Marzo 29th, 2013 Riccardo Fucile
IL 26 FEBBRAIO DI PIETRO AVEVA LASCIATO LA PRESIDENZA… IL 6 APRILE E’ STATO CONVOCATO L’ESECUTIVO NAZIONALE APERTO E ALLARGATO AGLI EX PARLAMENTARI
L’Italia dei Valori, il movimento politico fondato da Antonio Di Pietro, si è sciolto per dare vita a un nuovo soggetto politico, ispirato all’alleanza liberaldemocratica europea, che nascerà dopo Pasqua.
E’ quanto si legge in una comunicazione scritta, di cui l’Ansa ha preso visione, inviata ieri da Silvana Mura, responsabile legale del partito, all’esecutivo nazionale e ai livelli regionali e provinciali dell’Idv.
Il 26 febbraio scorso, dopo i deludenti risultati elettorali, Di Pietro aveva lasciato la presidenza.
”L’ufficio di presidenza del partito — scrive Mura — considera conclusa l’esperienza politica dell’attuale soggetto politico-giuridico Idv e ritiene superato anche il metodo tradizionale proposto dall’ultimo esecutivo nazionale e adottato da questo ufficio di presidenza di prevedere una nuova fase congressuale straordinaria dell’attuale soggetto Idv. Ciò premesso, dispone la convocazione per il prossimo 6 aprile dell’esecutivo nazionale dell’attuale Idv (aperto e allargato agli ex parlamentari al momento dello scioglimento delle Camere e a un’adeguata rappresentanza delle strutture territoriali) al fine di acquisire il loro parere in ordine all’opportunità di sostituire la fase congressuale avviata”.
La batosta alle urne, unita all’eclissarsi del suo leader, ha messo definitivamente fine a un’esperienza politica che per un lungo periodo si era proposta come alternativa ai partiti di maggior tradizione.
Già nello scorso autunno, all’indomani dell’inchiesta di Report sulle spese dell’ex pm con soldi provenienti da rimborsi elettorali, lo stesso Di Pietro aveva definito “mediaticamente morta” l’Italia dei Valori.
Al tempo stesso, però, aveva promesso battaglia, negando di voler abbandonare la vita politica.
Ma il partito ormai era spaccato: i principali esponenti avevano lasciato, migrando in gran parte verso altre formazioni del centrosinistra.
Di Pietro aveva tentato un timido approccio verso Grillo, venendo però sonoramente respinto dal Movimento.
E anche l’alleanza con Rivoluzione Civile di Antonio Ingroia non ha portato a nulla.
“Da Italia dei Valori nasce oggi la promozione di una ‘nuova proposta politica’ che vada oltre la stessa Italia dei Valori. Intendiamo lanciare la ‘Costituente di una nuova proposta politica’ che si realizzerà attraverso l’effettuazione di ‘Primarie costituenti aperte’ da tenersi entro il 12 maggio prossimo.
‘Sarà il nuovo ‘Organo costituente’ eletto con le Primarie a definire successivamente — si legge in una nota — la forma (partito/movimento) e lo statuto della ‘nuova proposta politica, che tuttavia già fin d’ora viene individuata nel perimetro del ‘Centro sinistra riformista’ e nell’alveo europeo dell’Alde (Alleanza dei Liberali e Democratici per l’Europa). Parliamo non a caso di ‘Primarie costituenti aperte’ poichè potranno votare tutti coloro che accetteranno di iscriversi ad un ‘Registro degli elettori delle primarie’ sottoscrivendo una Carta d’intenti, che conterrà i principi di base della ‘nuova proposta politica’.
Gli elettori delle primarie diranno anche la loro sul simbolo, scegliendo fra una serie di proposte”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 18th, 2013 Riccardo Fucile
L’OFFERTA DI DE GREGORIO ALL’IDV CAFORIO DI 5 MILIONI PER PASSARE AL CENTRODESTRA FU REGISTRATA E GIRATA IN PROCURA … MA IN TRIBUNALE SAREBBE SPARITA
Nascosta in qualche cassetto c’è da sei anni una registrazione nella quale l’ex senatore Sergio De Gregorio, dopo avere preso accordi a suo dire con Berlusconi, offre al senatore dell’Idv Giuseppe Caforio vantaggi economici (fino a 5 milioni) perchè abbandoni il governo Prodi.
Questa registrazione bomba, consegnata ad Antonio Di Pietro da Caforio nel marzo 2007, non è mai stata ascoltata dai cittadini.
La voce di un senatore che tenta di comprarne un altro non è stata mai ascoltata dagli elettori defraudati del loro governo grazie anche a De Gregorio.
Michele Santoro avrebbe costruito una puntata sull’audio, L’Espresso avrebbe dedicato una copertina alla sua trascrizione e invece per sei anni nessuno ha saputo nulla.
Solo grazie a De Gregorio, che ha raccontato la storia ai pm il 28 dicembre 2012, la vicenda del nastro è uscita.
Si dirà : l’allora ministro Di Pietro avrà presentato in segreto la cassetta di Caforio ai pm per tutelare l’indagine.
Eppure alla Procura di Roma la registrazione non risulta essere mai arrivata.
Per capire cosa è accaduto e per rintracciare il nastro, i pm romani Francesco Caporale e Alberto Pioletti sentiranno come persona informata dei fatti il capitano della Finanza Salvatore Scaletta, storico collaboratore di Di Pietro dai tempi dell’indagine di Mani Pulite e poi al ministero nel 2006 come capo dell’Alta sorveglianza delle grandi opere. Nessuno dei protagonisti di questa incredibile vicenda ha trattenuto una copia del nastro: Caforio dice di averla data a Di Pietro che a sua volta sostiene di averla girata a un suo collaboratore, probabilmente Scaletta, perchè la consegnasse agli inquirenti. Di qui la convocazione del finanziere.
I pm romani, diversi da quelli che allora avrebbero ricevuto la denuncia e la cassetta, non trovano traccia del nastro ed escludono che un esposto di un ministro in carica con allegata una registrazione simile si sia perso.
Tutto inizia il primo marzo del 2007 quando De Gregorio incontra Caforio e gli chiede di non votare la fiducia a Prodi.
Caforio registra la proposta indecente: 1,5-2 milioni subito e altri tre negli anni a venire. Il giorno dopo vota la fiducia e Di Pietro dichiara in un’intervista video su internet che De Gregorio ha cercato di convincere con promesse economiche un senatore.
Il 3 marzo Repubblica scrive il nome di Caforio.
Nel video Di Pietro sostiene di avere interessato gli “organi competenti”, ma non parla di registrazione nè di denuncia in Procura.
Nei giorni precedenti, dopo le prime avances, Caforio si era confidato con Nello Formisano, allora capogruppo Idv. Formisano ha ricostruito i fatti con i pm e poi con il Fatto : “Caforio ci disse di avere avuto questo contatto e insieme a Di Pietro decidemmo di chiedergli di andare all’incontro con De Gregorio munito di un registratore, fornito dal portavoce del ministro.
Caforio è andato in clinica, ha registrato e la mattina, o due mattine dopo, sono andato con lui nell’ufficio del ministro e abbiamo consegnato tutto a Di Pietro.
La registrazione non l’abbiamo ascoltata, è stato tutto molto rapido. Insomma la cassetta esiste perchè Caforio la consegnò in mia presenza a Di Pietro che disse “lasciatela qui che me la vedo io’”.
Ma che fine ha fatto il nastro?
“Presumibilmente, come ho detto ai pm, Di Pietro — prosegue Formisano — avrà lasciato l’incombenza al capitano Scaletta. Mi sembra inverosimile che la Procura non abbia la cassetta”.
Di Pietro ricorda di avere denunciato più volte De Gregorio e suppone che si sia occupato dell’incombenza Scaletta.
Il capitano oggi lavora all’ambasciata italiana a Kuala Lumpur come ufficiale di collegamento in Malesia. I pm lo hanno contattato telefonicamente e gli hanno preannunciato che sarà sentito.
Al Fatto Scaletta dice: “Mi sembra tutto strano. Solitamente ero io ad occuparmi delle denunce: le scrivevo e poi le facevo firmare a Di Pietro. Quando erano questioni importanti, come questa di cui lei mi parla, non le consegnavo ai carabinieri del Ministero, ma prendevamo l’auto con il ministro e andavamo dal Procuratore. Questa era la prassi. Non le dirò invece una parola sulla questione specifica per rispetto ai magistrati”.
Il Procuratore capo di allora, l’attuale sottosegretario Giovanni Ferrara, dice: “Non ho mai sentito nominare questa cassetta”.
Eppure De Gregorio nel suo interrogatorio del 28 dicembre ai pm di Napoli dice: “Caforio mi registrò e mi denunciò. La registrazione è presso la Procura di Roma che archiviò”.
Solo grazie a questo verbale l’Italia ha scoperto l’esistenza della cassetta.
Egli inquirenti si chiedono: come faceva De Gregorio a sapere della registrazione e dell’indagine?
“L’ho letto sui giornali”, risponde l’ex senatore.
In realtà negli archivi non risultano articoli e Formisano replica: “La storia della cassetta non era uscita”.
Marco Lillo
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 3rd, 2013 Riccardo Fucile
IL SUCCESSO NON SI MISURA CON UNO SCRANNO DA SCALDARE MA CON L’ESSERE STATI PROTAGONISTI DI SCELTE CHE HANNO CAMBIATO IL MONDO ATTORNO A NOI… IL FATTO DI ESSERE QUI OGGI E’ ANCHE MERITO LORO
Provate a scorrere le foto dei 108 grillini eletti alla Camera e avrete di colpo la sensazione che è
successo davvero qualcosa di storico: finalmente un esercito di giovani, vestiti da giovani (sembra banale, ma non è così) è entrato in una sede normalmente abitata da maschi anziani, spesso sovrappeso, con brutte grisaglie e un accento dialettale, persone con cui capivi di non avere nulla a che spartire, anni luce lontane dalla tua vita.
Con tutto il rispetto: ma il paese non è solo quello, le nuove generazioni parlano le lingue, viaggiano, sono molto più colte e fino ad ora non avevano nessuno che le rappresentasse nel luogo deputato alla rappresentanza del paese.
I palazzi della Camera dei Deputati, che ho avuto modo di frequentare in un curioso periodo della mia vita, sono davvero un mondo fuori dal mondo.
Burocrazia, sprechi inutili, dalla carta alle agende, procedure assurde, commessi che guadagnano migliaia di euro senza fare granchè, impiegati e funzionari che guadagnano centinaia di migliaia di euro facendo normalissimi lavori.
Ma soprattutto, evitiamo echi demagogici, si respira là dentro un’aria tombale, antichissima, che si rispecchia nell’arredamento e nei tendaggi, nei quadri spettrali, nelle piante solenni e un po’ ridicole, nei gabbiotti all’entrata dove bisogna passare controlli come quando si vola verso Israele.
Un parlamento finalmente ringiovanito, molte donne: addio vecchie, tetre grisaglie. Ma mentre Razzi e Santanchè restano dentro, tra gli addii ci sono tre persone che, grazie al coraggio di rompere il silenzio e resistere a leggi ad personam, hanno permesso di arrivare fino qui. Eppure sono fuori dal Parlamento, mentre Razzi e Santanchè no.
È magnifico che i nuovi deputati siano diversi, più giovani e con tante donne, oltre un terzo.
Ma nel toto eletti e “trombati” che si è fatto ieri c’è un aspetto che mi ha colpito in particolare: la legge elettorale ma anche il modo in cui sono andate le vicende di questo paese hanno fatto sì che, alla fine, siano entrati i vari Razzi e Santanchè e siano rimasti fuori alcuni che hanno invece, nell’ultimo Parlamento, sono stati tra i pochi che hanno fatto un’efficace opposizione a Berlusconi, rendendo possibile il cambiamento di cui oggi siamo testimoni.
Gianfranco Fini, l’uomo che per primo ha osato spaccare un partito di uomini adoranti, di deputati per lo più gregari incapaci persino di pensarsi senza Berlusconi, come si è visto durante il periodo in cui si pensava di fare le primarie (che poi, incredibilmente, sono state cancellate).
È stato Fini ad aver rotto il silenzio, ad aver gridato “basta con questo scempio”, ad aver tentato di riportare in agenda i temi giusti, non solo le leggi ad personam, a cercare, insomma, di rappresentare quella destra normale che è sempre mancata al paese.
Il suo progetto è fallito, forse per fragilità e debolezza. Non ha giovato la casa di Montecarlo, la questione del cognato e molte altre cose sui cui avrebbe dovuto essere più accorto. Eppure vederlo fuori mi dispiace, davvero.
Antonio Di Pietro: un uomo passionale e cocciuto, che pur con il suo linguaggio e i suoi modi per i lunghi anni del potere berlusconiano lo ha contrastato in tutti modi, denunciando ogni inciucio, intervenendo su ogni tentativo di strappare la democrazia. Di Pietro è stato un vero cane da guardia, molto più, certo volte, dei giornali che dovrebbero svolgere questa funzione e sicuramente molto più di un partito democratico afono e debole.
Così debole che Berlusconi è caduto non per motivi per politici, ma a causa dello spread .
Fa impressione vedere come un partito che ha svolto una funzione importante, l’Italia dei valori, arrivato anche all’8-10 per cento, si sia polverizzato in un attimo.
E fa molto onore a Di Pietro il fatto che si sia dimesso anche dalla presidenza del partito.
Come nel caso di Fini, è stato letale per lui farsi coinvolgere, meno di altri, ma comunque troppo, nel familismo amorale, o comunque non troppo morale, nella tentazione di includere la sua famiglia in politica.
Ma gli è stato fatale soprattutto non aver scelto i suoi uomini bene, aver pescato dove non avrebbe dovuto: invece di mettere donne e giovani, il, suo partito era per lo più composto da quegli uomini anziani in grisaglia e con scarsa cultura: bastava conoscerli per capire che le cose non sarebbero andate bene.
Peccato per Di Pietro, però.
Nessun familismo amorale per Giulia Bongiorno, una che la famiglia se l’è fatta fuori da ogni canone, con coraggio, da sola, con un figlio quando era già oltre i quaranta fatto da sola e una carriera professionale costruita con una grinta e un’intelligenza fuori misura.
Giulia Bongiorno presidente della Commissione Giustizia ha fatto più contro le leggi ad personam di Berlusconi di tutta l’opposizione messa insieme.
È stata un baluardo di legalità , si è sempre attenuta a ciò in cui davvero crede: il valore delle regole, anzi di più, delle leggi e dei valori che incarnano.
Contro ogni tentativo di distruggere lo stato di diritto.
Anche lei è fuori dal Senato, oltre ad aver perso la sua battaglia come candidata presidente della Regione Lazio.
Tre storie politiche di persone che hanno avuto il coraggio di cambiare e di lottare e sono rimaste fuori, mentre il caso ha premiato altri inetti e spesso gregari.
Succede spesso anche nella nostra vita: che una scelta di rottura, di anticonformismo spesso non abbia quel riconoscimento che uno si aspetterebbe, mentre chi vive da succube resta protetto.
Un po’ è così: cambiare significa rischiare, e rischiando si può anche fallire.
Ma tutto sommato credo che la lettura da fare in questi casi sia un’altra.
Non parlerei nè di fallimento nè di insuccesso.
Perchè il grado di successo non sempre si misura con parametri sociali, comunque non con criteri formali — avere uno scranno, scaldare una poltrona.
Il successo di scelte coraggiose si misura soprattutto rispetto a se stessi.
Chi ha la forza di cambiare sa di aver fatto la cosa giusta, che non avrebbe potuto fare altrimenti, e nel cambiare le cose cambia anche se stesso e il mondo intorno a sè.
E questo è tantissimo.
Grazie a Gianfranco Fini, Antonio Di Pietro e Giulia Bongiorno, se oggi un sistema è saltato, pur con tutte le conseguenze drammatiche, è anche merito vostro.
Come spesso accade nella vita, chi ha il coraggio di rischiare e cambiare non sempre ha il successo che si meriterebbe, mentre i gregari restano ben protetti.
Ma il successo non si misura con uno scranno da scaldare, ma con il guardarsi indietro e vedere che quella scelta di rottura di ha cambiati e ha cambiato tutto il mondo intorno a noi.
Il fatto di essere qui oggi è anche merito loro.
Elisabetta Ambrosi
(da Vanity Fair.it)
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Febbraio 27th, 2013 Riccardo Fucile
L’EX MAGISTRATO HA PRESENTATO “IRREVOCABILI DIMISSIONI” DA PRESIDENTE DEL PARTITO
«Dimmissioni irrevocabili». Non c’è altro da aggiungere alla decisione di Antonio Di Pietro, che dopo
la sconfitta alle urne, ha deciso di concludere la sua esperienza durata tre lustri alla guida dell’Italia dei Valori.
Il partito che l’ex magistrato ha fondato nel 1998 per la prima volta non entrerà in Parlamento: non è riuscito a superare lo sbarramento del 4% alla Camera e dell’8% al Senato.
Non c’è futuro per la lista “Rivoluzione Civile” e per la maggior parte delle formazioni politiche che si sono riunite con l’ex pm Antonio Ingroia, dal Prc di Paolo Ferrero ai Comunisti italiani di Diliberto e ai Verdi di Angelo Bonelli.
È tutto da decidere, ora, il destino dell’Idv che esce a pezzi da una debacle alla quale ha contribuito, secondo alcuni esponenti, il Movimento di Beppe Grillo, che avrebbe cannibalizzato l’elettorato al quale si rivolgevano i partiti a sinistra della coalizione Pd-Sel. Rc rivendica la giovinezza della propria formazione («nato appena 40 giorni fa») e di non aver errori da imputarsi, ma il risultato è un fulmine a ciel sereno.
Alla luce di quanto successo ai seggi, l’Ufficio di Presidenza – si legge nel comunicato – ha perciò deciso di «rifondare, rinnovare e rilanciare l’azione di Italia dei Valori assumendo collegialmente ogni decisione statutariamente affidata al presidente al quale viene chiesto di ritirare le dimissioni».
Il primo passo sarà avviare una «fase congressuale» che si concluda entro il 31 dicembre: un’occasione per un «confronto diretto con la base del partito» attraverso tre incontri territoriali (Nord, Centro e Sud).
L’Esecutivo Nazionale dovrebbe riunirsi già il prossimo 10 marzo .
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Febbraio 26th, 2013 Riccardo Fucile
I RIPESCAGGI SALVANO LA RUSSA E MELONI, TABACCI E DONADI
È lunghissima la fila degli esclusi dal Parlamento. 
Innanzitutto il presidente della Camera uscente, Gianfranco Fini, che si era presentato con il Fli che è molto lontano dalla soglia minima del 2%, necessaria ad ottenere dei seggi per i partiti facenti parte di una coalizione: a spoglio praticamente concluso ha ottenuto lo 0,46%, con circa 160.000 voti.
Non sarà possibile il recupero come miglior perdente sotto alla soglia di sbarramento perchè nello stesso raggruppamento l’Udc ha ottenuto per la Camera solo l’1,78% .
A far compagnia a Fini anche Italo Bocchino e Giulia Bongiorno.
Fuori anche Francesco Storace (La Destra) e soprattutto Raffaele Lombardo (Movimento per le Autonomie)
I «RIPESCAGGI» –
In attesa della conferma del repàªchage, però, rimangono lontani dal Parlamento, tra gli altri, i capolista Paola Binetti, Lorenzo Cesa , Rocco Buttiglione e l’ex ministro dell’agricoltura Mario Catania, oltre a Giuseppe De Mita , Ferdinando Adornato e Marco Calgaro.
Usufruiscono della clausola del «miglior perdente» anche i Fratelli d’Italia (1,95%, terzo partito della coalizione), quindi Giorgia Meloni e Ignazio La Russa rientrano: in Lazio il partito è al 2,59, oltre la soglia.
Idem, nel centrosinistra, per il Centro Democratico, in termini numerici l’ago della bilancia con lo 0,49% (oltre 167 mila voti, più del divario con il centrodestra): beneficiano degli ultimi sei seggi Bruno Tabacci e Massimo Donadi.
ESCLUSI –
Fuori, invece, La Destra, il Mir di Gianpiero Samorì e Gianfranco Miccichè del Grande Sud (che però trova l’exploit al Senato di Gianni Bilardi, eletto in Calabria).
Fuori dai giochi anche Rivoluzione Civile di Antonio Ingroia, che presentandosi da sola doveva alla Camera doveva raggiunge il 4% ma si è fermata al 2,24%: esclusi, quindi, oltre allo stesso Ingroia, Antonio Di Pietro, l’ex grillino Giovanni Favia e Ilaria Cucchi.
Non entra in Parlamento nemmeno la Lista amnistia, giustizia e libertà : restano fuori Giacinto Pannella ed Emma Bonino.
IL SENATO SALVA CASINI E TREMONTI –
Passando al Senato, si salva nell’Udc Pierferdinando Casini, capolista in ben 5 regioni con Scelta Civica: il gruppo montiano infatti raccoglie 18 seggi.
In ben 5 regioni il raggruppamento che fa capo al presidente del Consiglio uscente non supera lo sbarramento dell’8%: in Lazio, in Abruzzo, in Calabria, in Sicilia e in Sardegna (dove il «trombato» eccellente è il giornalista Mario Sechi).
Si salva anche Giulio Tremonti, capolista quasi ovunque con la Lega (che passa solo in Piemonte, Lombardia, Trentino Alto Adige e Veneto).
Sel entra in Senato soltanto in due regioni superando il 4% necessario ai partiti facenti parte di coalizioni, Puglia in casa di Vendola e in Basilicata, ma fa parte della coalizione vincitrice solo nella seconda di queste regioni.
Tra i candidati esclusi, in Toscana fuori l’ex allenatore Renzo Ulivieri.
CONCIA E RAZZI –
Non entra in Senato la candidata del Pd Anna Paola Concia: la coalizione di centrosinistra riesce a far eleggere soltanto Stefania Pezzopane.
Concia, su Twitter, si è sfogata con due messaggi amari: «Entra Razzi non io… Mi dispiace per gli abruzzesi», e «Gli abruzzesi hanno preferito Razzi a me… Questa è la democrazia e la volontà del popolo», riferendosi ad Antonio Razzi, quarto in lista per il Pdl, l’ex Idv che raccontava di meritarsi il voto avendo organizzato tornei di tennis.
IL CASO GIANNINO –
Fuori da entrambe le Camere, dopo il clamoroso autogol di Oscar Giannino, i candidati di Fare per fermare il Declino.
In cinque giorni le liste del nuovo presidente Silvia Enrico hanno perso ogni possibilità . Fare, al Senato, si è fermato allo 0,9% e all’1,12 alla Camera.
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 24th, 2013 Riccardo Fucile
L’ACCORDO TRA BOBO “LA RAMAZZA” E VOLPE PASINI, TITOLARE DEL SIMBOLO “PRIMA IL NORD”: IN CAMBIO DEL RITIRO DELLA LISTA UN POSTO SICURO PER SARA PAPINUTTI, MOGLIE DI VOLPE PASINI E MAI ISCRITTA ALLA LEGA
“Io candido tua moglie e le garantisco un posto a Montecitorio, ma in cambio tu non presenti la lista Prima il Nord”.
Lo scambio è andato a buon fine: Diego Volpe Pasini, titolare del simbolo civetta dello slogan leghista, ha accettato di non partecipare alle elezioni. In cambio Roberto Maroni ha inserito la moglie di Pasini, Sara Papinutti, in un seggio sicuro.
La signora, nata e cresciuta in Friuli, lunedì è stata inserita all’ultimo minuto da Maroni seconda nella lista per la Camera in Emilia Romagna.
Papinutti non è iscritta al movimento, non è una militante del Carroccio, non ha partecipato nè a congressi nè a raduni e nessuno nel partito l’ha mai vista o conosciuta.
Alla faccia del regolamento della rinnovata (e ripulita) Lega.
Ma, come diceva Goethe, “la legge è forte ma è più forte la necessità ”.
E il simbolo di Pasini rischiava di rubare parecchi voti al Carroccio , grazie anche alla candidatura bandiera di Vittorio Sgarbi come capolista: era necessario fermarlo.
Così Maroni è sceso a patti. Scatenando nuovi malumori.
Marco Desiderati, deputato bossiano escluso dalle politiche, ieri ha dato voce all’indignazione di molti leghisti con un post su Facebook: “Umiliare tanti bravi militanti con posizioni in lista assurde e scoprire che poi si candida l’amante di Sgarbi o un ex sottosegretario del governo Prodi non fa bene”.
Che Sara Papinutti sia l’amante di Sgarbi non è dato sapere, sicuramente è la moglie di Pasini. Mentre l’ex sottosegretario del governo Prodi è Paolo Naccarato, storico portaborse di Francesco Cossiga, nato a Cosenza è candidato al Senato in Lombardia per volere di Giulio Tremonti, ritrovato amico leghista.
Anche per lui scranno praticamente certo.
IL Trota non rimarrà un caso isolato nella memoria della Lega che fu.
Molti nel Carroccio sottolineano che Renzo Bossi almeno da candidato alla Regione Lombardia i voti se li era dovuti trovare: non c’era l’ombrello tanto criticato (quanto amato) del Porcellum. Riparo che porterà alla Camera una “sardina”: Daisy Pirovano, 38enne figlia del senatore ed ex presidente della Provincia di Bergamo, Ettore Pietro Pirovano.
Lo stesso che ad aprile, dal palco della notte delle scope, accanto al Maroni armato di ramazza, sbraitava contro Trota e compagnia: “Chi ha sbagliato via”.
Ma Daisy ha un curriculum che va oltre l’amore del padre: sindaco di Misano di Gera d’Adda, in provincia di Bergamo, e membro del coordinamento provinciale dei giovani padani orobici. “Non è di certo Nicole Minetti”, si schermiscono alcuni colonnelli leghisti.
Difendono la giovane Pirovano ma soprattutto Papinutti: “Una così ce la sogniamo nella Lega”. La signora Pasini ha una laurea in scienze politiche, un master Sda Bocconi e a breve sarà parlamentare.
Grazie al Carroccio e al marito.
Perchè che sia stata inserita in cambio del simbolo lo confermano anche gli stessi vertici del Carroccio.
Ma solo con la garanzia dell’anonimato “perchè via Bellerio sembra Albrecht Strasse”, la sede della Gestapo a Berlino.
L’accordo, spiega uno dei fedeli colonnelli maroniani, “è stato definito lunedì con Pasini, e Bobo ha poi parlato anche con Sgarbi: i due faranno insieme alcune iniziative”.
Su cosa? “Cultura, è chiaro”, riferisce Sgarbi, che non è candidato.
L’ex sindaco di Salemi, Comune sciolto per mafia, ha fatto pace con l’ex titolare del Viminale. “Sì, è vero: faremo qualcosa insieme”, conferma Sgarbi.
“Il confronto è stato utile, era molto tempo che non ci parlavo dopo le vicende di Salemi, abbiamo ripreso alcuni discorsi sulla cultura, lui ha piu sensibilità di Bossi”.
Sgarbi ci tiene a spiegare la vicenda del simbolo: “Pasini voleva farsi bello con Berlusconi così, quando Maroni voleva correre da solo, ha pensato a una lista di disturbo; poi la Lega ha ragionato ed è tornata al Pdl quindi la lista non ha più avuto senso”.
E spunterà una candidatura in Lombardia? “No, no, figurarsi”.
Le liste per le regionali si chiuderanno tra due giorni.
Mogli e parenti a Roma, vicini si tengono gli amici.
Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 22nd, 2013 Riccardo Fucile
IL BLITZ DELLA FINANZA NEGLI UFFICI DEL GRUPPO REGIONALE LIGURE SVELA SPESE NON PROPRIO ORTODOSSE CON I SOLDI PUBBLICI
Biancheria intima, cravatte, regali di Natale, cene, viaggi. Persino cibo per gatti. 
La spesa, i consiglieri dell’IdV, la pagavano con i finanziamenti pubblici ai partiti. Scontrini e ricevute per spese non proprio “ortodosse” stavano per essere sostituiti con altri più “consoni”.
Il blitz della Guardia di Finanza stamani, negli uffici del gruppo regionale ligure dell’Idv ha svelato una gestione “allegra” del bilancio.
Quattro i consiglieri indagati: Maruska Piredda, l’ex hostess Alitalia, rimasta ancora sotto la bandiera di Antonio Di Pietro; Marylin Fusco, ex vice presidente della giunta regionale, e Niccolò Scialfa, che ha preso il suo posto dopo che la compagna di partito indagata per irregolarità nell’appalto per la costruzione del porto di Ospedaletti, nel ponente ligure.
Entrambi ex IdV, oggi passati a Diritti e Libertà .
Indagato anche Stefano Quaini, oggi al Sel.
E poi c’è il il tesoriere dell’Idv, Giorgio De Lucchi e la compagna, una funzionaria dell’Agenzia delle Entrate in servizio alla Spezia.
Il primo è accusato di appropriazione indebita ai danni dell’Idv, mentre lo stesso e la compagna sono accusati di favoreggiamento personale nei confronti degli altri quattro indagati.
L’ammontare delle cifre spese non è alto ma davvero insolito e inopportuno per un politico.
Spese registrate però nel bilancio dell’anno scorso con giustificazioni imbarazzanti che potrebbero avere riflessi pesanti sulla stabilità della giunta di Claudio Burlando.
La posizione del vice presdiente Niccolò Scialfa, coinvolto in questa tornata di controlli della Finanza, mette a disagio il Governatore che, per la seconda volta in pochi mesi, deve fare i conti con la presenza di una persona indagata in Giunta.
Era capitato nell’ottobre scorso quando, ad essere indagata fu la precedente vice presidente Marylin Fusco.
Scialfa è molto amareggiato: “Chi mi conosce sa come mi posso sentire”, ha detto. “Sono a disposizione dell’autorità giudiziaria e confido nell’operato della magistratura convinto di poter spiegare tutto”.
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 16th, 2012 Riccardo Fucile
E POI L’ANNUNCIO: “VIA IL MIO NOME DAL SIMBOLO”
«Via il nome dal simbolo dell’Idv, primarie online per i candidati alle politiche e una nuova linea strategica in vista del voto: soli o ben accompagnati». Antonio Di Pietro sterza a sinistra e avverte Pierluigi Bersani: «Basta corteggiare il conservatore Casini e le misure inaccettabili di Elsa Fornero sul lavoro e sulle pensioni».
È questo il sorpasso proposto dal leader dell’Idv all’assemblea generale del partito, convocata per fare il punto della situazione dopo lo tsunami politico che ha travolto le aspettative di voto dei dipietristi.
«Il vero centro sinistra – dice l’ex pm davanti ad una platea di 2500 persone – siamo noi». Una vera e propria sfida a Bersani, «abbandonato» per scommettere sull’alleanza con Oliviero Diliberto del Pdci, Paolo Ferrero di Prc e soprattutto il movimento arancione di Luigi De Magistris.
Proprio gli ultimi due raccolgono l’offerta dipietrista e si dicono pronti a dare vita ad una lista «rosso-arancione».
Di Pietro, infine, dal palco esprime «solidarietà al pm di Palermo, Antonio Ingroia, per gli attacchi subiti», dando l’impressione di star dando vita al cosiddetto “Quarto polo”.
Vera e sincera scelta politica?
La svolta dell’Idv sembra dettata anche da un’emergenza elettorale. Il partito che si ispira ai «valori» rischia infatti di essere espulso dal Parlamento se non riuscirà a superare la soglia del 4% dei consensi, quota attualmente negata dai sondaggi più accreditati.
Di qui la scelta di una strategia diversa: dare vita ad una lista civica per la quale il Porcellum prevede una soglia al 2% perchè trattasi di partiti coalizzati; il tutto in ossequio al principio della governabilità , messa in discussione dalla frammentazione impazzita dei nuovi partiti.
Tutto questo non significa affatto – sottolinea Di Pietro – che non sia percorribile la scelta della autonoma candidatura dell’Idv in Parlamento.
Ma è anche il momento del regolamento di conti interno. L’ex pm replica a duro muso a chi, come Fabio Evangelisti, gli chiede «un passo indietro»: «Non ci sto a fare lo scalpo da offrire al Pd per entrare nell’alleanza».
È un messaggio rivolto anche all’ex capogruppo Massimo Donadi, ora leader di Diritto e Libertà che, invece, imputa a Di Pietro la responsabilità politica di aver rotto l’alleanza con Pd e Sel.
La linea di Di Pietro riceve l’approvazione dell’assemblea che fischia, impedendogli di parlare, proprio Evangelisti quando sale sul palco.
L’ex pm però annuncia la data per il congresso: il prossimo anno la “Festa di Vasto” lascerà il posto all’assise del partito.
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Novembre 30th, 2012 Riccardo Fucile
DOVREBBERO APPRODARE AL MOVIMENTO “DIRITTI E LIBERTA” DI DONADI E FORMISANO
Da oggi 178.283 voti, pari al 6,23% dell’elettorato campano di un paio di anni fa,
sono orfani di rappresentanza politica.
Erano i voti dell’Italia dei Valori alle ultime elezioni regionali campane. Erano i voti della lista di Antonio Di Pietro.
Nel quadro di disfacimento nazionale del partito dell’ex pm di Mani Pulite, spicca il caso Campania. Dove il gruppo consiliare regionale Idv non c’è più.
Si è estinto per abbandono di tutti e quattro i consiglieri.
Il 27 novembre se ne sono andati gli ultimi due: il capogruppo Edoardo Giordano e il potentissimo “signore delle preferenze” Nicola Marrazzo, 13.660 consensi nel 2010, il secondo dipietrista più votato in Italia, che nella precedente consiliatura fu presidente della commissione Bilancio nella maggioranza Bassolino e attualmente è componente dell’ufficio di presidenza del consiglio.
I due, che appena una quindicina di giorni fa erano seduti affianco a Di Pietro in una conferenza stampa a Napoli di commento alla scissione di Donadi e Formisano, sarebbero prossimi a passare a ‘Diritti e libertà ‘, il movimento fondato dai due parlamentari.
Su input di Formisano, l’ex coordinatore campano di Idv, molto attivo nel reclutare generali e colonnelli delle truppe dipietriste.
Anita Sala, consigliera regionale molto vicina a lui, ha già aderito a ‘Diritti e libertà ‘.
Dei quattro consiglieri campani, il primo ad andare via fu il salernitano Dario Barbirotti. Ma il suo fu un addio deciso prima della scissione, per ragioni legate a vicende giudiziarie in corso.
Giordano e Marrazzo (non) spiegano l’abbandono dell’Idv in una scarna nota di circostanza: “Dopo una lunga e leale militanza in Italia dei Valori e a seguito di una lunga e sofferta riflessione, abbiamo deciso, insieme con numerosi esponenti politici e istituzionali locali, di lasciare il partito di Antonio Di Pietro”.
Segue l’elenco di chi ha condiviso il passo: Pino Crispino (coordinatore Idv in Provincia di Caserta), Vincenzo Lippiello (coordinatore Idv in Provincia di Avellino), Luciano Ceccacci (componente coordinamento regionale Idv), Stefano Buono (componente coordinamento regionale e primo dei non eletti di Napoli al consiglio regionale).
Peraltro, nei giorni scorsi, Marrazzo aveva già trasmesso un comunicato di manifestazione di interesse verso il movimento di Donadi e Formisano, interpretato come un’anticipazione del suo ingresso in ‘Diritti e libertà ‘.
Era stata pure fissata una conferenza stampa a Napoli con Donadi per comunicare la migrazione di massa, ma è stata disdetta all’ultimo momento.
Bisogna ancora chiarire un paio di punti di non poco conto.
Come le candidature al Parlamento.
Con Marrazzo in prima fila, pronto al grande salto. E lasciare a Buono lo scranno regionale. Operazione semplice e priva di conseguenze ‘economiche’, visto che Di Pietro ha deciso di rinunciare alla penale di 100.000 euro della ‘clausola antivoltagabbana’.
Resiste invece il fortino in consiglio comunale di Napoli.
Dove Idv ha portato al massimo incasso la scelta di lanciare la candidatura a sindaco di Luigi de Magistris contro tutto e tutti, Pd compreso.
Qui i consiglieri sono 14 su 60, primo gruppo consiliare della città (erano 15, uno se ne è andato da tempo per tornare nei Verdi). Solo che il gruppo risponde esclusivamente a de Magistris e al suo interno pulsano tentazioni di passaggio al movimento arancione del primo cittadino.
Il senatore Nello Di Nardo, commissario campano di Idv dopo la fuoruscita di Formisano, commenta così l’emorragia in corso: “Emorragia? Se ne sono andati solo i consiglieri regionali e pochi altri. Non ho capito ancora con chi stanno, che tipo di scelta è la loro. E’ una battaglia politica contro la linea di Di Pietro o è soltanto altro”?
Maliziosa allusione alle candidature da decidere di qui a breve.
Di Nardo infatti invita a riflettere sulla girandola di comunicati che ha preceduto l’abbandono dei consiglieri regionali: “Un lancio di agenzia dava per certa la loro adesione a ‘Diritti e libertà ‘, poi smentita poche ore dopo, e la vicenda della conferenza stampa indetta e poi annullata: già stanno litigando tra di loro? E su cosa?”.
Vincenzo Iurillo
(da “il Fatto Quotidiano”)
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