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LA RIVINCITA DEI PENDOLARI: FERROVIE BATTUTE CON LE CLASS ACTION

Novembre 20th, 2017 Riccardo Fucile

CENTO EURO A TESTA DI RISARCIMENTO E LE REGIONI FISSANO REGOLE ANTI-RITARDI… VITTORIA STORICA PER 75.000 ABBONAMENTI E 65.000 TRATTE… TARIFFE GIU’ DEL 30% SUGLI INTERREGIONALI

Dopo anni di rincari del biglietto del treno, finalmente arriverà  una sforbiciata sulle tratte sovraregionali, quelle cioè che collegano centri di regioni diverse.
Un’inversione di tendenza che fa parte di una più vasta mobilitazione contro raffiche di ritardi, disagi, disservizi, tratte a singhiozzo e costi ingiustamente sostenuti.
Il merito è di quei pendolari testardi che non hanno creduto ai calcoli dettati da un algoritmo, che definiva il prezzo dei biglietti penalizzando le tratte interregionali.
Ma questa è solo una delle tante battaglie intraprese da comitati e associazioni di consumatori per ottenere di viaggiare in treno in modo più decoroso ed efficiente.
E più in generale per avere voce in capitolo, entrando a gamba tesa nelle trattative tra le Regioni, da un lato, e gli operatori ferroviari, dall’altro.
I conteggi sbagliati
Un risveglio che negli ultimi anni ha prodotto una miriade di proteste e richieste che, quando necessario, sono arrivate fino in tribunale. Un lavoro spesso sotterraneo che recentemente ha iniziato a incassare dei risultati. La battaglia sull’algoritmo è stato uno di questi.
Dal primo ottobre è infatti cambiato il modo in cui sono calcolate le tariffe sovraregionali, cioè quei treni che attraversano diverse regioni (non Alta velocità ): una modifica che comporterà  una riduzione dei prezzi degli abbonamenti per oltre il 90% dei passeggeri.
Siccome però, a causa dei tempi di adeguamento del sistema informativo di Trenitalia, la nuova tariffa sarà  materialmente in vigore solo dall’aprile 2018, per quest’anno i titolari di abbonamento matureranno il diritto a un rimborso.
Ma come si è arrivati fino a qui?
Il problema nasceva dal fatto che l’algoritmo di calcolo delle tariffe abolito il primo ottobre faceva sì che gli utenti di tratte sovraregionali pagassero di più rispetto alle regionali, a parità  di altre condizioni.
«Un pendolare Torino-Milano pagava una cifra spropositata rispetto a un altro pendolare torinese che faceva la stessa quantità  di chilometri all’interno della sua regione. Dal 2012 in avanti questa distorsione ha prodotto importi superiori fino a 30 euro al mese per gli abbonati sovraregionali», spiega a La Stampa Furio Truzzi, presidente di Assoutenti.
Una «vittoria storica», che coinvolge oltre 75 mila abbonamenti e 65 mila tratte. E che è partita proprio dalle perplessità  di un pendolare, Enrico Pallavicini, assiduo frequentatore della linea Genova-Milano.
Dopo aver accumulato, suo malgrado, una formidabile cultura ferroviaria, si è infatti accorto che quanto pagava per i suoi 150 chilometri era ben più caro di un’equivalente tratta regionale.
«Il problema era che l’algoritmo veniva applicato male, a causa delle tariffe decise dalle Regioni. Era il 2015 e da allora è iniziata una trafila di incontri con Trenitalia e gli enti locali», aggiunge Truzzi.
Finchè il Coordinamento delle Regioni non ha accolto la richieste delle associazioni di consumatori e pendolari.
Rimane un problema sul pregresso, cioè su quanto sborsato in più dagli abbonati fra il 2012 e il 2017. «Su questo le Regioni non ne vogliono sapere, e noi abbiamo chiesto a Trenitalia di avviare una procedura di reclamo e conciliazione: la trattativa è in corso», spiega Truzzi.
Già  questo mese si dovrebbe sapere qualcosa, anche se Trenitalia non ha rilasciato commenti al riguardo. Su un altro fronte, sempre ad ottobre, diverse centinaia di abbonati lombardi hanno ricevuto una bella notizia: una mail che li avvisava di un assegno circolare di 100 euro da riscuotere.
Sono state definite, infatti, le modalità  di pagamento scaturite dall’esito di una class action in cui Trenord, operatore del servizio ferroviario in Lombardia, è stata condannata a un risarcimento di 300 mila euro per i disagi subiti dai pendolari nel lontano dicembre 2012.
Due settimane di treni cancellati, ritardi, mancate comunicazioni e disservizi nati dal malfunzionamento di un software. Ai circa tremila aderenti alla class action spettano ora 100 euro a testa, oltre agli indennizzi automatici già  versati.
«In materia di trasporto è la prima class action nel settore dei pendolari che arriva alla fine portando a casa un risultato utile per un numero elevato di consumatori», commenta Paolo Martinello, avvocato di Altroconsumo, l’associazione che ha promosso l’azione legale. Non senza difficoltà : l’ostacolo principale sta nella raccolta delle adesioni, in cui gli utenti devono farsi avanti e compilare dei moduli.
Ma quanto può costituire un precedente?
«Può valere nei casi in cui i disagi e le inefficienze superino una normale soglia di tollerabilità », sottolinea Martinello. «Occorre che ci siano fatti eccezionali, soprattutto se è già  previsto da contratto un indennizzo automatico; inoltre devono essere situazioni non dettate da cause di forza maggiore, bensì dalla disorganizzazione dell’azienda».
Prima però di arrivare ai tribunali, l’ideale sarebbe avere standard più elevati di qualità  nelle attuali condizioni contrattuali, in modo da prevedere più facilmente indennizzi automatici. Il problema è che oggi tali condizioni variano da regione a regione. «Col risultato che il consumatore avrà  diritti diversi a seconda di dove viaggia», commenta Martinello.
Il rischio dunque è un’Italia ferroviaria a doppio binario: da una lato le aree più virtuose, soprattutto al Nord, e l’alta velocità ; dall’altro buona parte del Sud, e più in generale il trasporto regionale e interregionale.
C’è poi la questione che molti degli investimenti fatti negli ultimi tempi riguardano soprattutto il materiale rotabile, treni nuovi insomma, che sostituiranno vecchi convogli. Una partita tutt’altro che conclusa,
Da qui ai prossimi cinque anni, infatti, sono previsti circa 400 nuovi treni regionali, secondo dati del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Tuttavia, come notano le associazioni dei consumatori, i pendolari e gli ambientalisti, gran parte dei problemi stanno nella scarsa frequenza delle corse; nella lentezza dei viaggi; nella puntualità ; nella qualità  del servizio, che comprende caratteristiche come la pulizia dei convogli, una corretta climatizzazione e lo spazio a sedere.
Investimenti e ridefinizione dei livelli delle prestazioni offerte alla clientela. I numeri parlano chiaro: dal 2009 al 2016 si è registrata una riduzione del 19% delle risorse statali dedicate al trasporto regionale, riferisce l’ultimo rapporto Pendolaria di Legambiente.
Al contrario, i passeggeri sono aumentati dell’8%. Nel contempo, le tariffe aumentavano, con punte del 47% in Piemonte, 41 in Liguria, 36 in Campania.
Spesso ciò avveniva «a fronte di un servizio che non ha avuto alcun miglioramento», sostiene lo studio. «È vero che arriveranno nuovi treni, ma questi non si aggiungono a quelli di prima. E il problema è che ce ne sono meno anche rispetto al passato», afferma Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente. «Stipulando un contratto di servizio con i gestori, come Trenitalia, in cui una parte delle risorse disponibili sono messe sul rinnovo del parco circolante, si rischia di non potenziare o migliorare il servizio».
Eppure, dove si investe nella qualità  del trasporto ferroviario, i pendolari aumentano. Con riduzione del traffico automobilistico e dell’inquinamento. Per Legambiente, che riconosce al ministro dei Trasporti Del Rio di aver iniziato un cambio di rotta, la sfida è raddoppiare entro il 2030 il numero di persone che ogni giorno in Italia prendono treni regionali e metropolitane, portandoli da 5,5 a 10 milioni. Mentre si sogna in grande, però, i comitati locali si ritrovano a lottare con le unghie e con i denti per un paio di treni in più.
O per non perdere ulteriori, preziosi minuti su tratte che vanno già  a rilento. Proprio nei giorni scorsi ad Acqui Terme si è svolto uno storico incontro tra i comitati pendolari e gli assessori ai trasporti di Piemonte e Liguria.
Quella tra Acqui e Genova è infatti una delle dieci peggiori linee ferroviarie italiane secondo Pendolaria: 46 km di binario unico su 63, velocità  sui 60 km all’ora quando va bene, ritardi cronici, tagli alle corse, disagi.
E l’odiata sostituzione del trasporto su rotaia coi bus nei mesi estivi. «Non ci facciamo impressionare dai contratti coi treni nuovi perchè ci concentriamo soprattutto su qualità  e velocità  del servizio», puntualizza Manuela Delorenzi, membro del battagliero comitato pendolari Acqui Terme-Genova, 1600 iscritti su Facebook.
Lei, che vive ad Acqui e lavora nel capoluogo ligure, ogni giorno si fa tre ore di treno per fare avanti e indietro. «Spesso al freddo. I ritardi sono frequenti. Ci sono buchi negli orari delle corse. E i treni vanno piano, anche perchè è una linea vecchia».
Abbonati svantaggiati
Alcuni dei problemi sono infrastrutturali, ma i pendolari vorrebbero avere voce in capitolo almeno sui contratti con gli operatori, sui parametri di qualità  del servizio, sui controlli e le penali. La capienza dei treni, il numero di posti, il fatto di non dover viaggiare in piedi è una delle lamentele ricorrenti. Tanto che il comitato pendolari bergamaschi si è sollevato per la recente reintroduzione della prima classe sui regionali Bergamo-Milano. «Che sulla nostra tratta non ha senso.
Così facendo i treni restano pienissimi, e le aree di prima vuote, dato che chi ha l’abbonamento non può usufruirne», avverte Stefano Lorenzi, membro attivo del comitato.
Cambiando area e tipo di battaglia, a fine ottobre, in Toscana, il comitato pendolari Valdarno Direttissima ha invece chiesto a gran voce il ritiro di una circolare interna di Rete Ferroviaria Italiana, secondo la quale regionali e Intercity sulla linea Firenze-Roma dovrebbero dare la precedenza ai treni dell’alta velocità  qualora questi siano in ritardo di oltre cinque minuti.
«Tale pratica, che noi chiamiamo degli inchini, esiste da tempo. Ma quella circolare la ufficializza e porterà  a ulteriori disagi per noi», osserva il portavoce del comitato, Maurizio Da Re. E poi, c’è pure chi si è fatto la sua applicazione per monitorare proprio i ritardi.
«Ci siamo sviluppati un software che scarica i dati certificati di Trenitalia, così facciamo i nostri controlli», evidenzia Pietro Fargnoli, presidente dell’associazione Roma-Cassino Express, che da anni chiede di agganciarsi alla linea dell’alta velocità .

(da “La Stampa”)

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GIAPPONE, COMPAGNIA FERROVIARIA HA CHIESTO SCUSA PER UN SUO TRENO PARTITO 20 SECONDI IN ANTICIPO

Novembre 17th, 2017 Riccardo Fucile

TRANQUILLI, IN ITALIA NON POTRA’ MAI ACCADERE

Le compagnie ferroviarie giapponesi sono note in tutto il mondo per la loro puntualità , ma lo scorso martedì un treno nella zona di Tokyo ha mancato la promessa di partire all’orario giusto dal binario: se n’è andato in anticipo, di 20 secondi.
È successo sulla linea che mette in comunicazione il quartiere Akihabara di Tokyo con Tsukuba nella provincia di Ibaraki.
Il treno sarebbe dovuto partire alle 9:44 del mattino, invece ha lasciato il binario alle 9:43:40, 20 secondi prima del previsto.
La storia dei treni giapponesi che spaccano il secondo non è un luogo comune, succede davvero, e per questo la compagnia ferroviaria ha diffuso un comunicato per scusarsi con i passeggeri per il disservizio:
Il 14 novembre scorso, alle 9:44 del mattino circa, un treno della Metropolitan Intercity Railway Company (con sede a Tokyo, quartiere Chiyoda, presidente e amministratore delegato Kokichi Yugi) ha lasciato la stazione di Minami Nagareyama con 20 secondi di anticipo rispetto all’ora indicata sull’orario. Chiediamo profondamente scusa per l’inconveniente che hanno dovuto subire i nostri clienti.
In Giappone i mezzi di trasporto pubblici sono utilizzati ogni giorno da decine di milioni di persone, soprattutto per spostarsi attraverso la grande conurbazione di Tokyo e raggiungere il loro posto di lavoro.
Molti passeggeri sincronizzano gli orologi con quelli delle stazioni, proprio per essere sicuri di prendere il treno in tempo e di non mancare le coincidenze tra un viaggio e un altro.
La puntualità  dei treni permette di pianificare gli spostamenti con molta accuratezza e di risparmiare tempo.
Sulla linea interessata dal “disservizio” ci sono treni ogni 4 minuti, ma se si perde quello pianificato per il proprio spostamento si può arrivare ad accumulare un sensibile ritardo, che può diventare un problema e un motivo d’imbarazzo per gli impiegati che devono arrivare in ufficio.

(da agenzie)

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DOSSIER DEI PENDOLARI: “TRATTA GENOVA-MILANO, I RITARDI SONO AUMENTATI DEL 20%”

Novembre 2nd, 2017 Riccardo Fucile

ALTRO CHE LE PALLE DEL TRENO SUPERVELOCE DI TOTI E MARONI: 14 TRENI GIORNALIERI SU 18 PEGGIORANO LE PRESTAZIONI RISPETTO AL 2016

La proverbiale “goccia” che fa traboccare il vaso è stato il ritardo di 45 minuti, ieri mattina, per un guasto sul Genova-Milano più affollato, quello dei pendolari settimanali. Che si aggiunge alla serata da incubo di sabato scorso, con ritardi a catena causati da incendi sui binari in Piemonte.
Ma secondo i pendolari della tratta Genova-Milano, organizzati da anni con una newsletter molto seguita, il 2017 è stato un “annus horribilis” sulla tratta su cui si sognava, non più di un anno fa, il “treno veloce” da un’ora e dieci minuti.
La realtà  invece è questa: 14 treni su 18 (quelli che circolano ogni giorno tra le due città ) peggiorano le prestazioni rispetto all’analogo periodo (da gennaio a settembre, ma ottobre non è andata meglio) del 2016.
Il totale del ritardo accumulato, di cui i pendolari prendono nota per ogni convoglio, supera i 19mila minuti.
«Rispetto allo scorso anno siamo a oltre 2.500 minuti di ritardo in più, un aumento del 20%», snocciola le cifre Enrico Pallavicini, portavoce dei pendolari affiliati ad Assoutenti.
I pendolari da tempo insistono sulla richiesta di un quadruplicamento dei binari nel tratto Milano-Pavia, il più trafficato.
Il Cipe ha finanziato la progettazione di quest’opera, ma fra bando di gara, assegnazione, avvio dei cantieri, fine dell’opera la prospettiva arriva al 2025.
Nel frattempo (secondo il cronoprogramma) dovrebbe essere finito anche il Terzo Valico. «Ma anche se ce lo spacciano come la panacea di tutti i mali porterà , per i treni passeggeri, ad una velocizzazione di appena 8 minuti».
L’altra richiesta è l’innalzamento a 200 km/h della Tortona – Pavia, sulla quale però non risulta nessun finanziamento, nè per la progettazione, nè tantomeno per la realizzazione.
Sul fronte dell’offerta, però, dopo l’esperimento naufragato del treno lombardo-ligure di Maroni e Toti, si muove qualcosa: secondo i rumors dell’ambiente a giugno del prossimo anno potrebbe comparire una coppia di Frecciarossa per collegare Genova con Venezia, ovviamente via Milano.
Una richiesta che sarebbe sostenuta, politicamente, dal senatore Maurizio Rossi. Solo un “si dice”, per il momento, ma che ai pendolari non piace: «Ci sdraieremmo sui binari: a cosa serve una Ferrari se la devi fare andare in un corridoio? Ci sarebbe un recupero di una decina di minuti a fronte di una spesa ben superiore ai venti euro attuali degli Intercity», sostiene Pallavicini.

(da “il Secolo XIX”)

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STRAGE DI VIAREGGIO, LA SICUREZZA E IL CINISMO

Febbraio 1st, 2017 Riccardo Fucile

TRA UN MESE ALMENO DUE DEI REATI CONTESTATI CADRANNO IN PRESCRIZIONE

I fatti e le responsabilità  accertate dalla sentenza del Tribunale di Lucca che, dopo sette anni, con ventitrè condanne e dieci assoluzioni, rende giustizia a trentadue innocenti arsi vivi in quell’Apocalisse che fu la notte del 29 giugno 2009 alla stazione di Viareggio, sono lo specchio della maledizione che affligge il Paese.
Della sua memoria friabile e cattiva coscienza, dell’arrogante cinismo dei suoi manager di Stato contro cui lo Stato rinuncia a costituirsi parte civile, dell’idiosincrasia per una cultura della “sicurezza” che si declini innanzitutto in prevenzione.
Di più, e ancora: di una giustizia penale manomessa nel tempo ad uso di chi, di fronte alla legge, è più uguale di altri e in ragione della quale sulla sentenza di ieri si chiuderanno, di qui a un mese, le sabbie mobili della prescrizione.
Per almeno due dei reati contestati nei capi di imputazione. L’incendio colposo e le lesioni gravi colpose.
Centoquaranta udienze, l’ammirevole sforzo istruttorio della Procura di Lucca, la terzietà  dei giudici di merito capaci di distinguere tra le singole posizioni degli imputati, hanno dimostrato, al di là  di ogni ragionevole dubbio, che nella strage del treno merci 50325 Trecate-Gricignano la mano dell’uomo, la sua “negligenza inescusabile”, ebbe parte cruciale. Ne fu “concausa”.
Nè più e nè meno del “caso”, che volle il deragliamento figlio del cedimento di una “boccola controdentata” dell’asse del primo di quattordici vagoni carichi di gas liquido e l’immane rogo che ne seguì dello squarcio prodotto in una delle cisterne ribaltate da un picchetto di tracciamento collocato lungo la massicciata.
Che quanto accadde dunque alle 23 e 50 di quella notte, quando l’aria diventò fuoco e il buio si accese di rosso, porta le stimmate e la responsabilità  anche dei manager delle aziende che in quella tragedia ebbero parte.
Rete Ferroviaria Italiana (Rfi), la società  per azioni partecipata al 100 per cento da Ferrovie dello Stato e responsabile della gestione e della sicurezza dell’infrastruttura ferroviaria del nostro Paese.
Le tedesche “Gatx rail Germany”, proprietaria delle cisterne da 35 mila litri caricate sui vagoni e affittati a Fs, e “Jugenthal”, l’officina in cui era stato revisionato il carro di cui avrebbe ceduto l’asse.
Suonano dunque intollerabili, in una giornata come questa, le parole dell’avvocato Armando D’Apote, legale di Rfi e Fs, che, di fronte al semplice dispositivo di condanna e assoluzione, definisce “scandaloso l’esito del processo” e denuncia il “populismo che trasuda dalla sentenza”.
E non certo perchè una sentenza debba essere immune anche dal più aspro diritto di critica o censura (a maggior ragione da parte di chi ritiene, come in questo caso, di non averne ricevuto giustizia).
Ma per ciò che da quelle parole “trasuda”. In quell’epiteto – “populista” – è infatti lo specchio dell’arroganza con cui, dal giugno del 2009, i vertici di Rfi e Fs – diciamo pure e meglio Mauro Moretti che ne è stato nel tempo amministratore delegato – hanno maneggiato una tragedia che avrebbe richiesto misura nei toni, onestà  intellettuale nella ricostruzione dei fatti, rispetto di un lutto.
E di cui, al contrario, restano in archivio le parole pronunciate dallo stesso Moretti.
Il 2 luglio del 2009, quando, da amministratore delegato di Fs, ebbe a spiegare le ragioni per cui non era stata attivata la copertura assicurativa per far fronte ai risarcimenti per la strage (“Non ci sentiamo responsabili”).
E il 2 febbraio del 2010, durante un’audizione al Senato: “Vi prego di considerare che quest’anno, dal punto di vista della sicurezza, a parte questo spiacevolissimo episodio di Viareggio, abbiamo fatto ulteriori miglioramenti. Siamo i primi in Europa”.
Ora, nel chiedere e ottenere la condanna di Moretti, la Procura di Lucca ne ha censurato i profili di responsabilità  osservando come, in quello “spiacevolissimo episodio”, “in qualità  di Amministratore delegato di Rfi, era tenuto a garantire la sicurezza di circolazione dei treni e, sempre nel campo di Rfi, non ha valutato il rischio insito nella circolazione dei treni che trasportano merci pericolose, il possibile taglio del serbatoio contro un elemento ferroviario (il picchetto), non ha valutato che il grave rischio potesse accadere in una stazione vicina alle case, non ha valutato l’opportunità  di abbassare la velocità  in concomitanza di centri abitati”.
Ha insomma e più semplicemente stigmatizzato come nelle competenze di un manager di Stato la cultura e le pratiche della sicurezza come “prevenzione del rischio” non siano un optional.
E che la “tragedia” non possa e non debba diventare un danno collaterale accettabile in ragione dell’incidenza infinitesimale dell’incidente ferroviario (“Siamo i primi in Europa”).
Che tutto questo venga eliso nella vis polemica dell’avvocato di Rfi e Fs è comprensibile.
Meno lo sarebbe se sfuggisse a Mauro Moretti. Che, ferma restando la presunzione di innocenza, dovrebbe mettere da parte il codice penale e riflettere da oggi sulla compatibilità  tra il suo ruolo di manager di Stato e i fatti accertati dal Tribunale di Lucca, a prescindere dalla valutazione giuridica che ne è stata data.
Magari rinunciando anche alla prescrizione. Sarebbe un segno di discontinuità .
La dimostrazione che responsabilità  politico-aziendale e responsabilità  penale rispondono a principi e canoni diversi.
L’arrocco con cui il Cda di Finmeccanica lo ha ieri sera riconfermato indica che è assai improbabile che questo accadrà .
Perchè, in fondo, la prescrizione è dietro l’angolo. E finchè c’è prescrizione, c’è speranza.

(da “La Repubblica”)

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TRENITALIA CAMBIA GLI ABBONAMENTI PER L’ALTA VELOCITA’

Gennaio 17th, 2017 Riccardo Fucile

LA DENUNCIA DEI PENDOLARI: “AUMENTI DEL 35%”… SULLA TORINO-MILANO SI PASSA DA 340 EURO A 459

Trenitalia lancia i nuovi abbonamenti per l’alta velocità , e cambia tutto.
In vendita da oggi ci sono 4 tipi diversi di tagliandi, che si differenziano per costo e giorni di utilizzo.
Ma i nuovi prezzi hanno subito fatto infuriare i pendolari che parlano di una “pesante stangata con abbonamenti in media più cari del 35%”.
Da febbraio, infatti, i pendolari dei Frecciarossa dovranno scegliere se utilizzare un abbonamento completo, per tutta la settimana e valido a tutte le ore o limitato per le corse nella fascia 9-17 (e quindi fuori dall’orario di punta, per i pendolari).
O ancora solo dal lunedì al venerdì in entrambe le modalità  (valido sempre o limitato).
Se però per Trenitalia il prezzo dell’abbonamento mensile sarà  “ammortizzato in una settimana essendo equivalente a 8, al massimo 14, biglietti di corsa semplice al prezzo base” non sono d’accordo i viaggiatori veloci della Torino-Milano.
“Definirla una stangata è un complimento – dice Leonardo Pellegrini del Comitato pendolari Av To-Mi – sono prezzi insostenibili per un gran numero di abbonati”.
Da Torino a Milano, ad esempio, fino ad oggi l’abbonamento mensile costava 340 euro. Con le nuove fasce quello totale con orario libero dal lunedì alla domenica costerà  459 euro mentre dal lunedì al venerdì 408 euro.
L’abbonamento a fascia oraria 9-17 per 7 giorni costa invece 323 euro mentre fino al venerdì 289.
“Un rincaro del 35% – dicono i pendolari – dopo che già  a giugno 2015 i prezzi della Torino-Milano erano passati da 295 a 340 euro
Prezzi aumentati della stessa percentuale anche sulle altre linee.
Sulla Milano-Bologna ad esempio un abbonamento completo a orario libero in classe standard costava 417 euro mentre da oggi costa 563 euro per tutta la settimana e 500 euro dal lunedì al venerdì.
Da Bologna a Firenze invece si è passati da 224 euro a 302 euro (+34,8%) per tutta la settimana e 269 dal lunedì al venerdì e sulla Roma-Napoli da 356 a 481 euro fino alla domenica e 427 euro fino al venerdì.
E così anche sulla Napoli-Salerno(da 170 euro a 230 lun-dom e 204 lun-ven), Venezia-Verona(220 prima, ora 297 lun-dom e 264 lun-ven), Venezia-Milano (355 prima, ora 479 lun-dom e 426 lun-ven) e Verona-Milano (da 225 a 304 lun-dom e 270 lun-ven).
La battaglia sugli abbonamenti dell’alta velocità  va ormai avanti da tempo.
Nel 2016 più volte era stata paventata l’idea da parte di Trenitalia di eliminare gli abbonamenti, come già  fatto da Ntv con Italo.
Poi il cambio di strategia: “Abbiamo mantenuto quanto avevamo anticipato in tutte le sedi confermando gli abbonamenti – ha detto l’ad Barbara Morgante – li abbiamo però differenziati in quattro tipologie anche per venire incontro alle diverse esigenze di quanti li utilizzano e degli altri clienti non abbonati”.
A difesa dei diritti dei pendolari è nato anche il Comitato nazionale pendolari alta velocità  che si è battuto soprattutto contro l’introduzione della prenotazione obbligatoria presentando ricorso al Tar seguito da un ricordo straordinario di Trenitalia al presidente della Repubblica. In attesa della decisione la prenotazione obbligatoria resta valida e da inizio gennaio, per i pendolari che non si prenotano, è scattata la multa di 10 euro a bordo treno.

(da agenzie)

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LA SARDEGNA HA ROTAIE TROPPO VECCHIE E ASSUME NOVE CASELLANTI PER I TRENI

Dicembre 29th, 2016 Riccardo Fucile

ANDRANNO A PRESIDIARE I PASSAGGI A LIVELLO TRA NUORO E MACOMER CHE NON SONO AUTOMATIZZATI E NON RISPETTANO GLI STANDARD DI SICUREZZA EUROPEI

L’ultima frontiera del trasporto ferroviario si chiama Hyperloop: una specie di capsula supersonica che sarà  in grado di collegare Roma e Milano in circa mezz’ora.
Entrerà  in servizio nel 2050 e in Sardegna in quegli anni probabilmente cominceranno a viaggiare i primi treni elettrici e forse neanche troppo veloci.
Per quest’anno l’avanguardia del trasporto su rotaie ci regala un bel salto all’indietro nel tempo: il ritorno dei casellanti. Sì, avete capito bene.
Ricordate il mitico casellante del film «Non ci resta che ridere» di Troisi e Benigni? Ecco, in Sardegna nove casellanti entreranno in servizio a gennaio: saranno nove e dovranno presidiare i passaggi a livello della tratta ferroviaria tra Nuoro e Macomer.
Da più di un mese i collegamenti tra le due città  (gestiti dalla Regione attraverso l’Arst) sono sospesi perchè gli standard di sicurezza non rispettano le nuove normative.
Il problema riguarda proprio i passaggi a livello che lungo la rete regionale non sono tutti automatizzati: alcuni si trovano addirittura all’interno di terreni privati e così sono i proprietari a gestire il viavai delle auto.
Troppo rischioso, secondo l’Agenzia nazionale della sicurezza ferroviaria. Per questo la Regione è stata costretta a bloccare i collegamenti.
L’unica soluzione possibile in tempi brevi? Il ritorno dei casellanti.
In Sardegna c’è un doppio sistema ferroviario: uno è quello gestito dalle Ferrovie dello Stato, l’altro affidato alla Regione attraverso la sua Arst.
In entrambi i casi l’arretratezza è dimostrata dalla lentezza del viaggio e dalle condizioni della rete.
Quella regionale è considerata troppo pericolosa per la presenza dei passaggi a livello non presidiati e la nuova normativa (emanata dopo il disastro avvenuto la scorsa estate in Puglia) non ha concesso nè deroghe nè proroghe.
«Installare impianti automatizzati in così poco tempo è oggettivamente impossibile — denuncia il segretario della Cgil Trasporti, Arnalo Boeddu — Il Governo, tra l’altro, ha imposto una regola senza prevedere i necessari contributi e per questo in Sardegna ci siamo trovati con una tratta ferroviaria chiusa da un giorno all’altro».
Per rimettere in marcia i treni nel giro di poco tempo la Regione ha pensato ai casellanti. Alcuni sono già  in servizio lungo la tratta Sassari-Alghero e sulla Sassari-Sorso, altri saranno schierati tra Nuoro e Macomer. *
Il concorso è stato bandito nei giorni scorsi: per nove assunzioni sono arrivate circa mille domande e nel giro di qualche giorno sarà  completata la selezione.
«Seicentocinquanta euro netti per trascorrere una giornata intera in mezzo alla campagna a controllare i passaggi a livello, chiudere prima dell’arrivo del treno e riaprire dopo il passaggio — spiega il segretario della Cgil — La nuova norma sarebbe una buona occasione per ammodernare la nostra rete, ma ci sarebbe stato bisogno delle risorse. Così non ci sono alternative: assumere i casellanti è un passo indietro».

Nicola Pinna
(da “la Stampa”)

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LA VIA CRUCIS DEI PENDOLARI: I SERVIZI CROLLANO MA LE TARIFFE AUMENTANO

Dicembre 15th, 2016 Riccardo Fucile

IL RAPPORTO DI LEGAMBIENTE: AUMENTI DEL 47% IN SEI ANNI E TAGLI DEL 15% DELLE LINEE

«Il trasporto pendolare deve diventare una priorità  nazionale — dice il vicepresidente di Legambiente Edoardo Zanchini — negli investimenti e nelle attenzioni. Oggi non è così, e su troppe linee la situazione in questi anni è addirittura peggiorata».
Se i treni dei pendolari viaggiassero alla stessa velocità  con cui negli ultimi sei anni sono aumentati i biglietti, il Piemonte sarebbe una lepre difficile da raggiungere.
Non è così, e lamentele e storie di ritardi stanno lì a dimostrarlo, assieme ai numeri. L’ultima fotografia di Legambiente, in questo senso, è impietosa: dal 2010 al 2016, dice l’associazione ambientalista, le tariffe hanno fatto un balzo record del 47 per cento.
Chi pagava 10 euro, insomma, oggi si trova a sborsarne quasi 15.
Un dato che fa sobbalzare gli uffici della Regione: l’incremento c’è stato, ammettono dall’amministrazione, ma è più contenuto, attorno al 20 per cento. E a partire dal 2014 non sono scattati neppure gli adeguamenti Istat.
La guerra di cifre
Dietro la guerra dei numeri, c’è una situazione di incrementi generalizzati, che coinvolge tutto il Paese.
E consola poco, anzi forse fa più male, visto che spesso le tratte finiscono per incrociarsi, il secondo posto della Liguria nella classifica di Legambiente: +41,24 per cento.
Anche perchè, contemporaneamente, le linee si sono accorciate: i tagli hanno rosicchiato l’8,4% dei binari piemontesi e il 13,8% di quelli liguri. Sul gradino più basso del podio, la Campania: tariffe su del 36,1 per cento.
Non che i 3 milioni di pendolari italiani se la passino meglio: l’associazione ambientalista nel suo rapporto «Pendolaria», lanciato alla vigilia dell’entrata in vigore dell’orario invernale, spiega che intercity e regionali si sono ridotti in 15 Regioni, mentre le tariffe sono salite in sedici.
Il servizio migliora in poche, fortunatissime, aree: svetta Bolzano. Passi avanti pure per quanto riguarda l’età  media dei convogli: 17,1 anni rispetto ai 18,6 dell’anno scorso, grazie agli investimenti di alcune amministrazioni e ai contratti di servizio con Trenitalia.
Le 10 tratte peggiori
Ragionare soltanto su tagli e aumenti, però, sarebbe limitato.
Legambiente ha dato le pagelle alle singole tratte, prendendo in considerazione guasti tecnici, minuti d’attesa, sovraffollamento.
E qui, in questa sorta di classifica dei dannati, la maglia nera va, per il secondo anno di fila, alla Roma-Ostia Lido e alla Circumvesuviana.
Al terzo posto c’è la Reggio Calabria-Taranto: solo 4 collegamenti al giorno da Reggio a Taranto, per una durata minima di 6 ore e 15 minuti, ma con tre cambi e un tratto in pullman. Poi tocca alla Messina-Catania-Siracusa.
La Cremona-Brescia, prosegue Legambiente, occupa il quinto posto grazie a treni più lenti oggi di 15 anni fa (34 minuti nel 2002, 58 oggi), ritardi, soppressioni, carrozze sovraffollate, disagi dovuti allo spostamento del sottopasso di Brescia per i lavori dell’alta velocità .
Al sesto posto c’è la Pescara-Roma e al settimo posto spunta il Piemonte, e in particolare Casale Monferrato, con la linea per Vercelli e quella per Mortara.
È la pecora nera: mentre la Regione sta studiando nuovi sistemi di tariffe con il biglietto elettronico che consentirebbe di superare il sistema dell’abbonamento e stringe i tempi per rivedere il contratto di servizio con Trenitalia, chi attende in stazione inizia a perdere le speranze.
Tra la Treviso-Portogruaro e la Bari-Martina Franca-Taranto, nella classifica al contrario di Legambiente finisce pure la Genova-Acqui Terme, un altro snodo difficoltoso per chi si sposta nel Nord-Ovest.
«Le tradizioni si rispettano», sorridevano amari ieri dal Comitato dei pendolari. L’infrastruttura vede ancora 46 chilometri di binario unico sui 63 della tratta e, dice l’associazione, è ormai indispensabile un potenziamento almeno fino a Ovada, in provincia di Alessandria. Al contrario, negli ultimi anni si è assistito a tagli delle corse con quasi il 35% in meno.

Giuseppe Bottero
(da “La Stampa”)

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NO TAV: LE FINTE DELL’APPENDINO RICORDANO QUELLE CHE UTILIZZAVA QUANDO GIOCAVA A CALCIO

Dicembre 1st, 2016 Riccardo Fucile

DA UN LATO ESCE DALL’OSSERVATORIO SULLA TORINO-LIONE PER ACCONTENTARE I NO TAV, DALLL’ALTRO PRENDE I SOLDI DAL GOVERNO CON IL PATTO-TORINO PER OPERE COLLEGATE ALL’ALTA VELOCITA’

Il M5S— come già  annunciato durante la campagna elettorale — ha presentato una mozione per far uscire il Comune di Torino dall’Osservatorio sulla Torino-Lione. L
a Appendino ha motivato così la decisione della sua amministrazione:
La mozione ci aiuta a spiegare perchè siamo fortemente contrari alla Tav, un investimento che anche alla luce dei benefici previsti non riteniamo necessario o prioritario e pensiamo che quelle risorse andrebbero investite meglio.
Ora, che la nuova sindaca di Torino fosse contraria al Tav si sapeva, ma è anche noto alla prima cittadina torinese che un sindaco non può fermare il Tav.
Lo aveva detto lei stessa in un’intervista all’ANSA subito dopo la sua elezione: «Un sindaco non può bloccare la Tav, quello che farò è portare al tavolo le ragioni del ‘no’, dialogherò con tutti e ascolterò le ragioni di tutti e se non ci sarà  dialogo possibile lasceremo l’Osservatorio».
Su questa che potrebbe essere l’ultima mossa di Chiara Appendino sulla questione del Tav (una volta che Torino uscirà  dall’Osservatorio non pare che la Appendino abbia altre carte da giocare) è intervenuto il senatore PD Stefano Esposto che ha duramente criticato la scelta della maggioranza in Consiglio Comunale.
Esposito infatti ha ricordato come “solo tre giorni fa” la Sindaca abbia organizzato insieme al Presidente Chiamparino “una conferenza stampa per annunciare di aver inviato al Governo la richiesta per sottoscrivere il patto per il Piemonte. All’interno di questo patto sono contenute molte opere figlie della realizzazione della linea ad Alta Velocita’ Torino-Lione. Quindi la signora Appendino vuole i soldi derivanti dal Tav per realizzare gli interventi, utili e necessari, ma contrasta la realizzazione della Torino-Lione?“.
Si tratta di un patto da sei miliardi di euro nel quale Appendino e Chiamparino chiedono a Matteo Renzi lo stanziamento di fondi (per un totale di 3.2 miliardi di euro) per la realizzazione di interventi importanti sulle infrastrutture e “la Stampa” riferisce che nel patto tra Regione e Comune sono compresi interventi sul sistema ferroviario torinese:
C’è l’ammodernamento del sistema ferroviario metropolitano di Torino (più le fermate Dora e Zappata, interamente da finanziare con 75 milioni) e di molte linee ferroviarie: Torino-Modane, Torino-Pinerolo, Torino-Trofarello, Torino-Pont, Torino-Genova. C’è il miliardo e 200 milioni per costruire la linea 2 del metrò, su cui al momento ci sono appena 10 milioni. E ancora, il prolungamento della linea 1 verso Rivoli per cui mancano 180 dei 340 milioni necessari.
Ma ci sono per la verità  anche progetti sulla coesione sociale, sullo sviluppo culturale e sulla mobilità  sostenibile, più in linea con il programma del MoVimento.
Per il momento a siglare l’intesa sono stati solo Comune e Regione ma il Patto per Torino è a tre, e prevede quindi che anche Matteo Renzi dia l’assenso.
Non è chiaro se dopo la presa di posizione della Appendino sul Tav il Governo — ma sarà  da valutare dal 5 dicembre in poi — deciderà  di mettersi d’accordo con i due enti locali.
Tanto più che il Senato ha già  approvato (la settimana scorsa) il tracciato della Torino-Lione e che iol 20 la Camera sarà  chiamata a sua volta ad esprimersi.
Più che una mossa per fermare il Tav — che ormai sembra inevitabile — quella della Appendino sembra solo un’operazione per non scontentare quella parte del suo elettorato vicina ai No Tav (o dichiaratamente No Tav).
Quando la Torino Lione si farà  Appendino potrà  dire di aver fatto tutto quello che poteva per “impedirlo” e intanto potrà  prendere i finanziamenti per sistemare le infrastrutture cittadine.
Se dal punto di vista dell’immagine da “duri e puri” che l’ala più intransigente del MoVimento vorrebbe i propri portavoce tenessero in ogni circostanza la cosa suona come una sconfitta è possibile che la decisione di Appendino — qualora i fondi richiesti venissero veramente erogati — possa fare del bene alla città  di Torino.
Da questo punto di vista la decisione della Appendino denota parecchio pragmatismo e una presa di coscienza delle necessità  della Realpolitik.

(da “NextQuotidiano”)

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I TAGLI SUI TRENI LOW COST: 14 INTERCITY A RISCHIO DA GENNAIO

Dicembre 1st, 2016 Riccardo Fucile

SOPPRESSIONE DELLE CORSE SULLA NAPOLI-MILANO E LA TORINO-GENOVA

“Nessuno tocchi gli Intercity”, dicono in coro pendolari, sindacati, l’assessore regionale ai trasporti della Regione Toscana e 32 parlamentari.
Una richiesta che emerge chiara, nel giorno in cui arriva il nuovo orario per il 2017 delle Ferrovie dello Stato.
Il rischio, dal prossimo 15 gennaio, che 14 corse dei treni low cost per i lunghi tragitti dal Nord al Sud vengano soppresse fa alzare le barricate a viaggiatori e istituzioni.
Le Fs, infatti, stanno firmando con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti il nuovo contratto di servizio per il cosiddetto “servizio universale” che gestisce le corse degli Intercity e degli Intercity Notte finanziati, e quindi decisi, dallo Stato e messi sui binari da Trenitalia.
Gli Ic sono spesso utilizzati come alternativa alla più costosa alta velocità  ma anche come servizio interregionale da tanti pendolari delle città  che non sono servite da Frecce e Italo. E che senza rischierebbero di restare isolate.
Il nuovo contratto da firmare, dopo quello scaduto nel 2014 e prorogato fino ad oggi, ha il valore di 220 milioni di euro e prevede, nelle intenzioni del Ministero e di Ferrovie, un miglioramento generale dei servizi low cost (si parla di ristorazione a bordo, pulizie durante il viaggio, wifi e carrozze nuove) ma anche tagli che ai viaggiatori e alle regioni interessate fanno paura.
A dare l’allarme per primi sono stati i rami toscani dei sindacati Cgil, Cisl e Uil con un appello: “I clienti diretti nelle città  servite dagli Intercity perderebbero gli ultimi collegamenti esistenti provenienti dalle altre regioni – si legge – e la soppressione colpirebbe le stesse città  che sarebbero tagliate fuori”.
Sulla Napoli-Milano, ad esempio, dai piani sono esclusi 4 treni Intercity. Con i viaggiatori che potrebbero perdere una possibilità  di viaggiare a basso costo, seppur con tempi maggiori, rispetto all’alta velocità  su cui invece Ferrovie sta puntando (nell’ultimo anno i ricavi della lunga percorrenza, tra Frecce e Intercity, sono stati di 2,4 miliardi di euro).
Ma fuori dal contratto per ora ci sono anche tre (6 treni) sulla Torino-Genova, 1 coppia sulla Trieste-Venezia, e un Intercity Notte sulla Roma-Siracusa.
Tratte e orari che non garantiscono il rientro dei costi rispetto ai biglietti venduti, secondo l’azienda.
Ma nel piano presentato al Ministero e in via di discussione, nonostante i tagli i chilometri/treno del servizio universale comunque non diminuiranno.
Dal 2017 al 2021 saranno 23,5 milioni tra treni e bus con il 2% di posti offerti in più negli Intercity giorno.
I treni soppressi saranno compensati: ci sarà  una coppia di Intercity Roma-Salerno e 2 coppie di Intercity Roma-Trieste. Poi ancora un Intercity Notte Roma-Bolzano effettuato nei weekend e più carrozze su un Intercity notte Roma-Sicilia.
Per le regioni interessate dalle soppressioni però questo non basta, e la mobilitazione è già  partita.
Dopo l’allarme dei sindacati a fare subito sponda è stato l’assessore regionale toscano ai trasporti Vincenzo Ceccarelli:   “E’ il terzo anno che poniamo la questione al Ministero, togliere questi servizi è un danno gravissimo”.
Il caso è arrivato nelle scorse ore anche in Parlamento con un’interrogazione dei deputati Pd Marco Donati e Luigi Dallai sottoscritta da altri 32 parlamentari. I pendolari si sono ovviamente uniti al coro.
“La ragione ufficiale – spiega il comitato della Valdichiana – è economica: secondo Trenitalia questi Intercity non sono redditizi e quindi verranno cancellati per far viaggiare altri treni Alta velocità  garantendo maggiori guadagni per l’azienda”.
Sul tavolo delle trattative però c’è anche un’altra novità  importante.
Gli Intercity infatti sono spesso in ritardo, con lunghi tempi di percorrenza, e vecchi. Dal 2017 alcuni potrebbero così andare in pensione sostituiti dalle carrozze dei Frecciabianca.
“Con la consegna degli ultimi Frecciarossa 1000 – ha spiegato Ferrovie – avremo circa 300 carrozze (35 treni) Frecciabianca da poter usare come Intercity. Nei prossimi anni due-terzi della flotta sarà  rinnovata”. Cioè che temono i pendolari e le regioni però è che i treni Intercity, spesso in cronico ritardo e soppressi all’improvviso, possano sparire a poco a poco per lasciare spazio all’alta velocità .
“Il contratto per questi treni è fondamentale per la mobilità  del Paese – spiega Michele Formisano, segretario aggiunto dell’Orsa – è un impegno che il Mit non può non assumere con il massimo sforzo possibile. Sono state scelte governative che hanno reso possibile lo sviluppo del grande mercato Alta Velocità , ora va compensata questa differenza investendo su un contratto che serve cittadini che non vivono sulle direttrici Av e che abitano maggiormente le dorsali tirreniche e adriatiche ed il meridione del Paese.

(da “La Repubblica”)

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