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“CIAO FRANCESCO, SEI GIA’ NELLA STORIA”: BERGOGLIO HA CONQUISTATO GENOVA

Maggio 28th, 2017 Riccardo Fucile

“SPERIAMO CHE NON LO METTANO IN CROCE, I GRANDI COME LUI DI SOLITO NON DURANO”

«Un grande saluto ai genovesi e un grande grazie per l’accoglienza che mi hanno riservato ieri», queste le parole di Papa Francesco durante il Regina Coeli oggi in piazza San Pietro. Così il Pontefice ha rivolto un pensiero a Genova dopo la visita di ieri in città  terminata con la messa in piazzale Kennedy a cui hanno partecipato centomila persone.
Genova, le emozioni alla messa in piazzale Kenned
C’è Teresa Repetto, novantaquattrenne in sedia a rotelle, che spera «in una grazia per i miei malanni» aspettando il passaggio della papamobile a Boccadasse.
Yolanda Angeles, badante cilena, che s’è presa il pomeriggio libero «perchè l’ho visto in televisione stamattina, tra gli operai, e mi sono emozionata. Non potevo perdermelo. Ma poi racconto tutto alla signora, che lei ha cent’anni e non poteva uscire».
Renato Barbieri, “vecchio mangiapreti” che però ne apprezza le parole: «Ormai certe cose le dice solo lui, la sinistra se l’è dimenticate».
E la famiglia Carmarozzo, papà  mamma e due bambini, che vanno incontro ad una messa di due ore sotto il sole in un sabato pomeriggio, con un sorriso a trentadue denti: «Anche solo vederlo da lontano sarà  una grande emozione, è un personaggio che è già  storico». C’è chi si è affacciato dal balcone solo per curiosità  e chi ha fatto chilometri e chilometri per poterci essere.
Sono i centomila modi diversi in cui i genovesi hanno vissuto la visita di Papa Francesco .
E tanti di loro sono passati dal mugugno (per le strade chiuse e le misure di sicurezza) all’entusiasmo. In un crescendo, «come un diesel», come ha detto il cardinale Angelo Bagnasco. Sino a quel “Ma se ghe pensu” finale in piazzale Kennedy che forse ha colpito pure il Pontefice. «Ho visto il suo volto quando è partito il canto di”Ma se ghe pensu” – sostiene Raffaele Arnera – ma anche quando il cardinale Bagnasco ha detto che siamo un po’ orsi e ci mettiamo in moto lentamente ma poi ci facciamo sentire. È proprio così».
Uno striscione un po’ liso, rosso e blu, penzolava da una finestra in piazza Cavour, ieri mattina. Ma non era del Genoa, c’era scritto “San Lorenzo”.
Anche così, con una bandiera della sua squadra (argentina) del cuore, i genovesi hanno dato il benvenuto in città  al Papa. E poi, sulla piazza della messa finale, tanti striscioni “vaticani” gialli e bianchi, bandiere dell’ Argentina, cori quasi da stadio per il Papa venuto “dalla fine del mondo”. «Un’emozione pazzesca – dice alla fine di tutto, risalendo la fiumana umana verso Brignole, una ragazza stanchissima che si regge al fidanzato – l’ho visto da lontano, ho preso il sole in faccia per tre ore, ho parcheggiato lontanissimo. Ma ne valeva la pena».
L’hanno pensato in tanti, ieri, nelle varie tappe della visita papale: gli operai che hanno ascoltato le parole sul lavoro all’Ilva , i sacerdoti e le suore che hanno seguito con attenzione la sua “lezione” in Cattedrale , i giovani che hanno scarpinato sino alla Madonna della Guardia, i bambini ricoverati al Gaslini . I genovesi hanno visto sfilare la Papamobile per via San Lorenzo, dietro le transenne. E poi nel pomeriggio in corso Italia, dove tutti gli stabilimenti balneari, ieri, “battevano” bandiera vaticana.
Tantissimi i pullman di fedeli arrivati dalle parrocchie di tutta Italia, ma anche i genovesi hanno fatto sentire la loro voce. Conquistati dallo stile di Bergoglio.
«È un papa “popolare”, sembra un nostro compaesano – spiega Alessandra Robba -è diverso da Ratzinger ma anche da Wojtyla, che pure erano grandi papi. A me ricorda più Giovanni XXIII». E anche i sacerdoti se lo tengono stretto, dopo il dialogo con il mondo ecclesiastico a San Lorenzo: «Per me oggi è una “domenica delle Palme” anche se è sabato- spiega un anziano prete arrivato da Campo Ligure, mentre mangia un gelato in piazza De Ferrari – Ma speriamo che non ce lo mettano in croce, quelli buoni di solito non durano…».

(da “Il Secolo XIX“)

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“CHIESA E OPERAI SONO DA SEMPRE ALLEATI”: INTERVISTA AL SINDACALISTA ILVA DELLA FIOM

Maggio 28th, 2017 Riccardo Fucile

L’ATEO E MARXISTA ARMANDO PALOMBO SPIEGA L’ENTUSIASMO DEGLI OPERAI PER PAPA FRANCESCO

Nel capannone magazzino dell’Ilva lavoratori in tuta sventolano le bandierine bianche e gialle con la scritta ‘W il Papa”, scrosciano gli applausi, partono cori da stadio al grido di “Francesco, Francesco”.
Armando Palombo, delegato Fiom della Rappresentanza sindacale unitaria Ilva, marxista, dichiaratamente ateo, di Lotta Comunista, non si stupisce.
«Qui in fabbrica abbiamo tanti iscritti cattolici al sindacato, anche alla Fiom. Don Franco Molinari, il cappellano del lavoro, è in stabilimento con noi e su tanti temi la dottrina sociale della chiesa e il sindacato dicono le stesse cose, non da oggi. Se gli imprenditori facessero anche solo la metà  di quello che dice papa Francesco, le cose andrebbero molto meglio »
Nel suo discorso in fabbrica il Papa ha usato parole forti, ha parlato di imprenditori che non sono buoni imprenditori se sono speculatori e ha anche detto che non è un lavoro buono quello che impone di lavorare senza orari. Voi come sindacati non vi sentite scavalcati a sinistra?
«La verità  che è esiste una debolezza di fondo: quando c’è un esercito industriale che preme per inserirsi a qualsiasi condizione, diventa difficile resistere. Quando abbiamo una disoccupazione giovanile al 48%, la debolezza è inevitabile. Noi per altro nel nostro piccolo il nostro dovere proprio qui all’Ilva lo abbiamo fatto, penso all’accordo di programma, che ci ha dato appigli giuridici per resistere nel corso degli anni e per garantire una tutela efficace ai lavoratori. La verità  è che non sempre e non tutti sono in grado di resistere alla pressioni, mentre a volte bisognerebbe buttare il cuore oltre l’ostacolo, in questo la visita di papa Francesco può essere un aiuto, anche per chi non è credente».
Papa Francesco sostiene che l’obiettivo è avere lavoro per tutti, non reddito per tutti, siete d’accordo?
«Lo siamo al punto che proprio al l’Ilva noi abbiamo chiesto e ottenuto di inserire nell’accordo di programma i lavori di pubblica utilità , per integrare il reddito certo, ma anche per garantire dignità  alle persone».
D’accordo anche sul fatto che i problemi non si risolvono andando in pensione prima?
«Cosa vuol dire andare in pensione prima? Qui all’Ilva da quando ci sono io in pensione prima ci si si va solo con l’amianto, parliamo di gente che ha anni di contributi alle spalle, la pensione se l’è guadagnata e se va prima è solo perchè ha un’aspettativa di vita inferiore, non è una cosa da poco».
Il Papa divide i lavori fra buoni e cattivi, e mette nei cattivi l’industria delle armi, cosa ne pensate?
«Attenzione, io come sindacato faccio parte di un’organizzazione che difende i lavoratori, qualsiasi lavoro facciano, ovviamente nei limiti della legalità , il resto attiene a scelte politiche e di grandi sistemi, non può certo essere una competenza del sindacato».
E il gioco d’azzardo?
«Ho le mie idee in merito, ma il problema è sempre lo stesso, è vero che abbiamo temi in comune con la dottrina sociale della chiesa, ma non tutto. Ad esempio la chiesa predica la rassegnazione, che io non condivido, anzi sono convinto che i lavoratori devono lottare, e da marxista non credo che lavoratori e imprenditori siano dalla stessa parte, hanno interessi contrapposti».

(da “La Repubblica”)

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IL PAPA A GENOVA E LA LEZIONE AI POTENTI: ESISTIAMO PER SERVIRE

Maggio 28th, 2017 Riccardo Fucile

PAPA FRANCESCO HA RICORDATO A TUTTI CHE SENZA AMORE E SOLIDARIETA’ QUESTO MONDO NON PUO’ PIU’ ANDARE AVANTI

Le cose, a volte, accadono per caso: ed è comunque difficile capire sino in fondo quanto negli eventi sia programmato, quanto casuale, quanto legato a contingenze inaspettate.
La visita di papa Francesco a Genova è caduta in un momento molto denso della vita sociale e civile d’Italia e, si può dire, del mondo. Una giornata particolare all’interno di una settimana senza dubbio non ordinaria ma il bilancio del quale non è stato lusinghiero.
Si è appena chiusa la “Tre-Giorni” mozzafiato forse ma non granchè conclusiva di Donald Trump, fra Riad, Gerusalemme e Roma, con argomenti come la lotta al terrorismo, le prospettive di pacificazione del Vicino Oriente, i pericoli nucleari, il ruolo di Gerusalemme rispetto allo stato d’Israele, l’eterna questione palestinese: e non è mancato chi, senza dubbio non senza un certo azzardo, ha ipotizzato che dietro l’atroce attentato di Manchester e dietro il massacro dei copti egiziani si possano leggere altrettante e tempestive repliche jihadiste alla dichiarazione di “guerra al Terrore” pronunziata a Riad dal presidente degli Stati Uniti dinanzi a un’assemblea di sceicchi dal volto non meno impenetrabile dei loro autentici sentimenti e delle loro vere intenzioni. Poi, mentre papa Bergoglio si accingeva a raggiungere Genova, ecco il summit G7 di Taormina con le sue ambiguità  e le sue delusioni: genericità  tinte di buone intenzioni sul terrorismo, disaccordo sui migranti e sul clima.
Alle contraddizioni emerse a Riad e a Gerusalemme, all’inconclusiva futilità  della “giornata romana” del presidente Usa, all’ambiguità  alquanto freddina della sua “visita di cortesia” al pontefice, si è veramente contrapposto non solo il trionfo — è il caso di dirlo — che la città  di Genova ha tributato a Francesco, ma anche la lucida struttura della sua intensa giornata in città .
Va subito detto che il papa è giunto come un pellegrino, ma anche come un viandante che torni a casa, nella città  da cui partirono quasi novant’anni fa i suoi nonni e il suo allor giovane padre.
Se ne andarono allora, pieni di dolore ma anche di speranza: e approdarono dall’altra parte dell’Atlantico proprio nella più ligure delle metropoli dell’America Latina, in quella Buenos Aires nella quale — come si vede nel popolare quartiere della Boca — vivissime sono le memorie della “Superba”.
Chissà  che non abbia sorriso dentro di sè, questo papa che non manca di humour, definendo Genova, nel suo indirizzo di saluto ai suoi abitanti, “una città  generosa”: non poteva non sapere di star in tal modo rovesciando un vecchio topos, l’immagine dei genovesi sobri fino alla taccagneria.
E’ venuto da pellegrino, il papa: e lo ha sottolineato più volte aggiungendo che siamo tutti pellegrini, che la vita è un pellegrinaggio, che nessuno ha la possibilità  e in fondo nemmeno il diritto di fermarsi.
E’ la condizione umana: quella che fa di noi tutti dei migranti e ci affratella ai migranti di tutto il mondo. Lo ha detto di primo mattino, appena arrivato all’aeroporto Colombo, agli operai dell’Ilva, in quello che si è profilato fin dalle prime battute come uno splendido discorso di etica sociale e di teologia del lavoro: il lavoro come diritto ancora negato o contestato a troppi, il lavoro ch’è divenuto merce rara e preziosa per chi gestendolo ci guadagna sopra ma ch’è al tempo stesso disprezzato da chi lo distribuisce male e non lo retribuisce abbastanza.
A metà  mattinata, in San Lorenzo, lo aspettava il clero in tutti i suoi ordini: i sacerdoti secolari, i membri degli Ordini monastici e mendicanti, gli uomini e le donne che hanno scelto di consacrarsi a Dio. Lì si è svolto un franco, straordinario dialogo tra Francesco e i religiosi presenti: si è parlato della crisi delle vocazioni, delle chiese che si spopolano dei fedeli, del senso della testimonianza di chi crede in un mondo che per un verso sembra affondare nel materialismo più greve e per un altro lasciarsi deviare da qualunque malefico richiamo: il vizio, la droga, la violenza, me anche i falsi idoli della superstizione e gli ambigui richiami delle “nuove religioni”.
A mezzogiorno, finalmente, l’omaggio alla Patrona, al santuario della Guardia: e lì un altro incontro di spontaneità  e di freschezza inaspettate. Una raffica di domande rispettose certo, ma stringenti, da parte dei giovani presenti: sul senso della vita, sul bisogno di solidarietà  in un mondo che sembra viceversa sull’orlo di guerre civili e sociali come di possibili cataclismi ecologici. E le risposte del papa: dense e profonde nella loro disarmante semplicità : come nell’invito a non giudicare mai, a resistere alla tentazione di separare sempre con rigore (ma senza carità ) il supposto bene dall’apparente male; con l’invito a non scambiare mai le proprie sia pur legittime ragioni soggettive con una verità  obiettiva ch’è sempre ardua a conseguirsi, che va conquistata con verità  e umiltà .
E’ stato un peccato, ma anche un bene, che la refezione comune del pontefice con i poveri, i migranti, i carcerati — gli “Ultimi”, i veri pellegrini perchè come Gesù non posseggono nulla -, si sia svolta lontano dalla magari devota curiosità  dei media. I veri festeggiati, i veri privilegiati, per il papa erano loro.
Come lo erano i bambini sofferenti del Gaslini (e, come ha giustissimamente sottolineato il cardinal Bagnasco, i loro eroici sostenitori che li assistono in situazioni talora davvero dolorose), ai quali il Santo Padre ha riservato, nel pomeriggio, un’attenzione e un affetto del tutto particolari.
La messa solenne in Piazzale Kennedy — non dimentichiamo che si trattava della messa dell’Ascensione, grande festa della Chiesa — ha concluso una giornata tutta dedicata (il pontefice lo ha ricordato durante il sermone) alla condizione umana come condizione di erranza, di povertà , di bisogno. Ciascuno di noi ha bisogno degli altri: e ciascuna nostra azione non può non essere se non un servire.
Nel suo intenso e commosso indirizzo di saluto in chiusura della giornata, il cardinal Bagnasco ha davvero chiuso il cerchio aperto con l’arrivo del papa dedicando alcune belle, sentite parole proprio a Genova, il porto dal quale i Bergoglio partirono quasi nove decenni or sono e al quale è tornato adesso un anziano prete vestito di bianco che per certi versi è oggi forse l’uomo più potente — o comunque più autorevole della terra — e che tuttavia porta il peso di questo suo potere, di questa sua autorità , con lo stesso umile atteggiamento con cui porta la croce pettorale e l’anello di metallo bianco perchè ha rinunziato all’oro.
Il pontefice ha ricordati che il nucleo della fede è l’amore. Senza comprensione e solidarietà  questo mondo non può più andare avanti.

Franco Cardini
(da “il Secolo XIX”)

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PAPA FRANCESCO IN MOSCHEA: “NO A VIOLENZA IN NOME DI DIO”

Novembre 30th, 2015 Riccardo Fucile

UN “TRAVOLGENTE” BERGOGLIO INCONTRA LA COMUNITA’ MUSULMANA CENTRAFRICANA: “SIAMO FRATELLI, CHI CREDE IN DIO E’ UOMO DI PACE”

“Nessuna violenza in nome di Dio”. Sono parole di pace quelle di Papa Francesco stamane, all’inizio della visita nella moschea principale di Bangui, nel quartiere musulmano di   Koundoukou nella Repubblica Centroafricana.
“Tra cristiani e musulmani siamo fratelli ha detto il Papa – dobbiamo dunque considerarci come tali, comportarci come tali. Sappiamo bene che gli ultimi avvenimenti e le violenze che hanno scosso il vostro Paese non erano fondati su motivi propriamente religiosi. Chi dice di credere in Dio dev’essere anche un uomo o una donna di pace”.
“Cristiani, musulmani e membri delle religioni tradizionali – ha aggiunto – hanno vissuto pacificamente insieme per molti anni. Dobbiamo dunque rimanere uniti perchè cessi ogni azione che, da una parte e dall’altra, sfigura il Volto di Dio e ha in fondo lo scopo di difendere con ogni mezzo interessi particolari, a scapito del bene comune”.
Nell’ultimo giorno in Centrafrica il Papa ha ricordato gli ultimi fatti drammatici di cronaca.
“Insieme diciamo ‘No’ all’odio, alla vendetta,alla violenza, in particolare a quella che è perpetrata in nome di una religione o di Dio”, perchè “Dio è pace, salam”, ha spiegato Bergoglio.
“In questi tempi drammatici, i responsabili religiosi cristiani e musulmani hanno voluto issarsi all’altezza delle sfide del momento. Essi hanno giocato un ruolo importante per ristabilire l’armonia e la fraternità  tra tutti. Vorrei assicurare loro la mia gratitudine e la mia stima – ha detto Bergoglio – . E possiamo anche ricordare i tanti gesti di solidarietà  che cristiani e musulmani hanno avuto nei riguardi di loro compatrioti di un’altra confessione religiosa, accogliendoli e difendendoli nel corso di questa ultima crisi, nel vostro Paese, ma anche in altre parti del mondo”.
Al suo arrivo   alla moschea di Koudoukou, il papa ha chiesto ai suoi ospiti di essere condotto davanti al mihrab, il punto di maggior devozione all’interno della moschea ed è rimasto in silenzio e grande raccoglimento per alcuni minuti.
Ad accogliere Bergoglio nello stadio Barthelemy Boganda di Bangui, per la messa nella ricorrenza liturgica di Sant’Andrea Apostolo, una folla di 20.000 cristiani.
Il Pontefice ha compiuto un giro nel complesso sportivo a bordo della papamobile e ha salutato i fedeli. “Ogni battezzato deve continuamente rompere con quello che c’è ancora in lui dell’uomo vecchio, dell’uomo peccatore, sempre pronto a risvegliarsi al richiamo del demonio – e quanto agisce nel nostro mondo e in questi tempi di conflitti, di odio e di guerra – per condurlo all’egoismo, a ripiegarsi su sè stesso e alla diffidenza, alla violenza e all’istinto di distruzione, alla vendetta, all’abbandono e allo sfruttamento dei più deboli”, ha detto il Papa celebrando la messa.

(da agenzie)

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PAPA FRANCESCO A BANGUI SFIDA I TERRORISTI: PAPAMOBILE SCOPERTA E VISITA AI CAMPI PROFUGHI

Novembre 29th, 2015 Riccardo Fucile

LA TAPPA A RISCHIO ATTENTATO NON FERMA QUESTO GRANDE TESTIMONE DI FEDE E CORAGGIO: “CHI HA I MEZZI PER UNA VITA DIGNITOSA, INVECE CHE PENSARE AI PRIVILEGI, AIUTI I PIU’ POVERI”

Il “Giubileo delle periferie” di Papa Francesco inizia in Africa e non a Roma.
La prima porta santa a essere aperta personalmente da Bergoglio è, infatti, quella della cattedrale di Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, ultima tappa, dopo il Kenya e l’Uganda, del primo viaggio del Papa nel continente nero.
“Vengo come pellegrino di pace e mi presento come apostolo di speranza”, ha subito detto Francesco al suo arrivo a Bangui in un Paese che esce da una lunga e sanguinosa guerra civile e dove l’allarme attentati è altissimo.
Ma il Papa non ha voluto rinunciare alla papamobile scoperta.
È la prima volta in assoluto nella storia della Chiesa cattolica che un Giubileo viene aperto fuori Roma.
Un segno che Bergoglio ha voluto per “manifestare la vicinanza orante di tutta la Chiesa a questa nazione così afflitta e tormentata ed esortare tutti i centroafricani a essere sempre più testimoni di misericordia e di riconciliazione”.
Nel suo discorso al presidente dello Stato di transizione della Repubblica Centrafricana il Papa ha sottolineato “l’importanza cruciale del comportamento e dell’amministrazione delle Autorità  pubbliche.
Queste dovrebbero essere le prime a incarnare con coerenza nella loro vita i valori dell’unità , della dignità  e del lavoro, per essere modelli per i loro connazionali”.
Bergoglio ha chiesto di evitare “la tentazione della paura dell’altro, di ciò che non ci è familiare, di ciò che non appartiene al nostro gruppo etnico, alle nostre scelte politiche o alla nostra confessione religiosa”.
Ma il Papa ha sottolineato anche che “chi ha i mezzi per condurre una vita dignitosa, invece di essere preoccupato per i privilegi, deve cercare di aiutare i più poveri ad accedere anch’essi a condizioni di vita rispettose della dignità  umana, in particolare attraverso lo sviluppo del loro potenziale umano, culturale, economico e sociale. Pertanto, l’accesso all’istruzione e all’assistenza sanitaria, la lotta contro la malnutrizione e la lotta per garantire a tutti un’abitazione decente dovrebbe essere al primo posto di uno sviluppo attento alla dignità  umana. In ultima analisi, la dignità  dell’essere umano è di impegnarsi per la dignità  dei suoi simili”.
Francesco, che ha voluto subito visitare un campo profughi, ha rivolto un appello alla comunità  internazionale “a proseguire sempre più sulla strada della solidarietà , auspicando che la loro opera, unita all’azione delle Autorità  centrafricane, aiuti il Paese a progredire soprattutto nella riconciliazione, nel disarmo, nel consolidamento della pace, nell’assistenza sanitaria e nella cultura di una sana amministrazione a tutti i livelli”.
“Possa il popolo centrafricano, come anche i suoi dirigenti e tutti i suoi partner, apprezzare il vero valore di questi benefici, lavorando incessantemente per l’unità , la dignità  umana e la pace fondata sulla giustizia”.

(da agenzie)

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PAPA FRANCESCO, UN CARISMA SEMPLICE E STRAORDINARIO CHE CONQUISTA ROMA: IN TRECENTOMILA ALL’ANGELUS

Marzo 17th, 2013 Riccardo Fucile

“SIAMO QUA PER SALUTARCI, PARLARCI, IN QUESTA PIAZZA CHE HA LE DIMENSIONI DEL MONDO”

Una grande speranza che si tocca con mano.
Una folla impressionante, mai vista dal giorno dei funerali di Wojtyla.
Una folla diversa da quella consueta: pellegrini, certo, ma anche tante ragazze giovani, padri con i bambini, anziani del quartiere che hanno portato gli animali di casa dopo aver visto il Papa benedire un cane-guida per i ciechi.
Piazza San Pietro piena già  un’ora prima dell’Angelus, folla per tutta via della Conciliazione sino al Tevere davanti ai maxischermi, striscioni con la scritta: «Francesco sei la primavera della Chiesa», «Francesco va e ripara la mia casa».
IL DISCORSO –
Il Papa ha visto, ha capito, ha sorriso. E ha incentrato il suo discorso, improvvisando spesso a braccio, sul perdono e anche sulla fiducia reciproca, sul rispetto, sulla bellezza dei rapporti umani.
Al mattino aveva già  detto la messa nella chiesa di Sant’Anna, e alla fine anzichè sparire in sacrestia con i concelebranti si è fermato a salutare i parrocchiani uno a uno. Poi esordisce con un semplice “buongiorno”: «Siamo qui per salutarci, parlarci, in questa piazza che grazie ai media ha le dimensioni del mondo».
Commenta il Vangelo dell’adultera che Gesù salva dalla condanna a morte: «Non sentiamo parole di disprezzo o di condanna ma soltanto parole di amore, di misericordia, che invitano alla conversione. Il volto di Dio è quello di un padre misericordioso, che sempre ha pazienza. Avete presente la pazienza di Dio con noi? Egli non si stanca di perdonarci se sappiamo tornare a lui con il cuore contrito».
LA CITAZIONE –
Il Papa cita il libro del cardinale Kasper, «un teologo in gamba»: «Ma non credete che faccio pubblicità  ai libri dei cardinali!».
«E’ un libro che mi ha dato molto, mi ha insegnato che un po’ di misericordia rende il mondo meno freddo e più giusto».
Evoca Isaia: «Se anche i nostri peccati ci facessero rossi scarlatto, la misericordia di Dio ci farà  bianchi come neve».
E racconta un episodio che mortifica l’orgoglio intellettuale degli studiosi ed esalta la semplicità  dei fedeli: «Un giorno a Buenos Aires venne la Madonna di Fatima. Ci fu una grande messa per gli ammalati. Io sono andato a confessare e alla fine è venuta da me una donna anziana, molto umile. Io le ho detto “Nonna lei vuole confessarsi?». Sà­, mi ha risposto. «E se il Signore non la perdonasse?» «Se il Signore non perdonasse, tutto il mondo non esisterebbe». A me veniva da dire: «Signora lei ha studiato alla Gregoriana?». Questa è la sapienza!».
Poi Francesco rinnova l’invito a pregare per lui.
Ricorda di aver scelto il nome del patrono d’Italia, «il che rafforza il mio legame con questa terra dove sono le radici della mia famiglia. Non dimenticate questo: il Signore mai si stanca di perdonare; siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono».
La folla piange e ride, è commossa ma anche di buonumore.
E lui, sorridendo: «Buona domenica e buon pranzo».
Un carisma immediato che non ha bisogno di spiegazioni.
Semplice. Straordinario.

Aldo Cazzullo
(da “il Corriere   della Sera”)

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KAROL, IL BEATO DELLA GENTE DEL POPOLO

Maggio 1st, 2011 Riccardo Fucile

UN UOMO CHE HA SAPUTO IMPERSONIFICARE LA COERENZA, LA DIGNITA’, IL CORAGGIO, LA FEDE, LA SOFFERENZA, L’AMORE PER I GIOVANI, LA SPERANZA NEL FUTURO, LA VICINANZA AI PIU’ POVERI E AI PIU’ UMILI…UN ESEMPIO DA NON DIMENTICARE

Karol Wojtyla è beato.
Ad appena sei anni dalla morte è già  sugli altari, per volontà  del successore, che lo ha conosciuto da vicino, ha collaborato con lui e ha voluto prendere sul serio quel movimento popolare così evidente al momento delle morte, quella fama di santità  diffusa che da sempre la Chiesa cattolica considera elemento fondamentale per l’avvio di una causa di beatificazione.
Quello di Giovanni Paolo II è stato un pontificato straordinario, sotto tutti i punti di vista, a partire dalla durata.
Nei ventisette anni di regno di Wojtyla — il primo Papa slavo, il Papa che veniva «da un Paese lontano» al di là  della Cortina di ferro — il mondo è cambiato: il comunismo sovietico è imploso, il Muro di Berlino è caduto.
Ma l’umanità  ha continuato a conoscere guerre, violazioni dei diritti umani, terrorismo.
Giovanni Paolo II ha difeso la libertà  religiosa, la dignità  dell’uomo, la pace. Ha tuonato contro i regimi totalitari dell’Est ma non ha fatto sconti al capitalismo selvaggio nell’era della globalizzazione.
Si è speso fino in fondo per far capire che non si può strumentalizzare il nome di Dio per giustificare l’odio.
Negli anni di pontificato wojtyliano è cambiata anche la Chiesa, che ha ricevuto dal Papa cresciuto nel granitico cattolicesimo polacco un’iniezione di speranza e la consapevolezza che i cristiani devono riscoprire il loro compito nella società  secolarizzata.
Ma a essere beatificato oggi non è il pontificato di Giovanni Paolo II, non è il suo magistero, non sono le sue scelte di governo nè le sue strategie geopolitiche.
A essere beatificato oggi è il cristiano Karol Wojtyla, un uomo che viveva immerso in Dio e per questo sapeva essere pienamente immerso nel mondo.
Un uomo che ha saputo impersonificare la coerenza, la dignità , il coraggio, la fede, la sofferenza, l’amore per i giovani, la speranza nel futuro, la vicinanza ai più poveri e ai più umili.
Un esempio da non dimenticare.

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L’URLO DELLA FOLLA PER WOJTYLA BEATO: UNA MAREA UMANA IN PIAZZA SAN PIETRO

Maggio 1st, 2011 Riccardo Fucile

ALLA CERIMONIA DI BEATIFICAZIONE SI ALZA IL GRIDO “SANTO SUBITO”… RATZINGER: “NON ABBIATE PAURA, SPALANCATE LE PORTE AL SIGNORE”… VISSUTO UN INTENSO MOMENTO DI SPIRITUALITA’, COMUNQUE LA SI PENSI: MILIONI DI PERSONE RENDONO OMAGGIO A UN UOMO CHE HA INCISO SULLA STORIA “CON LA FORZA DI UN GIGANTE”

Il Beato della gente ha abbattuto il Muro di Berlino con la forza della fede.
E il suo successore gliene rende merito in una cerimonia di grande suggestione che rende perfettamente la straordinaria ricchezza di significati dell’universo Wojtyla.
Giovanni Paolo II ha invertito «con la forza di un gigante» il corso della storia, dice il Papa in un passaggio dell’omelia pronunciata nella messa di beatificazione del suo predecessore.
Benedetto XVI ha ricordato il celebre invito rivolto dal Papa polacco nella sua prima messa solenne in Piazza San Pietro: «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!».
Ratzinger, tra gli applausi della folla, ha poi proseguito: «Quello che il neo-eletto Papa chiedeva a tutti, egli stesso lo ha fatto per primo: ha aperto a Cristo la società , la cultura, i sistemi politici ed economici, invertendo con la forza di un gigante – forza che gli veniva da Dio – una tendenza che poteva sembrare irreversibile».
Benedetto XVI ha poi continuato in polacco: «Con la sua testimonianza di fede, di amore e di coraggio apostolico, accompagnata da una grande carica umana, questo esemplare figlio della Nazione polacca ha aiutato i cristiani di tutto il mondo a non avere paura di dirsi cristiani, di appartenere alla Chiesa, di parlare del Vangelo. In una parola: ci ha aiutato a non avere paura della verità , perchè la verità  è garanzia di libertà “.
Piazza San Pietro è stracolma di fedeli mentre continuano gli afflussi nelle strade limitrofe per la beatificazione di papa Wojtyla.
I pellegrini vengono dirottati verso i maxischermi presenti in molte piazze romane davanti a chiese e basiliche: sono 14 in tutta la città .
Per la beatificazione, dice la Questura in una nota, si registra un “afflusso straordinario».
Oltre a Piazza San Pietro che ha già  raggiunto il limite massimo di presenza si registra un imponente presenza di persone in via della Conciliazione, Piazza Pio XII, Piazza del Risorgimento, Largo Giovanni XXIII e in tutte le aree che si estendono lungo un raggio di circa 500 metri da piazza San Pietro.
Una vera e propria “marea umana” anche nei punti di raccolta dei fedeli dove sono stati installati 14 maxi schermi nei punti della città  tra cui Circo Massimo, piazza Adriana, la stessa piazza del Risorgimento oltre che presso le Basiliche di San Giovanni, Santa Maria Maggiore e di San Paolo.
Il personale delle Forze dell’Ordine, i volontari e gli addetti al servizio di assistenza stanno lavorando per garantire le migliori condizioni alle persone radunatisi per seguire l’evento.
Tutte le operazioni vengono costantemente coordinate e monitorate attraverso il Centro per la gestione dell’evento attivato presso la Sala Operativa della Questura di Roma.
«Karol WojtyÅ‚a, prima come Vescovo Ausiliare e poi come Arcivescovo di Cracovia, ha partecipato al Concilio Vaticano II e sapeva bene che dedicare a Maria l’ultimo capitolo del Documento sulla Chiesa significava porre la Madre del Redentore quale immagine e modello di santità  per ogni cristiano e per la Chiesa intera. Questa visione teologica è quella che il beato Giovanni Paolo II ha scoperto da giovane e ha poi conservato e approfondito per tutta la vita. Una visione che si riassume nell’icona biblica di Cristo sulla croce con accanto Maria, sua madre- evidenzia papa Ratzinger-. Un’icona che si trova nel Vangelo di Giovanni (19,25-27) ed è riassunta nello stemma episcopale e poi papale di Karol WojtyÅ‚a».
Una croce d’oro, una “emme” in basso a destra, e il motto “Totus tuus”, che corrisponde alla celebre espressione di san Luigi Maria Grignion de Montfort, nella quale Karol WojtyÅ‚a ha trovato un principio fondamentale per la sua vita: «Totus tutus ego sum et omnia mea tua sunt. Accipio Te in mea omnia. Praebe mihi cor tuum, Maria — Sono tutto tuo e tutto ciò che è mio è tuo. Ti prendo per ogni mio bene. Dammi il tuo cuore, o Maria».
Aggiunge Benedetto XVI: «Nel suo Testamento il nuovo Beato scrisse: “Quando nel giorno 16 ottobre 1978 il conclave dei cardinali scelse Giovanni Paolo II, il Primate della Polonia card. Stefan WyszyÅ„ski mi disse: «Il compito del nuovo papa sarà  di introdurre la Chiesa nel Terzo Millennio”».
E aggiungeva: «Desidero ancora una volta esprimere gratitudine allo Spirito Santo per il grande dono del Concilio Vaticano II, al quale insieme con l’intera Chiesa — e soprattutto con l’intero episcopato — mi sento debitore. Sono convinto che ancora a lungo sarà  dato alle nuove generazioni di attingere alle ricchezze che questo Concilio del XX secolo ci ha elargito».
E puntualizza il Pontefice: «Come vescovo che ha partecipato all’evento conciliare dal primo all’ultimo giorno, desidero affidare questo grande patrimonio a tutti coloro che sono e saranno in futuro chiamati a realizzarlo. Per parte mia ringrazio l’eterno Pastore che mi ha permesso di servire questa grandissima causa nel corso di tutti gli anni del mio pontificato».
E qual è questa “causa”?
E’ la stessa che Giovanni Paolo II ha enunciato nella sua prima Messa solenne in Piazza San Pietro, con le memorabili parole: «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!».
Quello che il neo-eletto Papa chiedeva a tutti, egli stesso lo ha fatto per primo: ha aperto a Cristo la società , la cultura, i sistemi politici ed economici, invertendo con la forza di un gigante — forza che gli veniva da Dio — una tendenza che poteva sembrare irreversibile»

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IL PROFITTO SENZA IL BENE COMUNE CREA POVERTA’

Luglio 9th, 2009 Riccardo Fucile

L’ENCICLICA DEL PAPA “CARITAS IN VERITATE” SUPERA LA DICOTOMIA TRA MERCATO ED ETICA… IL SOCIALE NON DEVE ESSERE VISTO “COME UN MODO PER COLMARE LE CARENZE DELL’ECONOMIA”… ”TRASPARENZA, ONESTA’ E RESPONSABILITA’ NON POSSONO PIU’ ESSERE TRASCURATI”… OCCORRONO AZIONI DI DEMOCRAZIA ECONOMICA E RESPONSABILITA’ SOCIALE

Non deve esistere più un’economia con le sue leggi lontane da un’etica condivisa, e il sociale non deve essere più visto “come un sistema per colmare le carenze dell’economia”.
Nella sua prima e molto attesa enciclica sociale, Benedetto XVI supera le due concezioni e propone la terza via di una “economia di comunione”, un mercato civile, un’etica che sia dentro l’economia di mercato.
La “Caritas in Veritate” appare come l’introduzione teologica alla sintesi sistematica della dottrina sociale degli ultimi decenni.
Nessuna demonizzazione del mercato o del ruolo dello Stato, quanto piuttosto una critica contro gli atteggiamenti   culturali che relativizzano la verità .
Al centro dell’attuale crisi economica per il Papa c’è una crisi di verità  sull’uomo, sulla storia, sullo sviluppo e sulla tecnica. Lo sviluppo ha bisogno della verità  volta alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo.
L’enciclica è un vademecum dove si trovano i grandi temi sociali, dall’immigrazione alla bioetica, al diritto a un lavoro decente, al turismo sessuale, alla tutela dell’ambiente, ai media, ai rischi della tecnocrazia.
“La società  sempre più globalizzata ci rende vicini, non ci rende fratelli” – sostiene Benedetto XVI- e propone “una fraternità  dei singoli e dei popoli come base di un nuovo modo di fare finanza”. L’esclusivo obiettivo del profitto “senza il bene comune come fine ultimo, rischia di distruggere ricchezza e creare povertà , così come un’attività  finanziaria   per lo più speculativa, i flussi migratori mal gestiti e anche lo sfruttamento delle risorse della Terra”. Continua »

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