Giugno 3rd, 2021 Riccardo Fucile
IN PASSATO DUE FERITI SULL’IMPIANTO… LA PROCURA: “INSOFFERENZA RISPETTO ALLA SICUREZZA”
Due inchieste per altrettanti incidenti avvenuti sul Mottarone sono in corso in
procura a Verbania: la circostanza è presente negli atti del procedimento sulla strage dello scorso 23 maggio, costata la vita a 14 persone, perché l’impianto interessato è la Alpyland, una pista di bob su rotaia la cui gestione è riconducibile all’imprenditore Luigi Nerini, uno degli indagati per il disastro, gestore anche delle Ferrovie del Mottarone srl a cui appartiene la funivia. Nerini è indagato anche per quei due incidenti.
Gli incidenti sulla pista Alpyland, che scende a curve dalla cima del Mottarone fino a giungere alla stazione superiore d’arrivo della funivia precipitata, sono avvenuti nel 2017 e nel 2019 provocando il ferimento di un dipendente e di un passeggero. Il reato ipotizzato per Nerini è quello di lesioni colpose.
La Procura di Verbania si era servita della circostanza per chiedere la custodia cautelare per Nerini (poi negata dal gip), il quale, secondo i pm, aveva manifestato “insofferenza ad uno scrupoloso rispetto delle misure di sicurezza volte a tutelare l’incolumità degli utenti di tale genere di impianti”.
Intanto è polemica tra il difensore di Gabriele Tadini, responsabile tecnico della funivia, ora ai domiciliari, e i magistrati di Verbania: “La Procura ci ha vietato la ricognizione. Noi andremo lo stesso e vedremo cosa potremo fare. Ma sono molto risentito” ha detto l’avvocato Marcello Perillo che, accompagnato da due consulenti, stamattina ha incontrato i magistrati.
A quanto sembra la Procura intende mantenere questo tipo di attività nell’ambito degli accertamenti irripetibili che verranno svolti – probabilmente a partire dalla prossima settimana – con le necessarie garanzie per tutte le parti coinvolte.
(da agenzie)
argomento: Giustizia | Commenta »
Giugno 2nd, 2021 Riccardo Fucile
NE’ SALVINI NE’ LETTA PRESENTERANNO MODIFICHE ALLA NORMATIVA SUI PENTITI DI MAFIA
Su Giovanni Brusca si ricompatta la maggioranza ma solo a parole. Perfino i due poli opposti, Matteo Salvini ed Enrico Letta, in nome dell’indignazione popolare, parlano della necessità di voler modificare l’attuale legge sui collaboratori di giustizia.
“Chi ha sciolto un bambino nell’acido, non può passeggiare libero come se nulla fosse. Questa è la legge ma nel 2021 si può aggiornare”, dice il leader della Lega, Matteo Salvini. Ma poi, si apprende da ambienti leghisti, che difficilmente alle parole seguiranno i fatti. Stessa cosa in casa Pd.
Per adesso la Lega è concentrata sui sei quesiti referendari, proposti dal partito Radicale, che verranno depositati alla Corte di cassazione il 3 giugno e per il quali dovranno essere raccolte le firme.
Quesiti che prevedono l’elezione del Csm, la responsabilità diretta dei magistrati, l’equa valutazione dei magistrati, la separazione delle carriere dei magistrati, abolizione della legge Severino, limiti agli abusi della custodia cautelare.
Questi ultimi due punti in particolare sembrano quasi una contraddizione rispetto alla rigidità che il leader leghista mostra in queste ore.
Comunque sia per adesso non è in programma la presentazione di una proposta di legge per modificare l’attuale legge sui pentiti che ha portato alla scarcerazione di Brusca con i suoi oltre cento omicidi, tra i quali quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, il bambino strangolato e sciolto nell’acido dopo una lunghissima prigionia.
L’ex capomafia di San Giuseppe Jato fu anche colui che azionò il telecomando a Capaci facendo saltare in aria Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Eppure oggi Maria Falcone, presidente della Fondazione Giovanni Falcone e sorella del magistrato ucciso dalla mafia nella strage di Capaci del 1992, lancia un appello alla politica “affinché traduca lo sdegno espresso per la liberazione di Giovanni Brusca in un impegno reale per un’approvazione veloce della riforma della legge sull’ergastolo ostativo sollecitata dalla Corte Costituzionale”.
Legge che – spiega – eviterebbe scarcerazioni e permessi a boss “che mai hanno interrotto il loro perverso legame con l’associazione mafiosa. Concedere benefici a chi neppure ha dato un contributo alla giustizia sarebbe inammissibile e determinerebbe una reazione della società civile ancora più forte di quella causata dalla liberazione, purtroppo inevitabile, del ‘macellaio’ di Capaci”.
Neanche il Pd, che ieri con il segretario Enrico Letta ha parlato di “pugno nello stomaco”, lavora per presentare una proposta.
Mentre l’unica proposta ad oggi depositata in Parlamento è quella del Movimento 5 Stelle in linea con le parole di Maria Falcone.
“Avrei preferito sentire più proposte e voci coraggiose dopo la pronuncia della Corte Costituzionale sull’ergastolo ostativo, visto che con la legge sul fine pena si va nella direzione di concedere benefici anche a chi non collabora con la giustizia”, dice il deputato del MoVimento 5 Stelle Vittorio Ferraresi in commissione Giustizia alla Camera: “Abbiamo presentato una proposta che reca la mia prima firma come Movimento 5 Stelle. Partiamo da lì. Perché diciamolo gridare allo scandalo e allo schifo sono buoni tutti, cercare di portare avanti proposte a tutela di quel sistema, veramente in pochi”. Un messaggio rivolto ai colleghi della maggioranza.
(da Huffingtonpost)
argomento: Giustizia | Commenta »
Giugno 2nd, 2021 Riccardo Fucile
MUTUI SOSPETTI A SAN MARINO, A GIUDIZIO ANCHE IL CAPO DELLA SUA SEGRETERIA
Chiusa l’inchiesta della Procura della Repubblica di Milano sul presunto
finanziamento illecito ottenuto dal senatore Armando Siri. Per l’esponente della Lega si profila così un’altra richiesta di rinvio a giudizio. Insieme a lui sono altri sette gli indagati, tra cui il capo della sua segreteria, Luca Perini.
Per gli inquirenti, l’ex sottosegretario alle infrastrutture e trasporti sarebbe coinvolto in due vicende di finanziamento illecito. La prima sarebbe relativa a due mutui considerati sospetti, uno da 750mila euro e l’altro da 600mila euro, concessi dalla Banca Commerciale Agricola di San Marino, tra ottobre 2018 e aprile del 2019. La seconda vicenda riguarda invece un prestito da 220mila euro risalente a giugno 2018.
Insieme a Siri, oltre a Perini, sono indagati Marco Perotti, ex direttore generale della Banca Commerciale Agricola di San Marino, Marco Cardia, avvocato milanese, Domenica Ferragù, mediatrice e amica comune di Perotti e Siri, Massimo Mina, managing director della società Npl Opportunities Luxemburg, Ramona Graziano, consulente immobiliare, e Paolo Zanni, legale rappresentante di Bper International, quest’ultimo accusato di usura, reato per cui Siri è ritenuto totalmente estraneo.
I pm Gaetano Ruta e Sergio Spadaro, nell’avviso di conclusione indagini preliminari, notificato dai militari della Guardia di finanza, hanno contestato a vario titolo il finanziamento illecito a partiti e presentazione di dichiarazione infedele.
Il primo prestito da 750mila euro, secondo gli inquirenti, sarebbe servito all’ex sottosegretario leghista per acquistare, senza ipoteca, una palazzina per la figlia a Bresso, comune alle porte di Milano.
L’altro, da 600 mila euro, sarebbe stato concesso a beneficio di Tf holding, società riferibile a due persone vicine a Siri, che oltre ad occuparsi della compravendita di immobili gestiva due bar. Il prestito da 220mila, sempre per l’accusa, sarebbe servito all’esponente del Carroccio a saldare un debito con il Fisco.
Sul fronte fiscale invece, secondo gli investigatori, l’evasione avrebbe riguardato l’associazione spazio Pin, una società senza scopo di lucro di cui Siri e Perini erano soci e gestori, la quale offre spazi per corsi di formazione.
Il leghista è indagato anche a Roma per corruzione
Siri, che nel 2014 ha patteggiato la pena a un anno e otto mesi di reclusione per bancarotta fraudolenta, è anche accusato di corruzione in un’altra inchiesta, che ha portato alla fine dello scorso anno la Procura di Roma a chiedere per lui il rinvio a giudizio. Il caso riguarda una presunta tangente da 30mila euro, “data o promessa” a Siri, tramite Paolo Arata, in cambio di un “aggiustamento” al Def 2018 sugli incentivi al mini-eolico. Vicenda che, durante il Governo giallo verde, è costata a Siri il posto da sottosegretario al Mit.
Slitta intanto a domani la sentenza per i due revisori contabili della Lega in Parlamento, Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, imputati nel processo per la compravendita del capannone di Cormano, acquistato dalla Lombardia Film Commission e attraverso cui, secondo gli inquirenti milanesi, sarebbero stati distratti 800mila euro di fondi pubblici. Per Di Rubba e Manzoni, accusati di turbativa, peculato e reati fiscali, il procuratore aggiunto Eugenio Fusco e il pm Stefano Civardi hanno chiesto rispettivamente 4 anni e 8 mesi e 4 anni di reclusione. Sentite le parti domani è attesa la sentenza.
(da agenzie)
argomento: Giustizia | Commenta »
Giugno 1st, 2021 Riccardo Fucile
“L’HA VOLUTA FALCONE, CHI GRIDA ‘VERGOGNA’ CERCA FACILE CONSENSO”
“Da un punto di vista personale provo disgusto per questa persona che non riesco a chiamare neanche bestia, per rispetto agli animali. Poi però, se mi spoglio di questo aspetto, non posso non sottolineare che la legge sulla collaborazione dei mafiosi ha portato vantaggi allo Stato”.
La normativa di cui parla Giuseppe Ayala, magistrato che fu pubblico ministero al maxiprocesso di Palermo, è quella che fu fortemente voluta da Giovanni Falcone, di cui Ayala era amico. Così come lo era di Paolo Borsellino.
Si tratta di una legge – “definiamola cinica, opportunistica, se vogliamo”, dice l’ex magistrato – che consente ai mafiosi che collaborano con la giustizia di ottenere dei benefici. Degli sconti di pena, come nel caso di Giovanni Brusca, che ha lasciato il carcere ieri. E Ayala – che tolse la toga poco prima degli omicidi di Falcone e Borsellino perché eletto in Parlamento, per poi rimetterla anni dopo, a L’Aquila – all’indomani della scarcerazione del killer che azionò il telecomando della strage di Capaci, dell’assassino che non si fece scrupolo di ammazzare un ragazzino, Giuseppe Di Matteo, perché suo padre aveva parlato con la giustizia, parlando con HuffPost guarda ai fatti con la lucidità di chi riesce a separare l’aspetto emotivo da quello razionale. Il primo non viene sopito, né scalfito dal tempo.
Solo chi ha vissuto in prima persona gli anni più difficili della lotta alla mafia, chi ha dovuto piangere davanti a corpi di amici e colleghi, può capire perché.
Il secondo aspetto, però, aiuta a rimettere in fila i fatti, ciò che è successo dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio. E, lontano dalla retorica acchiappa like di chi urla allo scandalo, spiega perché la legislazione fortemente voluta da Falcone sia stata fondamentale nella lotta alla mafia. Anche a costo di rimettere in libertà – in ogni caso dopo decenni – un criminale efferato come è stato Brusca.
Dottor Ayala, ieri sera Giovanni Brusca ha lasciato il carcere di Rebibbia. Uscito per fine pena, lo aspettano anni di libertà vigilata. Qual è stata la sua reazione alla notizia?
Non posso non distinguere lo stato d’animo personale dal resto. Ecco, da un punto di vista emotivo io per questa persona provo e ho provato profondo disgusto. È il soggetto – e mi arrabbio anche quando lo chiamano bestia, perché mancano di rispetto agli animali – che ha ucciso Giovanni, la moglie, Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro, giovane poliziotto della scorta con cui avevo un bellissimo rapporto. Non posso mettere da parte l’emotività, credo sia comprensibile.
Lo è. Giovanni Falcone era suo amico, oltre che collega. Provare ancora rabbia per la sua morte è più che normale, soprattutto dalla sua posizione. Provando, però, ad andare oltre l’aspetto più umano, personale, Brusca è stato scarcerato in funzione di una legge, quella sui collaboratori di giustizia.
Una legge voluta da noi, da Falcone soprattutto. La normativa sulla collaborazione può essere considerata cinica, opportunistica, ma ha portato grossi risultati. Volendo ragionare su un piano di costi e ricavi possiamo pensare che il costo è il riacquisto della libertà da parte di un criminale, ma il ricavo – per lo Stato – è un grosso vantaggio processuale. Ecco, in termini molto pragmatici, possiamo dire che questa legislazione ha portato dei ricavi notevolmente superiori ai costi.
Un ragionamento in termini opportunistici probabilmente viene fatto anche da chi sceglie di collaborare, proprio perché ottiene “in cambio” benefici penitenziari.
Certo, opportunismo è il termine giusto. Io chiamo i soggetti che decidono di parlare con gli inquirenti sempre collaboratori di giustizia e mai pentiti. Non sono pentiti affatto, nella mia vita io credo di averne conosciuto uno solo di mafioso che ha collaborato perché davvero pentito.
Non possiamo sapere se Brusca si sia mai pentito, nel suo animo, o no. Certo è che ha confessato reati efferati, 150 omicidi. Quanto sono state utili le sue dichiarazioni?
In generale posso dire che la forza repressiva dello Stato nei confronti della mafia, senza le tante collaborazioni che ci sono state, sarebbe stata meno incisiva. Quanto a Brusca, per farle capire quanto sia stato importante che abbia scelto di parlare le faccio un esempio: durante il maxi processo io gli contestavo l’associazione mafiosa. Solo quella. Il quadro probatorio c’era, ma il giudice di primo grado non lo ha ritenuto sufficiente, tant’è che è stato assolto. Successivamente è stato condannato, grazie alle impugnazioni. Ma ripeto, noi in quel momento di Brusca conoscevamo solo il fatto che fosse affiliato alla mafia. È stato grazie alla sua scelta di collaborare che abbiamo scoperto tutto il resto
E c’è chi dice che non abbia detto tutto.
Questo non lo so, non ho elementi per dirlo. Certamente non posso escluderlo. Posso però dire che sicuramente quello che ha raccontato è stato importante da un punto di vista processuale. Le dirò di più: secondo noi, ai tempi del maxi processo, neanche Tommaso Buscetta aveva detto tutto. Però quello che ha raccontato ha portato a condanne che mai lo Stato aveva ottenuto contro la mafia.
Prima ha detto una frase forte: “Non sono affatto pentiti”. Secondo lei è così improbabile che anche il più efferato dei mafiosi cambi in carcere, con il passare del tempo?
Non sono uno di quelli che sposa la tesi che queste persone cambino. Certo, in alcuni casi può accadere. Del resto, 25 anni di detenzione (quelli scontati da Brusca, ndr) in astratto possono sembrare insufficienti. In concreto non sono affatto pochi.
La scarcerazione di Brusca ha suscitato varie reazioni. Di fronte a quella composta e lucida di Maria Falcone ci sono quelle indignate della politica.
Proprio in virtù di tutto quello che ho detto sulla legge sulla collaborazione resto molto perplesso davanti a chi parla di “Vergogna di Stato”. Troppo facile parlare così. È un modo per cercare consenso.
Brusca esce dal carcere pochi giorni dopo il 29esimo anniversario della morte di Giovanni Falcone. Che ricordo ha di quei giorni terribili?
Io ero a Roma, ovviamente mi sono fiondato a Palermo e sono andato direttamente alla camera mortuaria. Ricordo che sono usciti tutti, mi hanno lasciato solo con Giovanni. Sembrava dormisse, aveva solo un graffio sul sopracciglio. Ho pianto tanto, e non mi vergogno a dirlo. Poi per un attimo ho stretto le sue mani. Questo ricordo, nonostante il passare del tempo, riaffiora spesso nella mia mente.
(da Huffingtonpost)
argomento: Giustizia | Commenta »
Giugno 1st, 2021 Riccardo Fucile
SANTINO DI MATTEO: “LA LEGGE NON PUO’ ESSERE UGUALE PER TUTTI, BRUSCA NON FA PARTE DELL’UMANITA'”
“Io vado a testimoniare ai processi per dire quello che so. Ma a che cosa serve se poi lo stesso Stato si lascia fregare da un imbroglione, da un depistatore?”.
Così in un’intervista al Corriere della Sera, Santino Di Matteo commenta la scarcerazione di Giovanni Brusca, l’uomo che ha fatto sciogliere nell’acido suo figlio Giuseppe, 13 anni, per vendetta contro di lui, pentito di mafia.
″Non trovo le parole per spiegare la mia amarezza. A chi devo dirlo? È passato meno di un anno da quando avevano liberato un carceriere di mio figlio, a Ganci, il paesino delle Madonie, uno dei posti del calvario. Ma la verità è che tutti i sorveglianti e gli aguzzini della mia creatura sono liberi. Tutti a casa. E ora va a casa pure il capo che organizzò e decise tutto. Lo stesso boia di Capaci. Si può dire boia? Lo posso dire io?” prosegue Di Matteo.
“La legge non può essere uguale per questa gente. Brusca non merita niente. Oltre mio figlio, ha pure ucciso una ragazza incinta di 23 anni, Antonella Bonomo, dopo avere torturato il fidanzato. Strangolata, senza motivo, senza che sapesse niente di affari e cosacce loro. Questa gente non fa parte dell’umanità”.
Santino Di Matteo aggiunge che ”’u verru, cioè il maiale, come chiamavano Brusca, conosceva Giuseppe, mio figlio, da bambino. Ci giocava insieme con la play station. Eppure l’ha fatto sciogliere nell’acido. E questo orrore si paga in vent’anni? Io non posso piangere nemmeno su una tomba e lui lo immagino pronto a farsi una passeggiata. Magari ad Altofonte. O in un caffè davanti al Teatro Massimo di Palermo. Mi auguro di non incontrarlo mai, come chiedo al Signore. Se dovesse succedere, non so che cosa potrebbe accadere”.
(da Huffingtonpost)
argomento: Giustizia | Commenta »
Giugno 1st, 2021 Riccardo Fucile
“LA LEGISLAZIONE PREMIALE PER I COLLABORATORI DI GIUSTIZIA FU VOLUTA DA FALCONE PER COMBATTERE I BOSS”
“La liberazione di Brusca, che per me avrebbe dovuto finire i suoi giorni in cella,
è una cosa che umanamente ripugna. Però, quella dello Stato contro la mafia è, o almeno dovrebbe essere, una guerra e in guerra è necessario anche accettare delle cose che ripugnano. Bisogna accettare la legge anche quando è duro farlo, come in questo caso”.
A dirlo all’Adnkronos è Salvatore Borsellino, fratello di Paolo ucciso da Cosa nostra nella strage di via D’Amelio, commentando la scarcerazione di Giovanni Brusca che dopo 25 anni lascia il carcere per fine pena.
“Questa legislazione premiale per i collaboratori di giustizia – ricorda l’ideatore del Movimento delle agende rosse – fa parte di un pacchetto voluto da un grande stratega, Giovanni Falcone, per combattere la mafia, dentro ci sono l’ergastolo ostativo, il 41 bis. Va considerata nella sua interezza ed è indispensabile se si vuole veramente vincere questa guerra contro la criminalità organizzata”.
“L’alternativa, in assenza dell’ergastolo ostativo – sottolinea ancora Salvatore Borsellino all’Adn – sarebbe stato vedere tra cinque anni questa persona libera senza neppure aver collaborato con la giustizia e senza aver permesso di assicurare alla giustizia tanti altri criminali come lui”.
Al pentimento di Brusca, però, Salvatore Borsellino non crede. “Anche perché la sua collaborazione con la giustizia è stata molto travagliata: in un primo tempo aveva cercato di fingere per minare le istituzioni. Non credo si sia veramente pentito, come, invece, ha fatto Gaspare Mutolo, assassino anche lui, che ha ucciso, strangolandole, 50 persone a mani nude, ma che oggi penso sia una persona veramente cambiata. Di Brusca non ho questa impressione”.
Anche perché, è la tesi del fratello del giudice antimafia, “non ha raccontato neanche tutto quello che sa e che avrebbe potuto dire. Sicuramente, però, quello che ha detto è stato tanto e ha permesso di fare tanti processi, di assicurare tanti criminali come lui alla giustizia”.
Il ritorno in libertà di Brusca può costituire un pericolo? “E’ fondamentalmente un criminale, di una persona che uccide un bambino e lo scioglie nell’acido dicendo che era come un cagnolino non ci si può fidare appieno. Ma non credo che possa costituire oggi un pericolo”.
(da agenzie)
argomento: Giustizia | Commenta »
Giugno 1st, 2021 Riccardo Fucile
“VIGILERO’, MA E’ UNA LEGGE VOLUTA DA MIO FRATELLO E QUINDI VA RISPETTATA”
“Umanamente è una notizia che mi addolora, ma questa è la legge, una legge che peraltro ha voluto mio fratello e quindi va rispettata. Mi auguro solo che magistratura e le forze dell’ordine vigilino con estrema attenzione in modo da scongiurare il pericolo che torni a delinquere, visto che stiamo parlando di un soggetto che ha avuto un percorso di collaborazione con la giustizia assai tortuoso. Ogni altro commento mi pare del tutto inopportuno”.
Lo ha detto Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni Falcone, dopo la notizia della scarcerazione per fine pena di Giovanni Brusca, l’ex capomafia, poi pentito, che ha premuto il telecomando che ha innescato l’esplosivo nella strage di Capaci .
Nell’attentato morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo.
La stessa magistratura – ha spiegato Maria Falcone – in più occasioni ha espresso dubbi sulla completezza delle sue rivelazioni, soprattutto quelle relative al patrimonio che, probabilmente, non è stato tutto confiscato: non è più il tempo di mezze verità e sarebbe un insulto a Giovanni, Francesca, Vito, Antonio e Rocco che un uomo che si è macchiato di crimini orribili torni libero a godere di ricchezze sporche di sangue”.
(da agenzie)
argomento: Giustizia | Commenta »
Maggio 31st, 2021 Riccardo Fucile
HA LASCIATO NEL POMERIGGIO IL CARCERE DI REBIBBIA… HA COLLABORATO CON LA GIUSTIZIA ACCUSANDO GREGARI E COLLETTI BIANCHI
Ha lasciato definitivamente il carcere il mafioso Giovanni Brusca, l’uomo della
strage di Capaci, l’assassino di donne e bambini che operava sotto le direttive di Salvatore Riina. Ma anche il collaboratore di giustizia che ha svelato ai magistrati di tutte le procure d’Italia segreti e retroscena di Cosa nostra, non solo dell’ala militare, ma anche di quella che ha avuto contatti con il mondo politico e imprenditoriale.
Oggi è stato l’ultimo giorno di carcere per Brusca. Le porte di Rebibbia si sono spalancate nel pomeriggio per richiudersi alle sue spalle. Ha scontato tutta la pena che gli era stata inflitta, e a differenza di altri collaboratori di giustizia, lui la condanna l’ha espiata in cella.
Adesso è un uomo libero, sottoposto a controlli e protezione, ma libero. Tecnicamente resta però sottoposto a quattro anni di libertà vigilata. Così ha deciso la corte d’Appello di Milano, l’ultima a pronunziarsi sul conto del condannato in relazione al processo più recente.
Non c’è mai stata una collaborazione con la giustizia più discussa di quella di Giovanni Brusca. Arrestato da agenti della polizia di Stato il 20 maggio 1996 in una villetta vicino ad Agrigento, dove il boss era con il fratello Enzo e le rispettive mogli e figli, ha ottenuto la “patente” di pentito nel marzo del 2000 dopo lunghe polemiche.
Quando, venticinque anni fa, venne pubblicata la notizia che la sua compagna e il figlio erano sottoposti alle misure urgenti di protezione riservate ai familiari dei collaboratori di giustizia, l’allora difensore del boss, l’avvocato Vito Ganci, rivelò di avere ricevuto dal suo assistito confidenze su un “complotto” in cui voleva coinvolgere uomini delle istituzioni.
Brusca aveva fatto al suo difensore, tra gli altri, il nome dell’ex presidente della Camera Luciano Violante. Si trattava di un piano ideato dallo stesso Brusca per screditare l’antimafia, i collaboratori di giustizia e creare difficoltà in importanti processi di mafia. Questa idea non venne mai attuata. Ma a confermare il piano del falso pentimento fu il fratello, con il quale Giovanni Brusca si era accordato a gesti durante un’udienza di un processo, affinché anch’egli si fingesse pentito e sostenesse quello che il fratello dichiarava.
In seguito lo stesso Giovanni Brusca ha ammesso la circostanza.
La collaborazione vera e propria è stata segnata da un lungo travaglio interiore. «La mia non è una scelta facile. Pesa la storia della mia famiglia, il dover accusare altri, il giudizio che mio padre darà di me», disse Giovanni Brusca.
Suo padre, Bernardo Brusca, deceduto in carcere, è stato capo della cosca di San Giuseppe Jato, ed è stato un autorevole esponente della cupola. Giovanni ne aveva ereditato il “prestigio” mafioso.
Nei lunghi interrogatori davanti ai magistrati di Palermo, Caltanissetta e Firenze, che si occupavano anche delle stragi del 1992 e del 1993, il boss ha ammesso la sua partecipazione all’attentato a Giovanni Falcone, a numerosi delitti eccellenti e all’uccisione di Giuseppe Di Matteo, il figlio undicenne del pentito Mario Santo Di Matteo strangolato e sciolto nell’acido per vendetta nei confronti del padre che aveva parlato con i magistrati.
Ha rievocato le riunioni in cui fu decisa la strategia criminale di Cosa nostra, ha accusato altri boss, ha parlato degli “aggiustamenti” dei processi. Oltre a ricostruire una lunga catena di sangue, Brusca ha parlato anche dei rapporti tra Cosa nostra, la politica e la vasta area grigia dei fiancheggiatori. Nel 2002, dopo lunghe e burocratiche autorizzazioni, il mafioso si è sposato in carcere con la sua compagna, dalla quale aveva avuto un figlio.
Negli anni passati aveva ottenuto l’autorizzazione dei giudici del tribunale di sorveglianza di Roma, grazie alla “buona condotta”, di godere permessi premio di qualche giorno. Adesso per lui è arrivato il fine pena grazie ad un ultimo abbuono di 45 giorni di liberazione anticipata, deciso dal tribunale di sorveglianza di Roma e recepito dai giudici di Milano.
(da L’Espresso)
argomento: Giustizia | Commenta »
Maggio 31st, 2021 Riccardo Fucile
“CI SONO DUE VERSIONI, LE INDAGINI DIRANNO CHI HA RAGIONE”… “MA VI SEMBRA POSSIBILE CHE IL TITOLARE NON SAPESSE NULLA DI QUELLO CHE SUCCEDEVA ALLA FUNIVIA?”
Il gip di Verbania non ha convalidato il fermo di Gabriele Tadini, Luigi Nerini ed Enrico Perocchio, i tre indagati per la tragedia del Mottarone, che ha causato la morte di 14 persone il 23 maggio. Nella sua ordinanza il giudice di fatto smonta il modus operandi della procura, criticando duramente la decisione della procuratrice Olimpia Bossi di fermare, e quindi mandare in carcere, il direttore del servizio, il gestore dell’impianto sul Lago Maggiore e il dipendente dell’azienda che si occupava di sicurezza.
Secondo il gip non c’era alcun pericolo di fuga e nessuna certezza che Nerini e Perocchio sapessero che Tadini lasciasse i forchettoni a disattivare il freno di emergenza anche quando nella cabina c’erano i passeggeri.
Tadini ha ammesso di aver tenuto questo comportamento, di averlo fatto più volte, ma di aver avvertito gli altri. La sua posizione, dopo l’ordinanza del gip, sembra essersi aggravata. Mentre quella degli altri due sembra ancora poco chiara.
Ma la pm non rinnega nulla del suo operato, a partire dai fermi. In un’intervista a Repubblica dice:
“Ci viene detto di aver dato peso esclusivamente alle accuse che muove Tadini, che invece vengono ritenute non credibili, ma noi possiamo dire che la giudice ha creduto solo alle dichiarazioni degli altri due, sostenendo che non avessero interesse a trascurare la sicurezza. Secondo noi non è così. Ed è stata criticata la frase troppo generica del “tutti sapevano” che ha detto Tadini. Ma secondo lei è possibile che Nerini, titolare della società, peraltro società di famiglia da generazioni, davvero fosse all’oscuro di quello che succedeva alla funivia?
Sui fermi, che per il gip sono stati fatti “al di fuori dei casi previsti dalla legge”, Olimpia Bossi dice ancora:
“Il pomeriggio di martedì ci siamo trovati di fronte a una persona che ha reso piena confessione con dichiarazioni attendibili che parlavano di un gesto, quello di mettere i forchettoni ai freni, che era frutto di una scelta volontaria, deliberata e reiterata che andava avanti da oltre un mese ma secondo i nostri riscontri anche da più tempo. Una persona che ha detto che altre persone sapevano. A quel punto abbiamo avuto la necessità di impedire che quelle persone si potessero mettere d’accordo per concordare una versione dei fatti.”
(da agenzie)
argomento: Giustizia | Commenta »