Marzo 2nd, 2021 Riccardo Fucile
FIDESZ ALLA PORTA, LA REGOLA PER SOSPENDERE UN’INTERA DELEGAZIONE… UN AVVISO DA PARTE DI CHI NON GRADISCE UN INGRESSO DELLA LEGA
Sono due anni ormai che il partito del premier ungherese Viktor Orban è sospeso dal Partito Popolare
Europeo per violazioni dello stato di diritto in Ungheria.
Ma non è sospeso dal gruppo del Ppe al Parlamento europeo, semplicemente perchè il gruppo non contempla le sospensioni o espulsioni di un’intera delegazione nazionale.
Ma da domani la musica cambia: l’assemblea del gruppo approverà delle modifiche al regolamento interno tra cui anche la regola che prevede sospensioni collettive per determinate violazioni.
L’iniziativa parte dall’eurodeputato austriaco Othmar Karas, vicepresidente del Parlamento europeo, uno dei più accaniti avversari di Orban nel Ppe e anche uno dei più contrari all’ingresso eventuale della Lega nella famiglia dei Popolari europei.
In questo senso, la mossa di domani, suggeriscono fonti del Ppe, va vista anche come una forma di autotutela contro Matteo Salvini, che ora guida la svolta europeista della Lega avviata con la fiducia al governo Draghi.
Nel Ppe molte delegazioni del nord Europa restano scettiche. Non è casuale la concomitanza tra l’approvazione di una regola che mette ordine nel caos dei rapporti con Fidesz e il ritorno di un dibattito – pur sotto traccia – su una possibile adesione futura della Lega al Ppe.
In sostanza, il gruppo si blinda. La nuova versione del regolamento fornisce al Ppe la possibilità di espellere o sospendere dal gruppo dell’Eurocamera più persone insieme o anche un’intera delegazione nazionale. Finora era possibile espellere solo eurodeputati singoli.
Le modifiche si sono rese necessarie anche per la pandemia: tra le modifiche al regolamento, anche la possibiità di votare da remoto, finora non previsto. Ma c’è anche una motivazione politica legata al covid.
Sono due anni che il Ppe trascina i rapporti con Fidesz nel limbo della sospensione dal partito ma non dal gruppo, ma, nonostante le pressioni delle delegazioni del nord, il presidente dei Popolari, il polacco Donald Tusk, ex presidente del Consiglio Europeo, ha detto che una decisione definitiva potrà essere discussa solo in un prossimo congresso in presenza. Chissà quando, visto che il covid continua a costringere online le riunioni.
E allora il gruppo dell’Eurocamera ha deciso di dotarsi di strumenti autonomi. L’austriaco Karas promette che dopo l’approvazione delle nuove regole domani, il prossimo passo sarà la sospensione di Fidesz.
Per sospendere una delegazione sarà necessario raccogliere le firme tra gli eurodeputati del gruppo, ma la richiesta potrebbe arrivare dalla stessa presidenza nel caso di una delegazione già sospesa dal partito, il caso di Fidesz appunto.
E in questa eventualità , basterebbe la maggioranza semplice per procedere. Non sarebbe una espulsione senza appello, sarebbe una sospensione, ma di certo è un altro passo ostile contro Orban.
La sospensione dal gruppo riguarda anche le cariche che eventualmente si ricoprono, anche se non è retroattiva, ma allo stato Fidesz ha solo dei ruoli apicali in Commissione (che verranno ridiscussi per tutto il Parlamento a metà legislatura a gennaio prossimo), non avendo partecipato al risiko delle nomine per via della sospensione dal partito.
La mossa del Ppe – domani le nuove regole dovrebbero essere approvate con ampia maggioranza – è atto più che simbolico destinato non solo a rinfocolare le polemiche contro gli ungheresi di Fidesz ma anche a scaldare la temperatura politica riguardo ad un eventuale ingresso del (ex) sovranista Salvini.
Le trattative, già ora incanalate su un binario lento, potrebbero subire ulteriori ritardi.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 1st, 2021 Riccardo Fucile
“QUESTO MESE PROPOSTA DI LEGGE PER FACILITARE IL LIBERO MOVIMENTO IN SICUREZZA IN EUROPA”
“Questo mese presenteremo una proposta legislativa per il pass verde digitale. L’obiettivo è certificare che le persone sono state vaccinate, i risultati dei test di quanti non si sono potuti immunizzare, e informazioni sulla ripresa dal covid. Rispetterò la protezione dei dati, la sicurezza e la privacy”. Così la presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, su Twitter.
“Il pass verde Covid faciliterà la vita degli europei. L’obiettivo è di permettere loro, gradualmente, di muoversi in sicurezza nell’Ue o all’estero, per lavoro o turismo”, ha evidenziato Von der Leyen.
Il portavoce della Commissione europea, Eric Mamer, ha spiegato che l’esecutivo sta lavorando ad una proposta legale per “facilitare il libero movimento in sicurezza nell’Ue”.
L’obiettivo è che il pass sia in vigore tra tre mesi, o in estate. “Il pass riguarderà lo spostamento tra una frontiera ed un’altra, ma non quanto potrà essere fatto col pass all’interno dello Stato membro”, ha precisato il portavoce.
Per evitare “discriminazioni” il pass conterrà anche i risultati di eventuali test o l’avvenuta ripresa dopo una malattia da Covid. Il pass sarà basato sui certificati vaccinali medici su cui gli Stati membri hanno già concordato. Le linee guida sui dati che conterranno sono già stati approvati a gennaio, e saranno ora necessari tre mesi per il lavoro tecnico.
(da agenzie)
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Febbraio 10th, 2021 Riccardo Fucile
LEGA SI’, LE PEN NI, AFD NO… SOLO I VERDI SI DISTINGUONO PER COMPATTEZZA
Sul dispositivo per la ‘Recovery and resilience facility’ i sovranisti al Parlamento europeo votano in ordine sparso: Lega compatta per il sì, dopo la svolta a favore del governo Draghi; i francesi del Rassemblement National si astengono, i tedeschi dell’Afd votano no, esattamente come avevano fatto in Commissione a metà gennaio. Quello della Lega era un voto favorevole di fatto annunciato dal tentativo di torsione europeista messo in atto da Matteo Salvini.
La sorpresa è che in aula tra i gruppi da sempre europeisti solo i Verdi sono compatti per il sì, all’unanimità . Anche i quattro ex pentastellati che hanno aderito ai Verdi votano sì.
Poca roba: ma è da registrare che anche i Socialisti&Democratici e il Ppe perdono qualche pezzo. Tra i primi, decidono di smarcarsi i francesi Raphael Glucksmann e Aurore Lalucq, del partito di centro-sinistra ecologista ‘Place publique’, fondato nel 2018.
Invece tra i Popolari vota no lo spagnolo Gabriel Mato, si astiene il francese Franà§ois-Xavier Bellamy. Anche nel gruppo ‘macroniano’ di Renew Europe c’è un no (il tedesco Engin Eroglu) e un’astensione (il danese Sà¸ren Gade).
Si spacca anche l’Ecr, i Conservatori e riformisti di cui fanno parte gli eletti di Fratelli d’Italia, che si astengono con la maggioranza del gruppo, mentre olandesi e svedesi votano no.
La Sinistra si divide prevalentemente tra voti favorevoli (greci, spagnoli, tedeschi) e astensioni (francesi, portoghesi, ma anche il belga Botenga e altri), due i contrari (Svezia, Olanda).
Anche sul recovery fund, come spesso accade nel Parlamento europeo, prevalgono i punti di vista nazionali: nei gruppi non maggioritari, i nordici si smarcano.
Ma la novità della Lega, favorevole in maniera compatta ad un provvedimento che pure continua a criticare (ancora legato all’austerity), risalta.
Il regolamento della ‘recovery and resilience facility’ passa con 582 voti favorevoli, 40 contrari, 69 astensioni. Compatti e a favore votano anche i 10 pentastellati ancora senza famiglia politica. Ed è scontro con gli ex alleati di governo leghisti e con il gruppo dei sovranisti.
“La Lega guida un gruppo al Parlamento europeo che li ha di fatto sfiduciati – attacca Mario Furore, europarlamentare del Movimento 5 Stelle – I sovranisti che volevano distruggere l’Europa sul regolamento del Recovery Fund si sono spaccati in tre: con la sua giravolta la Lega ha votato a favore sconfessando il voto in Commissione di appena 1 mese fa, l’estrema destra della Le Pen si è astenuta, mentre i tedeschi dell’Afd hanno votato contro. I sovranisti sono come una indigesta maionese impazzita. Questo voto dimostra che il loro disegno politico è morto, sepolto sotto i risultati concreti che abbiamo contributo a raggiungere in Europa”.
In realtà nel gruppo sovranista per ora non sembra aprirsi alcun processo politico alla Lega, che pure detiene la presidenza del gruppo (Marco Zanni), avendo la delegazione più grande (29 eurodeputati). Ognuno tra le rappresentanze nazionali segue i propri interessi di parte, non è la prima volta che accade: i sovranisti sono per costituzione divisi da interessi nazionali. Ma è chiaro che si tratta di una tregua non destinata a durare o destinata a durare fin tanto che il Carroccio non riesce a far maturare le trattative per entrare nel Ppe, ancora molto acerbe.
Intanto l’approvazione del regolamento sulla ‘Recovery and resilience facility’, il cuore del recovery fund che da solo contiene 672,5 miliardi di euro, è un fischio di partenza per la presentazione dei piani nazionali di ripresa.
Gli Stati europei potranno farlo a partire dal 18 febbraio (quando il regolamento entra in vigore), fino al 30 aprile. Nei due mesi seguenti, la Commissione Europea esaminerà i piani, dando la priorità ai migliori.
Ma i finanziamenti non potranno arrivare prima che tutti i 27 Stati membri dell’Ue non abbiano ratificato, nei loro Parlamenti nazionali, la parte che riguarda l’introduzione di nuove risorse proprie, vale a dire nuove entrate per il bilancio europeo (digital tax, carbon tax…) che faranno da garanzia al debito comune che la Commissione accumulerà per mettere insieme le risorse tramite i bond comunitari. Finora, solo 4 Stati membri hanno ratificato, tra cui l’Italia.
La pressione di Bruxelles sulle capitali affinchè ratifichino al più presto si sta facendo sempre più pesante negli ultimi giorni, ma non sembra sortire effetti: secondo il calendario comunicato dai paesi membri alla presidenza del Consiglio europeo, il processo di ratifica non sarà completato prima di giugno. Ma, sottolineano fonti della Commissione Ue, Bruxelles non erogherà un euro prima che tutti gli Stati europei abbiano approvato il piano.
L’approvazione del regolamento è una “decisione storica” per la ripresa, dice il presidente dell’Europarlamento David Sassoli. “Ora la parola passa agli Stati membri per far partire il Next Generation UE. Ci attendiamo che i parlamenti nazionali accelerino la ratifica dell’aumento delle risorse proprie dell’Unione, essenziale per emettere bond e finanziare la ripresa. Non c’è tempo da perdere e ogni ritardo sarebbe un danno enorme a cittadini e imprese”.
Anche il Commissario europeo all’economia Paolo Gentiloni parla di “passo storico”, una “opportunità unica da cogliere per cambiare le nostre economie per il bene di tutti i cittadini europei”. Ursula von der Leyen, sotto assedio oggi in aula per il ‘fiasco’ della campagna vaccinale anti-covid, prende una boccata d’ossigeno: “Sconfiggere il virus grazie ai vaccini è essenziale. Ma dobbiamo anche aiutare i cittadini, le imprese e le comunità a uscire dalla crisi economica. Il Recovery and Resilience Facility porterà 672,5 miliardi di euro proprio per questo e servirà a investire per rendere l’Europa più verde, più digitale, più resiliente, a vantaggio di tutti a lungo termine. Accolgo con favore il voto positivo del Parlamento europeo quale passo importante verso l’attivazione del meccanismo Rrf”.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 8th, 2021 Riccardo Fucile
IL GRUPPO E’ SPACCATO
Domani prima cartina di tornasole per la Lega, visto che al Parlamento europeo si vota il regolamento che istituisce il Recovery, sul quale in precedenza la Lega si era astenuta. Il gruppo al momento è spaccato tra chi vuole continuare ad astenersi e chi, nel nome del futuro governo Draghi, voglia votare a favore.
I 5S hanno lanciato un appello con un comunicato in cui auspicano che tutti i partiti italiani votino a favore nell’interesse nazionale. La capogruppo di Forza Italia alla Camera, Mariastella Gelmini, auspica “che anche la Lega possa dare il suo via libera al Regolamento perchè è essenziale che nel 2021 arrivi la prima tranche del Recovery fund”. Fdi invece si asterrà ancora.
La Lega deciderà dopo aver incontrato Draghi
“Parlamentari, economisti e tecnici della Lega sono al lavoro in queste ore in vista del voto sul Recovery Fund previsto per domani sera. La Lega, che si astenne sul documento in commissione ai tempi del governo Conte, attende l’incontro col professor Draghi previsto per domani prima di prendere la decisione definitiva”.
E’ quanto trapela da fonti della Lega di Bruxelles. “Se invece dell’austerity praticata in passato si passasse ad una fase di investimenti, di crescita e di rilancio economico, senza aumento di tasse ma liberando energie e risorse in ambito pubblico e privato, lo scenario cambierebbe completamente”, sottolineano le stesse fonti leghiste.
Il futuro politico di Mario Draghi, unito al suo passato da presidente della Banca centrale europea, hanno innescato uno scontro interno al gruppo Identità e democrazia (Id) al Parlamento europeo, la compagine che tiene assieme i tedeschi di Alternative fur Deutschland e gli italiani della Lega. Jorg Meuthen, vice presidente del gruppo parlamentare ed esponente dell’Afd, venerdì scorso ha accusato il premier incaricato di essere “il grande maestro in materia di debiti” al quale “si affida” lo Stato italiano per “rendere felici gli italiani con i tanti miliardi” che dovrebbero arrivare con il Recovery fund.
Draghi è “l’uomo che ci ha portato una politica della Bce completamente sbagliata, responsabile dell’eccesso incontrollato di denaro nell’eurozona”, ha attaccato il sovranista tedesco. “Dovrebbe ora essere il grande salvatore dell’Italia? Questo è uno scherzo, anche se molto brutto, di cui i tedeschi, che devono pagare in larga misura l’intero conto, non potranno ridere”, ha rincarato.
“Non è il momento delle polemiche”, ha risposto oggi Marco Zanni, presidente del gruppo Id ed eurodeputato della Lega.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 8th, 2021 Riccardo Fucile
ZANNI (LEGA) CONTRO MEUTHEN (AFD), LEGHISTI AL’ANGOLO NEL GRUPPO EUROPEO… SI PREPARA AL SI’ AL RECOVERY DOPO ESSSERSI ASTENUTI IN PASSATO
Un primo effetto della svolta di Matteo Salvini a sostegno di ‘Mario Draghi premier’ è che
volano stracci tra i sovranisti all’Europarlamento.
Il leghista Marco Zanni, presidente del gruppo Identità e democrazia, attacca il suo vice, Jorg Meuthen dell’ultradestra tedesca Afd, proprio per difendere l’ex governatore della Bce.
E’ solo la punta dell’iceberg di un terremoto politico che potrebbe portare la Lega a lasciare il gruppo di Identità e Democrazia e magari a rischiare una scissione per tentare un’adesione molto complicata al Ppe, col rischio di restare senza gruppo politico all’Eurocamera. Intanto domani in plenaria c’è un primo test su questo tentativo di svolta europeista da parte del Carroccio.
Domani, nelle stesse ore in cui Salvini si recherà da Mario Draghi per il secondo giro di consultazioni per la formazione del governo, la plenaria dell’Europarlamento voterà per l’approvazione definitiva del regolamento della ‘Recovery and resilience facility’, la parte del recovery fund che da sola contiene 672,5 miliardi di euro, di cui 312,5 mld di sussidi, 360 mld di prestiti.
A metà gennaio, in Commissione, gli eurodeputati leghisti si sono astenuti sul provvedimento, come Fratelli d’Italia, che conferma l’astensione anche in plenaria. Ora, si apprende, la delegazione del Carroccio è immersa in una riflessione per niente semplice, come per niente semplice è questo tentativo di svolta europeista.
L’11 gennaio scorso, la scelta della Lega di astenersi sulla governance della parte più cospicua del piano anti-crisi europeo scatenò un acceso scontro con gli ex alleati di governo pentastellati – che votarono a favore come faranno in aula domani – oltre che con il Pd, pure a favore.
In una nota congiunta, il presidente del gruppo sovranista di ‘Identità e democrazia’ Marco Zanni e l’eurodeputato Antonio Maria Rinaldi attaccarono la scelta Dem e del M5s sostenendo che il regolamento approvato contiene regole di “austerità e tasse”, in altre parole “condizionalità ” imprescindibili.
Ma domani l’atteggiamento potrebbe essere diverso, ora che Matteo Salvini ha cambiato rotta, virando a tutto gas verso il governo Draghi.
In queste ore, la delegazione leghista sta discutendo il da farsi. I 29 voti degli eletti della Lega all’Europarlamento non sono determinanti, il regolamento verrà approvato con una solida maggioranza.
Ma una nuova astensione verrebbe notata in Italia e soprattutto a Bruxelles e non sarebbe un buon viatico per il nuovo percorso politico verso il Ppe. Perchè è evidente che la nuova collocazione politica in Italia non si concilia con la presenza della Lega nel gruppo dei sovranisti a Bruxelles, la stessa famiglia politica dell’arci-nemica di Draghi Marine Le Pen, principale alleata di Salvini nella campagna elettorale per le europee 2019.
Alla vigilia del test di domani, un primo assaggio della nuova situazione politica lo si ha oggi con lo scontro diretto tra Zanni e Meuthen. Il leader del partito tedesco di ultra-destra ‘Alternative fà¼r Deutschland’ attacca Draghi e la scelta della Lega di sostenere il suo governo. L’ex governatore, dice Meuthen, è “responsabile della spesa senza controlli della Bce”, “la Germania pagherà il conto”.
Secca la replica di Zanni, presidente di tutto il gruppo sovranista ‘Identità e democrazia’: “Questo non è il momento delle polemiche, ma di lavorare per il bene dell’Italia e degli italiani. Se qualcuno all’estero critica il professor Draghi per aver difeso l’economia, il lavoro e la pace sociale europea – quindi anche italiana – e non solo gli interessi tedeschi, questa per noi non sarebbe un’accusa, ma un titolo di merito”.
Non era mai accaduto prima che nel gruppo sovranista volassero gli stracci. Draghi produce questo effetto.
Ma nella Lega non la pensano tutti come Zanni. Vincenzo Sofo, tra gli eurodeputati del Carroccio forse il più vicino alla ‘famiglia Le Pen’ per ragioni anche personali (fidanzato della nipote Marion), non è d’accordo sul sostegno all’ex governatore della Bce. “Ci troviamo di fronte a una operazione simile a quella di Monti – dice – anche Draghi è un premier imposto dall’alto, con una delega in bianco, che neanche deve cercarsi una maggioranza, visto che quasi tutti si stanno offrendo senza esitazioni”. Il rischio, continua Sofo, è che la Lega “possa finire in una trappola, dopo aver dato questa ampia disponibilità al premier incaricato”.
(da Huffingtonpost”)
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Gennaio 30th, 2021 Riccardo Fucile
IL VIDEO DI RENZI CHE OMAGGIA UNO STATO CHE FA A PEZZI NELLA SUA AMBASCIATA IL GIORNALISTA KHASHOGGI STA FACENDO IL GIRO DI TUTTI I PARLAMENTARI EUROPEI
La ‘consulenza’ di Renzi in Arabia Saudita insieme al principe ereditario Mohammed bin Salman
sta facendo il giro del Parlamento europeo, con toni molto simili a quelli italiani: l’eurodeputato dell’S&D Marc Tarabella, apprende l’Adnkronos da più fonti parlamentari, ha inviato un’e-mail a tutti i colleghi e agli assistenti in cui si riporta un tweet che commenta il video (45 secondi) in cui Renzi dialoga con Bin Salman del possibile nuovo “Rinascimento” in Arabia Saudita.
L’italobelga ironizza sul leader di Italia Viva e invita a guardare il video: “Guardatelo prego”, scrive Tarabella nella mail
Il tweet allegato, in italiano, cita Renzi: “‘L’Arabia Saudita può essere il luogo di un nuovo Rinascimento’. Lapidando le adultere, sciogliendo nell’acido i giornalisti e pagando sontuosi cachet”, commenta l’autore, Gennaro Carotenuto.
Mohammed bin Salman è sospettato di essere il mandante dell’omicidio del giornalista ed editorialista del Washington Post Jamal Khashoggi, ucciso e fatto a pezzi il 2 ottobre 2018 nel consolato saudita di Istanbul da una squadra di sicari appositamente inviati sul Bosforo, alcuni dei quali legati al principe, secondo un’inchiesta del New York Times
L’eurodeputato del M5S Mario Furore conferma, via social, che “i colleghi esteri in Europarlamento fanno girare goliardicamente un virgolettato di Renzi che dice espressamente che l’Arabia Saudita è il luogo di un ‘Nuovo Rinascimento'”.
“Ovvero – continua – lì dove ci sono violazioni dei diritti umani, repressione, uso della tortura, schiavitù, crimini di guerra, persecuzione religiosa, finanziamento al terrorismo islamista. Questo è quello che ha consegnato l’Italia all’incertezza”.
(da agenzie)
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Gennaio 23rd, 2021 Riccardo Fucile
LE LINEE GUIDA DELLA COMMISSIONE NON PERMETTONO DI FARE QUELLO CHE SI VUOLE… I TIMORI DI MOODY
La Commissione europea aggiorna le linee guida per accedere ai fondi del Recovery e per l’Italia la
strada verso i 209 miliardi Ue diventa ancora più ripida. Le nuove indicazioni valgono per tutti i paesi, ma in Europa a nessuno sfugge che sono perfettamente ritagliate sul “caso Italia”.
Non per niente Bruxelles insiste sulla necessità di indicare le riforme che accompagneranno gli investimenti finanziati dall’Unione.
Per Roma si tratta di ammodernamento della Pubblica amministrazione e della giustizia, ma anche di provvedimenti sulle pensioni e di misure per aumentare la competitività del Paese. Che intanto vive una giornata difficile sui mercati, con lo spread in salita e Moodys che lancia nuovi avvertimenti sul debito.
Dopo avere osservato in silenzio le difficoltà con le quali Roma ha lavorato al piano per accedere ai fondi del Next Generation Eu (209 miliardi su 750 complessivi), negli ultimi giorni la Commissione ha iniziato a farsi sentire, sottolineando che il Recovery italiano va “rafforzato” (Gentiloni) e che l’instabilità politica non deve distrarre dal suo completamento (Dombrovskis). Sale la tensione, visto che manca un mese all’appuntamento con la notifica formale del nostro piano.
Ecco perchè la Commissione mette per iscritto che i programmi nazionali “dovrebbero guardare alle raccomandazioni Ue 2019 e 2020”, ovvero alle riforme che l’Europa ci chiede da anni.
Il legame tra soldi e riforme è noto da luglio, ma ora Bruxelles lo ribadisce con chiarezza: i Paesi devono “fornire spiegazioni dettagliate su come verranno affrontate le misure proposte, in che modo le criticità verranno risolte”. Insomma, l’Unione non si accontenta della vaghezza dei documenti inviati da Roma.
Inoltre chi, come l’Italia, registra squilibri eccessivi, è invitato “a spiegare come i piani contribuiranno ad affrontarli”. Per Roma si tratta del debito pubblico: per Bruxelles deve essere affrontato aumentando la crescita attraverso un aumento della produttività e della competitività con le riforme, tra cui taglio della burocrazia, processi più rapidi, eliminazione di quota 100 e un miglior ambiente per le imprese.
La preoccupazione Ue si giustifica anche con il fatto che nelle prime bozze del piano italiano le riforme venivano riassunte, ora sono scomparse: assenti quelle che richiamano interventi sulla spesa pensionistica e lo spostamento delle tasse verso la rendita con l’aggiornamento dei valori catastali. Restano richiami solo su giustizia, concorrenza e mercato del lavoro.
Intanto il governo tenta una “riscrittura” del Recovery: ieri Conte ha visto i sindacati e ha garantito “tavoli” con i ministri ottenendo reazioni positive da Cgil-Cisl-Uil. Lunedì vedrà Confindustria.
Passaggi legittimi, che però stanno snervando istituzioni e partner Ue visto che l’Italia a luglio aveva promesso di attivarsi subito sul piano e dal 15 ottobre conosce i dettagli richiesti da Bruxelles. Non solo, se l’Italia non taglierà la burocrazia, è il timore della Ue, rischierà di non investire in tempo i 209 miliardi, perdendoli.
Ieri la differenza di rendimento tra Bund tedesco e Btp italiano, termometro della fiducia dei mercati, è salita di 8 punti. Lo spread ha raggiunto quota 124 nel pomeriggio, ai massimi da due mesi. Detonatore delle tensioni proprio i timori di Bruxelles e la sortita di giovedì della presidente Bce, Christine Lagarde, che ha chiesto ai partner Ue, Italia in testa, di non sprecare il Recovery.
Anche Moody’s, una delle maggiori agenzie di rating, scende in campo: in un report avverte che il governo “indebolito” e più “fragile” dopo la crisi, si troverà ad affrontare “sfide impressionanti” sul piano di politica economica e della pandemia. E aggiunge che “l’incapacità dell’Italia di trarre vantaggio dalle risorse del Next Generation Eu eserciterebbe con tutta probabilità pressioni al ribasso sul profilo di credito”.
Una velata minaccia di declassamento: rischiosa perchè Moody’s come Fitch (S&P è appena un po’ più in alto) sono ad un gradino dal livello “spazzatura”. Così l’Italia torna sotto osservazione per via di Recovery, debito e crisi politica. Un mix pericoloso.
(da agenzie)
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Gennaio 16th, 2021 Riccardo Fucile
GOVERNATORE DEL NORDRENO-WESTFALIA, 59 ANNI, GUIDERA’ IL PARTITO ALLE ELEZIONI DI SETTEMBRE, PER LA PRIMA VOLTA SENZA LA CANCELLIERA
Ha vinto la continuità , il fedelissimo di Angela Merkel, il garante della ricerca dei voti al centro, di
una traiettoria europeista e pro-migranti e di una convergenza post-elettorale con i Verdi: Armin Laschet.
È il governatore 59enne del Nordreno-Westfalia il nuovo presidente della Cdu, del più grande partito conservatore d’Europa.
E sarà lui a dover garantire che l’attuale consenso alle stelle – il 37-38% – resti intatto fino alle elezioni politiche del 26 settembre. Non sarà un compito facile.
In una sala vuota, senza applausi, senza mormorii, risate o abbracci, al termine del primo congresso digitale dei cristianodemocratici, Laschet ha ringraziato per ben due volte la reggente del partito, Annegret Kramp-Karrenbauer, forse per cancellare il pessimo ricordo del saluto di ieri sera di Angela Merkel.
La cancelliera non ha mai accennato alla sua ex delfina, non l’ha mai ringraziata per aver preso le redini in mano in uno dei peggiori momenti della storia del partito, nel 2018, quando la cancelliera abbandonò la presidenza mentre la Cdu era in piena tempesta, umiliata dall’ennesima debacle in un’elezione regionale (in Assia).
Laschet è anche il probabile candidato alla successione di Angela Merkel. La decisione sulla corsa alla cancelleria sarà presa in primavera, insieme alla sorella bavarese del partito, la Cdu. E il 14 marzo due elezioni regionali, in Baden-Wuerttenberg e Renania Palatinato, dove i cristianodemocratici potrebbero incassare una batosta, rischiano ancora di compromettere la corsa del cinquantacinquenne. Insieme ai sondaggi nazionali, in cui Laschet, finora, è debole.
Da mesi si vocifera della possibilità che Markus Soeder, il leader della Csu, possa essere scelto per la corsa al dopo-Merkel. Ma come fa notare un delegato renano della Cdu, “quando accadde l’ultima volta, nel 2002, il partito era all’opposizione. Stavolta la Cdu ha ottime possibilità di vincere le elezioni. Rinunciare in partenza alla candidatura per la cancelleria ci azzopperebbe, anche agli occhi degli elettori”.
Inoltre, un noto asset di Laschet è la capacità di condurre una campagna elettorale. Nel 2017 riconquistò il Nordreno-Westfalia alla ‘rossa’ e popolarissima Hannelore Kraft (Spd). E nonostante gli intrighi delle ultime settimane e i rumors che lo volevano già fuori gara, ha pazientemente riconquistato la maggioranza dei delegati per sè.
Tuttavia, il ballottaggio vinto sul filo – 52% contro il 48% incassato dal rivale Friedrich Merz – segnala che il primo compito di Laschet sarà quello di ricompattare un partito lacerato da anime molto divergenti. Dei tre candidati che si sono presentati stamane, Laschet ha fatto il discorso più convincente, anche se senza guizzi particolari.
Il candidato renano ha ricordato il padre minatore e il valore principale che gli ha trasmesso: l’importanza di potersi fidare. E ha punzecchiato il suo rivale Merz sostenendo che la Cdu debba rifiutare ogni estremismo, evitare di polarizzare: serve “un capitano di squadra, non un amministratore delegato”, con chiaro riferimento al passato nel fondo finanziario Blackrock del suo avversario Merz.
Il suo rivale, ex capogruppo della Cdu, si è detto all’opposto convinto che la Cdu occorra “riconquistare i populisti per il centro”. Il politico conservatore guarda esclusivamente agli elettori di destra. Tanto che ha ribadito di non volersi mai alleare con l’Afd nè al livello federale, nè locale. E ha subito sottolineato la differenza con i Verdi: “il catastrofismo di chi dice che il mondo tramonterà , io non lo sottoscrivo. È una sfida che si vince con la tecnologia”.
Il terzo contendente, finito fuori gara al primo giro di voti del 1001 delegati, è Norbert Roettgen. Dopo un’ottima campagna elettorale, cominciata con numeri al lumicino e terminata con risultati dignitosi anche nei sondaggi nazionali, il presidente della Commissione Esteri ha fatto un discorso centrista, contro i populismi, contro gli estremismi e a favore dell’ambiente.
Ma nei dieci minuti consentiti ai tre candidati per il discorso di presentazione, nè Roettgen, noto esperto di geopolitica e atlantista di ferro, nè Laschet, nè Merz hanno speso una sola parola sull’Europa. Un po’ curioso, per il partito conservatore che più di ogni altro influenzerà i destini del continente, nei prossimi anni.
(da agenzie)
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Gennaio 14th, 2021 Riccardo Fucile
CON 209 MILIARDI DA ASSEGNARE ALL’ITALIA, IN EUROPA COMINCIANO A PORSI INTERROGATIVI… PPE, SOCIALISTI E VERDI: “ATTO IRRESPONSABILE”
Quando in giornate ‘particolari’ come queste arrivano messaggi dalle cancellerie estere del genere
‘Come va?’, si capisce che si tratta del ‘diplomatichese’ per chiedere: ‘Che diavolo sta accadendo in Italia?’.
Perchè in questi giorni ai responsabili di governo ne stanno arrivando tanti di messaggi del genere ‘Come va?’. La crisi politica italiana genera stupore nei palazzi delle istituzioni all’estero.
Stavolta fanno davvero fatica a capirla, con l’aggravante che mai come stavolta la crisi non è solo affare italiano, ma europeo, visto che l’Italia ha la gran parte della responsabilità sulla riuscita del Next Generation Eu, sforzo inedito europeo di 750mld per affrontare la crisi da covid.
Per ora, l’unica rassicurazione per gli europei è che il piano italiano di ripresa è ‘salvo’, approvato in consiglio dei ministri.
Per il resto, aspettano ma non comprendono le ragioni del caos, perchè il caso italiano è ben diverso da Olanda ed Estonia, paesi dove pure si è aperta una crisi di governo ma per motivi precisi.
Giovedì prossimo intanto Giuseppe Conte dovrebbe partecipare alla videoconferenza con gli altri leader europei per un aggiornamento sulla pandemia. I giornali stranieri mettono a fuoco il suo avversario: Matteo Renzi.
“Assoluta irresponsabilità di Renzi”, twitta la presidente del gruppo dei Socialisti&Democratici europei Iratxe Garcia Peres. “Nel mezzo di una pandemia globale, la stabilità e la sicurezza del governo sono essenziali per rispondere alle preoccupazioni sanitarie, sociali ed economiche — continua — Spero che l’Italia esca da questa situazione al più presto”.
“Non vediamo come questo dramma politico sia di qualche aiuto ai cittadini e alle imprese italiane che stanno soffrendo molto per le conseguenze della pandemia”, commentano dal Ppe.
“In Europa ci aspettiamo un atteggiamento costruttivo dal capo del governo Conte e da Renzi. Come maggiore beneficiaria del Next Generation Eu, l’Italia ha una grande responsabilità ”, dice l’europarlamentare dei Verdi tedeschi Alexandra Geese, che parla italiano e conosce bene il panorama politico italiano.
“Dall’Europa, osservo con preoccupazione la crisi di governo — aggiunge – l’Italia ha bisogno di un governo stabile per superare la crisi sanitaria e per presentare al più presto un buon piano economico all’Europa per uscire dalla crisi con un’economia più forte, sociale e verde”.
Enrico Letta, primo premier a fare le spese delle azioni del rottamatore nel 2014, sottolinea sull’americana Cnbc che “la crisi provocata dal partito più piccolo, 2,5 per cento nei sondaggi, è un record persino in Italia”.
Mai come stavolta la crisi è affare internazionale, nello specifico europeo. L’Italia ha la più grossa responsabilità del recovery fund, 209 miliardi di euro di responsabilità . Certo, l’Europa si è assicurata il recovery plan italiano, approvato dal consiglio dei ministri alla vigilia della crisi aperta ieri da Renzi con il ritiro degli esponenti di Italia Viva dal governo. E, certo, ora c’è tempo fino a quando arriveranno i nuovi fondi europei, raccolti sul mercato dalla Commissione: bisogna aspettare le ratifiche dei 27 Stati membri della parte relativa all’introduzione di nuove risorse proprie (web tax, carbon tax, ecc). Ma la crisi al buio provoca stupore all’estero e comunque non tranquillizza, visto il bottino di soldi che l’Italia deve gestire.
Le esigenze diplomatiche di non ingerenza negli affari politici di un paese straniero impongono il ‘Come va?’ e frenano i messaggi. Ma non tutti. Il ministro agli Affari europei Enzo Amendola ne riceve di espliciti: “Se le faccio vedere tutti gli sms che sto ricevendo farebbe degli scoop incredibili — dice ospite a Skytg4 – Tutti i colleghi europei mi hanno scritto, sono molto preoccupati. L’ultimo messaggio l’ho ricevuto dal ministro svedese”.
I media stranieri intanto mettono a fuoco il problema. Se fino a una settimana fa parlavano dei venti di crisi in Italia come di una conseguenza delle tensioni sul piano di ripresa, oggi puntano i riflettori su Renzi, l’attore che ha aperto la crisi, pur approvando il piano di ripresa del governo (astensione di Italia Viva in Consiglio dei ministri). E allora si scatenano. Fanno fatica a comprendere la vera ragione del caos.
Giovedì Conte parteciperà alla videoconferenza dei leader europei per un aggiornamento sulla pandemia.
(da “Huffingtonpost”)
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