mulino. Ma una bocciatura arriva a sinistra con Federico Fornaro, di Articolo1. “Alleanze elettorali alle prossime politiche che andassero da Alfano a Mdp, come propongono Andrea Orlando e altri del Pd — dice – sarebbero uno straordinario regalo al Movimento 5 Stelle”.
Dalle parti dei renziani l’idea del premio alla coalizione non è particolarmente gradita: il segretario Pd sa che a spingere per questa soluzione, oltre a Orlando, è anche Dario Franceschini.
Ma il suo timore è che alla fine il candidato premier di una siffatta alleanza potrebbe non essere lui.
E di possibili rivali ormai ne vede ovunque, soprattutto nel governo, a cominciare dallo stesso Gentiloni e poi Minniti, Calenda e persino Delrio.
La posizione di Renzi è che non si può cambiare la legge elettorale “contro gli altri partiti” e dunque senza che vi sia l’accordo di Forza Italia e M5s.
I pentastellati, però, di premio di coalizione non ne vogliono neanche sentir parlare. “La nostra forza è andare soli, proveranno a fare una legge elettorale contro di noi”, accusa Alessandro Di Battista.
Ufficialmente alla Camera i giochi si riapriranno il 6 settembre, quando tornerà a riunirsi la commissione Affari costituzionali. Ma c’è chi giura che Renzi non muoverà foglia fino a quando non si saranno svolte le elezioni in Sicilia.
Ed ecco che torna evidente il collegamento tra voto regionale e voto nazionale. L’obiettivo del segretario dem per le elezioni del 5 novembre, pur continuando a ribadire che è soltanto un test locale, è almeno di non arrivare terzo anche per non dare benzina agli oppositori interni. E per questo non passa giorno che i suoi “emissari” Delrio e Guerini, non parlino con gli uomini del ministro degli Esteri — Giuseppe Castiglione e Dore Misuraca – per chiudere l’accordo per palazzo dei Normanni.
Dentro Alternativa popolare, tuttavia, c’è un ‘partito del Nord’ capitanato da Maurizio Lupi che minaccia scissioni in caso di accordi con il Pd. E questo perchè il raggiungimento di un’eventuale intesa in Sicilia si porterebbe dietro anche un accordo per le prossime Politiche.
Alfano si è preso ancora qualche giorno per scogliere la riserva, una evoluzione è attesa dopo la settimana di ferragosto.
Al momento un’intesa con il Pd sembrerebbe ancora l’ipotesi più probabile. Anche perchè sui ragionamenti del ministro degli Esteri rispetto a un ritorno alla casa madre del centrodestra pesa un fattore molto umano e personale: non si fida di Silvio Berlusconi, nonostante la cordiale telefonata di una settimana fa. E non si fida soprattutto del fatto che l’accordo regga poi a livello nazionale.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 9th, 2017 Riccardo Fucile
A TRE MESI DALLE ELEZIONI BERLUSCONI E RENZI NAVIGANO A VISTA
I fan del pallone la paragonano a più riprese al calciomercato estivo: solo che al posto dei centravanti da 40 gol a stagione ci sono gli acchiappavoti da diecimila preferenze a elezione.
È per questo motivo che i digiuni di calcio sono molto meno forbiti: per loro la campagna elettorale siciliana è soltanto un normalissimo mercato delle vacche.
E d’altra parte non potrebbe essere diversamente: le regionali sull’isola, infatti, sono l’ultimo banco di prova prima delle politiche del 2018.
E per il momento hanno persino la squadra campione già ad Agosto come accade in Serie A: è il Movimento 5 Stelle accreditato da tutti i sondaggi — ma con cifre diverse — come la prima forza tra le preferenze dei siciliani.
I grillini hanno ricandidato Giancarlo Cancelleri (terzo col 18% nel 2012) e da qualche giorno hanno cominciato a girare la Sicilia: una campagna elettorale che da qui al 5 novembre durerà 3 mesi tondi.
Stanno quasi fermi, invece, gli uomini di Forza Italia e di Gianfranco Miccichè: non intendono appoggiare l’autocandidatura a destra di Nello Musumeci (che ha incassato solo il sostegno di Giorgia Meloni e Matteo Salvini) e inseguono il ritorno alla coalizione schiacciasassi capace di vincere per dieci anni di seguito con Totò Cuffaro prima, e con Raffaele Lombardo poi.
Anche il Pd di Matteo Renzi naviga a vista: il segretario ripete continuamente che c’è bisogno di discontinuità nonostante abbia sostenuto per cinque anni la non esaltante esperienza di Rosario Crocetta.
Il governatore si è ricandidato in solitudine visto che il suo partito non intende appoggiarlo, ma i dem dopo il doppio rifiuto di Piero Grasso non ha ancora un candidato e nemmeno una coalizione.
Un asso pigliatutto con la faccia di Alfano
È in mezzo a questa caotica situazione che spunta un jolly, un asso pigliatutto con la faccia di Angelino Alfano: tutti lo vogliono, tutti lo cercano, tutti sono persino disposti a cedergli la scelta del candidato governatore pur di aggiudicarsene il sostegno.
Ecco per capire in che condizioni sono i partiti a tre mesi dalle elezioni regionali in Sicilia, occorre andare a rileggersi una dichiarazione rilasciata dal ministro degli Esteri appena dieci giorni fa. “Attualmente io sono corteggiatissimo come non mai dalla sinistra in Sicilia”, aveva detto Alfano al quotidiano il Tempo.
Era il periodo in cui il ritorno alla corte di Silvio Berlusconi sembrava ormai cosa fatta.
Un’alleanza che secondo Miccichè — tornato a fare il luogotenente di Berlusconi dopo un lustro da figliol prodigo — era propedeutica per tornare a al governo dell’amata Sicilia, la terra dei 61 seggi su 61 conquistati alle politiche del 2001.
In cambio gli alfaniani chiedevano due cose: ovviamente la poltrona (e quando mai) di candidato governatore e soprattutto la rimozione della fatwa a livello nazionale.
Ai piani alti di via del Plebiscito, però, hanno chiuso le porte: con Alfano mai più.
E anche se Berlusconi è tornato recentemente a sentire l’ex pupillo al telefono, (“chiamata gradita e amichevole, ma tutto ci divide da Salvini”, l’ha definita Angelino) gli azzurri continuano a essere divisi da Ap: impossibile includere gli Alfaniani nella coalizione con Matteo Salvini e Giorgia Meloni.
E in attesa di capire che strada sceglierà Forza Italia ecco che in pochi giorni il ministro degli Esteri ha cominciato a flirtare con il Pd, come se nulla fosse.
Il Pd flirta con Angelino
Per incoraggiare l’accoppiamento tra dem e alfaniani è intervenuto persino Pierferdinando Casini, in vacanza a Scicli dove ha convocato una surreale conferenza stampa agostana. “Alfano ha un percorso di coerenza cristallino. È stato ministro con Renzi e Gentiloni. In Sicilia collabora con il Pd”, ha detto l’ex leader dell’Udc, incensando il leader di Alternativa Popolare per provare a trascinarlo col centrosinistra.
Un corteggiamento serrato ammesso persino da Giuseppe Castiglione, luogotenente degli Alfaniani in Sicilia. “Col Pd c’è un dialogo in corso”, ha detto il sottosegretario all’Agricoltura. Come dire: siamo pronti ad andare col miglior offerente.
“Il tema non è con chi andiamo noi, ma chi viene con noi“, rettifica gongolante il ministro.
Ma chi sono gli Alfaniani di Sicilia, esponenti di un partito che non supera il 3% a livello nazionale ma che sull’isola è ambito manco fosse il jolly capace di sottrarre la Regione ai pentastellati?
Manco a dirlo si tratta di una serie di ras delle preferenze: quei centravanti da 40 gol a stagione che potrebbero forse cambiare il destino delle elezioni. Portandosi dietro, tra l’altro, una serie di indagini giudiziarie in corso
Il primo della lista è sicuramente lo stesso Castiglione, genero ed erede del potentissimo Pino Ferrarello (ex senatore berlusconiano, già prescritto per una storia di tangenti dieci anni fa), autore dei successi del partito a Est dell’isola, cioè a Mineo, città nota soprattutto perchè dal 2011 ospita il centro per richiedenti asilo più grande d’Europa.
Se a livello nazionale Ncd ha collezionato risultati modesti, infatti, nella città in provincia di Catania è stata capace di sfiorare il 40%.
Il motivo lo spiegano i magistrati della procura etnea nella richiesta di rinvio a giudizio per il luogotenente di Alfano e altre 17 persone, accusate di turbativa d’asta e corruzione elettorale (per le sue accuse Castiglione ha chiesto e ottenuto il giudizio immediato).
Si tratta della costola siciliana dell’inchiesta su Mafia capitale nata dalle dichiarazione di Luca Odevaine che ha fatto luce sulla gara d’appalto da 100 milioni per gestiste il centro d’accoglienza. Il sistema, per i pm, era semplice: a Mineo andava in scena “una spregiudicata gestione dei posti di lavoro (circa 400) per l’illecita acquisizione di consenso elettorale”. Tradotto: voti in cambio di posti di lavoro. In più ai dipendenti del Cara veniva addirittura chiesto di prendere la tessera di Ncd.
I voti che seguono Angelino
È in questo modo che il centro per richiedenti asilo è diventato una gigantesca macchina elettorale capace di garantire preferenze a vari partiti: alle politiche del 2013 — quando Alfano era ancora il delfino di Berlusconi — i voti della zona vanno al Pdl, alle amministrative dello stesso anno a una lista civica alfaniana (che elegge sindaco Anna Aloisi, anche lei indagata), mentre alle europee del 2014 vengono indirizzati verso la neonato partito del ministro agrigentino.
È lo stesso turno in cui Giovanni La Via (ex assessore di Cuffaro ora tra i papabili candidati governatore) sbarca a Bruxelles come primo degli eletti: prende 56mila preferenze, 10mila in più rispetto a Maurizio Lupi, che all’epoca era ancora ministro. È una vera e propria prova di forza di Castiglione, che infatti è ancora in carica nonostante l’inchiesta che lo vede coinvolto.
Vicari, rolex e traghetti
Si è dovuta dimettere da sottosegretario, invece, Simona Vicari, altra alfaniana a 24 carati indagata per corruzione nell’inchiesta sulle tangenti per il trasporto marittimo: è accusata di aver intascato un Rolex dall’armatore Ettore Morace, arrestato insieme all’ex sindaco di Trapani Girolamo Fazio.
In cambio la senatrice avrebbe fatto inserire nella legge di Bilancio un emendamento per tagliare dal 10 al 5 % l’Iva prevista per i servizi di trasporto marittimo urbano, fluviale e lagunare: in pratica quella norma dimezza l’aliquota agli armatori come Morace.
La villa di Cascio e il finanziamento da 6 milioni
Ha favorito due imprenditori che avevano chiesto un finanziamento europeo da sei milioni di euro, invece, Francesco Cascio, ex presidente dell’Assemblea regionale siciliana: soldi utilizzati per realizzare un resort con campo da golf sulle Madonie. In cambio ha ottenuto la sistemazione gratuita della sua villetta a Collesano, proprio nei pressi della lussuosa struttura turistica costruita grazie al denaro ottenuto da Bruxelles. Per questi fatti il gup di Palermo lo ha condannato a 2 anni e 8 mesi di carcere: una condanna che ha fatto scattare la sospensione del deputato dal consiglio regionale siciliano. Ma che non ha scalfito il rapporto con Alfano: subito dopo la sentenza il ministro ci ha tenuto a chiamare Cascio per ribadirgli “amicizia, stima e fiducia”.
È ancora saldamente in carica, invece, Giovanni Lo Sciuto, consigliere regionale di Castelvetrano finito più volte tra le polemiche per i suoi vecchi rapporti di conoscenza con Matteo Messina Denaro.
I due sono persino ritratti insieme in una fotografia — mostrata da Sandro Ruotolo — scattata al matrimonio della cugina del superlatitante.
“All’epoca dei fatti, la famiglia Messina Denaro non aveva, per quelle che erano le mie conoscenze di ragazzino, problemi con la giustizia e, non avendo io il dono della chiaroveggenza, non potevo prevedere quello che sarebbe successo dopo la fine degli anni 80”, si è giustificato Lo Sciuto con Fanpage.it.
Quella vecchia conoscenza con il boss di Cosa nostra, d’altra parte, non ha mai avuto conseguenze sulla sua carriera politica che nel 2012 ha raggiunto il livello più alto con l’elezione nella commissione antimafia dell’Assemblea regionale siciliana.
Il Parlamentino dell’isola dove gli Alfaniani sono corteggiatissimi a destra e a sinistra, nonostante indagini, condanne e vecchie foto.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 20th, 2017 Riccardo Fucile
PROLIFERANO I GRUPPETTI… LA SOLITUDINE DI ALFANO
Per ricerca del centro perduto, o ritrovato, la traccia la offre quel vecchio segugio di Augusto
Minzolini, chiacchierando in Transatlantico: “Ma che è ‘sto centro? Oggi state tutti sul centro. Il centro non esiste, è uno spazio virtuale. Ve ne siete accorti che Alfano è finito?”.
I movimenti però sono reali: le richieste di appuntamento ad Arcore, le trame. Compare Enrico Costa, al suo primo giorno da parlamentare, col telefono in mano: “Non sa quanti messaggi e telefonate. La gente vuole un centrodestra unito che torni al governo. Stiamo lavorando per irrobustirlo. Il come? Dipende anche dalla legge elettorale. Se c’è il listone è un conto, se c’è la coalizione occorre costruire una quarta gamba, di centro”.
Torniamo a Minzolini: “La questione è semplice. Questi centristi non sono un soggetto politico. Se a Berlusconi servono per fare la legge elettorale, è un conto, altrimenti li lascia dove stanno”.
E si gode lo spettacolo dei “traditori”, così li chiamano ad Arcore, che tornano a Canossa. L’altro giorno a una riunione con gli inquieti coordinatori del sud, si è precipitato Niccolò Ghedini, per tranquillizzarli, perchè l’allarme è scattato: “Non li vogliamo, i posti sono per noi che siamo sempre stati leali al presidente”.
L’avvocato ha assicurato: non saranno candidati di Forza Italia, se vogliono possono fare un gruppo centrista e si vedrà . Una quarta gamba appunto.
Ci stanno lavorando, appunto, Enrico Costa, l’ex sindaco di Verona della Lega Flavio Tosi e l’attivissimo Lorenzo Cesa, il cui sodalizio con Casini si è rotto da tempo. Maligno Fabrizio Cicchitto dice: “Quelli di Forza Italia lavorano a una “bad company, dove assembleare i pentiti evitando di sconsacrare la casa madre e di turbare quelli rimasti nei secoli fedeli”.
Quarta gamba o “bad company” è solo una delle tante, infinite dinamiche che produce l’ansia da seggio.
L’altra porta a Denis Verdini, il cui gruppo è ormai in dissoluzione. Soffre e si offre. Per ora senza risultati. “Silvio è un genio” dice a Repubblica Eva Longo, campana, che tre anni fa fece un selfie con Renzi, votando le sue riforme.
Due giorni fa, l’ex plenipontenziario di Berlusconi ha avuto un lungo incontro con Maurizio Lupi, per provare a fare di due debolezze una forza. Per chi può essere interessato la notizia è che, di fatto, hanno scaricato Alfano.
Una fonte di Area Popolare dice: “Angelino in questo momento è inspendibile sia per dialogare con Berlusconi sia con Renzi. Lupi vuole tornare in prospettiva in un’area di centrodestra, ma non da solo. Prova a costruire un gruppo in modo da avere capacità negoziale, in attesa di capire come si vota. E con Verdini e Zanetti si parla di qualche decina di parlamentari”.
L’ipotesi, o meglio l’intenzione, è quella di arrivare a gruppi unitari entro fine luglio. Il che porterà ad alcune defezioni di gente di Ala che andrà nei vari gruppi e gruppetti di centrodestra.
Alfano, invece, ha un altro disegno ancora. Fare la gamba di centro, però di una coalizione di centrosinistra, nel caso Franceschini riuscirà mai a riaprire la discussione sulla coalizione. E dialoga con Stefano Parisi.
Anche se l’ansia da sopravvivenza crea paradossi. Con Parisi che qualche settimana fa si è precipitato all’iniziativa di Salvini, dopo aver predicato moderazione per mesi. “Il problema di Parisi — dicono dalle parti di Zanetti — è che vuole fare il leader di un qualcosa e pretende che gli altri si iscrivano al suo movimento Energie. Il progetto non si capisce”.
Mettiamo un punto fisso. In tutto questa trasmigrazione, il governo non rischia nulla, anzi. Perchè è chiaro che chi è preoccupato per il seggio alla prossima legislatura non lo vuole perdere ora.
Passiamo ai disegni più chiari, in questa geografia. Raffaele Fitto, con i suoi Conservatori e Riformisti, non entrerà mai in gruppi para-berlusconiani, pur rimanendo nel centrodestra.
E Gaetano Quagliariello, con la sua Idea, spiega: “Con Costa o Alfano? Per carità , ho massimo rispetto per chi esce dall’ibernazione, ma noi siamo un’altra cosa. Noi siamo quelli del no al referendum. Io lavoro per una federazione della Libertà che va da noi alla Meloni”. Eccoli, tutti i “centri”, reali o virtuali che siano.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 29th, 2017 Riccardo Fucile
IL PD NON CEDE SULLA SOGLIA DI SBARRAMENTO AL 5%: AP IN UN CUL DE SAC
A metà pomeriggio il game over dei centristi. Matteo Renzi è di fronte ad Angelino Alfano. Al suo fianco
c’è Maurizio Lupi. Al Nazareno sono entrati senza neanche l’onore dell’ingresso principale, come si fa con un alleato di governo. Dal retro.
Renzi ci va giù duro. Spietato: “La soglia del 5 per cento non si tocca”. L’ex delfino del Cavaliere prova ragionare. Chiede il 4 per cento. È il discrimine tra la sopravvivenza e l’estinzione.
L’ex premier alza la voce. Insofferente: “Parliamoci chiaro, voi l’occasione della vostra vita l’avete avuta e l’avete persa. Io volevo elezioni a giugno e vi avrei dato la legge elettorale che volevate. Ora è un altro film. Problemi vostri”.
I toni si fanno franchi e schietti – così si sarebbe detto una volta — coi decibel che salgono.
All’uscita il ministro degli Esteri racconta a più di un parlamentare: “È andata malissimo. Un incontro disastroso”. L’unica concessione di Renzi pare una beffa. Al momento dei saluti gli ha prospettato questa soluzione: “Qualcuno dei vostri lo accolgo nelle liste mie, qualcun altro in quelle di Berlusconi”.
E adesso Alfano ha paura davvero. Alle agenzie dirama un comunicato che è davvero il minimo sindacale dopo quello che è successo. Parla di “posizioni distanti”, chiede di “tenere conto della maggioranza di governo”. E aggiunge: “Il nostro approccio non è minacciare”.
Anche perchè la pistola è scarica. Più di un big di Ap dice: “Siamo in un cul del sac. Con la legge tedesca siamo morti. Se facciamo saltare il governo sulla soglia che ci riguarda siamo morti lo stesso”. Per Area popolare a questo punto si tratta della battaglia della vita.
Così tenta la mossa di proporre al segretario Pd di abbassare la soglia di sbarramento almeno al 4%, pur preferendo il 3%, ma Renzi non ne vuole sapere.
“Le posizioni restano distanti”, dirà più tardi Lupi ospite di Porta a Porta. E il capogruppo Pd Ettore Rosato conferma: “La soglia di sbarramento al 5% anche in Italia, come avviene in Germania, è ragionevole ed è saggio e sana che sia conservata”. Per giovedì Alfano ha convocato una direzione del suo partito per fare – spiega il capogruppo Lupi – le dovute valutazioni.
Valutazioni che molti in Ncd stanno già facendo quando parlano di cul de sac. In pratica il partito di Angelino Alfano si trova in una strada senza uscita. “Minacciare la crisi di governo, se non viene abbassata la soglia di sbarramento, non porterebbe comunque a nulla”, ragiona qualcuno.
La caduta dell’esecutivo porterebbe comunque ad elezioni anticipate e in queste condizioni Ncd avrebbe meno tempo per organizzarsi e Renzi lascerebbe comunque una soglia di sbarramento al 5%. Ecco il vicolo cielo in cui si trovano i centristi che in queste condizioni rischiano di restare fuori dal Parlamento.
Game over.
(da “Huffingtonpost”)
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