FINI, DI PIETRO, BONGIORNO: QUANDO LA STORIA PUNISCE CHI HA AVUTO CORAGGIO DI ROMPERE IL SILENZIO E RESISTERE A LEGGI AD PERSONAM
IL SUCCESSO NON SI MISURA CON UNO SCRANNO DA SCALDARE MA CON L’ESSERE STATI PROTAGONISTI DI SCELTE CHE HANNO CAMBIATO IL MONDO ATTORNO A NOI… IL FATTO DI ESSERE QUI OGGI E’ ANCHE MERITO LORO
Provate a scorrere le foto dei 108 grillini eletti alla Camera e avrete di colpo la sensazione che è successo davvero qualcosa di storico: finalmente un esercito di giovani, vestiti da giovani (sembra banale, ma non è così) è entrato in una sede normalmente abitata da maschi anziani, spesso sovrappeso, con brutte grisaglie e un accento dialettale, persone con cui capivi di non avere nulla a che spartire, anni luce lontane dalla tua vita.
Con tutto il rispetto: ma il paese non è solo quello, le nuove generazioni parlano le lingue, viaggiano, sono molto più colte e fino ad ora non avevano nessuno che le rappresentasse nel luogo deputato alla rappresentanza del paese.
I palazzi della Camera dei Deputati, che ho avuto modo di frequentare in un curioso periodo della mia vita, sono davvero un mondo fuori dal mondo.
Burocrazia, sprechi inutili, dalla carta alle agende, procedure assurde, commessi che guadagnano migliaia di euro senza fare granchè, impiegati e funzionari che guadagnano centinaia di migliaia di euro facendo normalissimi lavori.
Ma soprattutto, evitiamo echi demagogici, si respira là dentro un’aria tombale, antichissima, che si rispecchia nell’arredamento e nei tendaggi, nei quadri spettrali, nelle piante solenni e un po’ ridicole, nei gabbiotti all’entrata dove bisogna passare controlli come quando si vola verso Israele.
Un parlamento finalmente ringiovanito, molte donne: addio vecchie, tetre grisaglie. Ma mentre Razzi e Santanchè restano dentro, tra gli addii ci sono tre persone che, grazie al coraggio di rompere il silenzio e resistere a leggi ad personam, hanno permesso di arrivare fino qui. Eppure sono fuori dal Parlamento, mentre Razzi e Santanchè no.
È magnifico che i nuovi deputati siano diversi, più giovani e con tante donne, oltre un terzo.
Ma nel toto eletti e “trombati” che si è fatto ieri c’è un aspetto che mi ha colpito in particolare: la legge elettorale ma anche il modo in cui sono andate le vicende di questo paese hanno fatto sì che, alla fine, siano entrati i vari Razzi e Santanchè e siano rimasti fuori alcuni che hanno invece, nell’ultimo Parlamento, sono stati tra i pochi che hanno fatto un’efficace opposizione a Berlusconi, rendendo possibile il cambiamento di cui oggi siamo testimoni.
Gianfranco Fini, l’uomo che per primo ha osato spaccare un partito di uomini adoranti, di deputati per lo più gregari incapaci persino di pensarsi senza Berlusconi, come si è visto durante il periodo in cui si pensava di fare le primarie (che poi, incredibilmente, sono state cancellate).
È stato Fini ad aver rotto il silenzio, ad aver gridato “basta con questo scempio”, ad aver tentato di riportare in agenda i temi giusti, non solo le leggi ad personam, a cercare, insomma, di rappresentare quella destra normale che è sempre mancata al paese.
Il suo progetto è fallito, forse per fragilità e debolezza. Non ha giovato la casa di Montecarlo, la questione del cognato e molte altre cose sui cui avrebbe dovuto essere più accorto. Eppure vederlo fuori mi dispiace, davvero.
Antonio Di Pietro: un uomo passionale e cocciuto, che pur con il suo linguaggio e i suoi modi per i lunghi anni del potere berlusconiano lo ha contrastato in tutti modi, denunciando ogni inciucio, intervenendo su ogni tentativo di strappare la democrazia. Di Pietro è stato un vero cane da guardia, molto più, certo volte, dei giornali che dovrebbero svolgere questa funzione e sicuramente molto più di un partito democratico afono e debole.
Così debole che Berlusconi è caduto non per motivi per politici, ma a causa dello spread .
Fa impressione vedere come un partito che ha svolto una funzione importante, l’Italia dei valori, arrivato anche all’8-10 per cento, si sia polverizzato in un attimo.
E fa molto onore a Di Pietro il fatto che si sia dimesso anche dalla presidenza del partito.
Come nel caso di Fini, è stato letale per lui farsi coinvolgere, meno di altri, ma comunque troppo, nel familismo amorale, o comunque non troppo morale, nella tentazione di includere la sua famiglia in politica.
Ma gli è stato fatale soprattutto non aver scelto i suoi uomini bene, aver pescato dove non avrebbe dovuto: invece di mettere donne e giovani, il, suo partito era per lo più composto da quegli uomini anziani in grisaglia e con scarsa cultura: bastava conoscerli per capire che le cose non sarebbero andate bene.
Peccato per Di Pietro, però.
Nessun familismo amorale per Giulia Bongiorno, una che la famiglia se l’è fatta fuori da ogni canone, con coraggio, da sola, con un figlio quando era già oltre i quaranta fatto da sola e una carriera professionale costruita con una grinta e un’intelligenza fuori misura.
Giulia Bongiorno presidente della Commissione Giustizia ha fatto più contro le leggi ad personam di Berlusconi di tutta l’opposizione messa insieme.
È stata un baluardo di legalità , si è sempre attenuta a ciò in cui davvero crede: il valore delle regole, anzi di più, delle leggi e dei valori che incarnano.
Contro ogni tentativo di distruggere lo stato di diritto.
Anche lei è fuori dal Senato, oltre ad aver perso la sua battaglia come candidata presidente della Regione Lazio.
Tre storie politiche di persone che hanno avuto il coraggio di cambiare e di lottare e sono rimaste fuori, mentre il caso ha premiato altri inetti e spesso gregari.
Succede spesso anche nella nostra vita: che una scelta di rottura, di anticonformismo spesso non abbia quel riconoscimento che uno si aspetterebbe, mentre chi vive da succube resta protetto.
Un po’ è così: cambiare significa rischiare, e rischiando si può anche fallire.
Ma tutto sommato credo che la lettura da fare in questi casi sia un’altra.
Non parlerei nè di fallimento nè di insuccesso.
Perchè il grado di successo non sempre si misura con parametri sociali, comunque non con criteri formali — avere uno scranno, scaldare una poltrona.
Il successo di scelte coraggiose si misura soprattutto rispetto a se stessi.
Chi ha la forza di cambiare sa di aver fatto la cosa giusta, che non avrebbe potuto fare altrimenti, e nel cambiare le cose cambia anche se stesso e il mondo intorno a sè.
E questo è tantissimo.
Grazie a Gianfranco Fini, Antonio Di Pietro e Giulia Bongiorno, se oggi un sistema è saltato, pur con tutte le conseguenze drammatiche, è anche merito vostro.
Come spesso accade nella vita, chi ha il coraggio di rischiare e cambiare non sempre ha il successo che si meriterebbe, mentre i gregari restano ben protetti.
Ma il successo non si misura con uno scranno da scaldare, ma con il guardarsi indietro e vedere che quella scelta di rottura di ha cambiati e ha cambiato tutto il mondo intorno a noi.
Il fatto di essere qui oggi è anche merito loro.
Elisabetta Ambrosi
(da Vanity Fair.it)
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