Marzo 28th, 2021 Riccardo Fucile
LO SCOPO E’ QUELLO DI PERMETTERE IL RILANCIO DEL TURISMO E DEI VIAGGI TRA I PAESI EUROPEI
Il capo del task force Ue per i vaccini Thierry Breton ha mostrato il primo ‘passaporto sanitario’
europeo aggiungendo che sarà disponibile in tutta l’Unione europea “tra due-tre mesi”.
Intervenendo ad una trasmissione sulla radio francese Rtl, il commissario europeo al Mercato interno ha fatto vedere un prototipo del documento che sarà disponibile sia in versione cartacea che per smartphone.
Sul documento, un codice QR e il tipo di vaccino effettuato. Per chi non ha ancora o non ha voluto effettuare il vaccino contro il coronavirus ci sarà il risultato dell’ultimo tampone effettuato.
“Abbiamo pensato che è molto importante che, nel momento in cui siamo certi del fatto che qualsiasi europeo che desideri vaccinarsi abbia avuto accesso al vaccino (e questo dovrebbe accadere nei due o tre mesi a venire), senza discriminazioni quindi, ci sia un meccanismo, un certificato, che dimostri lo stato di immunizzazione”, ha detto il commissario mostrando un facsimile dell’aspetto che dovrebbe avere tale certificato.
Il commissario ha poi spiegato quali sono tutte le informazioni che sarà possibile trovare su questo documento. Saranno inseriti in primis i dati personali, quindi nome e cognome, data di nascita, ma anche il numero del proprio passaporto. Ci sarà poi un codice QR che testimonierà l’avvenuta vaccinazione e specificherà con che tipo di vaccino questa è stata fatta. E ancora: chi ha già contratto il Covid e ha quindi sviluppato una risposta immunitaria troverà queste informazioni sul proprio certificato.
“Infine, a coloro che non hanno ricevuto il vaccino e non sono guariti dal Covid verrà richiesto un tampone e nel certificato sarà possibile consultarne l’esito”, ha aggiunto Breton. Il commissario ha poi concluso spiegando che per ottenere questo certificato i cittadini dovranno rivolgersi al sito del ministero della Salute del proprio Paese.
(da agenzie)
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Marzo 24th, 2021 Riccardo Fucile
L’EXPORT DI PRODOTTI ALIMENTARI E BEVANDE CON L’ITALIA E’ CALATO DELL’81%
La Brexit sta creando non pochi problemi al mercato delle esportazioni inglese. Dopo l’annuncio di Boris Johnson durante il quale ha dichiarato che il Regno Unito avrebbe lasciato l’Ue all’inizio del 2020, e la formalizzazione degli accordi con l’Europa, l’economia del Paese ha accusato il primo effetto domino.
Prodotti alimentari, e non, come whisky, formaggio e cioccolato hanno subito le maggiori perdite di esportazioni.
I dati sono stati rivelati da un’analisi condotta dalla Food and Drink Federation (FDF): a gennaio, le esportazioni di formaggio dal Regno Unito sono crollate da 45 milioni di sterline a 7 milioni anno su anno, mentre le esportazioni di whisky sono crollate da 105 milioni a 40. Le esportazioni di cioccolato sono passate da 41,4 milioni di sterline a soli 13 milioni, con un calo del 68%.
Certo, non è solo colpa della Brexit: a incentivare il crollo c’è anche il fattore Coronavirus, che ha portato inevitabilmente a una domanda più debole in Europa, per via della chiusura di ristoranti, hotel e altri punti di ristoro. A pagare lo scotto maggiore sono poi le esportazioni di altri beni come il salmone e la carne bovina. Qui le esportazioni si sono quasi interrotte del tutto con cali rispettivamente del 98% e del 92%. Nel complesso il commercio del pesce è diminuito del 79%.
Secondo le cifre raccolte dall’Ufficio per le statistiche nazionali (ONS) e riportate dal Guardian, il commercio tra il Regno Unito e l’UE è stato duramente colpito a gennaio, con le esportazioni complessive in calo del 40,7% a gennaio rispetto a dicembre.
Si tratta del più grande calo mensile del commercio britannico da oltre 20 anni. La rotta commerciale più colpita, secondo le analisi di FDF, è stata quella verso l’Irlanda, da sempre punto di riferimento per la Gran Bretagna come il più grande mercato di esportazione.
Ora il suo valore, nell’intero mercato inglese, è del 5% rispetto al 18% nel gennaio 2020. In netto calo anche le esportazioni in Germania e Italia, rispettivamente dell’85% e dell’81%. I dati complessivi mostrano che le esportazioni di cibo e bevande sono precipitate a inizio 2021 complessivamente del 75,5% su base annua.
(da agenzie)
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Marzo 20th, 2021 Riccardo Fucile
COSA NON SI FA PER UNA POLTRONA… SECONDO GLI ULTIMI SONDAGGI PERO’ MACRON LA BATTEREBBE ANCORA AL BALLOTTAGGIO
Sorridente e con l’aria di una che sta affermando la cosa più ovvia del mondo, Marine Le Pen è
comparsa qualche giorno fa in televisione e ha detto: “Io penso che vincerò le elezioni presidenziali, ed è la mia responsabilità rassicurare i francesi. Su di me hanno sentito molte cose false e caricaturali. Mi resta un anno per far capire il mio progetto che non è solo ragionevole ma ridarà senso alla politica”.
Il papà Jean-Marie, storico leader dell’estrema destra patriottica e colonialista, non aveva mai pensato fosse suo dovere “rassicurare” ma piuttosto terrorizzare gli elettori scommettendo sul voto della paura. E anche adesso, a 93 anni, interrogato dalla stessa BFM Tv, dichiara irriducibile: “Marine non deve cedere all’attrazione centrista”.
Ma la figlia, che ha costruito il suo successo su una linea di continuità -discontinuità dall’ingombrante papà , tanto per cominciare propone un referendum sull’ecologia, anzi un contro-referendum, dal momento che anche il presidente della Repubblica Macron ne sta proponendo uno per “costituzionalizzare” le buone intenzioni della stagione verde ora appannata dall’emergenza.
Si pensa che sull’ambiente – esiti della pandemia a parte – si giocherà la battaglia più simbolica del 2022.
Ne esce un quadretto eco compatibile e sostenibile del lepenismo. Quindici domande, un po’ tecniche un po’ no, sullo sfondo un’ecologia “paysanne”, popolare e populista, contro l’eolico, iconica battaglia del Front National, da sempre a favore del nucleare nazionale a suon di dati, nell’immancabile confronto-scontro con la Germania, raffigurata come il rovescio della Mecca della politica verde: la Francia delle centrali atomiche scarica nell’atmosfera ogni ora 7.500 tonnellate di CO2, la Germania 36 mila…
Per la Le Pen il progetto costituzionale macronista di “protezione dell’ambiente e della diversità biologica dai cambiamenti climatici” sono soltanto parole vuote. È lei a riempirle di contenuti con le sue allusive contro-domande. Volete che tutti i prodotti alimentari siano etichettati in modo dettagliato? La Francia deve continuare a investire nel nucleare, la sola energia libera dall’inquinante carbone? Siete favorevoli a sospendere l’installazione di nuovi grandi supermercati? Siete favorevoli a vietare l’importazione di prodotti agricoli manifatturieri la cui produzione è vietata in Francia? Eccetera, eccetera.
Se alcune di queste questioni possono sembrare tecniche, lo sfondo è chiaro e traducibile per tutti, il sostegno alle piccole patrie, a un’economia di produzione e consumo locale, essendo “il localismo” lo slogan che ha ormai guadagnato la stessa importanza di sicurezza e immigrazione nelle gerarchie politiche lepeniste. “On est chez nous”, siamo a casa nostra.
Ha detto Marine Le Pen di essere rimasta molto colpita da un recente sondaggio in cui una grande parte di francesi dichiara di sentirsi “isolata” e di non appartenere a nessuna comunità , nemmeno quella nazionale: “Ecco, il mio obiettivo è di rassicurare questi francesi. E faccio mio lo slogan dei tifosi del Liverpool: non camminerete mai soli”. (Naturalmente lo dice in francese, l’originale è: You’ll never walk alone).
Fino a un paio di anni fa il partito di madame Le Pen considerava ecologia e ambientalismo “roba da bobò” e cioè buona per gli snob della sinistra parigina, agiati progressisti immaginari. La svolta ambientalista dell’estrema destra è diventata definitiva dalle europee dell’anno scorso quando il Rassemblement National (questo è il nome attuale dell’ex Front lepenista) ha mandato a Strasburgo Hervè Juven, un sessantacinquenne uomo d’affari, autore Gallimard di saggi suggestivi su sensualità e desiderio (in Italia Feltrinelli ha pubblicato il “Trionfo del corpo”) divenuto guru e teorico dell’ “ecologia identitaria”, un localismo giacobino già attuato da qualche sindaco. Per esempio a Hènin Beaumont, nel Nord, in uno dei comuni simbolo vinti dall’ex Front, dove l’illuminazione di quasi tutti gli edifici è a led, un migliaio di alberi sono stati impiantati negli spazi pubblici e nei parchi si sperimenta la manutenzione degli spazi verdi con il pascolo libero delle pecore.
A questa sfida verde e femminile si sta avvicinando a piccoli passi la sindaca di Parigi Anne Hidalgo, eletta nel 2014 con il marchio del partito socialista, divenuto ormai un simbolo di antiquariato politico, al punto che alle municipali dell’anno scorso la sindaca si è presentata con la lista “Paris en commun”, liberata da tossici riferimenti al passato novecentesco e idealmente proiettata sull’idea della difesa dei “beni comuni”, aria, acqua, ambiente in generale.
Piste ciclabili non solo sui boulevards, i quai della Senna vietati al traffico, scooter e monopattini elettrici ovunque. Hidalgo annuncia oggi sul Journal du dimanche la pubblicazione della sua agenda che tutti considerano l’anticipazione dell’annuncio della candidatura all’Eliseo (nelle à‰ditions de l’observatoire sono già usciti “Respirare” e “I luoghi del possibile”) che procede secondo il suo “ritmo”.
L’altro giorno ha presentato a un quotidiano del Nord, vale a dire nelle terre di Marine, la piattaforme di “Idèes en commun”, la rete che la sostiene è inevitabilmente quella dei sindaci socialisti, alcuni dei quali autentici “elefanti” del vecchio partito come Martine Aubry a Lille o Franà§ois Rebsamen a Digione.
Ma intanto lei si tiene al passo con i tempi e fa approvare dal Consiglio di Parigi la “Carta per la telefonia mobile” per regolare le installazioni del 5G, tema oggi molto sensibile. Hidalgo lo definisce il regolamento più “protettivo” d’Europa, secondo le richieste della Convenzione cittadina dei 150 estratti a sorte, istituita da Macron nel 2020 per sperimentare forme nuove di democrazia deliberante.
Dopo la crisi dei gilets gialli, il governo della pandemia ha rivelato la fragilità di un sistema presidenziale che appariva invece stabile nella forma gollista della Quinta Repubblica. Christian Salmon, lo studioso dello storytelling e del grottesco in politica (ultimo libro La Tyrannie des buffons) ha spiegato così su slate.fr il momento: “Il declino della sovranità ha prodotto un nuovo tipo di presidente che non sembra più capace di reagire. È diventato il commentatore di una situazione che gli è sfuggita di mano, prodotta da un duplice fenomeno: una governance senza sovranità e un democrazia senza deliberazioni”. Lo zigzag della politica di Macron nell’ultimo anno lo dimostra: mentre la Le Pen diventa centrista e moderata – ha scritto il Financial Times – il presidente perde lo zelo riformista.
Secondo l’ultimo sondaggio Ifop pubblicato venerdì, Macron vincerebbe ancora 53 a 47 contro la Le Pen (nel 2017 fu 66 a 33), mentre nella sfida tra signore Anne Hidalgo perderebbe di misura, 51 a 49. Ma il dato più impressionante di tutte le ultime inchieste d’opinione è la quantità di cittadini che non si sente più rappresentata da nessuno
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 17th, 2021 Riccardo Fucile
DA GIUGNO IL CERTIFICATO SARA’ DISPONIBILE IN FORMATO DIGITALE O CARTACEO E SARA’ VINCOLANTE PER TUTTI GLI STATI
I cittadini europei potranno tornare a viaggiare quest’estate fornendo la prova di essersi sottoposti
alla vaccinazione, oppure di essere risultati negativi a un test o di essere guariti dal Covid-19 ed avere sviluppato gli anticorpi. Sono i contenuti chiave del nuovo pass Covid presentato oggi dalla Commissione Ue per rilanciare i viaggi in Europa.
Il certificato, che dovrebbe essere disponibile da giugno in formato digitale o cartaceo, sarà legalmente vincolante per gli Stati membri e ammetterà tutti i vaccini disponibili sul mercato, ha spiegato il commissario europeo per la Giustizia, Didier Reynders.
“Col certificato vaccinale puntiamo ad aiutare gli Stati membri a ritornare alla mobilità in sicurezza e coordinata”, ha detto questa mattina la presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen. E ancora: “L’obiettivo è quello di riaprire”.
Von der Leyen ha detto anche che “la situazione epidemiologica sta peggiorando”. La presidente della Commissione europea ha parlato della mancata consegna dei vaccini da parte di AstraZeneca: “AstraZeneca ha annunciato che purtroppo nel secondo trimestre consegnerà all’Unione europea 70 milioni di dosi rispetto ai 180 milioni che aveva contrattualmente promesso di fornire”.
Ma, “nonostante il mancato rispetto degli impegni di consegna delle dosi di vaccino da parte di AstraZeneca – ha detto – con l’arrivo delle prime dosi del vaccino Johnson&Johnson da aprile possiamo raggiungere l’obiettivo di avere il 70 per cento degli adulti vaccinati entro fine estate”.
Al contrario dell’azienda anglo-svedese, BionTech-Pfizer e Moderna hanno rispettato gli impegni. Von der Leyen ha spiegato che nel secondo trimestre arriveranno da Pfizer-BioNTech 200 mln di dosi, 55 da Johnson&Johnson e 35 da Moderna. Le prime vaccinazioni J&J sono attese per aprile.
“E’ importante accelerare la campagna di vaccinazioni. Mi fido di AstraZeneca” ha però detto ancora Von der Leyen. “Domani l’Agenzia europea del farmaco (Ema) farà un’altra dichiarazione e sono convinta che permetterà di chiarire la situazione” riguardo ai dubbi sorti in vari paesi riguardo al prearato.
(da agenzie)
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Marzo 8th, 2021 Riccardo Fucile
L’APPELLO DELLA BELARUS WOMEN’S FOUNDATION
Buon 8 marzo, Minsk, che hai rinchiuso nelle celle anguste le tue ragazze più coraggiose. 
Sono Sofia Malashevich, condannata a due anni di colonia penale, arrestata durante le proteste il 30 novembre 2020. Poi c’è Hanna Vishniak. E Tatjana Lasiza, volontaria dell’ong Vesna. Segue Aleksandra Potrjasaeva, solo 21 anni.
Tra di loro c’è la giornalista Ksenia Luzkina e la filologa Irina Zlobina, addirittura accusata di aver finanziato le manifestazioni contro le autorità .
Miccia delle prime marce, le ragazze bielorusse sono state anche il materiale esplosivo delle manifestazioni che si sono susseguite per mesi ininterrotte nelle strade di tutto il Paese contro il regime di Lukashenko.
Attualmente dei 269 prigionieri politici bielorussi 39 sono donne, secondo l’ultimo report di Viasna, l’ong che si occupa di difendere gli arrestati ed è ora a sua volta sotto indagine delle autorità .
Sono a Minsk, Brest, Gomel. Multate o arrestate. Ai domiciliari, in cella o in attesa di giudizio.
Condannate per “hooliganstvo”, atti vandalici, offesa al presidente della Repubblica bielorussa, istigazioni al disordine e distruzione di beni collettivi, per l’organizzazione di marce o averne preso parte attivamente.
“Combatteremo finchè nel nostro Paese non rimarrà nemmeno più una politzakljucennaya, una prigioniera politica”. Lo chiosa via whatsapp Veronika Tsepkalo, una delle “tre fidanzate di Minsk” ed alleata della leader in esilio, l’auto-dichiaratasi presidente Sviatlana Tsikhanouskaya.
Nel lungo video della Belarus Women’s Foundation pubblicato oggi sono voci di donne quelle che si ascoltano levarsi contro le divise in balaklava, i passamontagna neri delle forze dell’ordine di Lukashenko, al potere dal 1994.
“Raccontiamo la storia di ognuna di loro perchè il numero di arrestate cresce ogni giorno e perchè sono detenute per ragioni false o sbagliate” dice la Tsepkalo. Nel video realizzato dalla dissidente ogni prigioniera politica elenca in ordine: data d’arresto, luogo di detenzione, sentenza. Sono i dati della loro nuova identità : ieri erano studentesse, professoresse, mogli, casalinghe, semplici cittadine. Sono oggi combattenti, a volte per missione scelta, altre per conseguenza involontaria della decisione di cambiare il loro destino e quello del Paese.
Nella rosa delle detenute i volti più noti sono quelli più giovani: Katsiaryna Andreyeva, 27 anni, e Darya Chultsova, 23, – giornaliste che hanno seguito e riportato dalle proteste della Capitale -, sono state arrestate il 15 novembre scorso dopo l’accusa kafkiana contenuta nella sentenza del procuratore statale: “il loro crimine è stato commesso con l’aiuto di telefoni cellulari, videocamere, un treppiedi e un giubbotto con sopra la scritta press”, stampa.
Qualche giorno dopo di loro è stata ammanettata Katsyaryna Barysevich, reporter fermata per aver scritto, contraddicendo la versione ufficiale delle divise, un articolo su Raman Bandarenka, morto in seguito alle percosse ricevute dalle forze dell’ordine.
Adesso c’è silenzio per le strade bielorusse, ma è solo battaglia con un altro volto, guerra con un altro nome: sono migliaia gli arrestati che rimangono chiusi in galera insieme a volontarie dei diritti umani e attiviste.
Delle donne ribelli una sola ha varcato la soglia d’uscita del carcere, Julia Mickiewicz, del Consiglio di coordinamento dell’opposizione, e ha detto: “le condizioni delle prigioni bielorusse non sono molto diverse da quelle dell’era sovietica, il sistema è basato su tortura e violenza, fisica e psicologica”.
Tacciate di non essere brave madri o mogli, hanno deciso di opporsi al regime perchè dall’estate scorsa ogni giorno è l′8 marzo per le ragazze di Minsk: “combattere Lukashenko vuol dire anche combattere il sistema del patriarcato”.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 6th, 2021 Riccardo Fucile
IL LEGHISTA VORREBBE FORMARE UN NUOVO GRUPPO SOVRANISTA CON IL PREMIER UNGHERESE, LA SORELLA D’ITALIA SPERA ENTRI NEI CONSERVATORI
C’è un derby tutto italiano che si sta giocando in queste ore sulla scia dello strappo tra Viktor Orbà¡n e il Ppe. Protagonista della partita, i sovranisti in Europa. Che si contende l’autocrate di Budapest.
Da un lato Giorgia Meloni spalanca le porte dei suoi Conservatori, partito che presiede a Bruxelles e che all’Europarlamento esprime i 60 deputati dell’Ecr, con i polacchi di Jaroslaw Kaczynski a farla da padrona.
Dall’altra c’è Matteo Salvini, che nella video telefonata di mercoledì scorso con il premier ungherese ha rilanciato il suo vecchio pallino: un nuovo partito sovranista europeo con gruppone parlamentare unico destinato a diventare il secondo dopo il Ppe.
Piccolo particolare: i Conservatori europei dovrebbero sciogliersi per dar vita alla nuova creatura. Addio Ecr, con la sua tradizione e la sua storia da destra liberista europea oggi confluita nella narrativa dei “sovranisti di governo”.
“Ma perchè mai dovremmo farlo?”, dicono sia stata la risposta di Kaczynski alla domanda degli alleati. Tanto più che proprio i polacchi hanno una pregiudiziale non da poco nei confronti dei leghisti. Perchè legati a doppio mandato all'”invisa” Le Pen e perchè entrambi, Matteo e Marine, sospettati di simpatie filo putiniane che si sommerebbero a quelle di Orbà¡n, amicissimo però del polacco con il quale ha fondato i Visegrad, spostando troppo il baricentro dell’ipotetico nuovo gruppo verso Mosca.
Insomma, un gioco di veti incrociati internazionali ma al contempo molto romani.
Lo stesso gioco che già due anni fa, a cavallo delle Europee del 2019, fece naufragare il sogno del “gruppone nero” coltivato da Salvini.
Saltato anche su questioni più terra terra: i rappresentanti della destra Ue bloccarono l’operazione reunion quando si arrivò a discutere su chi avrebbe comandato nella formazione al Parlamento europeo. E dunque avrebbe gestito cariche e soldi.
Oggi però è lo stesso Orbà¡n a far balenare di nuovo l’ipotesi del rassemblement sovranista. “Abbiamo parlato con i polacchi, con Matteo Salvini e con Giorgia Meloni – ha detto l’ungherese – serve una casa politica per chi la pensa come noi in Europa”.
Nella sua ottica il teorico della democrazia illiberale punta a spaccare i gruppi esistenti, Id ed Ecr, e crearne uno nuovo. Per intestarselo.
Una mossa mediatica da rivendere in patria e uscire da trionfatore dopo la cacciata dal Ppe. E così lascia appesi i pretendenti, Salvini e Meloni, e il destino europeo della destra italiana. Spiazzandoli, visto che il matrimonio tra Orbà¡n e l’Ecr due giorni fa veniva già dato per fatto. Con un sospetto (molto fondato) in più: che l’abile premier ungherese flirti con entrambi gli italiani per tirare il prezzo con i polacchi in vista di un suo ingresso nell’Ecr. In termini di peso politico.
Meloni intanto, stando ai racconti dei suoi a Bruxelles, fa sapere che di sciogliere l’Ecr non se ne parla, ma che potrebbero entrare tutti, ungheresi e leghisti, nel gruppo Conservatore che esiste già . Ovvero il suo.
“Difficile pensare che i nostri 27 eurodeputati possano finire senza contraccolpi in un gruppo di una sessantina di conservatori”, spiega allora uno dei consiglieri più ascoltati da Salvini. Come dire: come minimo dovremmo esprimere il capogruppo. Ed eccoci daccapo: per i polacchi, ma anche per i sei di Fratelli d’Italia, è impensabile cedere il comando all’asse Lega-Fidesz.
“Il gruppo Ecr è la vera casa dei valori conservatori. Siamo sempre stati aperti a coloro che condividono i nostri valori e che considerano il gruppo Ecr come una possibile dimora politica”, sottolineano dunque i copresidenti del gruppo Ecr Raffaele Fitto e Ryszard Legutko nel tentativo di concludere in bellezza il corteggiamento a Orbà n lasciando fuori Salvini: con gli ungheresi, l’Ecr scavalcherebbe Verdi e Id diventando il quarto gruppo a Strasburgo.
Insomma, sono fasi di impasse nel derby della destra italiana in Europa e così Salvini interpellato a margine del suo processo a Catania, frena, rimanda, prende tempo: “Ho parlato con Orbà¡n, ma il mio tempo lo sto dedicando alla ricerca di vaccini e al decreto ristori. Ne riparleremo quando l’Italia sarà messa in sicurezza dal punto di vista della salute e del lavoro”.
Un attivismo ritrovato sul fronte europeo, quello di Salvini, che al momento sembra allontanare il progetto che stava molto a cuore all’ala più europeista della Lega, quella vicina al neo ministro dello Sviluppo, Giancarlo Giorgetti: l’ingresso nel Ppe.
Uscito Orbà¡n, il capo leghista è ancora meno motivato a cambiare pelle e natura per entrare nella famiglia popolare. Che però in vista delle Europee del 2024 potrebbe avere bisogno dei parlamentari italiani vista l’emorragia di voti di Forza Italia e l’addio di Orbà¡n e del suo cospicuo pacchetto di preferenze.
Regalandole la patente di un centrodestra rispettabile in giro per il mondo. A patto che ci sia una leadership leghista che dimostri un convinto europeismo e una vera svolta moderata: magari proprio con Giorgetti.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 5th, 2021 Riccardo Fucile
DOPO L’ADDIO AL PPE, IL PREMIER UNGHERESE PARLA DI UNA NUOVA FORMAZIONE “ANTI-MIGRANTI” CON LEGA E FDI, MA NON CE LA FA
Ora che è ‘orfano’ del Ppe, Viktor Orban lavora alla formazione di un nuovo gruppo al Parlamento
Europeo che unisca le forze politiche “anti-migranti” e a favore della “famiglia tradizionale”.
Nella solita intervista settimanale alla radio di Stato ungherese, il premier dice di averne parlato con Giorgia Meloni e con Matteo Salvini, oltre che con i polacchi del Pis (Diritto e giustizia) guidato da Jaroslaw Kaczynski. Ma il suo piano non trova sponde nell’Ecr, il gruppo dei Conservatori e riformisti europei che comprende sia gli eurodeputati del Pis che quelli di Fratelli d’Italia, gruppo espressione dei Conservatori di cui Meloni ha la presidenza.
Ed è questo il primo ostacolo all’idea di Orban di fondare un nuovo gruppo politico. Meloni è presidente dei Conservatori e riformisti europei da poco più di cinque mesi, smantellare la formazione per aprire a Salvini non è nel suo orizzonte, confermano ad Huffpost fonti di Ecr. Inoltre, i leghisti eletti all’Europarlamento sono 27, tanti quanti sono i polacchi che non hanno interesse a farsi scalare alla presidenza del gruppo.
Per cui, per ora sia Orban che Salvini sono destinati a restare in un limbo politico al Parlamento Europeo.
Il premier ungherese ha lasciato il Ppe mercoledì scorso, in protesta contro la revisione del regolamento del gruppo che di fatto apriva la strada alla sospensione di Fidesz, formazione già sospesa dal Partito dei Popolari due anni fa.
Quanto a Salvini, dopo il sì al governo Draghi e l’avvio di una svolta ‘europeista’, sta sempre più scomodo nel gruppo sovranista di ‘Identità e democrazia’.
E l’addio di Orban al Ppe complica ulteriormente il percorso per un’eventuale ingresso della Lega nei Popolari: la lite con il premier ungherese ha ‘scaldato’ gli anti-sovranisti del nord Europa.
“Non abbiamo fretta”, dice chiaramente Orban alla radio ungherese. Sanno che gli ostacoli sul campo sono tanti. Se è possibile che Fidesz entri nel gruppo di Meloni – le trattative sono in corso da tempo – è altamente improbabile che con Orban arrivi anche Salvini e i suoi a Bruxelles.
Il governo Draghi ha di fatto spaccato il centrodestra, con Fratelli d’Italia all’opposizione. Fuori discussione che si riunisca a Bruxelles, almeno per il partito di Meloni.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 3rd, 2021 Riccardo Fucile
SPERIAMO CHE L’UNGHERIA TOLGA ANCHE IL DISTURBO DALL’UNIONE EUROPEA E TORNI CON LE PEZZE AL CULO SENZA I QUATTRINI CHE PRENDE DALL’EUROPA
Parola del premier ungherese Viktà³r Orbà¡n che lo ha appena detto su Twitter con un post della numero
due del partito Katà¡lin Novà¡k: il suo partito, la Fidesz, lascerà oggi il gruppo parlamentare del Partito popolare europeo all’Europarlamento.
In precedenza i media ungheresi piຠvicini al governo e di fatto piຠcontrollati dagli oligarchi fedeli alla maggioranza avevano preannunciato stamane che la Fidesz avrebbe reso nota, con ogni probabilità oggi — scrivevano il Magyar Nemzet, illustre, storico quotidiano ora normalizzato, e il sito di news filogovernativo Origà³ — la sua uscita dal Partito popolare europeo.
Il post di Katà¡lin Novà¡k definisce “antidemocratiche e inaccettabili” le ultime decisioni del PPE che modificano norme e regole del suo gruppo al Parlamento europeo, rendendo possibile l’espulsione di un intero partito a maggioranza semplice e non piຠsolo a maggioranza qualificata.
In tal modo, Orbà¡n e la Fidesz che egli controlla personalmente e senza rivali al vertice sembrano aver deciso di giocare d’anticipo battendo sul tempo il vertice del PPE e il suo capogruppo parlamentare, Manfred Weber. I quali, come aveva scritto Repubblica, avevano modificato statuto e norme interne in modo da poter espellere anche un intero partito dalla famiglia a maggioranza semplice, non piຠqualificata.
Negli ultimi giorni, con le decisioni di Weber e del Ppe, il clima tra Fidesz e popolari europei aveva cominciato ad apparire a un punto di non ritorno.
I media filogovernativi ungheresi hanno pubblicato stralci e citazioni di una lettera personale che il premier magiaro, nella sua qualità di leader del partito, avrebbe scritto a Manfred Weber. In particolare, secondo queste citazioni Orbà¡n avrebbe scritto che “piuttosto che rimanere nello status di partito sospeso nel Ppe la mia Fidesz se ne andrà di sua iniziativa” e che le nuove norme “sembrano un abito tagliato su misura contro il mio partito e gli interessi della nazione sovrana ungherese”.
ULn regimer che ha posto in essere limitazioni alla libertà d’espressione, all’indipendenza della magistratura, alla libertà delle ONG, oltre alla violazione di norme europee su appalti pubblici, sistematicamente assegnati ai ricchi oligarchi fedeli al premier, a cominciare dall’uomo piຠricco d’Ungheria, Là¶rinc Mèszà¡rà³s self-made man amico da sempre della famiglia del premier.
In Ungheria le elezioni politiche si tengono nell’aprile dell’anno prossimo e i sondaggi dipingono un testa a testa tra la Fidesz di Orbà¡n e l’eterogenea coalizione delle opposizioni (Verdi europeisti, socialisti, ex ultradestra di Jà³bbik e altre forze). Il cartello delle opposizioni si prepara a primarie quest’estate per scegliere candidati unitari al ruolo di futuro premier e in futuri altri principali ruoli di governo.
(da agenzie)
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Marzo 2nd, 2021 Riccardo Fucile
LIMITI TECNICI E SANITARI OLTRE AL RISCHIO DI CREARE UN PRIVILEGIO DEL VACCINO
Lunedì i ministri del turismo dell’Unione europea si sono riuniti in videoconferenza per discutere di come
superare una situazione sempre più difficile da gestire: in tutto il continente aumentano le restrizioni anti Covid e si teme lo sviluppo di varianti, mentre i problemi con le forniture di vaccini — ancora da risolvere — mettono i governi di fronte al dubbio di essere o meno all’altezza dell’impresa di vaccinare l’intera popolazione.
Il fattore tempo è determinante e, anche se l’obiettivo di raggiungere l’immunità di gregge entro la fine del 2021 sembra alla portata, aumentano le preoccupazioni per la stagione turistica primavera-estate.
Quello turistico è uno dei settori più colpiti in assoluto, fondamentale e insostituibile per le economie di alcuni Stati membri: Grecia, Spagna e Portogallo su tutti, ma anche l’Italia, e a modo suo l’Austria, già colpita nella stagione invernale.
Un pass per salvare l’estate
Di fronte ai risultati delle campagne vaccinali di Israele e Regno Unito, si è affermata l’idea di salvare la stagione con un certificato vaccinale da usare come passaporto. Atene e Madrid stanno procedendo unilateralmente per un accordo con Londra (con buone prospettive), sul modello di quello fatto dai greci con Gerusalemme.
Anche Vienna è della stessa idea, la settimana scorsa il governo austriaco ha detto che se l’Ue non troverà l’accordo per un certificato comune entro la primavera, andrà avanti per conto suo emettendo un visto d’ingresso rivolto alle persone già vaccinate, a quelle immunizzate dopo aver avuto la malattia, e ai negativi al tampone.
Ursula von der Leyen ha risposto in anticipo, confermando la notizia già circolata che la Commissione presenterà la proposta per un Green pass digitale, rispettoso della protezione dei dati, della sicurezza e della privacy.
L’obiettivo del Green pass è quello di permettere ai cittadini comunitari di muoversi, gradualmente, in sicurezza sia all’interno dell’Ue che all’estero, per lavoro o per turismo. Per evitare discriminazioni, il pass conterrà anche i risultati di eventuali tamponi e la certificazione della guarigione avvenuta dopo aver avuto il Covid-19. La proposta è in linea con le richieste di Grecia e Austria. Il certificato sarà in vigore non prima di tre mesi, al più tardi entro l’estate.
Il passaporto vaccinale si farà , ma come sarà usato?
In generale le Capitali sono d’accordo con lo strumento, ma non su come arrivarci, nè esattamente come e quando usarlo. Angela Merkel è ottimista sul fatto che un Green pass europeo diventi realtà entro l’estate. Secondo un sondaggio, circa il 60% dei tedeschi è favorevole. Emmanuel Macron è più cauto, dice che si sono questioni etiche che devono essere affrontate, così come Mark Rutte, che ritiene prematuro parlare di un regolamento.
Inoltre, c’è il pericolo che i Green pass diano troppa sicurezza. I vaccini proteggono, ma non è ancora chiaro quanto interrompano la trasmissione del virus, nè quanto duri l’immunità , nè se garantiscono una protezione completa da tutte le varianti.
Per esempio, nonostante la vaccinazione di massa proceda senza intoppi, nel Regno Unito si va a caccia dei diffusori della temutissima variante brasiliana. Anche la durata dell’immunità delle persone guarite dal Covid-19 è ancora oggetto di studio.
Le implicazioni etiche del Green pass
Gli Stati membri che fanno affidamento sul turismo sono spinti da motivazioni economiche e vogliono che il Green pass venga introdotto al più presto, senza fermarsi troppo sulle implicazioni etiche, giuridiche e politiche.
Ma fintanto che il numero di persone vaccinate è ridotto, e l’accesso al vaccino limitato, un certificato del genere introdurrebbe il privilegio della vaccinazione: chi ha il Green pass potrebbe viaggiare liberamente, mentre gli altri sarebbero costretti a rinunciare a certe destinazioni. Tra i tanti, sarebbero penalizzati i più giovani (in fondo alla lista), così come le coppie con figli minori (non vaccinabili).
Uno scenario in cui potrebbero esserci persone con il Green pass che a giugno e luglio vanno in vacanza nei resort del Mediterraneo, mentre gli altri devono starsene a casa.
C’è anche chi propone di consentire a chi può permetterselo — pagando — di vaccinarsi per conto suo. A quel punto l’accesso al vaccino diventerebbe davvero una questione di privilegio economico, oltre che di categoria. Dall’altro lato, c’è la necessità di alcuni Paesi e Regioni di salvare la stagione estiva del 2021 dopo aver perso quella del 2020. Trovare un compromesso sarà difficile.
Il futuro del certificato vaccinale
Il portavoce di von der Leyen, Eric Mamer, commentando la proposta della presidente ha precisato: «il pass riguarderà lo spostamento tra una frontiera e un’altra, ma non quanto potrà essere fatto col pass all’interno dello Stato membro». Anche questo infatti è un punto controverso, in prospettiva il Green pass avrà un ruolo anche nelle vite di chi non vuole o deve viaggiare.
Israele ha da poco introdotto un free-pass che permette ai vaccinati di andare in palestre, cinema, eventi, hotel e altro. Il pass però esclude alcune persone: chi non vuole vaccinarsi per scelta, ma anche chi non può a causa di alcune patologie, le donne incinte, i minorenni. In questo caso il dilemma per gli europei è solo rimandato, ma non di molto. Dilemmi che accenderanno infinite discussioni, dato che che oltre al tempo libero, riguardano anche il lavoro, la vita privata, le relazioni personali e la salute pubblica.
(da Open)
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