Giugno 7th, 2020 Riccardo Fucile
ALTRI 400.000 SONO FERMI PERCHE’ NON HANNO INDICATO LE COORDINATE BANCARIE PER IL PAGAMENTO
La Cassa Integrazione Guadagni è ancora un miraggio solo per 830mila persone. Spiega oggi
Repubblica che lo dicono i numeri Inps aggiornati al 4 giugno, frutto della differenza tra 7,6 milioni di lavoratori pagati su 8,4 milioni beneficiari potenziali.
La stessa Inps parla però di “soli” 420 mila lavoratori in attesa — la metà circa: gli unici di cui conosce le coordinate bancarie.
Per gli altri — si giustifica — citofonare alle imprese che non hanno inviato l’ormai mitico SR41: il documento con l’Iban dei lavoratori.
Le domande annullate sono circa 110.000
«Attenzione però, perchè dentro questa cifra ci sono molti doppioni», avverte Marialuisa Gnecchi, vicepresidente dell’Inps. «Ogni azienda può avere inviato anche più di un SR41. Ad esempio, la regione Piemonte per la cassa in deroga ha obbligato le imprese a fare due domande per gli stessi lavoratori: una per le prime 5 settimane e una per le altre 4».
(da agenzie)
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Maggio 14th, 2020 Riccardo Fucile
LE NORME LASCIANO FUORI MOLTI MIGRANTI NEL SETTORE EDILIZIA, COMMERCIO, LOGISTICA E RISTORAZIONE
Un esercito invisibile promette di uscire allo scoperto. Braccianti, colf, badanti, che lavorano in nero e senza diritti nelle campagne e nelle case degli italiani, potrebbero presto mettersi in tasca un permesso di soggiorno.
Il governo ha infatti dato il via libera alla regolarizzazione di parte dei migranti senza documenti che vivono nel nostro Paese.
Un provvedimento con luci e ombre, accolto con favore dalle associazioni in prima linea sul fronte dell’accoglienza, che avrebbero però voluto un maggiore “coraggio”: le norme infatti limitano la platea dei possibili beneficiari, rischiando di lasciare molti migranti nell’ombra.
Una “platea” ancora ristretta
“Ero straniero”, la Campagna promossa tra gli altri da Oxfam Italia, Arci, Asgi, Centro Astalli, Radicali Italiani, A Buon Diritto, ActionAid Italia, Legambiente, Acli, dà atto “ai membri del Governo di aver portato avanti con determinazione il provvedimento”. Ma aggiunge che per “una reale efficacia dell’intervento, sarebbe stato necessario un allargamento quanto più possibile della platea dei beneficiari: innanzitutto non limitando l’accesso alla procedura di regolarizzazione ai settori agricolo, di cura e lavoro domestico, ma aprendo anche agli altri comparti. Troppo restrittivi poi i requisiti richiesti al cittadino straniero per poter chiedere il permesso di soggiorno di 6 mesi per cercare un lavoro. Che senso hanno queste limitazioni se l’obiettivo della misura è il contrasto dell’invisibilità , con tutte le gravi conseguenze sul piano economico, sanitario e di sicurezza sociale che tale condizione comporta?”.
Il Consiglio italiano per i rifugiati
Il Cir giudica “una norma positiva, ma parziale, quella che renderà possibile la regolarizzazione di molti lavoratori nel nostro Paese. Il grande limite del decreto consiste nell’ampiezza della platea destinataria: la regolarizzazione si applicherà infatti esclusivamente ai lavoratori impiegati nell’agricoltura, nei servizi domestici e di cura, lasciando senza alcuna possibilità di legalità le migliaia di persone che lavorano nell’edilizia, ristorazione, logistica, commercio e in tanti altri settori produttivi”.
Non solo. “La norma dovrebbe prevedere un secondo canale di legalizzazione: il rilascio di un permesso di soggiorno per ricerca occupazione semestrale, ma solo per coloro che hanno perso un permesso di soggiorno dopo ottobre 2019 e che possono dimostrare un precedente lavorativo nei settori dell’agricoltura e lavori domestici. Un’accezione troppo ristretta, che lascia fuori decine di migliaia di persone che in Italia hanno investito molto e stavano costruendo un percorso positivo di integrazione”.
(da agenzie)
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Maggio 14th, 2020 Riccardo Fucile
“SEI MESI NON SONO SUFFICIENTI MA LA NUOVA NORMA CI RENDE PIU’ TUTELATI DA CAPORALI E AZIENDE”
Mentre il Consiglio dei Ministri è riunito per quella che diventerà in serata l’approvazione
definitiva del dl Rilancio, Raffaele Falcone della Flai Cgil sta distribuendo mascherine nei campi di Rignano, in Puglia.
Sono giorni difficili: la raccolta dell’asparago si intreccia con la semina dei pomodori e i braccianti agricoli faticano più del solito ad arrivare a fine giornata. Nonostante l’emergenza Coronavirus, infatti, il lavoro è andato avanti con gli stessi ritmi di prima.
Tra loro c’è Bamoussa, un ragazzo di 33 anni originario del Gambia che anni fa è venuto in Italia per lavoro.
La sua compagna ha partorito un bambino quando lui era già nel nostro Paese e sono 6 anni che non vede suo figlio. Prima aveva il permesso di soggiorno, ma non aveva abbastanza soldi per tornare indietro; ora, che qualcosa è riuscito a mettere da parte, non ha più i documenti.
Da quando i decreti sicurezza di Matteo Salvini (approvati durante il governo Conte I, insieme agli allora alleati di governo del Movimento 5 Stelle) sono entrati in vigore abolendo la protezione umanitaria, Bamoussa non ha più i documenti. Ogni spostamento gli è impossibile.
«Sei mesi possono sembrare pochi, e sicuramente non sono abbastanza», dice Falcone. «Ma per molte persone sono sufficienti per cambiare gli equilibri della loro vita».
Dopo l’approvazione dei Decreti Sicurezza, i ghetti si sono riempiti di persone diventate tutto d’un tratto irregolari. Una massa enorme di lavoratori si è trovata da un momento all’altro a non avere più i requisiti per essere in regola.
«C’è stata una catastrofe», dice Falcone. «Io parlo con le persone ogni giorno. Vorrebbero un contratto di lavoro, un permesso. Anche solo per tornarsene a casa».
Falcone da anni lavora nel foggiano, provincia cruciale per i contratti agricoli. Proprio in questi giorni si stanno discutendo le nuove condizioni: le associazioni dei datori di lavoro stanno chiedendo un abbassamento salariale notevole, usando i problemi con la grande distribuzione per pretendere di pagare meno i lavoratori.
L’approvazione della norma è cruciale perchè dà un’arma in più in mano ai lavoratori, che in questo periodo possono avanzare più pretese anche a fronte di una diminuzione della manodopera. «Prima della pandemia, i caporali e le aziende potevano minacciare di non assumere vista l’enorme richiesta di lavoro», spiega Falcone. «Ora, con bulgari e romeni bloccati nei Paesi di provenienza, queste persone hanno dalla loro un’arma in più per far valere i propri diritti».
Per chi viene sfruttato da caporali e aziende agricole, avere la legge dalla propria parte — anche se per poco — fa un’enorme differenza. Con l’approvazione del provvedimento, oltretutto, Falcone spera che ci sarà un aumento dei controlli da parte degli ispettori.
«Se ti trovano con decine di lavoratori non in regola le multe sono salate», spiega. «Questo potrebbe essere un altro incentivo per fare contratti di lavoro a queste persone».
Nell’ottica della ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova, che si è intestata la battaglia dell’emersione degli “invisibili“, la messa in regola dei lavoratori stranieri nei settori ora riscoperti essenziali (come agricoltura e caregiving) deriva da una necessità sanitaria e di mercato.
Nel decreto appena approvato ci sono due vie per la messa in regola: da una lato i datori di lavoro possono presentare — pagando un contributo forfettario di 400 euro — un’istanza per regolarizzare lavoratori italiani o stranieri finora tenuti in nero. A patto che, però, gli stranieri siano stati fotosegnalati in Italia prima dell’8 marzo 2020 e non abbiano lasciato il territorio nazionale per tutto il periodo del lockdown.
Poi c’è la questione dei lavoratori non italiani con il permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019. In questo caso, pagando 160 euro (non una cifra da niente, ndr), otterranno un permesso di soggiorno temporaneo della durata di 6 mesi attraverso una domanda presentata al questore dal 1 giugno al 15 luglio. Se nei sei mesi di permesso temporaneo lo straniero esibisce un contratto di lavoro subordinato, il permesso verrà convertito in permesso per motivi di lavoro.
«Nei campi mancano i diritti, non le braccia», aveva scritto Aboubakar Soumahoro, ex bracciante e da anni sindacalista per i diritti dei lavoratori agricoli. Quello di Soumahoro, quello di Falcone e dei lavoratori agricoli è un punto di partenza opposto da quello offerto da Bellanova — che, spiegando la sua proposta, aveva detto che non si tratta di «fare un piacere a queste persone» ma di «risolvere un problema di manodopera» derivato dall’emergenza Coronavirus. In ogni caso, a prescindere dalle intenzioni politiche, può essere un’occasione per costruire qualcosa di più grande.
(da agenzie)
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Maggio 11th, 2020 Riccardo Fucile
E’ ASSURDO CHE MISURE APPOGGIATE ANCHE DA CONFAGRICOLTURA PER EVITARE CHE FRUTTA E VERDURA NON ARRIVINO PIU’ SULLE TAVOLE DEGLI ITALIANI, MISURE CHE FAREBBERO INCASSARE 2,6 MILIARDI DI TASSE ALLO STATO E A CUI E’ FAVOREVOLE LA MAGGIORANZA DEGLI ITALIANI RESTINO BLOCCATE PER CHISSA’ QUALI INTERESSI M5S
Torna in bilico l’intesa sulle regolarizzazioni dei migranti che lavorano nel settore agricolo. Nel vertice di questa notte era stato siglato un primo compromesso sulla sanatoria tra tutti i partiti della maggioranza sulla norma di cui si discute da giorni: accanto all’istanza del datore di lavoro ci doveva essere, infatti, l’istanza del lavoratore, che otterrà un permesso temporaneo di sei mesi, convertibile in permesso di lavoro alla sottoscrizione del contratto, ma con verifiche più stringenti che provino di aver svolto in passato attività lavorativa nel settore agricolo.
Poi gli stessi grillini hanno ricanbiato idea, ponendo altri paletti pretestuosi per prendere altro tempo e far slittare il decreto.
Il tutto mentre le stesse associazioni dell’agricoltura chiedono a gran voce che sia permessa la regolarizzazione perchè non c’e’ manodopera sufficiente tra i braccianti, servono almeno 200.000 lavoratori.
I grillini non si sono spostati dalle loro posizioni, pertanto i punti fondamentali per la regolarizzazione stanno saltando. E con essi la possibilità di far venir fuori una gran parte del lavoro sommerso. Le prossime ore prima del Consiglio dei ministri potrebbero riservare ancora sorprese.
(da agenzie)
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Maggio 1st, 2020 Riccardo Fucile
IL LEADER DELLA CGIL CHIEDE UN NUOVO STATUTO DEI LAVORATORI E PARLA DI UN NUOVO MODELLO PRODUTTIVO E SOCIALE
Segretario Maurizio Landini, che effetto le fa questo Primo maggio senza piazze?
Sarà un primo maggio di speranza. Di fiducia nella capacità dei ricercatori, quelli italiani innanzitutto, di trovare rimedi e cure adeguate per il virus, e di aspettative per il futuro, per una ripresa economica in tempi rapidi, per un’efficace azione contro il pericolo di nuove povertà e diseguaglianze. Le piazze sono la Democrazia, ancor più il primo maggio, quando si festeggia il lavoro. Abbiamo dovuto reinventare la festa, trasferirla nello spazio della rete che per quanto grande sia fatica lo stesso a contenere l’immensità del mondo del lavoro.
Parafrasando l’abusata metafora della guerra, diciamo che la guerra (al virus) continua. Teme che un periodo così lungo si sospensione della socialità possa aver infettato la democrazia?
Non mi piace la metafora della guerra. È bugiarda e sbagliata, può arrivare a giustificare qualunque cosa, anche la limitazione della libertà e della democrazia. Siamo in uno stato di emergenza sanitaria per contrastare una pandemia e bloccare un virus nei luoghi di lavoro e nel Paese. Penso che dobbiamo, tutti, trovare il modo di garantire la tutela della salute, del lavoro, la difesa e sviluppo dell’economia mantenendo e, se possibile, aumentando la democrazia e la partecipazione.
In questa crisi, in campo c’è il governo, con le sue misure eccezionali, le sue task force, la sua comunicazione. Dove è il sindacato? Sembra si sia occultato nel suo ruolo di supporto al governo.
Sindacato significa milioni d’iscritti, decine di migliaia di delegate e delegati che, nei luoghi di lavoro e nei territori, sono in campo, fin dal primo giorno, per la tutela della salute e della sicurezza economica di tutti. E penso che proprio tutti dovrebbero ringraziare il mondo del lavoro per ciò che ha fatto e sta facendo. Non abbiamo pensato solo alle lavoratrici e ai lavoratori.
Parlo della sua capacità di incidere politicamente.
C’è stata. Abbiamo sostenuto misure anche a favore delle imprese, nel contrasto alle forme di povertà e diseguaglianza che il coronavirus rischia di aumentare. Penso che una forza responsabile, quali noi siamo, debba sempre essere in campo coerentemente con le proprie proposte e, lealmente, farle valere nei confronti di tutti. Questo è quello che abbiamo fatto anche in questa occasione.
Segretario, diciamo le cose come stanno. Questa fase 2 è una confusione totale. E lo è perchè manca al Governo un’idea di ricostruzione. È ora di uscire dalla tenaglia “lockdown sì” “lockdown no”. Condivide?
Che ci siano stati momenti di confusione è fuori dubbio. È anche vero che mai si era avuta una situazione così complessa. Sul futuro penso sia indispensabile aprire un’ampia riflessione su cosa fare e su come farlo. Il virus inciderà profondamente nelle relazioni geopolitiche e geoeconomiche, nell’economia, nella politica, negli aspetti più banali della società . Probabilmente inciderà anche sulle singole persone.
Oltre a riflettere, forse, bisognerebbe prendere decisioni, subito. Dia il suo indirizzo.
Ripartire dove ci siamo fermati con la stessa “macchina” di prima, sarebbe un errore imperdonabile. Dobbiamo ripensare l’intera organizzazione sociale del lavoro, ridando valore al lavoro, facendo contare di più i lavoratori nelle scelte, a tutti i livelli. E dobbiamo ripensare l’economia, dal fisco e dal welfare; la sanità ; la formazione e l’istruzione; la pubblica amministrazione; la politica industriale; gli investimenti; la sostenibilità ambientale. Abbiamo bisogno di una nuova prospettiva politica, sindacale e culturale.
Regioni di destra contro Regioni di sinistra, Sud contro Nord, siamo assistendo a uno scollamento del tessuto unitario. O no?
Sì, e questo dimostra che lo slogan “ognuno padrone a casa propria” è terribilmente, e non lo uso a caso, sbagliato. Sì c’è stata confusione. Ci sono stati sbagli che stanno facendo pagare alle fasce più deboli, agli anziani, prezzi altissimi e su cui bisognerà andare sino in fondo nell’accertamento delle responsabilità . C’è stato, in qualche caso, irresponsabilità e pressapochismo. Quando saremo fuori dall’emergenza, dovremo pensare di modificare il titolo V della Costituzione. Non è di questa o di maggiore autonomia differenziata che abbiamo bisogno. C’è stata anche la dimostrazione che il pubblico è fondamentale, non sostituibile neanche con il migliore privato.
Ma lei adesso è favorevole a una regionalizzazione delle aperture?
Il tema delle riaperture è delicato. Vanno fatte con le cautele del caso seguendo le indicazioni degli esperti e valutandole politicamente. Di sicuro dove si apre, si deve fare nell’assoluto rispetto dei protocolli di sicurezza, monitorando l’epidemia e attuando tutte le precauzioni e le prevenzioni possibili.
Lei si è battuto far tornare i lavoratori in una condizione di sicurezza assoluta. Basta la sorveglianza interna dei lavoratori nelle aziende? Oppure era il caso di chiedere un intervento di controllo più pervasivo dello Stato, che ne so tramite i prefetti o altre figure dentro l’azienda?
Il nostro obiettivo primario è stata la tutela della salute di tutti i lavoratori è cioè di tutti i cittadini. Con il Governo e con le imprese abbiamo concordato un Protocollo condiviso di regole che è la strada per riaprire in sicurezza le aziende e gli uffici. È un impianto condiviso che ha assunto un valore giuridico e ora va fatto applicare. Con Cisl e Uil sui luoghi di lavoro e sul territorio siamo impegnati a farlo rispettare. Certo bisogna che siano potenziati i servizi ispettivi del Ministero del Lavoro e dei servizi di prevenzione e sicurezza del lavoro delle Asl.
E questo vale per chi torna al lavoro. C’è il problema della Cassa integrazione con i soldi che ancora non arrivano, così come i 600 euro mancano ancora a molte categorie. Non sarebbe il caso di finirla con gli annunci?
Ora si tratta di far rispettare a tutti gli impegni assunti. Le misure che lei cita sono state le nostre priorità assieme alla sicurezza nei luoghi di lavoro: evitare i licenziamenti e continuare a dare a tutti un reddito. Abbiamo chiesto e ottenuto l’allargamento della Cig a tutti i settori e un’azione di sostegno ai lavoratori autonomi e alle partite Iva, oltre che alle fasce più deboli e più povere della popolazione. Poi abbiamo rivendicato con forza la necessità di sostenere le imprese dando liquidità alle aziende. Abbiamo poi chiesto di favorire l’apertura di una linea di credito a tassi bassissimi, se non a fondo perduto. L’unico vincolo che chiediamo e di condizionare questi aiuti al mantenimento dell’occupazione e alla non delocalizzazione. Ora, dicevo, gli impegni si rispettano.
Sì, però vorrei porle una questione più di fondo. Di fronte al disastro che abbiamo davanti, Pil, disoccupazione, investimenti, cosa è disposto a fare il sindacato, che nella migliore tradizione nazionale, ha sempre avuto un ruolo di protagonismo, una visione generale si sarebbe detto?
Vorrei dirle che il sindacato sta già facendo molto. Intanto ha una proposta complessiva di riforma per il Paese, a cominciare dal lavoro. È tempo di un nuovo Statuto dei Diritti che si riferisca alle persone che lavorano e non semplicemente al tipo di rapporto attivato. Il lavoro non può più essere solo un fattore della produzione, un numero, un costo sempre e comunque comprimibile. Il diritto del lavoro deve essere riconfigurato, deve comprendere, ad esempio, il diritto alla formazione permanente, deve tutelare e promuovere le nuove condizioni che globalizzazione e innovazione tecnologica pongono. I meccanismi economici vanno ripensati in modo profondo. Per dirla con uno slogan, va ripensato il nostro modello di sviluppo e il nostro sistema sociale.
Col declassamento delle agenzie di rating è evidente che non si può scialare. Teme in autunno che si porrà il tema della ristrutturazione del debito?
Io lascerei stare le previsioni delle agenzie di rating. Forse ce lo siamo scordati, ma nel recente passato hanno causato danni enormi all’economia mondiale.
Per carità , però ci sono.
Siamo di fronte a una crisi che non ha nulla a che vedere con i meccanismi economici e finanziari che abbiamo visto finora. Gli Stati stanno investendo trilioni di dollari nella risposta alle difficoltà economiche del coronavirus. Inevitabilmente lo fanno in deficit. Ragionare con i parametri del passato è sbagliato. L’Europa deve essere in campo. Rappresenta la terza economia del mondo, non può attardarsi. Si è aperto uno spiraglio per cambiare la politica dell’austerità .
E, tutto sommato, l’Europa ha dato un segnali di vita a riguardo. Tuttavia resta il problema del nostro debito, che avevamo prima e abbiamo adesso. Per il momento abbiamo solo ottenuto spazio per prestiti a basso costo.
Dobbiamo insistere e proseguire su quella strada presa insistendo perchè l’Europa possa usufruire di nuovi strumenti e di fondi capaci di supportare i grandi investimenti che tutti i paesi dell’Unione dovranno mettere in campo.
Lei è molto indulgente con questo governo. Non crede che, tra cessione di sovranità ai tecnici, annunci senza soldi che arrivano, assenza di un’idea di ricostruzione, sta favorendo un deflault della politica? E che questo default inevitabilmente porti a una soluzione di emergenza?
La Cgil è abituata a giudicare in autonomia ciò che fanno gli governi, non da chi sono composti. La nostra coerenza programmatica è certificata. Del resto negli ultimi dieci anni abbiamo già avuto sette diverse compagini governative e il problema di un rischio default della politica, come dice lei, c’era anche prima del virus.
Appunto, il virus è arrivato su un equilibrio instabile.
L’epidemia è un fatto inedito con cui fare i conti. La prima fase ha prodotto una serie di provvedimenti importanti come, ad esempio, il sostegno al reddito e gli ammortizzatori sociali, la liquidità per le imprese, il blocco dei licenziamenti, il protocollo sulla sicurezza assunto con valore giuridico, l’aumento degli investimenti a cominciare da quelli nella sanità pubblica. La “ricostruzione” porrà il tema di non usare una logica emergenziale, ma di tracciare un vero e proprio progetto di Paese e di Europa.
Quindi, lei è contrario a una situazione di emergenza.
In politica non c’è bisogno di soluzioni emergenziali, di salvatori della patria o di governi tecnici. C’è bisogno del coinvolgimento delle parti sociali per discutere e tracciare un nuovo assetto sociale, economico e produttivo. O si cambia tutti insieme o non si va da nessuna parte.
Quale è dal suo punto di vista l’alternativa a questo Governo? Il voto?
Ma davvero qualcuno può pensare che sia l’ora di far cadere il Governo? Come se la crisi di Governo agostana, quella del Papeete, ritenuta folle da tutti, non avesse insegnato nulla. E adesso, in piena pandemia, qualcuno davvero può pensare di far cadere un Governo? Davvero c’è qualcuno che pensa di rompere le alleanze invece di allargarle? Via…
Questa crisi, diceva giustamente lei, è uno spartiacque della storia. Il modello produttivo non regge più. Prefigurate un nuovo modello di concertazione o una nuova conflittualità imprese-lavoro?
Il virus ha fatto emergere tutte le fragilità del modello produttivo e sociale che si è affermato negli ultimi decenni. Credo sia necessario un accordo tra Governo e parti sociali che, dopo aver definito il Protocollo sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, definisca le linee guida e le risorse finanziarie per disegnare uno sviluppo sicuro, di tutto il Paese. In questo ambito penso che, rispetto al sistema di relazioni industriali, sia il momento di avviare una stagione legislativa sulla rappresentanza che recepisca gli accordi interconfederali e, certificando la rappresentanza delle organizzazioni sindacale e datoriali, rafforzi il diritto alla contrattazione collettiva, dando così valore erga omnes ai contratti nazionali di lavoro. Finalmente si avrebbe la certezza del diritto democratico delle lavoratrici e dei lavoratori di partecipare e di votare.
Condivide le critiche che fa Carlo Bonomi, il presidente designato di Confindustria, alla politica? Dice: troppe chiacchiere, troppe task force, c’è, in materia di riaperture, uno spirito “anti-industriale”.
Non ho ancora avuto occasione di parlare con il presidente Bonomi, a cui rinnovo i miei auguri e i miei complimenti. Alcune sue prime dichiarazioni non le ho capite. Si può dire tutto, ma non che nella maggioranza di questo Paese ci sia uno spirito anti-industriale. Al contrario. Penso che il cambiamento debba riguardare tutti, imprenditori compresi, e quindi anche il modo di fare ed essere impresa.
Come interpreta il nuovo corso di Confindustria?
Prima di parlare è bene sapere. La squadra che ha proposto il presidente incaricato è certamente di qualità , con alcuni ho già lavorato bene in passato, altri non ho ancora avuto modo di incontrarli, cosa che farò con piacere in prossimo futuro. A tutti vanno i miei auguri e quelli della Cgil. Ma prima di dire ciò che penso voglio conoscere bene il programma della nuova Presidenza.
Se è vero che le grandi categoria della macroeconomia sono cambiate, se è vero che dopo il virus nulla sarà come prima, non crede che anche quelle del sindacato debbano innovarsi? Ricordo uno delle ultime riflessioni di Trentin, aveva nella testa lo smart working prima che si compisse la rivoluzione tecnologica. Quale sforzo di innovazione sta facendo la Cgil?
Trentin ci ha insegnato ad assumere la realizzazione delle persone e la loro libertà nel lavoro quali obiettivi strategici dell’azione politica e contrattuale dell’organizzazione sindacale e fondamento di un nuovo modello sociale.
Tradotto?
Significa superare l’idea prevalsa in questi anni di una competizione al ribasso sui diritti e le condizioni salariali tra le persone che hanno ridotto il lavoro ad essere considerato una merce da comprare e vendere sul mercato e determinato una precarietà nel lavoro e nella vita senza precedenti. L’emergenza sanitaria, l’emergenza climatica e la rivoluzione digitale, che stiamo vivendo rimette al centro il lavoro, il diritto alla formazione permanente, il diritto delle persone di poter partecipare alle decisioni che si prendono nei luoghi di lavoro e nella società . Certo, questo richiede un cambiamento culturale ed organizzativo anche per la Cgil e per tutto il sindacato Confederale.
Lo dica in un titolo cosa sarà la sua Cgil in questa fase. A me sembra che, proprio lei che è stato il più movimentista, si è molto istituzionalizzato.
Sbaglia, non sono cambiato. Il nostro compito, attraverso l’azione contrattuale nazionale ed articolata, è quello di sperimentare, nei luoghi di lavoro e sul territorio, un nuovo modo di lavorare e di vivere, dando più spazio alle delegate ed ai delegati così come alle generazioni. Vogliamo essere un sindacato di strada capace di agire sul territorio e nei luoghi di lavoro. Vogliamo costruire l’unità del mondo del lavoro e quella sindacale, un più corretto sistema di contrattazione nelle imprese private e nella pubblica amministrazione. Questo è il cambiamento e l’innovazione di cui abbiamo bisogno.
La crisi sta ridisegnando le classi sociali. Ad esempio, i nuovi poveri: colf, badanti, lavoratori ambulanti, camerieri, lavoratori in nero. Chi pensa a loro?
Noi. Il sindacato confederale. Sono le nostre radici, è la nostra storia. Quando a partire dal 1891 nascevano in Italia le prime Camere del Lavoro tra i promotori non c’erano solo i lavoratori salariati o dipendenti ma la Lega dei fornai o dei ciabattini, per fare degli esempi, che oggi definiremmo commercianti o artigiani. Insieme con giustizia è il significato della parola sindacato. L’emancipazione della classe lavoratrice in tutte le forme con cui oggi al lavoro si esprime, dal lavoro dipendente alla partita Iva, rimane un obiettivo e un valore fondante della nostra azione.
E cosa propone per loro?
Dobbiamo oggi battersi per un nuovo Statuto del lavoro che ponga i diritti in capo alla persona che lavora e non al tipo di rapporto di lavoro. Cinquant’anni fa il Parlamento, votando lo Statuto, fu capace di far entrare la Costituzione in tutti i luoghi di lavoro. Oggi vogliamo di nuovo far vivere la Costituzione in un mondo del lavoro così diverso.
La nuova povertà si fronteggia col reddito di emergenza? È la logica dell’una tantum, del sostegno provvisorio. Basta?
No, la povertà e la diseguaglianza non hanno bisogno di una tantum, bonus o sostegni provvisori. La lotta alla povertà e alla diseguaglianza è un valore e una progettualità o non è. Penso che tutti dovremo impegnarci di più su questo fronte. Dobbiamo mettere in campo politiche subito politiche specifiche e universali che ci aiutino a scongiurare questo pericolo, perchè poi sarà tardi. La nostra proposta parte dall’idea di un reddito di garanzia e continuità , esteso a tutti e collegato all’obbligo di percorsi formativi e di ricollocazione. Poi ci sono le povertà e le diseguaglianze immateriali. La conoscenza, la formazione, la scuola. Sono molto preoccupato per quello che potrà accadere a una generazione che ha perso una parte importante della formazione scolastica. Dobbiamo rimediare e dobbiamo farlo in fretta.
A proposito degli ultimi, condivide l’appello lanciato da Emma Bonino su HuffPost, a favore di un provvedimento straordinario sugli immigrati, che vada a svuotare il bacino degli irregolari e consenta di affrontare il futuro in condizioni di sicurezza per tutti?
Sì, serve un atto di coraggio, di civiltà e di umanità . Queste persone assicurano il cibo sulle nostre tavole. Ci portano i prodotti che compriamo seduti nel nostro salotto. Curano i nostri anziani e puliscono, oggi igienizzano, dove noi sporchiamo. La Cgil da tantissimo tempo si batte per la regolarizzazione dei lavoratori migranti. Il coronavirus ha aggravato le loro condizioni di vita e di lavoro. Si tratta di lavoratori tenuti spesso in condizione di vera e propria schiavitù. Ora con l’emergenza nell’emergenza, per la sicurezza di tutti e per ragioni di giustizia, umanità , civiltà , diritto queste persone vanno messe in condizioni di vivere, lavorare, curarsi, di aiutare il nostro Paese e la nostra economia, senza più essere sfruttati e senza doversi nascondere. Questa è la prospettiva non certo quella di chi vuole reintrodurre voucher, tenere il caporalato, continuare a sottopagare i lavoratori.
Più in generale, si sta mandando il Paese avanti con i bonus e la cassa integrazione. La famiglia con i voucher, le imprese con le garanzie mentre i pochi soldi freschi, a fondo perduto, solo a poche microimprese. È una strategia economica?
No, guardi quella è l’emergenza. Di fronte a scelte così drastiche come il blocco produttivo d’interi settori, il distanziamento sociale, la chiusura di aree del Paese, misure che tutti i Paesi del mondo hanno dovuto prendere, c’è una sola strada da percorrere: finanziare il lavoro, le famiglie e le imprese. Qualcuno è rimasto fuori? È possibile e bisogna rimediare al più presto. Poi bisognerà affrontare la progettazione del futuro.
Anche in questo caso: non ha ragione Bonomi che i decreti varati per dare soldi alle imprese sono un labirinto burocratico?
Può essere che ci siano stati ritardi e che alcuni meccanismi siano complicati. Si può sempre migliorare. Se il problema è la burocrazia, sono il primo a chiedere semplificazione aggiornamento delle procedure, maggiore informatizzazione, più personale, organizzazione della pubblica amministrazione, del sistema finanziario e delle banche. Se la richiesta è di saltare i controlli necessari a evitare truffe o, peggio, che le risorse vadano in mano alla criminalità organizzata, diciamo no.
Guardi il Ponte di Genova. Perchè non può essere un modello di ricostruzione?
Per molti aspetti è lo stesso problema. Si tratta di velocizzare le procedure ambientali o di rendere più trasparenti e quindi più rapidi gli appalti? Vogliamo rendere più veloci i lavori di progettazione e messa in opera? Si sfonda una porta aperta. Se invece si vogliono superare verifiche sulla sicurezza ambientale, cancellare la concorrenza e avere solo ad affidamenti diretti, eludere controlli di legittimità , sulle infiltrazioni della criminalità organizzata, sulla correttezza e sicurezza del lavoro, mi spiace ma ci opporremo. Ci sono molte cose che si possono fare per migliorare, ma i limiti sono chiari e ineludibili.
Grazie, anche per il tempo dedicato. Buon Primo maggio.
Buon Primo maggio a tutti.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 29th, 2020 Riccardo Fucile
I DATI INAIL, AUMENTANO LE MORTI BIANCHE
A gennaio 2020 sono diminuite le denunce di infortuni sul lavoro rispetto allo stesso mese dello scorso anno, ma sono aumentate le denunce per i casi mortali.
Lo affermano i dati dell’Inail che hanno analizzato le denunce di infortunio presentate nel primo mese del 2020: queste sono state 46.483, cioè il 3% in meno rispetto a gennaio 2019. In termini numerici si tratta di un calo di 1.400 casi, paragonati ai 47.908 di un anno fa.
Tuttavia, si sono registrate 52 morti bianche, in aumento del 18,2% sul 2019. Al contrario, in diminuzione anche le denunce riguardanti le patologie di origine professionale: con il 5,6% in meno, si sono registrati 4.634 casi.
Per quanto riguarda le denunce di infortunio, sul sito dell’Inail si legge: “I dati rilevati al 31 gennaio di ciascun anno evidenziano a livello nazionale un decremento sia dei casi avvenuti in occasione di lavoro, passati da 41.475 a 40.712 (-1,8%), sia di quelli in itinere, occorsi cioè nel tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il posto di lavoro, che hanno fatto registrare un calo pari al 10,3%, da 6.433 a 5.771”. Si segnala inoltre, che il calo più importante sia avvenuto nel settore dell’industria e dei servizi: una diminuzione più contenuta ha riguardato invece l’agricoltura, “mentre nel Conto Stato si registra un aumento dell’1,9%”.
Il calo di denunce di infortunio, a livello geografico, ha riguardato in modo sostanzialmente uniforme tutto il Paese: “Tra le regioni con i maggiori decrementi percentuali si segnalano il Molise, la Sardegna e la Valle d’Aosta, mentre gli incrementi sono circoscritti a poche regioni, prime fra tutte Puglia, Campania e Friuli Venezia Giulia”. La riduzione ha interessato sia la componente di lavoratori maschile che quella femminile e praticamente tutte le fasce d’età , “a eccezione di quella degli under 20, che registra un +4,2%”. Per quanto riguarda gli infortuni, il report conclude: “La diminuzione ha interessato solo i lavoratori italiani (-4,0%), mentre quelli comunitari ed extracomunitari hanno presentato incrementi pari, rispettivamente, al +8,0% e +1,0%”.
Invece, sui casi mortali, l’Inail sottolinea che con 52 decessi le vittime di infortuni nel lavoro siano aumentate rispetto alle 44 registrate nel primo mese del 2019. “L’aumento ha riguardato tutte le gestioni: Industria e servizi (da 39 a 43 denunce), Agricoltura (da 5 a 7) e Conto Stato (da 0 a 2)”, si legge.
Per quanto riguarda la geografia delle morti bianchi l’Inail specifica: “Dall’analisi territoriale emerge un aumento di cinque casi mortali nel Nord-Est (da 9 a 14), di tre al Centro (da 9 a 12) e di uno sia al Sud (da 8 a 9) che nelle Isole (da 4 a 5). Il Nord-Ovest si contraddistingue, invece, per un calo di due casi (da 14 a 12), complici soprattutto i sette casi mortali in meno registrati in Lombardia (da 10 a 3)”. L’aumento registrato riguarda in particolare la componente maschile. Infine, sono in “aumento le denunce dei lavoratori italiani (da 29 a 43), mentre i decessi dei comunitari sono stati cinque in entrambi i periodi e quelli dei lavoratori extracomunitari sono diminuiti da 10 a 4”.
(da agenzie)
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Febbraio 15th, 2020 Riccardo Fucile
MANCA IL 33%: POCHI CANDIDATI O SCARSA PREPARAZIONE… QUESTI I MESTIERI PIU’ RICERCATI E DOVE
I nuovi posti di lavoro ci sono, ma mancano le persone da assumere. E i motivi sono, in parte
la mancanza di candidati, in parte il fatto che a presentarsi sono persone non abbastanza qualificate. Un quadro che sta creando non poche difficoltà agli imprenditori, in particolar modo nel Nord Est.
La situazione emerge da un’elaborazione effettuata dall’Ufficio studi della Cgia, secondo la quale manca all’appello addirittura il 32,8% delle assunzioni previste.
Su poco meno di 500 mila assunzioni previste a gennaio, il 32,8% degli imprenditori intervistati, evidenzia l’elaborazione condotta sui risultati di un’indagine Unioncamere-Anpal, ha segnalato che probabilmente troverà molte difficoltà a “coprire” questi posti di lavoro (poco più di 151.300), il 15,7% a causa della mancanza di candidati e il 13,8% per la scarsa preparazione.
Il problema, spiega il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo, è che “l’offerta di lavoro si sta polarizzando: da un lato gli imprenditori cercano sempre più personale altamente qualificato, dall’altro figure caratterizzate da bassi livelli di competenze e specializzazione”.
Se per i primi le difficoltà di reperimento sono “strutturali”, a causa anche dello scollamento che in alcune aree del Paese si è creato tra la scuola e il mondo del lavoro, prosegue Zabeo, “i secondi invece sono profili che spesso i nostri giovani rifiutano, e solo in parte vengono coperti dagli stranieri”.
A livello provinciale le situazioni più problematiche emergono a Nordest: nella provincia di Gorizia il personale di difficile reperimento incide per il 48,1% sulle assunzioni previste, a Trieste il 45,5%, a Vicenza il 44,6%, a Pordenone il 44,2%, a Reggio Emilia il 42,7%, a Treviso il 42,3% e a Piacenza il 40,5%.
Tra le figure professionali che scarseggiano di più al Nord vi sono i tecnici informatici, gli addetti alla vendita e gli esperti in marketing, i progettisti, gli ingegneri, i cuochi, i camerieri, gli operai metalmeccanici ed elettromeccanici.
Ma anche al Sud la percentuale media di difficile reperimento è comunque notevole, pari al 27,5%, con punte del 35,7% a Chieti, del 34,4% a Teramo, del 32,5% a Siracusa, del 32,2% a Potenza, del 31,7% a Taranto, del 31,6% a L’Aquila e del 30,6% a Cagliari.
Al sud, le professioni di più difficile reperimento, sono cuochi, camerieri, altre professioni dei servizi turistici e, in particolar modo, conduttori di mezzi di trasporto, ovvero gli autotrasportatori.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 10th, 2020 Riccardo Fucile
IL SOLE 24 ORE PUBBLICA I DATI DEL FALLIMENTO DELLE PROMESSE DI DI MAIO
Il Sole 24 Ore torna oggi sui dati del reddito di cittadinanza, ricordando che solo il 3,63% di chi percepisce il sussidio ha oggi trovato lavoro secondo i numeri dell’ANPAL.
I beneficiari sono 2,3 milioni (escluse le pensioni), di cui circa 791mila risultano occupabili, ma al 10 dicembre 2019 coloro che avevano trovato lavoro erano solo 28mila, cioè il 3,6% del totale (dati Anpal).
Sono questi i risultati ottenuti dai centri per l’impiego, per lo più registrati da ottobre in poi. Il lavoro dei navigator è partito in ritardo e bisognerà aspettare per fare un vero bilancio.
Nel frattempo, però, va ancora rodato il coordinamento con i servizi sociali dei Comuni.
I criteri di ripartizione dei beneficiari tra i due uffici sono stati stabiliti per legge, ma le situazioni di maggiore fragilità spesso richiedono un intervento congiunto oppure un’analisi preliminare.
«Va ottimizzata la presa in carico di quei nuclei che spesso manifestano bisogni ulteriori all’inclusione lavorativa e una molteplicità di problematiche», afferma Samantha Palombo, responsabile dell’area Welfare per l’Anci. Ad esempio la perdita di lavoro, i figli minori, situazioni di dipendenze o disabilità .
Sul punto, rimane ancora da definire l’accordo sui criteri di rinvio dei beneficiari dai Centri per l’impiego ai Comuni, su cui è stato attivato un tavolo ministeriale.
In questo senso, l’Anci auspica l’avvio di un percorso per individuare «criteri condivisi di smistamento» della platea: «Questa valutazione non può essere affidata ad automatismi sulla base di alcuni indicatori», aggiunge Palombo.
Restano ancora fermi, infine, i progetti di pubblica utilità (Puc) dei Comuni, pronti a decollare dopo l’approvazione del decreto ministeriale pubblicato il 14 gennaio 2020 in Gazzetta ufficiale. Il decreto, però, è in attesa della registrazione da parte della Corte dei Conti e nella piattaforma informatica «per l’inclusione sociale» del ministero del Lavoro manca la sezione dedicata.
(da agenzie)
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Febbraio 4th, 2020 Riccardo Fucile
GRANDI ANNUNCI PER IL FUTURO, UN PATRIMONIO A CUI CONTRIBUISCONO OGNI GIORNO MIGLIAIA DI PRECARI
Il traguardo raggiunto dallo Spallanzani di Roma — dove una squadra composta soprattutto da
donne è riuscita a isolare il nuovo coronavirus cinese — sta avendo un “effetto collaterale” che fa riflettere sullo stato di (in)consapevolezza del nostro Paese sul tema della Ricerca.
È come se la politica e i media scoprissero oggi un altro virus: quello del precariato, un calvario che chiunque abbia un minimo di esperienza — diretta o indiretta — sa benissimo essere lo scheletro fragile su cui si regge il sistema italiano.
Uno scheletro che resiste e porta grandi risultati — come quello sul virus cinese — anche grazie alla passione e alla determinazione di migliaia di precari, giovani e meno giovani. Perchè alla stabilizzazione, quando ci si arriva, sulla torta ci sono di solito tra le 40 e le 50 candeline.
È un mix di passione, ostinazione e resilienza quello che ogni giorno manda avanti gli Istituti italiani. Un mix che la politica sembra scoprire oggi, sull’onda mediatica del coronavirus.
Ad aumentare l’esoticità di questa storia, poi, c’è il fatto che il team dello Spallanzani sia guidato da una donna, Maria Rosaria Capobianchi, e sia composto quasi interamente da donne: donne che — altra incredibile sorpresa! – possono avere cervelli brillanti e nervi saldi. E malgrado ciò essere ancora precarie, come è il caso di Francesca Colavita, trentenne di Campobasso che da quattro anni lavora nel Dipartimento di Virologia dello Spallanzani con un contratto a tempo determinato da circa 20mila euro l’anno. Data di scadenza: novembre 2021.
Oggi per lei dovrebbe arrivare la svolta. Secondo il Messaggero, infatti, la Regione Lazio si sta muovendo per non farsela scappare. Francesca ha vinto un concorso da biologa alla Regione Molise, ma viste le sue competenze di altissimo livello e gli anni che ha impegnato nella ricerca sui virus, lo Spallanzani e il Lazio hanno chiesto al Molise di concedere il via libera per l’assunzione a Roma. La buona notizia è attesa per oggi.
Gaetano Manfredi, il nuovo ministro dell’Università e della Ricerca, grida alla vergogna per un precariato che — conti alla mano — può durare fino a 18 anni.
“Inizierei a riformare il pre-ruolo. Oggi in Italia si può restare assegnisti di ricerca per dieci anni. Se a questo periodo si sommano altre otto stagioni potenziali da ricercatore, si arriva ad ambire alla cattedra da docente a 45 anni. Troppo tardi”
Seguono grandi annunci, promesse e indicazioni per invertire la rotta.
“Il miliardo di euro chiesto dal mio predecessore per l’università e la ricerca è un riferimento giusto”, sottolinea Manfredi in un’intervista a Repubblica in cui ribadisce le richieste del suo dicastero: “Un miliardo per i tre anni di governo che abbiamo davanti […], è fondamentale che siano certi e distribuiti con continuità ”.
“Partiamo subito — annuncia ancora Manfredi – con 400 milioni per l’edilizia universitaria. Un mese e sarà pronto il bando a cui potranno partecipare gli atenei pubblici del Paese. C’è chi ha progettato un nuovo campus, chi deve ammodernare le aule. Un finanziamento nazionale per l’edilizia non si vedeva da 12 anni”.
Sul piano, poi, per assumere 1.600 nuovi ricercatori, precisa: “Entrerà nel Decreto Milleproroghe, sarà approvato entro febbraio. Dobbiamo ripartire i ricercatori sulle sessantuno università pubbliche, che a fine anno faranno i concorsi”. Per gli Enti di ricerca, prosegue, “ci sono 200 milioni, affiancheremo alcuni loro progetti. Entro marzo”. “Guido un ministero con portafoglio, con maggiore potere contrattuale”, assicura ancora il ministro.
Si fa sentire anche Roberto Speranza, ministro della Salute che fin dalla sua entrata in carica ha sempre insistito sull’importanza di valorizzare il “capitale umano”. “Da tempo insisto sul fatto che bisogna investire nel nostro Sistema sanitario nazionale. In questa manovra di bilancio per la prima volta dopo molti anni ci sono due miliardi in più sul fondo sanitario, due miliardi sull’edilizia e ammodernamento tecnologico, l’abolizione del superticket e voglio ricordare misure importanti sul lato della precarietà . In questa manovra di bilancio per il comparto salute c’è un’estensione dei termini della legge Madia che consentirà ad oltre 30 mila persone di essere stabilizzate. Dobbiamo investire sul nostro capitale umano. In questi giorni ci si rende conto di quanto sia fondamentale avere un Sistema sanitario nazionale di qualità ”.
E il problema, forse, sta proprio qui: nel fatto che solo “in questi giorni” – nel pieno dell’emergenza e dell’isteria da coronavirus — ci si renda conto dell’enorme ma delicato patrimonio della ricerca italiana. Dagli Stati Uniti è Ilaria Capua, virologa dell’Università della Florida, prima in Italia a lavorare sulla sequenza genica del virus dell’aviaria, a restituirci una fotografia dello stato della ricerca in Italia, dove “tutto è ingessato, la flessibilità non esiste”. “Per non parlare — dice, in un’intervista al Messaggero — della parità tra uomo e donna. La diversità è solo ricchezza. Ma non lo si vuole capire”.
Quanto al virus del precariato, secondo Capua il problema dell’Italia è che fatica a considerare i giovani come una risorsa. “Nei laboratori non si contano i giovani, e meno giovani, che stanno lì a lavorare con contratti precari. Spesso senza alcuna certezza […]. Nessuno si chiede, per esempio, ‘chi glielo fa fare’? Se fosse fatta questa domanda si scoprirebbe che si tratta di persone appassionate. Direi ispirate. Non si lavora nella scienza per ripiego o perchè non si aveva altro da fare. E allora perchè non pensare a loro come una risorsa?”.
Già , perchè?
(da “NextQuotidiano”)
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