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ITALIA VIVA PROVA A FARE LA VITTIMA: “VOGLIONO DISTRUGGERCI”. E CHE PROBLEMA C’E’, COSI’ “RIAPRITE I CANTIERI” CHE VI STANNO TANTO A CUORE

Gennaio 14th, 2021 Riccardo Fucile

ORA I RENZIANI TEMONO DI FAR LA FINE DI SALVINI E DI ESSERSI SUICIDATI: NESSUNO LI VUOLE PIU’ AL GOVERNO

Ora il timore è quello di aver assistito al Papeete di gennaio: i renziani restano spiazzati dalla chiusura totale degli ormai ex-alleati di governo che stanno lavorando per una pattuglia di responsabili o ‘costruttori’ che taglino la strada ai renziani.
Fonti di Italia Viva non nascondo i timori: “I responsabili alla fine sono usciti fuori… E puntano a trovarli anche tra i nostri -ha detto un renziano –   vogliono spaccare il gruppo al Senato”.
Del resto, come risulta a Globalist da fonti vicine al partito democratico, già  nelle settimane scorse parlamentari di Italia Viva avevano manifestato la volontà  di abbandonare Renzi e tornare ‘a casa’ visto l’eccesso di personalismo nella conduzione del partito.
Intanto è uscito allo scoperto Riccardo Nencini che, con il suo simbolo aveva consentito la nascita del gruppo al Senato: si è schierato nella file dei ‘costruttori’.
Fonti renziane del gruppo al Senato smentiscono defezioni. “Dalle chat emerge compattezza”. Tuttavia, off the record, c’è si aspetta qualche addio.
Anche alla Camera dove tra gli ‘indiziati’ c’è Michela Rostan, ex-Leu. “Alcuni di loro lasciano sicuro…”, dice un parlamentare dem che ha ottimi rapporti con gli ex-colleghi di partito. “Usciranno allo scoperto all’ultimo, ma ci sono”.

(da agernzie)

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AUTOGOL DI RENZI: APRE LA CRISI SUL MES MA ORA GLI INTERESSI SUL DEBITO RISALGONO

Gennaio 14th, 2021 Riccardo Fucile

SOLO OGGI PERSI 8 MILIONI PER L’AUMENTO DELLO SPREAD ALLA NOTIZIA DELLA CRISI DI GOVERNO

Uscire dalla maggioranza perchè non si è fatto ricorso al Mes, che consentirebbe di risparmiare qualche centinaia di milioni di euro di interessi sul debito, innescando però l’effetto opposto, una risalita degli interessi a causa dell’incertezza politica generata dalla crisi di Governo aperta da lui stesso nel pieno della pandemia.
È il clamoroso autogol riuscito a Matteo Renzi con il ritiro delle ministre Teresa Bellanova ed Elena Bonetti dall’esecutivo Conte, foriero di nuove turbolenze sui mercati per i titoli di debito italiani.
Dopo un avvio stabile lo spread tra Btp e Bund ha accelerato fino a sfiorare i 120 punti, in rialzo di 10 punti, col rendimento del decennale salito allo 0,65%. La variazione è per il momento contenuta, grazie soprattutto alla rete di sicurezza della Bce sui titoli di debito pubblico dell’eurozona, come notano gli analisti di Equita: ci sono molti scenari “ancora possibili” che escludono le elezioni anticipate, e “pensiamo che le tensioni sullo spread possano essere limitate grazie al supporto degli acquisti della Bce, anche se aumenterebbero le preoccupazioni sull’efficacia dell’azione di governo”.
La crisi è aperta e al momento nessuno sa ancora come uscirne. Di certo, molte forze politiche, a partire da Italia Viva, sono convinte che le elezioni anticipate non ci saranno. Secondo Morgan Stanley tuttavia non possono essere escluse: “Il rischio politico del 2021 in Europa sembrava modesto, con elezioni programmate solo in Germania e nei Paesi Bassi, che avrebbero dovuto portare a cambiamenti di minor rilievo. Il riemergere del rischio politico italiano mette in discussione questa prospettiva: le elezioni anticipate sembrano possibili e probabilmente porterebbero ad un nuovo governo, meno allineato con l’Ue”.
Insomma, la fiammata dello spread per ora non preoccupa più di tanto i mercati ma certo rischia di segnare uno stop, non si sa se momentaneo o destinato a durare, per quella tendenza che aveva spinto il differenziale in discesa a ridosso di quota 100 punti base rispetto ai 240 di un anno fa, con rendimenti dei titoli italiani ai minimi storici.
E pensare che tra le principali motivazioni che hanno spinto Renzi a togliere il sostegno al Governo c’è il mancato ricorso al Mes sanitario, considerato dalla ministra dimissionaria Bonetti una questione “dirimente”.
Da settimane i renziani intimano al premier Conte di ricorrere al Fondo di diritto lussemburghese sul quale, pende però il veto del Movimento 5 Stelle, primo azionista della maggioranza che sostiene il Governo.
“Per esempio, perchè non prendiamo i soldi del Mes a tasso zero per la sanità ?”, ha chiesto ancora oggi Bonetti. L’ex ministra si riferisce alla linea di credito sanitaria del fondo lussemburghese per le spese sanitarie collegate alla pandemia del Covid: da giugno i Paesi dell’eurozona possono richiedere in prestito fino al 2% del Pil, ma fino ad ora nessuno Stato ha mai fatto richiesta d’accesso per diverse ragioni come la cattiva reputazione che si è guadagnato il Mes durante la crisi greca, la poca chiarezza del quadro giuridico per quanto riguarda le condizionalità  macroeconomiche, e soprattutto la dubbia utilità  visto l’intervento della Bce che da mesi sta “chiudendo” gli spread con il suo programma Pepp di acquisto titoli.
La vera convenienza del Mes starebbe nel tasso favorevole praticato sui prestiti concessi, più bassi rispetto a quelli di mercato, che sono comunque in discesa.
Eppure l’azzardo renziano ha avuto l’effetto opposto a quello che un eventuale ricorso al Mes si sarebbe prefissato. Perchè, seppur di pochissimo, gli interessi sono aumentati.   E non è sfuggito al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri: “Si è detto che si voleva il Mes per fare risparmiare l’Italia, oggi sta accadendo l’opposto, mi sembra evidente che non era quella la ragione fondamentale. Solo oggi, che abbiamo avuto delle aste sul nostro debito – ha detto Gualtieri – l’Italia e i cittadini italiani, per effetto dell’aumento dello spread, hanno perso 7,6 mln, quasi 8 milioni: sono soldi che abbiamo in meno, li abbiamo bruciati per quello che è successo ieri”.
Un controsenso per la forza politica da mesi fa una battaglia per risparmiare, al massimo, trecento milioni di euro all’anno sul debito pubblico.
Il Tesoro oggi ha collocato tutti i 9,25 miliardi di euro di Btp a 3, 7 e 30 anni offerti in asta. Il rendimento medio del 3 anni è sceso a -0,23% da -0,19% del collocamento precedente, ma quello a 7 anni è salito da 0,19% a 0,30%. Il trentennale è rimasto invece stabile.

(da agenzie)

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LE OMBRELLINE DI RENZI: LUI PARLA E LE “SUE” MINISTRE DIMISSIONARIE TACCIONO

Gennaio 14th, 2021 Riccardo Fucile

CHE TRISTEZZA VEDERE LA BELLANOVA, UNA DONNA CHE HA COMBATTUTO IL CAPORALATO, CON LA TESTA CHINA DI FIANCO AL CAPORALE

E’ difficile trovare le parole giuste per descrivere il fastidio misto a imbarazzo e compatimento per la scena a cui siamo stati costretti ad assistere ieri, grazie allo sciamano di Rignano: lui, Matteo Renzi, seduto tra le due veline Bonetti e Bellanova come un Ezio Greggio qualunque, che concede loro giusto il tempo di uno stacchetto alla fine, durante i titoli di coda.
Un’immagine che è riuscita a immalinconire il paese più delle piazze vuote durante il primo lockdown, specie perchè proprio Renzi è quello che aveva presentato il suo nuovo partito così: “Sarà  femminista con molte donne di livello alla guida. Teresa Bellanova sarà  la capo delegazione nel governo. Una leader politica, oltre che una ministra. Per me le donne non sono figurine e l’ho sempre dimostrato”.
L’ha dimostrato, infatti.
Ieri le sue ministre (e il “sue” è stato ribadito più volte, come a ricordarne la proprietà , come le tenesse in tasca a mo’ di figurine dei calciatori, appunto) erano il sunto perfetto di quel “Io t’ho creato, io ti distruggo” alla Totò. Della serie: “Io ce l’ho messe, io le dimetto”.
E faceva impressione vederle lì, le ministre, come ombrelline accanto a Valentino Rossi, senza fiatare mentre il loro creatore parlava di dimissioni che formalmente non erano le sue, ma delle comparse lì accanto.
Lo stesso creatore i cui discepoli di Italia Viva scomodano la parola “sessismo” pure se uno scrive che la Boschi ha le meches troppo chiare. Che mestizia vedere Teresa Bellanova, quella che si è fatta le ossa nei sindacati, che ha combattuto una vita contro il caporalato, con la testa china di fianco al caporale.
E poi quei suoi 7 minuti di monologo finale, con le tv che quando lei inizia a parlare interrompono le dirette, monologo in cui tentava di convincerci che si dimetteva perchè le pizzerie nei piccoli paesi non lavorano a pranzo e Conte non le ha tenute in considerazione. Sarebbe stato meno imbarazzante star lì con Paolini alle spalle che reggeva il cartello “Più Viagra per tutti”.
E che tristezza sentire la Bellanova dire che lascia l’incarico di governo in nome della dignità , mentre senza dignità  lascia che il capo blateri per un’ ora, ignorandola.
Per non parlare della Bonetti, la cui collana dal peso specifico di Giove ha annuito silenziosamente tutto il tempo, finchè non arrivano i suoi 5 minuti netti di spazio in conferenza stampa. Cinque minuti consumati deglutendo, proclamando “Siamo donne libere e non ci rendiamo complici di un comportamento inadeguato!”. Libere. L’ha detto davvero, “Libere”.
Per poi aggiungere: “Sono una donna delle istituzioni, il mio percorso da scout e da ministro porta a questo!”. Da scout. Fosse entrata nelle Giovani Marmotte probabilmente sarebbe riuscita a soprassedere, ma da scout no, non si cede. Si fa cadere il Governo.
Ed è così che Renzi riesce nella difficile, quasi impossibile missione di scatenare le folle perfino contro la Bellanova, di renderla invisa al popolo, proprio lei, che il popolo l’ha sempre rappresentato. Se rendere antipatica la Boschi era un’impresa facile, anche perchè lei faceva già  da sola metà  del lavoro, con la Bellanova era un’operazione complessa. E invece Renzi c’è riuscito.
Del resto, sta riuscendo addirittura a riabilitare la figura di Mastella, e, tutto sommato, a far pensare a mezzo paese che in fondo in fondo, un anno e mezzo fa, perfino Salvini, l’ha fatta meno sporca di lui.

(da TPI)

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NUOVO RILANCIO DI RENZI: VIA BONAFEDE, GUALTIERI E CATALFO

Gennaio 11th, 2021 Riccardo Fucile

CANALE BETTINI-GIANNI LETTA… IL PARADOSSO DI UN GOVERNO SOTTO RICATTO DA UN PARTITO CHE NON ENTREREBBE NEANCHE IN PARLAMENTO

“Lo stile dell’ultimo minuto non può più funzionare” dice la ministra della Famiglia Elena Bonetti quando ormai alle sette della sera il testo definitivo del Recovery plan non era ancora arrivato (arriverà  solo in tarda serata, verso le 22).
Ma la moral suasion del Colle sembra aver funzionato, ed è sempre la ministra renziana a spiegare che “prima del Consiglio dei ministri non ci sarà  alcuno strappo”.
Dal Quirinale si sono moltiplicati i segnali sull’importanza dell’incassare il piano di rilancio prima di aprire un’eventuale crisi, e questo obiettivo minimo Giuseppe Conte sembra poterlo incassare.
È su cosa succede dopo che la trattativa non fa passi avanti. Renzi avrebbe posto condizioni esose per un eventuale Conte-ter: via Alfonso Bonafede, reo di aver portato avanti una linea giustizialista al ministero della Difesa, via Nunzia Catalfo, alfiere del reddito di cittadinanza, via Roberto Gualtieri per la necessità  di una discontinuità  al ministero dell’Economia.
Ovviamente oltre all’ingresso di una nuova pattuglia di suoi nell’esecutivo, Maria Elena Boschi compresa, ipotesi che sta già  creando non pochi mal di pancia nel Movimento 5 stelle.
Ma è il pacchetto nel suo complesso a essere giudicato irricevibile.
Dai pentastellati anzitutto, che non sono intenzionati a farsi dettare la lista dei ministri nè disposti a incassare veti, specialmente su una figura chiave in quella galassia come il Guardasigilli. Ma raccontano anche di un Nicola Zingaretti sfibrato da una trattativa che se si dovesse arenare alle richieste iniziali sarebbe finita ancor prima di iniziare.
“È un modo per alzare la posta? Altrimenti è incomprensibile”, spiega una fonte di governo.
Forse anche per questo Goffredo Bettini, gran tessitore del Nazareno, lancia una frecciata a Renzi: “Mi pare che quello che punta i piedi è Renzi, che dice di essere disponibile, di voler entrare nel merito, poi, quando si entra nel merito e si parla di una possibile riorganizzazione, ho la sensazione che non abbia le idee chiare lui”.
I pontieri sono alacremente al lavoro per ricomporre una situazione che tuttavia sembra da giorni aver toccato un punto di non ritorno, senza che per questo nessuno si decida a mettere le carte sul tavolo.
Italia viva è sempre più convinta dello strappo, in qualunque modo finisca la partita del piano di ricostruzione: “Non tutto è risolvibile con il Recovery plan”, mette le mani avanti Teresa Bellanova.
Matteo Renzi torna per l’ennesima volta ad alzare la posta chiedendo l’attivazione del Fondo salva stati: “È stato presentato il Piano pandemico nazionale. Dice: “Se ci sono poche risorse, bisogna scegliere chi curare.” Ho una idea più semplice. Se ci sono poche risorse, prendiamo il Mes. Ci vuole tanto a capirlo?”. L’esigenza è quella di tenere la tensione alta in una fase di stallo totale.
I renziani vorrebbero dare il benservito a Conte, non escludendo di appoggiarne un terzo governo alle loro condizioni, ma seminando dubbi e sospetti: “Si dimettesse, poi vediamo”, taglia corto un dirigente di Iv. Nutrendo la diffidenza del premier, che si è mostrato disposto a cedere su Recovery, Servizi e nuova squadra di governo ma non ha nessuna intenzione di uscirne umiliato.
Spiega chi frequenta spesso i corridoi di Palazzo Chigi: “Se si dimettesse chi gli garantirebbe un nuovo incarico? Renzi? Ma per favore…”.
È in questo clima che le diplomazie lavorano faticosamente a uno schema che preveda una crisi pilotata, che si svolga nel perimetro della stessa maggioranza, preveda un nuovo programma, delle nuove priorità  e un riequilibrio che irrobustisca la squadra renziana di governo ma che sia potabile anche per gli altri partiti di maggioranza.
È Bettini a uscire per primo allo scoperto: “Dobbiamo avere un’alleanza molto solida, che abbia un’intesa politica e che concordi un programma di fine legislatura. Un programma preciso, chiaro. E fare anche un riassetto del governo. C’è una disponibilità  a fare questo, persino con una crisi breve, gestibile, parlamentare”.
Ecco lo schema: dare a Renzi una via d’uscita onorevole, per non perdere la faccia e poter sventolare lo scalpo di un Recovery riscritto e di un nuovo impulso al fine legislatura, potendo intestarsene il merito, cercando di mettere al sicuro il paese – e i partiti di governo – dallo scenario delle urne.
Ma le condizioni poste dall’ex rottamatore sono al momento considerate irricevibili. Proprio Bettini avrebbe attivato un canale con Forza Italia tramite Gianni Letta. “Non sono affatto convinto che da Forza Italia possa venire un sostegno soltanto da qualche disperato isolato”, ha spiegato l’ex senatore che sta lavorando a un soccorso azzurro concordato: una pattuglia di forzisti, con il silenzio assenso dei vertici, che possano puntellare la maggioranza in caso di addio di Italia viva. Operazione complessa di cui sono state poste le basi, anche se il piano A prevede di riportare Renzi a più miti consigli.
Conte non si fida, e non è un caso che il Cdm, previsto domani sera, che dovrà  dare l’ok al Recovery non preveda lo scostamento di bilancio, oggetto di una nuova riunione dei ministri più in là  nella settimana.
I 24 miliardi di debito sono necessari a finanziare l’ultimo decreto Ristori, ma sarebbero complicati da deliberare per un esecutivo dimissionario e in carica per il disbrigo degli affari correnti. Un modo per guadagnare un altro po’ di tempo, insieme al necessario passaggio parlamentare previsto sul piano di rilancio, e dare respiro a una trattativa al momento bloccata.
Anche perchè il premier è stato messo in guardia da una conta al buio in Parlamento. Il Pd è scettico, i 5 stelle hanno paura di venirne sbriciolati, e anche dal Quirinale sono filtrati i dubbi su questo scenario. Domani nella tarda serata, con il favore delle tenebre, i primi nodi verranno al pettine.

(da “Huffingtonpost”)

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SONDAGGISTA MANNHEIMER: “RENZI ATTACCA CONTE PERCHE’ ITALIA VIVA VA MALE E HA BISOGNO DI VISIBILITA'”

Gennaio 5th, 2021 Riccardo Fucile

“CONTE IN QUESTO MOMENTO HA GRANDE POPOLARITA’, NON CREDO CHE ATTACCARLO PORTI CONSENSI, LA VISIBILITA’ PUO ANCHE ESSERE NEGATIVA”

La sua analisi completa quella del democristiano Rotondi. Secondo il parlamentare di di Forza Italia ma Dc in eterno il padre-padrone di Italia Viva teme la concorrenza di Conte sul fronte moderato e vuole impallinarlo per questo.
Secondo il sondaggista di lungo corso c’è anche tanta voglia di visibilità .
“Una mossa ‘tecnicamente’ necessaria” visto che “Renzi, fino alle prossime elezioni politiche, può solo cercare visibilità , e quanto stiamo vedendo è frutto di questa sua strategia”.
Questa la riflessione il sondaggista Renato Mannheimer, interpreta la contrapposizione tra il leader di Italia Viva, Matteo Renzi e il premier Giuseppe Conte
“Renzi, probabilmente, si aspettava più consenso quando ha dato origine a Italia Viva, ma è andata male e ora prova a recuperare in qualche modo”, sottolinea il patron di Eumetra, riferendosi alle mosse dell’ex premier, che pare sempre più determinato a mettere in discussione la sua partecipazione al governo Conte II.
“Certo – sottolinea – questa cosa, andare contro Conte che in questo momento ha grande popolarità , non sono sicuro che porti a consenso, oltre che a visibilità . Ma lui aveva bisogno di fare qualcosa per farsi vedere, non vedo altre spiegazioni”.

(da Globalist)

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RECOVERY PLAN, LA PROPOSTA DI RENZI FAREBBE SALTARE I CONTI PUBBLICI, ECCO PERCHE’

Gennaio 2nd, 2021 Riccardo Fucile

IL RAPPORTO DEBITO/PIL SALIREBBE DI 10 PUNTI, QUANDO GLI AIUTI UE FINIRANNO SALTEREBBE IL BANCO

Mentre il governo punta a stringere sul Recovery plan portando in cdm la nuova bozza forse già  lunedì, si definiscono i contorni di quello che Giuseppe Conte può effettivamente concedere a Matteo Renzi che continua a sfidarlo sui contenuti del piano per l’utilizzo dei fondi europei del Next Generation Eu.
C’è un punto fermo: il debito pubblico.
Il Patto di stabilità  è congelato almeno fino al 2022, ma per un Paese indebitato come l’Italia mettere nero su bianco che si intende farlo lievitare ancora significa innanzitutto sfidare i mercati facendo allargare lo spread.
Tanto più che a metà  2022 il piano straordinario di acquisti della Bce si esaurirà . In seconda battuta, quindi, il risultato sarebbe “dover operare tagli“, come ha avvertito il premier durante la conferenza stampa di fine anno. E a pagare sarebbero proprio le “prossime generazioni”.
Come è noto la richiesta di Renzi è che tutti i prestiti Ue vengano utilizzati per progetti “additivi”, invece che per sostituire finanziamenti già  previsti nei tendenziali di bilancio — dunque per opere che giù si intendevano realizzare — ma che senza Recovery fund si sarebbero altrimenti dovuti chiedere ai mercati a costi più alti.
Il problema è che questo significa aggiungere alla zavorra del nostro debito oltre 120 miliardi in sei anni invece dei circa 55 (più 65 di trasferimenti a fondo perduto) previsti dall’ultima bozza di recovery plan di Palazzo Chigi: 65 miliardi in più rispetto ai piani del Tesoro.
Senza contare che, sempre se fossero accolte le istanze di Italia viva, andrebbero sommati pure i 36 miliardi di prestito pandemico del Mes da utilizzare per la sanità , arrivando a 156 miliardi.
Il ministro Roberto Gualtieri non è disponibile a rivedere ulteriormente al rialzo le cifre e Conte è dello stesso avviso: “C’è un limite oltre il quale offrire una curva di rientro e sostenibilità  del debito pubblico“, ha ricordato in conferenza stampa. “Se no, prenderemmo in giro i nostri giovani. Sarebbe il fardello che affosserebbe le prossime generazioni”.
Il piano renziano darebbe sicuramente un contributo maggiore alla crescita del pil rispetto al +2,3% nel 2026 stimato nel Recovery Plan, ma farebbe saltare il percorso di rientro della curva del debito/pil scritto a via XX Settembre e approvato dal Parlamento.
L’ultima Nota di aggiornamento al Def stima infatti che, dopo aver toccato nel 2020 un picco del 158% a causa delle spese straordinarie per far fronte all’emergenza Covid (dal 134% del 2019), il debito/pil dovrebbe ridursi al 155,6% nel 2021, 153,4% nel 2022 e 151,5% nel 2023. Per poi continuare la discesa e scendere “entro il 2031” sotto il livello del 2020.
Ma al contrario utilizzare tutti i prestiti per spese aggiuntive — “non lo fa nessuno in Europa”, ha ricordato Gualtieri — manterrebbe il rapporto ancora al 155% nel 2026, ultimo anno di esborso dei finanziamenti europei a valere sul Recovery fund, invece che intorno al 145% come prevede la Nadef.
Uno scenario che contribuirebbe ad allargare il differenziale di rendimento tra titoli di Stato italiani e tedeschi, ora bassissimo grazie al piano di acquisti della Bce che è molto favorevole per l’Italia ma si concluderà  nel 2022.
E uno spread più alto, oltre a far crescere la spesa per interessi, zavorra il pil, per cui l’effetto positivo dei maggior investimenti additivi sul denominatore sarebbe ridotto.
La linea decisa da Palazzo Chigi e Tesoro è del resto concordata con la Commissione Ue: non a caso il commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni pochi giorni fa ha ricordato appunto che i prestiti “fanno aumentare il debito e fa bene il governo a proporne un utilizzo prudente, anche sostituendo spese già  previste, sempre che queste siano compatibili con gli obiettivi comuni europei”.
Il punto è proprio quali spese verranno inserite nel piano finale: lo stesso Gentiloni ha messo in guardia sulla necessità  di puntare “prevalentemente su investimenti e riforme” perchè “non bastano gli incentivi, che pur non essendo esclusi non sono una priorità ” e non sono ammesse “spese che tendono a favorire consensi effimeri”.
Il riferimento potrebbe essere al superbonus edilizio che stando all’ultima bozza del piano assorbirebbe 22 miliardi — ma stando a uno studio citato da Bloomberg favorirebbe soprattutto le famiglie più ricche — e agli incentivi alle imprese per il rinnovamento degli impianti e l’innovazione tecnologica green e digitale, a cui il governo intende destinare quasi altrettanto.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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PICCOLI PARTITI, GRANDI RICATTI

Dicembre 20th, 2020 Riccardo Fucile

RENZI MINACCIA CONTE CON GLI STESSI ARGOMENTI CHE AVREBBE SFODERATO L’UDEUR DI MASTELLA O IL PSDI DI LONGO

Esistono partiti piccoli che pensano in grande; e poi ci sono piccoli partiti, nel senso di piccini in tutto e per tutto.
I primi rappresentano visioni politiche, in qualche caso utopie rispettabili, per nulla sminuite dallo scarso seguito elettorale. Aristocratici del pensiero, si diceva una volta. Pochi ma buoni. Magari avanguardie che corrono a presidiare un crocevia della storia dove con molto ritardo transiteranno i partiti di massa col loro carico di vettovaglie. Sconfitte oggi ma vittoriose domani.
Ne abbiamo avute di queste minoranze elettriche, intense, spregiudicate, orgogliose del loro zero virgola, che sono il sale della democrazia.
Spesso guidate da personaggi intrattabili come potevano essere ad esempio Ugo La Malfa o Marco Pannella, o i liberali alla Mario Pannunzio, o gli eretici del «Manifesto», capaci di puntare i piedi sulle scelte di fondo, disposti a pagare qualunque prezzo pur di testimoniare un principio, a incassare ogni affronto e proprio per questo rispettati dagli avversari, addirittura rimpianti (dopo morti)
I piccoli partiti invece rappresentano idee trascurabili; sfruttano mediocri rendite di posizione; sgomitano per raccogliere qualche briciola, scroccare là  dove possono.
Più infime sono le percentuali elettorali, più insopportabili risultano le loro pretese. Quando esagerano vengono bollati come parassiti.
Da Palmiro Togliatti fino a Silvio Berlusconi, i leader di massa li hanno sempre vissuti come una calamità , salvo tenerseli buoni con qualche tozzo di pane finchè possibile.
E qui sorge attualissima la domanda: in quale categoria rientra Italia Viva, che in piena pandemia minaccia di far cadere il governo? Tra i partiti piccoli da trattare con rispetto o tra i piccoli partiti di cui si farebbe volentieri a meno? L’aut-aut di Renzi al premier, «se non mi dai retta ti rimando a casa», merita di essere catalogato tra le battaglie nobili o tra i volgari ricatti?
Nelle sue pubbliche dichiarazioni (ultima l’intervista a Maria Teresa Meli sul «Corriere» di venerdì), il senatore di Rignano pone problemi reali. Contesta Conte sul Recovery Fund; ha ragione da vendere che non se n’è mai discusso davanti al paese e sarebbe grave che il premier considerasse quei 209 miliardi come roba sua da spendere come gli pare.
Renzi abolirebbe il semaforo delle zone rosse gialle e arancione, riaprirebbe da domani le scuole, spenderebbe senza esitazione i denari del Mes per rimpolpare la Sanità  allo stremo: tutte questioni, comunque le si voglia giudicare, degne di un partito intenzionato a svolgere un grande ruolo nonostante i sondaggi gli riconoscano il 3 per cento e alle ultime Regionali abbia raggranellato il 3,5 in Toscana, dove pure giocava in casa.
Tuttavia Renzi si è macchiato di un peccato d’origine: prima ancora di obiettare sul Recovery, sul Mes e sul resto, è andato da Conte a sollecitare un rimpasto. Lui stesso se n’è vantato in giro. Ha avuto cioè la sfrontatezza o l’ingenuità  di porre una questione che facilmente poteva essere equivocata.
Difatti Conte l’ha subito intesa come richiesta di posti. Come se Italia Viva non si sentisse abbastanza rappresentata a tavola, nel «magna magna» dei 209 miliardi europei da destinare a ministeri aziende lobby categorie enti locali e amici degli amici. Col risultato inevitabile di svilire il senso di una battaglia forse sacrosanta, ma da condurre invertendo i fattori: prima i contenuti e dopo, semmai, le poltrone, non viceversa. Così invece sembra che Renzi si sia ricordato del Mes e del resto soltanto dopo essere stato snobbato dal premier sul rimpasto.
Poi se c’è uno che, da capo del governo, accentrava peggio di Conte, quel qualcuno è proprio l’ex premier. Sospettoso come nessun altro. Supportato a Palazzo Chigi da un «Giglio magico» di pochi sodali. Insofferente dei vincoli di partito compreso quello con il Pd, di cui era peraltro segretario e dove comandava a bacchetta.
Abbagliato dal 40 per cento che ottenne alle Europee, dunque portato a liquidare i critici come fastidiosissimi gufi.
Colmo dell’ironia, adesso è Renzi a guidare la riscossa del partitismo contro un presidente del Consiglio a sua volta inebriato dal consenso, che vorrebbe fare e disfare di testa sua.
Ed è proprio Matteo a minacciarlo con gli stessi argomenti che avrebbe sfoderato l’Udeur di Clemente Mastella o il Psdi di Pietro Longo. L’eterno ritorno del sempre uguale.

(da “Huffingtonpost”)

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RENZI A CONTE SUL RECOVERY: “NON SCAMBIAMO IL NOSTRO SI’ PER UNO STRAPUNTINO”

Dicembre 9th, 2020 Riccardo Fucile

“CHI HA DECISO SOLO 9 MILIARDI PER LA SANITA’ E 3 PER IL TURISMO?”

Per Matteo Renzi è il momento di “dirsi le cose in faccia perchè serve”. Parla così in Senato il fondatore di Italia Viva in replica alle comunicazioni del premier Giuseppe Conte sul Mes. “I 18 senatori di Italia Viva la invitano” a schierare l’Italia dalla parte dell’Europoeismo. La riforma del Mes ”è una piccola parte ma va nella giusta direzione”, ha continuato l’ex premier.
“I duecento miliardi – continua – sono una conquista ma anche una grande responsabilità : noi non scambieremo il nostro si alla proposta di governance con uno strapuntino. Non stiamo chiedendo che nella cabina di regia ci sia uno nostro. Il 22 luglio abbiamo chiesto una cosa: di fronte ai 200 miliardi da spendere o il parlamento fa un dibattito vero, oppure perdiamo la dignità  delle istituzioni”.
Sul Recovery fund il fondatore di Italia Viva continua: “La task force non può sostituire il parlamento: dov’è il sindacato?”. In merito alla divisione dei fondi che arriveranno continua: “Ma non è solo un problema di metodo, anche di merito. Come si fa a dare 9 miliardi alla Sanità ”. Un riferimento poi alla sua esperienza da premier: “Io al governo misi 7 miliardi alla Sanità  e si parlò di tagli, per me ce ne vogliono il doppio, il triplo”. “Dico una cifra: 36, quelli del Mes…”.
Poi l’affondo: “Dica ai suoi collaboratori che chiamano le redazioni dei giornali per dire che Iv è in cerca di poltrone che se ha bisogno di qualche poltrona ce ne sono 3 a sua disposizione, due da ministro e una da sottosegretario”.

(da agenzie)

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IL SOLITO RENZI CHE VUOL FAR SALTARE CONTE

Dicembre 7th, 2020 Riccardo Fucile

ORA SI ATTACCA AL RECOVERY FUND, DOMANI AL PRIMO TRAM CHE PASSA… SE SI ANDASSE A VOTARE NON ARRIVEREBBE NEANCHE AL 3%: PIU’ VISIBILITA’ CERCA E MENO VOTI PRENDE

Il vertice convocato ieri nel tardo pomeriggio dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte con i capi delegazione in vista del Consiglio dei ministri di oggi sul Recovery Fund si è concluso con un colpo di scena: i rappresentanti di Italia Viva hanno lasciato il tavolo per protestare contro il metodo utilizzato dal premier.
Secondo i racconti dei ministri citati dal Corriere della Sera, Boschi e Rosato hanno lanciato un “assalto” al tavolo di maggioranza e il premier sarebbe rimasto “basito”, avendo compreso, secondo le parole di un esponente del governo “che il problema di Renzi non è tanto il merito delle cose, quanto la volontà  di far saltare Conte”.
Un’ipotesi tutta da verificare, ma che dà  l’idea del livello della crisi.
Ad essere contestata, secondo quanto spiega oggi Matteo Renzi in un’intervista a Repubblica, è la formula della task force scelta da Conte. “Il Recovery è l’ultima occasione che abbiamo per progettare il futuro del nostro Paese. Penso che la maggioranza debba fare una riflessione seria su cosa fare e su come farlo”, dice il leader di Italia viva, e aggiunge: “A luglio ho chiesto pubblicamente a Conte, in aula, di avere un dibattito parlamentare su questo tema, anche utilizzando agosto se necessario. Per mesi abbiamo ricevuto solo silenzio e task force. Poi all’improvviso, dopo tante dirette Facebook, in una intervista al direttore di Repubblica il premier comunica agli italiani che è tutto già  pronto e che ci saranno dei tecnici a gestire il tutto”. E ancora: “Del merito non sappiamo niente. Sul metodo siamo contrari“.
“Questo modo di fare non è solo sprezzante: è sbagliato”, sostiene Matteo Renzi. “Siamo contrari a sovrastrutture di centinaia di consulenti che stanno al Recovery Fund come i navigator stanno al reddito di cittadinanza. Il futuro dell’Italia dei prossimi vent’anni non lo scrivono Conte e Casalino nottetempo in uno stanzino di Palazzo Chigi”.
Il leader di Italia Viva intima: “Spero che il premier si fermi prima di mettere ai voti una scelta non condivisa”. Per votare sì, Renzi pone una condizione: “L’Italia ha già  decine di migliaia di funzionari pubblici, migliaia di dirigenti, venti ministeri. Il problema non è assumere altra gente, ma capire qual è la visione dei prossimi anni. Se la risposta è un’altra inutile task force di 300 consulenti, se la votino da soli“.
Può anche aver ragione sul metodo, il problela sta proprio nella visione che ha lui, ormai ruota di scorta degli interessi industriali
(da agenzie)

Al vertice di ieri non è mancata la reazione del Pd. Il segretario Nicola Zingaretti ha ottenuto che la cabina di regia voluta da Conte sul Recovery, che avrà  poteri speciali per accelerare gli investimenti, non potrà  sostituire i ministeri di spesa nè le Regioni. Una mossa che a Palazzo Chigi arriva come un altro avvertimento e che si aggiunge alla spaccatura già  presente nel Movimento Cinque Stelle a proposito della riforma sul Mes.

(da agenzie)

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