Destra di Popolo.net

MENTRE BERLUSCONI PERDE TEMPO IN EUROPA, SARKOZY VISITA LA LIBIA E METTE LA FRANCIA IN POLE POSITION PER LA RICOSTRUZIONE

Settembre 16th, 2011 Riccardo Fucile

L’OBIETIVO E’ BATTERE L’ITALIA: DISCORSO DEL PRESDIENTE FRANCESE A MISURATA…IN DISCUSSIONE I CONTRATTI PETROLIFERI E GLI APPALTI INDUSTRIALI PER LA GESTIONE DEI PORTI E DELLE INFRASTRUTURE

Non è che a Parigi le cose da fare manchino.
La «manovrina» appena approvata, da mettere in atto. Le banche che crollano in Borsa. Le trattative con Merkel e Barroso per impedire il default greco.
Ma ieri Sarkozy ha trovato il tempo di compiere una visita lampo in Libia, accompagnato dal premier britannico David Cameron.
Perchè, da quando il presidente francese è stato il primo e il più risoluto nel volere l’intervento militare occidentale contro Tripoli (dopo avere pure lui accettato ai tempi la farsa delle tende piantate in mezzo a Parigi in occasione di una visita “dell’amico” Gheddafi), è deciso a battere cassa.
Vuole difendere gli interessi delle sua aziende, adesso che è scoccata l’ora della ricostruzione. La Francia è stata sempre debole in quanto a business nel Paese nordafricano.
Ebbene, perchè non sfruttare quel «capitale di simpatia», come lo chiamano a Parigi, cresciuto negli ultimi tempi in Libia nei confronti dei francesi, per imporsi sugli antichi rivali?
Non viene mai nominata, ma si tratta soprattutto dell’Italia, tradizionalmente il primo partner commerciale dei libici.
Le voci di un «salto» di Sarkozy sull’altra sponda del Mediterraneo si sono rincorse durante tutta la giornata.
Poi verso Tripoli sono decollati 160 poliziotti francesi superesperti, per preparare il viaggio e assicurarne la sicurezza.
Poi il presidente francese è decollato: anche lui, direzione Tripoli. Lì ritrova Cameron. Visita un ospedale, incontra i rappresentanti del Consiglio nazionale transitorio (Cnt) e poi si è spostato a Bengasi, dove il presidente francese ha pronunciare un discorso nella piazza della Libertà , in tempo per essere trasmesso ai telegiornali della sera.
E’ un’iniziativa politica, ma la valenza è chiara.
Arrivare prima degli altri (anche di un certo Berlusconi, decisamente impegnato su altri fronti). Cercare di accaparrarsi una parte dei 200 miliardi di dollari che dovrebbe valere, secondo il Cnt, la ricostruzione.
Gli altri, si sa, non restano con le mani in mano.
Neppure gli italiani, vedi la visita a Tripoli già  a fine agosto di Paolo Scaroni, amministratore delegato di Eni, per «blindare» i contratti del suo gruppo.
E non farsi fregare dai competitors.
I francesi, però, sono temibili. Si stanno muovendo alla loro maniera. Cioè organica, organizzata. Una vera macchina da guerra.
Total, il colosso petrolifero, diretto concorrente di Eni, ha già  inviato i suoi rappresentanti sul posto a incontrare i ribelli fin dal mese di giugno.
Lo stesso avrebbe fatto il contractor francese Vinci, in concorrenza con la nostra Impregilo.
La scorsa settimana il Medef, la Confindustria francese, ha organizzato in pompa magna a Parigi un convegno sulle opportunità  offerte dalla Libia, con la partecipazione di oltre 400 influenti imprenditori e il sottosegretario al Commercio estero Pierre Lellouche.
In questi giorni si segnala già  una prima missione di rappresentanti di gruppi francesi in viaggio fra Tripoli e Bengasi.
Ma una più ampia e ufficiale, guidata dello stesso Lellouche, è in preparazione per il prossimo mese.
Tra i colossi che più scalpitano, quello di Vincent Bollorè, amicissimo di Sarkozy, che già  aveva firmato a fine 2010 un contratto per la gestione del porto di Misurata.
Prima del conflitto l’Italia era il primo Paese fornitore della Libia, con esportazioni pari a 3,4 miliardi di euro.
La Francia era ferma al 6° posto, con appena un miliardo. Sul fronte del petrolio, Total produceva in loco 55mila barili al giorno, mentre Eni ben 270mila, in un Paese che in tutto fornisce 1,8 milioni di barili quotidianamente (anche se, secondo gli esperti, con i dovuti investimenti si potrebbe arrivare a quattro).
I francesi si sono lanciati in ogni direzione.
Lellouche, qualche giorno fa, lo ha detto chiaro e tondo: «Il nostro Presidente ha preso rischi politici e militari in quel Paese. Le autorità  libiche lo sanno: ci devono qualcosa».

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TORTURE E SEQUESTRI: COSI’ GHEDDAFI FACEVA IL GIOCO SPORCO PER LA CIA

Settembre 6th, 2011 Riccardo Fucile

NELLE CARTE SEGRETE TROVATE NEL BUNKER DEL RAIS, I DETTAGLI DELL’OPERAZIONE… I SERVIZI OCCIDENTALI SCRISSERO UN DISCORSO PER IL COLONNELLO

Regime canaglia o meno, la Libia di Gheddafi collaborava attivamente con i servizi segreti dell’Occidente.
Agli uomini di Tripoli toccava, manco a dirlo, il lavoro sporco: il «trattamento energico» dei sospetti terroristi. In parole povere, la tortura.
La Libia faceva parte del programma delle «rendition», il sequestro e la consegna dei sospetti a governi le cui mani erano meno legate dalla normativa sui diritti umani.
Oltre alla Libia, gli Usa hanno adoperato questo sistema con il Pakistan, l’Egitto, e altri, comprese appunto nazioni con cui i rapporti restavano difficili.
Secondo Peter Bouckaert, di Human Rights Watch, il piano consisteva nel consegnare i sospetti membri di Al Qaeda perchè fossero torturati per strappargli informazioni richieste.
La collaborazione con i fedelissimi del colonnello, sia da parte della Cia che da parte dei colleghi britannici dell’Mi-6, era iniziata dopo il 2004, l’anno della rinuncia libica alle armi non convenzionali.
Anzi, secondo una serie di documenti scoperti nell’ufficio di Moussa Koussa, capo dei servizi libici, gli agenti di Sua Maestà  erano pronti persino a fare intercettazioni telefoniche per conto degli amici libici: molto probabilmente per controllare i dissidenti libici rifugiati nel Regno Unito.
I documenti sono stati scoperti da Human Rights Watch.
Tra questi ci sarebbe anche la bozza di una proposta di discorso di rinuncia alle armi non convenzionali scritto dagli 007 occidentali per il raìs.
Per ora non ci sono garanzie sulla loro autenticità .
La Cia non conferma, ma Jennifer Youngblood, portavoce dell’agenzia, ha detto al New York Times che «non dev’essere una sorpresa che l’agenzia collabori con governi stranieri per proteggere il Paese dal terrorismo e da altre minacce»
Intanto a Tripoli la situazione continua a normalizzarsi: Ali Tarhouni, membro del direttivo del Consiglio nazionale di transizione e ministro “virtuale” del Petrolio, ha presentato un comitato che garantirà  la sicurezza della capitale, formato in prevalenza da militari.
In altre parole, i checkpoint sono ormai rari, i negozi riaprono e la vita riprende, anche se per ora gli approvvigionamenti restano difficili, e l’acqua manca ancora.
L’ambasciata italiana resta devastata e aperta, ma sul tetto sventola di nuovo il tricolore.

Gianpaolo Cadalanu
(da “La Repubblica“)

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BERLUSCONI CERCA DI IMBONIRE GLI INSORTI, MA TEME ESCANO FUORI I RETROSCENA DELL’ALLEANZA COL RAIS

Agosto 23rd, 2011 Riccardo Fucile

DAGLI ABBRACCI E DAI BACIAMANI ALLA PAURA DI UNA VENDETTA…COSI’ IL NOSTRO PAESE HA SCELTO UN BASSO PROFILO

Se parla persino Mr B, vuol dire che, per il colonnello Gheddafi e il suo regime, è proprio finita. Ieri, il presidente del Consiglio ha fatto sentire la propria voce sulla vicenda libica dopo lungo silenzio, quando l’epilogo del conflitto è ormai tracciato.
Silvio Berlusconi rivendica il posto dell’Italia accanto ai vincitori: “Il Consiglio nazionale transitorio — ha detto – e tutti i combattenti libici impegnati a Tripoli stanno coronando la loro aspirazione a una nuova Libia democratica e unita. Il governo italiano è al loro fianco”.
Da migliore amico del dittatore sconfitto a candidato migliore amico del ribelle vincitore, il passo può essere breve, quando uno ha la faccia tosta giusta.
Al Cnt, Mr B rivolge pure un appello: “Esortiamo gli insorti ad astenersi da ogni vendetta e ad affrontare con coraggio la transizione verso la democrazia con spirito di apertura nei confronti di tutte le componenti della popolazione . Al tempo stesso, chiediamo al colonnello Gheddafi di porre fine a ogni inutile resistenza, risparmiando, in tal modo, al suo popolo ulteriori sofferenze”.
Una dichiarazione compitino, dopo avere seguito sostanzialmente in silenzio il crollo di un dittatore verso cui aveva mostrato eccessiva inclinazione.
Chè, se uno gli amici se li sceglie pericolosamente fra i ceffi meno raccomandabili di questo mondo, poi qualche incidente di percorso deve pure metterlo in conto.
In tutta questa evoluzione libica, il silenzio di Berlusconi doveva probabilmente servire a rendere meno stridente l’inversione a U dell’Italia, qualificatasi prima dell’insurrezione come la migliore amica del regime libico e che, dopo l’esplosione della rivolta, quando cambiare cavallo diventa inevitabile, cerca di riciclarsi come migliore amica della nuova Libia.
A quel punto, è meglio che Berlusconi , l’uomo che s’è inginocchiato di fronte a Gheddafi e che lo ha accolto due volte a Roma con onori straordinari, facendogli piantare la tenda a Villa Pamphili e lasciandogli predicare il Corano a centinaia di ‘vergini’, parli il meno possibile.
Tanto più che, all’inizio della crisi, le dichiarazioni del premier avevano spesso causato imbarazzo alla diplomazia italiana già  chiamata a barcamenarsi in una situazione oggettivamente difficile.
Il 9 febbraio, alla domanda se avesse chiamato l’amico Gheddafi dopo i primi scontri a Bengasi, Mr B risponde: “No, non l’ho sentito. La situazione è in evoluzione e, quindi, non mi permetto di disturbare nessuno”.
Però, aveva aggiunto, “stiamo seguendo con il cuore in gola la situazione dell’arrivo di immigrati nel nostro Paese”, contro cui il regime di Gheddafi era un gendarme molto efficace, anche grazie alle motovedette fornitegli dall’Italia.
Il 22 febbraio, poi, quando Gheddafi accusa l’Italia, e l’America, di avere “dato dei razzi ai ragazzi di Bengasi”, Berlusconi gli telefona per smentire: “L’Italia non ha fornito armi ai manifestanti”.
E il giorno dopo il premier dice sì basta “all’inaccettabile violenza libica che ha superato ogni limite”, ma esprime pure “massima allerta per un quadro imprevedibile che potrebbe degenerare in una deriva fondamentalista ad alto rischio per chi, come l’Italia, è esposto a potenziali e biblici flussi di emigranti e dovrà  comunque fare tornare i propri conti energetici”.
A un certo punto, Francesco Verderami, sul Corriere della Sera, scrive che Berlusconi avrebbe paura della vendetta del rais: “Lui me l’ha giurata. Lo so da fonti certe”.
Il premier sarebbe più nervoso del solito e apparirebbe scosso, perchè “Gheddafi mi vuole morto”.
La rivelazione è seguita da puntuale smentita, ma è chiaro che un’amicizia s’è ormai rotta, mentre un’alternativa deve ancora essere costruita per salvaguardare gli interessi economici ed energetici dell’Italia.
Più che di essere ‘fatto fuori’ dal colonnello dittatore, Mr B teme , forse, che vengano fuori i retroscena di un’amicizia improbabile quanto imbarazzante: intrecci d’affari che giustifichino il rapporto altrimenti improbabile fra un uomo d’affari milanese messosi in politica e un ufficiale tripolino radicale e rivoluzionario divenuto dittatore.
A puntellare un’ipotesi di alternativa post-Gheddafi, Berlusconi ci ha ieri provato con una telefonata al leader del Cnt Mahmud Jibril, di cui Palazzo Chigi ha dato un rendiconto molto positivo.
“Nel colloquio, il presidente del Consiglio italiano s’è complimentato per la rapida avanzata delle forze del Cnt, riconfermando l’impegno dell’Italia a sostegno della nuova Autorità  per la costruzione di una Libia democratica e unita. Il premier ha inoltre manifestato apprezzamento per la volontà  del Cnt di evitare qualsiasi vendetta e ha auspicato che la Libia possa presto avere un governo che rappresenti tutte le componenti del Paese”.
Jibril, dal canto suo, avrebbe “ringraziato calorosamente l’Italia per l’appoggio dato”, sottolineando in particolare che “la vicinanza dell’Italia al popolo libico ha radici profonde”, e chissà  se pensava al passato coloniale o al Trattato d’Amicizia firmato da Gheddafi e Berlusconi bel 2008, quasi tre anni fa giusti giusti.
Il premier e il capo del Cnt avranno modo di approfondire la discussione in un incontro in Italia nei prossimi giorni.
Nella certezza che Jibril non si porterà  dietro tende da montare e non pretenderà  ‘vergini’ da imbonire.
Almeno per ora.

Giampiero Gramaglia
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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I PROFUGHI ITALIANI IN LIBIA, DEPREDATI DAL COLONNELLO, SALUTANO LA FINE DEL BOIA DI TRIPOLI: LA STORIA NON PERDONA

Agosto 23rd, 2011 Riccardo Fucile

NEL 1970 BEN 20.000 ITALIANI FURONO COSTRETTI DA GHEDDAFI A LASCIARE LA LIBIA DOVE VIVEVANO E LAVORAVANO, IN VIOLAZIONE DI OGNI CONVENZIONE INTERNAZIONALE.. FU SOTTRATTO LORO OGNI BENE NEL SILENZIO OMERTOSO DEL GOVERNO ITALIANO

Mentre scrivo queste note non si sa ancora che fine abbia fatto Ghaddafi nella Tripoli ormai quasi tutta in mano ai ribelli, che hanno catturato due dei suoi tre figli.
Personalmente gli auguro peggior fine possibile, mentre il mio pensiero va al Comm. Carlo Lattanzi che rappresentava i profughi italiani dalla Libia in seno al CTIM negli anni 70.
Mi ricordo la sua rabbia impotente contro il criminale di Tripoli, mi ricordo la sua passione nel difendere gli interessi dei suoi compagni di sventura, la sua nostalgia della terra libica.
A lui dedico la mia gioia nell’apprendere le buone notizie dalla Libia.
C’erano ventimila italiani in Libia quando il 1° settembre 1969 Gheddafi prese il potere con un colpo di stato.
Consideravano la Libia come loro seconda patria, avevano costruito strade, scuole, ospedali
Il 21 luglio dell’anno dopo il nuovo leader emanò un decreto per “restituire al popolo libico le ricchezze dei suoi figli e dei suoi avi usurpate dagli oppressori” in base al quale gli italiani vennero privati di ogni loro bene, compresi i contributi assistenziali versati all’INPS e da questo trasferiti in base all’accordo all’istituto libico corrispondente e   furono sottoposti ad inutili vessazioni e costretti a lasciare il Paese entro il 15 ottobre del 70.
Tutto ciò avvenne in clamorosa violazione del diritto internazionale e specificatamente del   trattato italo-libico del 12 ottobre 1956, nonchè delle risoluzioni dell’Assemblea generale dell’ONU relative alla proclamazione d’indipendenza che garantivano diritti ed interessi delle minoranze residenti nel paese. Contemporaneamente il regime requisì anche i beni lasciati dagli ebrei, beni che erano stati presi in custodia dopo la guerra dei 6 giorni del 1967.
In quell’occasione il Governo italiano, vergognosamente, ritenne di dover accettare il fatto compiuto per ragioni di opportunità  politica ed economica.
Rinunciò infatti a denunciare la violazione dell’accordo o chiedere l’arbitrato espressamente previsto dall’art. 17.
Caro Comm. Lattanzi – ormai scomparso da tanti anni –   grazie a Dio lei non ha visto l’orrenda fotografia del capo del Governo italiano chinato a baciare la mano del satrapo libico.
Che vergogna!
Ma, sempre grazie a Dio, l’omaggiato è finito e l’omaggiatore è incamminato verso l’uscita.
La Storia non perdona.

Gian Luigi Ferretti
(da “L’Italiano.it“)

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TRIPOLI LIBERATA, IL COMPAGNO DI MERENDE DI BERLUSCONI E MARONI ABBANDONATO ANCHE DAI SUOI PRETORIANI

Agosto 22nd, 2011 Riccardo Fucile

CATTURATI TRE FIGLI DI GHEDDAFI… I SOLDATI DEL CTN SONO ENTRATI NELLA CAPITALE SENZA TROVARE GRANDE RESISTENZA… LA POPOLAZIONE IN PIAZZA A FESTEGGIARE

Tripoli è insorta, è quasi tutta in mano ai ribelli, ai quali si sono arresi la Guardia repubblicana di Muammar Gheddafi e   tre dei suoi figli, fra i quali Seif al Islam, mentre del rais non ci sono notizie, tranne un messaggio diffuso in tv intorno alla mezzanotte.
Nella frammentarietà  delle notizie che in nottata hanno cominciato ad accavallarsi a ritmo vertiginoso, emerge il quadro di una capitale che ha smesso di combattere, che non offre resistenza agli insorti, che hanno cominciato a entrare a ondate in città  al tramonto, con la fine del digiuno giornaliero del Ramadan.
Appostati da giorni a pochi chilometri attorno alla capitale, sono entrati da est dopo aver preso la base aerea di Mitiga, nel sobborgo di Tajoura, dove si combatteva duramente da ieri.
Sono entrati in città  anche da ovest e da sud, dai monti Nafusa, dove a notte fonda l’ANSA ha constato l’afflusso continuo di mezzi carichi di ribelli.
Sono penetrati anche via mare, arrivando da Misurata, per unirsi ai loro fratelli di Tripoli.
Sulla strada dei combattenti, dopo la violenza e le centinaia di morti di ieri sera, non sembrava esserci nessuno ad opporsi.
A tarda sera qualche fonte dei ribelli ha dichiarato, “siamo nella Piazza Verde”, la piazza scelta da Gheddafi come simbolo della sua “rivoluzione” e teatro di tante sue uscite pubbliche, anche in piena guerra.
Ovunque le folle festanti sono scese ad accoglierli.
Poco dopo, annunciata dal tam-tam dei blogger prima, e poi confermata dallo stesso Cnt, il governo provvisorio degli insorti a Bengasi, la notizia che la famigerata Guardia repubblicana del Colonnello, i suoi pretoriani, si sono arresi, deponendo le armi.
Le notizie sono in crescendo e subito dopo, come le tessere di un domino, gli annunci clamorosi, tutti fatti dal Cnt, degli arresti di tre dei figli del rais: Mohammad, che non aveva cariche ufficiali nel regime, e soprattutto Saif al Islam, imprenditore televisivo ed ex “voce moderata del regime”, divenuto poi, con l’inizio della rivolta, uno delle voci più forti a sostegno della dittatura: la notizia della cattura di quest’ultimo è stata data di persona dal presidente del Cnt, Mustafa Abdel Jalil, che ha citato “notizie certe” parlando in diretta al canale satellitare Al Jazeera.
Poi la conferma della Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aja, che ha incriminato lui, come il padre, di crimini contro l’umanità  e contro di lui ha emesso un mandato di cattura internazionale.
Mentre non ci sono per ora conferme sulla cattura – la notizia è apparsa brevemente su Al Jazeera – di Saadi, famoso per aver militato come calciatore nel campionato di serie A in Italia.
Mentre per le strade di Tripoli cominciava la festa e per le strade di Bengasi esplodeva di nuovo il giubilo, il portavoce del regime, Mussa Ibrahim, andato in onda sulla tv di regime, ha lanciato un ultimo appello ai ribelli: “Siamo pronti a negoziare direttamente con il Cnt”, ha detto in una conferenza stampa, chiedendo ai ribelli e alla Nato di sospendere le loro operazioni su Tripoli e parlando di 1.300 morti e 5.000 nella capitale solo nelle ultime 11 ore.
Immediata la risposta del “governo” ribelle da Bengasi: pronti a cessare subito le ostilità , a patto che Gheddafi annunci la sua partenza.
Un concetto, questo ribadito anche dal ministro degli esteri italiano, Franco Frattini, secondo cui Gheddafi si deve “arrendere e abbandonare il potere, non ci sono assolutamente alternative”: questa è “l’unica possibilità ” per evitare una situazione che “può trasformarsi in un bagno di sangue”.
Ma quella che appare a tutti gli effetti la caduta di Tripoli è in realtà  carica di incognite: a notte fonda, nel marasma di informazioni e di immagini, si apprende che scontro violenti, forse combattimenti armati, sono in corso nel centro di Tripoli, nella Piazza Verde.
Non si sa se nella città  le forze fedeli a Gheddafi abbiano disseminato trappole, appostato cecchini o preparino improvvise controffensive.
E risuona ancora sinistra la “preoccupazione-minaccia” lanciata nel pomeriggio dallo steso Gheddafi, “Ho paura che Tripoli brucerà “.
Per ora del rais, che in serata che si presume sia rintanato nel bunker di Bab al-Azizia, nessuna traccia, se non un breve messaggio audio andato in onda sulla tv di regime lancia un appello ai suoi partigiani perchè “ripuliscano” la capitale dai ribelli, ieri da lui definiti “traditori” e “ratti”.
E in piena notte, a infittire il mistero che circonda il rais assediato, l’atterraggio di due non meglio precisati “aerei sudafricani”. Il Sudafrica ha fatto per mesi da mediatore fra i ribelli e il regime senza ottenere risultati concreti.

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LA PATACCA DI MARONI: IN CONTRASTO CON L’UE LE NUOVE DECISIONI DEL GOVERNO ITALIANO

Giugno 20th, 2011 Riccardo Fucile

SI ACCENTUA IL CARATTERE PUNITIVO E CARCERARIO…I RESPINGIMENTI SONO VIETATI DA ZONE DI GUERRA….”SEMBRA PIU’ UN EFFETTO ANNUNCIO CHE NON CAMBIA LA SOSTANZA”….CI SONO NORME EUROPEE CHE L’ITALIA AVREBBE DOVUTO RECEPIRE ENTRO IL 24 DICEMBRE 2010      

In contrasto con ogni direttiva europea in materia di immigrazione, il governo ha ripristinato, tra l’altro, la procedura di espulsione coattiva immediata per tutti gli extracomunitari clandestini, prolungando inoltre il periodo di permanenza nei CIE (Centri di identificazione ed espulsione) fino a 18 mesi, accentuando ancor di più l’aspetto punitivo e carcerario del provvedimento.
Maroni aveva scelto questa strada per lanciare un messaggio alla base leghista, alla vigilia dell’appuntamento di Pontida. Ormai si muovono così, alla rinfusa, elargendo proclami ad uso interno.
Il   provvedimento prevede inoltre di coinvolgere i giudici di pace, neanche fossero questioni di condominio, nel trattamento delle controversie legate all’immigrazione, sottraendole ai giudici togati.
“Mi sembra un effetto-annuncio che non cambia la situazione nella sostanza”, ha commentato il direttore del Consiglio Italiano Rifugiati 1 (Cir), Christopher Hein.
Per quanto riguarda le espulsioni coattive dei cittadini comunitari che commettono violazioni, dice Hein “ci sono regole comunitarie su questo, e il rimpatrio è previsto solo in caso di reati di una certa gravità  con condanna definitiva passata in giudicato. L’espulsione immediata non è nuova di per sè, è già  possibile quando ci sono le condizioni di legge. Ma spesso non si può fare perchè le persone non hanno il documento di viaggio. Dunque – ha aggiunto Hein –   prima occorre che ci sia il riconoscimento dai rispettivi consolati”.
Il direttore del Cir ha poi fatto alcune considerazioni sulla decisione di prolungare la permanenza nei Cie fino a 18 mesi.
“Con il pacchetto sicurezza – ha detto – l’Italia aveva già  aumentato questo periodo da due a sei mesi. E dalle statistiche dello stesso Viminale sappiamo che in pochissimi casi chi non può essere espulso in due mesi lo potrà  in sei. Ora portarlo a 18 mesi è solo una punizione che non ha nulla a che vedere con una vera politica di rimpatri – ha affermato Hein –   non cambia l’effettività  dell’allontanamento della persona dal territorio. E’ quindi solo un atto punitivo, viste le condizioni in cui versano questi centri”.
Hein ha anche sottolineato che la direttiva dell’Unione Europea sul ritorno – entrata in vigore dal 1° gennaio 2011 e che l’Italia avrebbe dovuto recepire entro 24 dicembre 2010, ma non è ancora legge nel nostro Paese – in casi estremi già  ammette il trattenimento fino a 18 mesi, ma ci deve essere sempre una verifica che il prolungamento della permanenza nei centri dia un’effettiva possibilità  di eseguire l’espulsione, non può in ogni caso essere una misura di detenzione o di punizione. Anche la Germania prevede la permanenza fino a 18 mesi, ma sono pochissimi i casi effettivi”.
Ma il Consiglio Italiano per i Rifugiati si è espresso anche rispetto al rischio che in Italia venga introdotta una politica indiscriminata di respingimenti verso un paese in guerra.
“Le prospettive di realizzare un blocco navale dalla Libia per impedire la partenza dei profughi e di riportare i profughi da dove sono partiti, ovvero da un’area in guerra, è semplicemente inaccettabile” – ha aggiunto ancora Christopher Hein – “Si violano le più essenziali leggi internazionali e nazionali che si basano tutte su un unico fondamentale principio: non possono essere respinte persone verso aree in cui la loro vita è messa in pericolo”.
Il Cir ricorda inoltre che in nessun modo possono essere realizzati respingimenti di massa.
Deve sempre essere verificata la condizione individuale delle persone e data la protezione a quanti chiedono asilo.
Dobbiamo ricordare che molte delle persone arrivate in questi mesi dalla Libia sono rifugiati che fuggono dalle persecuzioni e dalle violenze dell’Eritrea, Etiopia, Somalia, Costa d’Avorio”.
Il Cir chiede dunque che non vengano introdotte in alcun modo misure di respingimenti di massa, che vengano rispettate scrupolosamente le norme vigenti e realizzate operazioni efficaci e tempestive di soccorso in mare.

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“GHEDDAFI USA LO STUPRO COME ARMA”: LA CLINTON ACCUSA IL TANTO VENERATO COMPAGNO DI MERENDE DI SILVIO E BOBO

Giugno 17th, 2011 Riccardo Fucile

APERTA UN’INCHIESTA PRESSO LA CORTE PENALE INTERNAZIONALE: VI SONO PROVE CHE IL COLONNELLO UTILIZZI LA VIOLENZA ALLE DONNE COME STRUMENTO DI GUERRA

Dove c’è guerra le donne sono in genere le prime a farne le spese.
Non fa eccezione il conflitto libico, dove da tempo l’Onu denuncia casi di stupri sistematici.
Tanto da aprire un’inchiesta presso la Corte penale internazionale dell’Aja.
Ora anche il segretario di Stato americano Hillary Clinton si è detta profondamente preoccupata dalle notizie di stupri su vasta scala in Libia e ha condannato le forze di Muammar Gheddafi accusandole di usare lo stupro come strumento di guerra.
La Clinton ha elogiato le «donne coraggiose» della Libia che si sono fatte avanti per raccontare le loro terribili esperienze di violenza nelle mani delle forze del colonnello e ha invitato a condurre un’inchiesta approfondita e a portare i reponsabili davanti alla giustizia.
Inoltre il segretario di Stato ha condannato le violenze sessuali in Medioriente e Nord Africa dove, ha detto, come intimidazione nei confronti dei manifestanti che chiedono riforme vengono usati stupri, aggressioni sessuali e addirittura «test di verginità ». «Atti del genere violano la dignità  umana di base», ha detto la Clinton.
Suscita indignazione e tristezza come il nostro governo abbia potuto concedere credito a un criminale come Gheddafi, foraggiandolo con la regalia di miliardi di dollari di “presunti danni di guerra” da elargirgli nei prossi 20 anni, sopportare le umiliazioni cui ha sottoposto il nostro Paese e assecondare le sue stravaganti visite romane.

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LAMPEDUSA, QUELLI CHE RESTANO UMANI: DALL’APPUNTATO AL COMMISSARIO CHE SI SONO TUFFATI IN MARE PER SALVARE DONNE E BAMBINI

Maggio 10th, 2011 Riccardo Fucile

I SOCCORSI IN MARE AL BARCONE DI IMMIGRATI PROVENIENTE DAL NORDAFRICA CON 500 PERSONE A BORDO…”NON PENSI AL PERICOLO, MA SOLO A TIRARLI FUORI”…E’ QUESTA LA NOSTRA ITALIA, QUELLA DEI VALORI E DELLA SOLIDARIETA’, NON QUELLA DEI RAZZISTI E DEI PUTTANIERI

“Davanti a te ci sono donne con gli occhi sbarrati su quel mare nero che si agita sotto di loro e sbatte violento contro rocce appuntite come lame. Non ti chiedono di essere salvate, ma allungano le braccia per mostrarti il loro bambino. È lui che devi strappare dalle onde, è lui che devi portare a riva. Questo implorano in una lingua che non conosci. E allora che fai, pensi ai tuoi di figli, alla tua di famiglia, alla tua di casa?”.
C’è un’Italia che l’altra notte a Lampedusa ha stracciato il motto nazionale del “tengo famiglia” e ha gettato cuore, corpo e anima sulla scogliera di quel lembo d’Europa vicinissima ai dolori dell’Africa.
Sono uomini che indossano una divisa (finanzieri, poliziotti, carabinieri), volontari e persone comuni che le divise le vedono nelle serie tv, nessuno di loro ha avuto bisogno di ordini.
Tutti hanno capito subito quello che bisognava fare: lanciarsi nelle acque fredde sotto la scogliera del Cavallo bianco e salvare quell’umanità  naufraga. L’appuntato scelto della Guardia di finanza Cristian Scuderi ai suoi di figli non ha pensato neppure per un attimo.
“Diciamo che ci ho pensato dopo e il freddo che avevo addosso per gli abiti bagnati da ore è diventato insopportabile”.
Come gli altri suoi colleghi era lì, nella notte tra sabato e domenica.
A un passo dalla tragedia. “Non avrei mai immaginato che nella mia vita avrei contribuito a salvare 500 vite. Ero sul peschereccio assieme a un mio collega, lui tentava di governare un timone sfasciato, quando c’è stato l’impatto con le rocce è stato terribile. La barca si è incrinata tutta su un lato, la gente si muoveva disordinatamente, vedevo donne che stringevano bambini piccolissimi tra le braccia. Il terrore aveva preso tutti. Alcuni si erano nascosti sotto coperta, il posto più insicuro in caso di naufragio, e non volevano muoversi. Sono caduto in una botola, mi sono rotto il mento, ed è proprio vero che quando l’adrenalina è a mille non senti neppure più il dolore. Ai miei figli ho pensato dopo, quando ho visto quei bambini terrorizzati dal mare. Li abbiamo salvati ma per ore non hanno sorriso, avevano lo sguardo fisso nel vuoto”.
Quando sul radar si avvista un “obiettivo” (così vengono chiamate le barche dei boat-people), una motovedetta della Guardia di finanza lo avvicina, se ci sono le condizioni di vento e di mare si cerca di trainare l’imbarcazione in porto, ma quella notte il mare era forza 4 e il vento di scirocco soffiava forte. È in momenti come questi che entrano in azione i “saltatori”, li chiamano così i finanzieri addetti a saltare sulla barca e a pilotarla in acque sicure.
Il nocchiere Giuseppe Cappuccio è uno di loro. “Quando ti avvicini alla barca non devi avere esitazioni. Sei sulla motovedetta, le onde puntano a sbatterti contro la fiancata dell’imbarcazione che devi abbordare. Ci vuole massima sincronia fra te e il comandante della motovedetta, ti devi concentrare e scegliere il momento giusto per saltare. Se sbagli finisci in acqua e rischi di essere schiacciato tra le due fiancate o di annegare e risucchiato dalle eliche”.
Così è morto uno dei tre profughi della scogliera del Cavallo bianco. Schiacciato.
“Quando sono salito sul peschereccio mi sono messo subito al timone. Sembrava l’inferno, la gente urlava impaurita. Li tranquillizzavo dicendogli ship, ship, sta arrivando la nave, siete salvi. Quando ho capito che i comandi non rispondevano più e il peschereccio era fuori controllo e stavamo andando a sbattere sulle rocce ho urlato a tutti di abbracciarsi. Ho usato i gesti e quel poco di inglese che so. Si stringevano tutti. L’impatto è stato tremendo. Un tonfo che non dimenticherò mai”.
Divise e taccuini. Elvira Terranova è una cronista dell’agenzia AdnKronos, da mesi fa la spola tra Palermo e Lampedusa, la notte del naufragio era anche lei sugli scogli.
“Quando ho visto quella scena il cuore mi è arrivato in gola: 500 persone rischiavano di annegare a pochi metri dalla salvezza. Ho chiuso il taccuino e l’ho messo in tasca, ho appoggiato a terra la digitale e d’istinto mi sono gettata in acqua per diventare un anello di quella grande catena umana. Mi passavano i bambini fradici d’acqua, infreddoliti, impauriti. Un piccolo l’ho preso in braccio, era nudo, solo una croce al collo, un pezzo di ghiaccio. Ricordo un ragazzo che è uscito dall’acqua salvato dai sub, mi ha vista e mi ha abbracciata. Che Dio ti benedica, mi ripeteva in continuazione”.
Corrado Empoli è un Commissario di polizia, dirige gli uffici di Canicattì, ma è da mesi a Lampedusa.
Per la sua umanità  lo chiamano il “Montalbano dei migranti”.
“Avevamo appena concluso uno sbarco con 800 persone, tutto era andato bene, quando intorno alle 4 abbiamo sentito le sirene di una motovedetta, alle nostre spalle, verso la collina, sentivamo delle urla. Ci siamo andati e abbiamo visto l’inferno. È stata durissima, ho visto uomini delle forze di polizia, civili e volontari, dare il massimo, senza risparmio”.
Accanto al commissario il giovanissimo tenente della Finanza Miserendino, 28 anni appena.
Si è buttato in acqua vestito, ha allungato le braccia con le mani aperte senza sosta per prendere bambini da passare ai volontari sugli scogli.
Sempre così per ore.
Quando tutto è finito, tutta la gente era in salvo, i suoi uomini tornati sulla terraferma ad asciugarsi, è sparito.
Lo hanno visto su uno scoglio, la testa fra le mani.
Libero di piangere, finalmente.

Enrico Fierro
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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CHI HA LO STATUS DI PROFUGO?

Maggio 10th, 2011 Riccardo Fucile

COSA DICE LA NORMATIVA VIGENTE, QUANTI MIGRANTI SONO GIA’ ARRIVATI IN ITALIA, COSA PREVEDE L’ACCORDO CON LA TUNISIA, DOVE VERRANNO SISTEMATI I LIBICI, COME STA FUNZIONANDO L’ORGANIZZAZIONE….LE TANTE RISPOSTE ALLE DOMANDE CHE SI PONE IL CITTADINO ITALIANO

Chi ha lo status di profugo?
Negli ultimi giorni sono sbarcati 1500 migranti: il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha dichiarato che sono profughi e non migranti. Perchè?
Quando si parla di profughi si intende chi si è allontanato dal Paese di origine per le persecuzioni o per una guerra, ma è un’indicazione generica.
Dal punto di vista giuridico si usa più propriamente la parola rifugiati: sono coloro che hanno ricevuto dalla legge dello Stato che lo ospita o dalle convenzioni internazionali lo status di rifugiato e la relativa protezione, ovvero l’asilo politico.
Come si fa ad essere sicuri che tra i profughi non si mescolino dei clandestini?
E’ impossibile esserne sicuri. «Save the Children» ricorda che molti profughi provenienti dalla Libia, originari dei Paesi del Corno d’Africa, sono ai confini della Tunisia, nei campi di accoglienza.
Ma è altrettanto vero che molti tunisini possono mescolarsi ai profughi, arrivare sulle stesse imbarcazioni e sfuggire ai controlli per l’identificazione, una volta in Italia.
Da qualche giorno, infatti, sembra essersi rotta definitivamente la tregua degli sbarchi di immigrati a Lampedusa.
Proseguono gli arrivi di tunisini che, invece, vengono considerati migranti economici e, dunque, non rientrano fra coloro che hanno diritto alla protezione prevista dall’Italia e comunque dallo status di rifugiato.
Che cosa prevede l’accordo sottoscritto con la Tunisia il 5 aprile?
Il rimpatrio per i migranti arrivati dopo quella data, ma anche per altri 800, giunti prima che fosse siglata l’intesa, numero raggiunto nei giorni scorsi. Prevede, poi, un’azione preventiva di cui Maroni non ha precisato i dettagli, se non promettendo che si sarebbero «chiusi i rubinetti» degli arrivi e che si sarebbe realizzato un rafforzamento della collaborazione tra forze di polizia.
Qual è il bilancio degli arrivi finora?
I migranti giunti in Italia sono 33 mila dall’inizio dell’anno, secondo i dati forniti dall’agenzia europea Frontex.
Una trentina ha pensato a una soluzione diversa dalle previsioni: il ritorno volontario in patria. L’Oim, l’organizzazione Internazionale per le migrazioni, ha annunciato, che sta sostenendo i primi casi di ritorno volontario di nordafricani già  in possesso di permesso di soggiorno temporaneo.
La procedura, finanziata con fondi europei, è gestita dal ministero dell’Interno e si avvale del programma «Partir» messo a punto dall’Oim, che in due anni ha permesso il ritorno volontario di oltre 400 migranti, che hanno ottenuto un biglietto aereo e 200 euro.
L’Italia chiede da mesi maggiore solidarietà  e aiuto da parte dell’Ue. Che cosa farà  l’Unione?
Al Consiglio d’Europa di giovedì si parlerà  del rafforzamento dei controlli sui confini del Frontex. Sono le richieste italiane, e il governo spera adesso alcune aperture dopo l’irrigidimento iniziale.
Nel frattempo è in corso l’accoglienza dei profughi nelle strutture italiane. Come procede?
Con molte difficoltà . Le regioni dovranno trovare 10mila posti per accogliere gli immigrati e, per questo motivo, verrà  ripartito dal commissario straordinario per l’emergenza, nonchè capo della Protezione civile umanitaria, Franco Gabrielli, un primo stanziamento di 5 milioni di euro.
Nonostante ciò, molte Regioni protestano.
In Lombardia, per esempio, dove il sindaco di Lodi ha denunciato confusione nell’assegnazione dei profughi del Nord Africa ai singoli Comuni. E ha chiesto di attenersi agli accordi Stato-Enti Locali di inizio aprile.
Che cosa prevedono questi accordi?
Piccoli insediamenti di immigrati distribuiti in tutta Italia, no alle tendopoli, coinvolgimento in prima battuta della Protezione Civile, insieme con le Regioni e gli enti locali, concessione dell’articolo 20, ovvero del permesso temporaneo di soggiorno.
E soprattutto si sottolineava che vi sarebbe stata una divisione equa dei profughi sul territorio e un’organizzazione delle risorse.
Ed invece?
C’è stata molta disorganizzazione.
Il sindaco di Lodi racconta di come si pensi di risolvere il problema pagando l’albergo ai profughi per 10 giorni, lasciandoli poi in carico ai Comuni, senza che si assegnino loro risorse adeguate.
A Gallarate 48 rifugiati hanno trascorso la notte sui furgoni della Protezione civile. Sono originari della Libia, tutti richiedenti asilo, ma Gallarate li ha mandati via, sostenendo di non aver ricevuto alcuna comunicazione ufficiale del loro arrivo.

Flavia Amabile
(da “La Stampa“)

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