Dicembre 1st, 2020 Riccardo Fucile 
			
					IL GOVERNO AVVITATO SULLA CABINA DI REGIA
Al momento Matteo Renzi lo va dicendo solo ai suoi, sapendo che i segreti in questo mondo non esistono.  Con l’atteggiamento di chi sta facendo le prove generali di un discorso che ha già  dentro. E aspetta solo il momento giusto per essere pronunciato, il giorno in cui in Senato sarà  approvata la manovra: “Conte o cambia squadra o cambia mestiere, perchè così siamo alle barzellette”. È un pensiero che incrocia una sensibilità  diffusa, anche se di ilarità  in giro ce n’è poca.
Con l’atteggiamento di chi sta facendo le prove generali di un discorso che ha già  dentro. E aspetta solo il momento giusto per essere pronunciato, il giorno in cui in Senato sarà  approvata la manovra: “Conte o cambia squadra o cambia mestiere, perchè così siamo alle barzellette”. È un pensiero che incrocia una sensibilità  diffusa, anche se di ilarità  in giro ce n’è poca.
Distribuire un po’ di poltrone per evitare il rimpasto.
Questa è stata la filosofia del premier con la trovata dell’ennesima task force per gestire il Recovery, che poi sarebbe questa la barzelletta in questione. Diventata l’oggetto delle lamentele di mezzo governo, perchè per evitare il rimpasto vero questa trovata assomiglia a un rimpasto di fatto, al punto che il mite Zingaretti ha dovuto allargare le braccia all’ennesima telefonata di un suo ministro: “A me non importa che siano tre o trecento, a me importa che si faccia il Recovery”.
È chiaro quel che teme Conte, gran professionista dell’arrocco e dell’arte di dire sì e poi rimbalzare ogni richiesta. Teme che ciò che inizia come rimpasto dei ministri finisca con un rimpasto del premier. E dunque fa un po’ di ammuina, trecento consulenti, “a’ Fra che te serve”, e la nave va.
Il paradosso di questa storia è che questo carrozzone non lo vuole nessuno ma ad eccezione di Renzi in pochi lo dicono. Eppure lo pensano.
A partire dai ministri che gestiscono i dossier strategici, tipo Paola De Micheli e Sergio Costa. Semplicemente furibondi, perchè vedono svuotato il proprio ruolo. E non capiscono, in questa confusione, chi deve pensare, chi coordina, chi decide. Raccontano i ben informati che nelle chat interne dei partiti è già  in atto un nuovo capitolo del manuale Cencelli: tecnici in “quota di” che si propongono, esperti, vecchie glorie, ruffiani, portaborse e mezzecalze, per dirle col poeta. E ancora non sono arrivati i curriculum di chi rappresenta gli interessi veri in un paese in cui i poteri forti amano tenere la politica al guinzaglio corto, rendendola debole e condizionabile.
Sempre a Renzi si torna, attorno alla cui contagiosa insofferenza si è sviluppata una diffusa simpatia al punto che anche Goffredo Bettini non si nega a una consuetudine telefonica. Perchè il ragazzo, sulle battute, non è male: “Siamo ai navigator del Recovery — ha detto a chi gli ha riferito l’esito della riunione odierna -. In tutto il mondo si discute di progetti, da noi si parla di consulenti”.
Da quelle parti è tutto un festival di battute, perchè “in tutto il mondo si discute di idee per ripartire, da noi dell’ora di nascita di Gesù bambino”. E in tutto il mondo se un ministro non funziona lo cambi, non crei un governo parallelo.
Il che dà  l’idea del clima che si respira: il piccolo cabotaggio, l’orizzonte quasi alla giornata, il trionfo del particolare, gestito con più o meno maestria. In un capannello alla Camera, Matteo Orfini, ragionando a voce alta si chiede: “Io sinceramente non so quanto questa roba possa durare, tra cabine di regia e consulenze. È surreale”.
In un altro capannello si parla dell’inchiesta di Report, sullo studio dell’Oms ritirato “perchè metteva in imbarazzo il governo italiano, il cui piano di prevenzione era datato 2006 e il direttore aggiunto dell’Oms Ranieri Guerra, che tra il 2014 e il 2017 era dg Prevenzione al Ministero della Sanità ”. Roba che in altri tempi sarebbe venuto giù il mondo. E comunque qualcuno sarebbe stato chiamato in Parlamento a riferire.
Ecco, il governo sembra entrato in una terra di nessuno, e infatti nessuno si assume la responsabilità  di una mossa. Balla sul Mes, ma non si sa cosa voglia fare del Mes, come su Autostrade e Alitalia, discute di cenoni, regala a Berlusconi la “salva-Mediaset” senza neanche averne i voti in cambio.
Siamo cioè entrati in una fase in cui l’inadeguatezza è così conclamata che, se provi a capire come la pensano ai piani alti del Nazareno su progetto, durata e sul “che succede” la risposta è “boh”.
La verità  in fondo è che, pur scettici sul fatto che andrà  fino in fondo, in molti si aspettano che Renzi faccia ciò che è scontato che a questo punto non scandalizzerebbe nessuno, ma che fatto da lui lascia agli altri la coscienza pulita.
Pare che faccia sul serio, questa è l’impressione dei suoi, perchè se pure stavolta can che abbaia non morde, nessuno lo prenderà  più sul serio: “Alla fine di questa storia — ripete — o c’è il Conte ter o il Draghi 1, vedrete. Per questo Conte metterà  mano alla squadra”.
In fondo, cosa ha da perdere.
(da “Huffingtonpost”)
				argomento: Renzi |   Commenta »
			 
		
			
				
				Novembre 1st, 2020 Riccardo Fucile 
			
					PERSO IN INTRIGHI DI PALAZZO MENTRE IL PAESE LOTTA CONTRO IL VIRUS
 C’è il mondo che cambia verso ogni due settimane, e c’è Matteo Renzi, l’unico esemplare del globo malato alle prese con mutamenti epocali, paradigmi saltati, cigni neri puntuali come un dpcm, che ha il lusso e la sventura di non cambiarlo mai.
C’è il mondo che cambia verso ogni due settimane, e c’è Matteo Renzi, l’unico esemplare del globo malato alle prese con mutamenti epocali, paradigmi saltati, cigni neri puntuali come un dpcm, che ha il lusso e la sventura di non cambiarlo mai.
Fedele a se stesso, il boy scout, il bullo, il rottamatore, l’iPhone più veloce del West, s’è messo in testa che deve mettere in croce lo strano governo che ha contribuito a creare, e non c’è pandemia che tenga, alla verifica, al tagliando, al rimpasto occorre pensare.
In un certo senso è persino rassicurante abbandonare al proprio destino gli amatissimi virologi e risvegliarsi in un remake post apocalittico di Goodbye Lenin, ma invece che nella cortina di ferro ritrovarsi in piena Prima Repubblica, alle prese con liturgie di palazzo, manovre parlamentari, pizzini ai giornali e a leader dell’opposizione, tradimenti nei fatti ma inesorabilmente smentiti.
Il virus, vero unico leader globale, mette in ginocchio pezzi da novanta come Macron e Merkel, intere economie, stili di vita consolidati, e Renzi che fa?
Una serie di interviste in cui parla di lockdown e misure insufficienti e di un premier populista, ma ogni parola che dice ne evoca un’altra: rimpasto di governo.
La stessa che una cellula dormiente come il senatore Marcucci in pieno dibattito al Senato, tira fuori dal cilindro, in un discorso non concordato col gruppo del Pd, di cui, incidentalmente, è anche a capo.
Non c’è niente da fare, il tipo umano è fatto così. Di cambiare passo al governo se l’era messo in testa a febbraio, prima del Covid, e da lì non si schioda.
Allora si trattava di cambiare la legge sulla prescrizione, cosa buona e giusta, ma con il problema che i 5 stelle non l’avrebbero digerito e il governo ne avrebbe risentito negli equilibri profondi. Insomma, i tempi non erano maturi.
Che poi, se si tratta di Renzi, il punto è proprio questo. Il tempo è fattore determinante e lui, che è rapido come una faina, lo sa e fa dell’anticipo la sua forza creatrice e/o distruttrice. Se arrivare per primo sul campo di battaglia è lezione basilare dei bignami della guerra, Renzi della regoletta del blitz ha fatto pratica esistenziale e quotidiana.
Dal celebre tweet, “arrivo arrivo”, digitato ansimante sugli scaloni del Quirinale la sera dell’incarico a premier nel 2014 al culmine della guerra lampo con Enrico Letta, al “riapriamo tutto: fabbriche, negozi, scuole, librerie, messe”, detto troppo in anticipo lo scorso maggio quando si era in pieno lockdown, il passo è breve. Anzi veloce, frenetico, ansiogeno.
Degno rampollo dell’azienda di famiglia, la Speedy srl, in cui il nostro, da giovane, fece rapida esperienza. L’importante è stare fuori dalla “palude”, metafora che apprezza come poche. Vale la pena rileggersi Lapo Pistelli che lo conosce bene dai tempi della Margherita: “Matteo è talmente rapido da farti venire il mal di testa”. Un po’ meno comprensivo fu Giovanni Sartori che lo definì “un peso piuma malato di velocismo”.
C’è da scommettere che leggendo quelle parole venate di futurismo Matteo si sia offeso, si sia macerato nel non poter replicare duramente su whatsapp – i costituzionalisti sono meno raggiungibili dei direttori – e poi se ne sia fatto una ragione. E abbia ripreso a correre, su un lungarno, un tapis roulant o un Malecon dell’Avana, come accaduto davvero a margine di una visita di Stato, scortato da un bodyguard cubano troppo più in forma di lui.
Errore di comunicazione visuale persino troppo grossolano per uno che tiene a tal punto al linguaggio del corpo da andare dagli Amici teen della De Filippi in chiodo di pelle alla Fonzie e si veste strizzato Scervino – tessuti leggeri e high tech – per esprimere esplosività . Ma che importa? Fatta la bischerata, si volta pagina. Perchè di questo gli va dato atto. Renzi incassa e riparte. Come non fosse successo niente. Talmente convinto di sè da risultare inscalfibile. Come fosse l’uomo elastico, uno dei Fantastici Quattro della Marvel, prende musate pazzesche ma non si fa niente, concavo e convesso a seconda delle occorrenze, e tira dritto
Lo teorizzava anche un altro da cui – per via della smisurata spacconaggine ha mutuato il soprannome – quell’Alberto Tomba, “la bomba”, che gli errori in pista bisognava rimuoverli subito. C’è sempre una seconda manche.
D’altra parte, non sarebbe arrivato a essere il 39enne presidente del Consiglio più giovane della storia italiana se “il bomba” si fosse fermato alla prima sconfitta documentata. Al liceo Dante (il sommo, che ne avrebbe fatto sicuramente veloce sonetto) quando si candida a rappresentante studentesco ma la sua lista “Al buio meglio accendere la luce che maledire l’oscurità ” caracolla al cospetto dell’avversaria “Carpe diem”, nome che deve averlo segnato per il resto della carriera politica.
Ascesa costellata di cocenti sconfitte e pronte reconquiste.
Perde alle primarie Pd del 2012 ma si prende il partito un anno dopo. Perde il referendum più personalizzato dai tempi di Bettino Craxi (quello di “Andate al mare”) e invece che lasciare la politica come promesso in mille occasioni, si fa un giro in treno per ritrovare la connessione sentimentale col Paese, lascia Gentiloni e mezzo suo governo a palazzo Chigi, e dopo la traversata nel deserto – più una deviazione, nel suo caso – torna in scena al momento giusto, anzi in due.
Prima da Fabio Fazio, quando fa saltare le consultazioni tra Zingaretti e i 5 stelle e apre la stagione dei pop corn, da assaporare mentre va in scena l’horror del governo gialloverde.
Poi, quando i pop corn rischiano di diventare indigesti, salvando il Paese dai pieni poteri di Salvini e dalla new wave sovranista. In pieno stile turborenziano.
È lui stesso a raccontarlo al Foglio.“L’8 agosto, quando Salvini ha fatto la follia. Ero a casa a Firenze, appena rientrato da Roma. Mi arriva l’agenzia con cui Salvini chiude ufficialmente l’esperienza di governo. Respiro. E mi vedo il film. Papeete, tour nelle spiagge, caccia all’immigrato, mojito, dichiarazione contro Macron, cubista che balla, mercati che ballano, spread che aumenta…”
A quel punto il senatore si morde la lingua pensando all’idea di votare la fiducia a un governo con dentro Di Maio, e manda un sms all’unico del Pd con cui parla, Andrea Orlando: “Andrea, se fossimo seri ora sarebbe il momento di fare politica. Sentiamoci’. Poi prende la Mini della moglie Agnese e guida fino alla festa dell’Unità  di Santomato, nel pistoiese: “Sono uno di quelli che quando ha bisogno di riflettere, ama guidare”. Figuriamoci.
Ma non è finita. Non pago della ritrovata centralità , pochi giorni dopo, fa quello che aveva in mente da anni, dal 40 per cento delle europee del 2014, ossia lascia il Pd.
In un lampo: un’intervista a Repubblica e un whatsapp al segretario Zingaretti. “A decisione presa”. Dieci anni dopo aver pronunciato per la prima volta la parola “rottamazione” di “un’intera generazione di dirigenti” del partito, è lui a levarsi dai piedi. Senza incentivi, direbbe. Una scelta fulminea in nome della sua libertà  “ritrovata” che riesce a mettere d’accordo pur con sfumature diverse Goffredo Bettini (“L’operazione è un bene per tutti”), Lucia Annunziata (“Un’operazione di verità , stavolta non è criticabile”), Massimo Cacciari (“Finalmente”) e gran parte dei dem che tirano un sospiro di sollievo.
Al contrario di Conte (2) che da quel momento dovrà  vedersela direttamente con lui. “Adesso Renzi può indebolire Conte, se per esistere dovrà  marcare le differenze”, sentenzierà  il saggio Rutelli, un altro che del ragazzo di Rignano legge mosse e pensieri.
Così dalle ceneri della fenice di Rignano nasce Italia Viva, che era stato lo slogan di una lontana Leopolda, la kermesse annuale per contare e contarsi nell’ex stazione di Firenze, progetto macroniano di un partito nazione. “Renzi — scrive Eugenio Scalfari — punta a ottenere un risultato politico che lo porti alla testa della struttura che ha in mente: un altro partito, vicino al quello democratico, ma da lui guidato”. Progetto difficile, perchè in primis, come osserva Michele Salvati, Renzi non è Macron, la cui novità  è “nella provenienza da un mondo diverso da quello della politica politicienne”.
E infatti, Italia Viva respira nel Palazzo ma non cresce nel Paese. Anzi nonostante le fanfaronate del suo leader, “Si è vinto così anche grazie a noi”, è totalmente ininfluente alle ultime Regionali mentre il Pd si consolida. Ma non importa. Neanche stavolta. Riparte il fuoco di fila parlamentare e a metà  ottobre arriva a sorpresa lo stop dei renziani al voto ai 18enni per il Senato. Ai dem, Graziano Delrio in testa, saltano i nervi. Poi c’è la nuova emergenza pandemia, ed eccoci ai continui distinguo, bollati come “irresponsabili” dal resto della maggioranza.
“Dopo sette anni di fuoco amico — sosteneva Renzi, uscendo da Pd — penso si debba prendere atto che i nostri valori, le nostre idee, i nostri sogni non possono essere tutti i giorni oggetto di litigi interni”. Esatto. Persino coerente. Molto meglio spostare i litigi direttamente dentro il governo. Però il Paese è altrove, alle prese con il reale, col virus, e Renzi appare sempre più nella temuta palude, laddove la velocità  rischia di portarti a fondo.
(da “Huffingtonpost”)
				argomento: Renzi |   Commenta »
			 
		
			
				
				Settembre 21st, 2020 Riccardo Fucile 
			
					NUMERI IMPIETOSI ANCHE IN VENETO, LIGURIA, MARCHE E CAMPANIA
In Puglia non supera il 2%, in Veneto nemmeno. Ma il dato più emblematico arriva dalla  Toscana dove non è risultata decisiva neanche per la vittoria di Eugenio Giani, leader della coalizione di centrosinistra ma espressione dei renziani.
Toscana dove non è risultata decisiva neanche per la vittoria di Eugenio Giani, leader della coalizione di centrosinistra ma espressione dei renziani.
I numeri delle elezioni regionali sono impietosi per Italia Viva e la consegnano, all’esito di questa tornata, nel perimetro dell’irrilevanza elettorale. Il partito di Matteo Renzi si è presentato al voto in sei Regioni, tre in alleanza con il Partito Democratico e tre in solitaria con il proprio candidato, ma il risultato si è rivelato parimenti deludente.
A partire dalla Toscana, fin qui considerata fortino dell’ex premier, dove Giani è riuscito a respingere l’assalto leghista guidato da Susanna Ceccardi con un margine di circa sette punti percentuali senza godere di alcun vantaggio dall’apparentamento con IV.
Qui, solo cinque anni fa il Pd dell’ex sindaco di Firenze otteneva il 45% con 314mila voti. Chiaro che il neonato partito renziano non poteva ambire a tali cifre ma la speranza era quantomeno di dare un contributo decisivo alla vittoria di Giani, braccato dalla Ceccardi.
Non è andata così: Italia Viva e +Europa hanno raccolto insieme il 4,5% circa, risultando così non decisivi per la vittoria dell’ex presidente del Consiglio regionale toscano.
Peggio ancora è andata in Puglia dove il candidato Ivan Scalfarotto non è riuscito nemmeno nell’intento non dichiarato ma comunque lampante di far perdere l’odiato presidente uscente Michele Emiliano.
Dopo una estenuante campagna elettorale all’insegna di attacchi violenti indirizzati più al candidato Pd e meno all’avversario del centrodestra Raffaele Fitto, Scalfarotto ha ottenuto circa l′1,6%, di cui – a voler spaccare il capello in quattro – solo l′1% farebbe capo a Italia Viva e il restante alla lista personale del candidato.
Bisognerà  aspettare il conteggio definitivo per stabilire se l’ex sottosegretario agli Esteri riuscirà  a ottenere uno scranno per sè in Consiglio regionale. Un aspetto emblematico visto che la sua candidatura – questi erano i timori dem della vigilia – rischiava di far perdere Emiliano a esclusivo vantaggio di Fitto.
“Ho avuto paura di perdere perchè avevo davanti un avversario bravo, competente e capace di fare la campagna elettorale”, ha ammesso Emiliano dopo la vittoria, riconoscendo l’onore delle armi a Fitto. Mentre si è tolto qualche sassolino contro Renzi: “Ha sbagliato, speriamo che impari dagli errori”.
Dati pessimi anche in Veneto dove la senatrice di IV Daniela Sbrollini ha tentato la corsa in solitaria senza esiti particolarmente edificanti: i voti raccolti viaggiano nell’ordine di grandezza dello 0,6%.
Nelle Marche la lista IV a sostegno del candidato di centrosinistra Maurizio Mangialardi non è servita a evitare la sconfitta della coalizione nell’ex regione rossa che, sottotraccia, è passata al centrodestra guidato da Francesco Acquaroli.
In Campania la lista renziana a sostegno di Vincenzo De Luca ha ottenuto un ininfluente 6% che poco cambia nella vittoria bulgara dell’ex sindaco di Salerno sull’eterno sconfitto Stefano Caldoro.
In Liguria, i renziani con i socialisti e +Europa esprimevano il candidato comune alla presidenza della Regione Aristide Fausto Massardo: a scrutinio in corso viaggia sul 2,5%. Missione fallita.
(da “Huffingtonpost”)
				argomento: Renzi |   Commenta »
			 
		
			
				
				Giugno 26th, 2020 Riccardo Fucile 
			
					RENZI TEME CHE TUTTO POSSA SALTARE
 Il campanello d’allarme è scattato lo scorso 19 giugno. Al Senato nella sala del governo sono riuniti i capogruppo di maggioranza insieme al ministro dei Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà ”.
Il campanello d’allarme è scattato lo scorso 19 giugno. Al Senato nella sala del governo sono riuniti i capogruppo di maggioranza insieme al ministro dei Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà ”.
Pallottoliere in mano, contano febbrilmente i numeri dei senatori che sono riusciti a rientrare a Roma per partecipare alla fiducia sul decreto intercettazioni, dopo che un pasticcio sul numero legale aveva portato all’annullamento del voto della sera prima.
Il Partito democratico dice che un senatore è out, per il resto il gruppo è a ranghi completi, stessa identica situazione per Italia viva. E i 5 stelle? “Dovremmo essere novantuno, anzi no, forse novantatrè, a breve lo sappiamo”.
Un navigato conoscitore delle dinamiche di Palazzo Madama sbotta: “In quel momento si è capito che non controllano più niente lì dentro”.
E la conferma arriva da una fonte al vertice del Movimento: “Non governiamo più niente del gruppo, non c’è un capo, gli altri sono militanti, sono organizzati per correnti, da noi non si riesce non dico tanto a controllare, ma nemmeno più a monitorare nulla”.
E’ allarme sui numeri. Pallottoliere alla mano, la maggioranza conta 165 senatori, più i colleghi a vita Mario Monti ed Elena Cattaneo, presenti nei momenti decisivi.
“Ci aspettiamo altri arrivi, anche da M5s”, ha spiegato oggi Matteo Salvini, annunciando il proseguio di una campagna di arruolamento che ha portato quattro grillini a fare armi e bagagli e a traslocare nella Lega. Ne basterebbero altrettanti per mettere la maggioranza sull’orlo del burrone.
Inaspettatamente è stato Matteo Renzi a cercare nel modo più deciso possibile di calmierare le acque, proponendo un patto di legislatura a Pd e M5s, con obiettivo l’elezione del presidente della Repubblica nel 2022, da non lasciare a una maggioranza sovranista.
I suoi la motivano con tutto l’armamentario retorico del caso: “Matteo è stato il primo a volere questo governo”, “Matteo è il leader di una forza responsabile come Italia viva”, “Matteo come tutti noi vuole solo che l’Italia torni a crescere”. Ma nel clima di sospetti in cui vive e di cui si nutre la maggioranza una lettura “propagandistica” delle parole dell’uomo dei penultimatum non bastano.
Ecco che un uomo vicino all’ex rottamatore va più a fondo: “Abbiamo capito due cose: la prima è che non è questa la fase in cui far cadere il governo, la seconda è che rischia seriamente di cadere per lo sgretolamento dei 5 stelle e l’incapacità  di Giuseppe Conte di gestire la situazione”.
Il leader di Italia viva, in parte rassicurato dalla prova di forza delle settimane scorse che gli ha conferito maggiore peso e agibilità  in maggioranza, avrebbe deciso di rinviare l’idea di uno showdown che pure ha accarezzato negli ultimi mesi.
A settembre, il ragionamento, la situazione sarà  completamente diversa: incombe la sessione di bilancio, c’è il voto regionale e quello referendario, andare al voto sarà  estremamente complicato, anche considerando gli orientamenti del Quirinale.
E proprio definire quale asticella quella della data per eleggere il successore di Sergio Mattarella è il miglior collante possibile, spiegano da Italia viva: “Qualunque altro tema, dal decreto Rilancio al Semplificazioni, avrebbe incontrato i distinguo di qualcuno”.
Il non detto del ragionamento è che la finestra per andare alle urne insieme alle regionali scade il 10 luglio. E che se venisse giù tutto in tempi rapidi non ci sarebbe tempo per riscrivere la legge elettorale, cosa possibile con una transizione più morbida, magari fino alla primavera dell’anno prossimo.
Insomma, c’è il bene del paese nel discorso renziano, ma anche una robusta dose di calcolo politico.
A preoccupare sono anche gli incessanti segnali di insofferenza da parte del Nazareno. Raccontano che Dario Franceschini sarebbe al limite della sopportazione di quello che chiamano “il metodo Conte-Casalino”.
Il riferimento ultimo è al vertice di maggioranza di ieri, con i partiti impossibilitati a discutere del Semplificazioni perchè nessuno ha mai visto il testo, e per l’incaponimento definito “incomprensibile e non concordato con nessuno sull’Iva”.
Anche Nicola Zingaretti è assai scontento, e sempre più componenti di peso del partito si interrogano su quale sia il confine tra responsabilità  nazionale – che fin qui, sondaggi alla mano, ha comunque generato dei dividendi, e autolesionismo.
Ai vertici del Movimento c’è grande preoccupazione. Per la situazione interna, certo, ma soprattutto per l’impatto che potrebbe avere sul governo.
Da quelle parti non è sfuggito che Renzi abbia teso la mano “alla maggioranza”, e non al governo. Un modo obliquo, sostengono, per dire che non ha mai abbandonato l’ipotesi di giubilare Conte e cambiare governo fino a scadenza naturale della legislatura.
Prima della pausa estiva al Senato arriverà  il decreto Rilancio, blindato dopo il passaggio alla Camera, il probabile voto sullo scostamento di bilancio e probabilmente il decreto Semplificazioni in prima lettura.
Ma a preoccupare in particolar modo è la risoluzione sull’Europa, che il premier vorrebbe rimandare a settembre ma che attualmente è prevista per la prima metà  di luglio.
Il Mes costituisce il più concreto rischio d’incidente. E proprio sul Mes si potrebbe sperimentare il soccorso azzurro, una coincidenza d’intenti con Forza Italia che garantirebbe i numeri ma che soprattutto sarebbero le prove generali del nuovo schema che l’ex premier ha in mente.
Certo, con Fi il partito guidato da Vito Crimi non accetterebbe mai di governare. “Ma se Renzi – dice un esponente di governo – lavorasse per un gruppetto che garantisse i voti magari dal gruppo Misto, ecco, non è che noi ci opporremmo…”.
(da agenzie)
				argomento: Renzi |   Commenta »
			 
		
			
				
				Maggio 22nd, 2020 Riccardo Fucile 
			
					ITALIA VIVA PUNTA SU PRESIDENZE DI COMMISSIONE MA ANCHE SU UN MINISTERO PER LA BOSCHI
 “Per il mio manuale indiscutibilmente pesava più un presidente di Commissione che un sottosegretario o viceministro”. Si potrebbe chiudere qui la spiegazione del perchè nella discussione politica abbia fatto prepotentemente irruzione il rinnovo di chi dovrà  guidare le Commissioni di Camera e Senato.
“Per il mio manuale indiscutibilmente pesava più un presidente di Commissione che un sottosegretario o viceministro”. Si potrebbe chiudere qui la spiegazione del perchè nella discussione politica abbia fatto prepotentemente irruzione il rinnovo di chi dovrà  guidare le Commissioni di Camera e Senato.
A spiegarlo all’Huffpost è direttamente quel Massimiliano Cencelli che costruì il pamphlet che tra mito e realtà  è diventato il vademecum per la spartizione negli anni della Dc. Spesso usato spregiativamente per indicare la fame di poltrone, ieri Ettore Rosato, coordinatore di Italia viva, se ne è candidamente fatto scudo: “Esiste un manuale Cencelli, chiediamo una rappresentanza istituzionale come gli altri”.
E in effetti Matteo Renzi ha più volte rintuzzato i colleghi della maggioranza, dicendo che Iv ha la metà  dei senatori del Pd, ma meno di un terzo dei ministri, i suoi hanno fatto circolare pallottolieri sui numeri al Senato, dopo il voto di ieri hanno subito inviato la velina: “Siamo determinanti”. Non per chiedere poltrone, per carità , ma per amor di verità . Se il rimpasto è operazione complessa e politicamente difficile da realizzare a tavolino, un assist arriva dalla naturale scadenza delle presidenze di Commissione, prevista nella seconda metà  di giugno.
Il partito dell’ex rottamatore punta a fare la voce grossa soprattutto alla Camera. Sono sei a Montecitorio i leghisti votati nell’era gialloverde che lasceranno le cadreghe, cinque al Senato, dove però la maggioranza risicata rende gli equilibri delicatissimi ed è consigliabile un tagliando più che uno stravolgimento.
Renzi sa come Cencelli che una fetta ben più robusta di potere passa da lì piuttosto che da posti di sottogoverno. Un colonnello di Italia viva spiega che “non ci dispiacerebbe uno dei nostri alla Giustizia o alle Infrstrutture. Ma bisogna aspettare che quella partita si apra, e poi comunque richiamo che rimangano per mesi senza deleghe, e siano ridotti a un ruolo di molta apparenza e poca sostanza”.
Un posto libero sarebbe la delega ai Servizi, ma Conte ha già  detto no, e allora i renziani hanno rilanciato con l’idea di un sottosegretario a Palazzo Chigi con un ruolo molto politico, si vedrà .
L’ex premier spergiura che non sia così, ma lavora per un terzo ministro in squadra, dopo Teresa Bellanova ed Elena Bonetti. Le Infrastrutture, di gran portafoglio e di grande interesse per le proposte dei renziani, o un dicastero più politico per la Boschi. C’è poi l’Agcom, una girandola di nomine ancora da completare, ma le Commissioni sono diventate oggi il vero rimpasto.
Paolo Cirino Pomicino fa una classifica: “Le più importanti sono quelle che hanno competenza su interni, esteri, giustizia, difesa ed economia”.
Ma sui posti più ambiti non ha dubbi: “Sono sicuramente, in quest’ordine, la Bilancio e la Affari costituzionali”. E guardacaso il borsino di Palazzo dà  i renziani interessati proprio a queste due.
Un funzionario parlamentare di lungo corso spiega il perchè: “Bilancio e Affari costituzionali sono le cosiddette Commissioni filtro. Da queste due, per un motivo o per l’altro, finiscono per passare tutti i provvedimenti. Anche la Affari europei, per certi versi, ma con minore impatto”. La prima, guidata fino a oggi da Claudio Borghi, ha il potere di intervenire su tutte le norme che comportino un esborso di denaro pubblico, fornendo un parere che è vincolante, con tanto di riserva costituzionale come previsto dall’articolo 81. Allo stesso modo la Affari costituzionali non si occupa solamente delle pur importanti riforme e della legge elettorale, ma è chiamata a intervenire su tutte le leggi di carattere ordinamentale.
Insomma, chi controlla Bilancio e Affari costituzionali controlla l’intera macchina, e non è un caso che M5s e Lega se le siano spartite in perfetta alternanza. E non è un caso che sia dai 5 stelle sia dal Pd filtri la stessa posizione: a un paio di Commissioni hanno diritto, ma Bilancio e Affari Costituzionali insieme non se ne parla.
“Tecnicamente, e senza scendere in un giudizio politico, la richiesta di Renzi ha un senso”. A dirlo Antonio Azzollini, per dodici anni mitologico presidente della Bilancio a Palazzo Madama, dove la sua inconfondibile coppola e l’impermeabile svolazzante incutevano un misto tra simpatia e timore.
“Lui era un treno – spiega il funzionario di cui sopra – sapeva quello che voleva e lo otteneva a colpi di regolamento, interpretandolo o forzandolo a seconda della necessità ”. “La richiesta di Renzi ha un senso – dice dunque Azzollini – perchè dalla presidenza della Bilancio puoi avere il quadro completo di tutto quello che si muove in Parlamento, tra decreti del governo e proposte di legge. Se un partito vuole sapere cosa succede deve sedersi su quello scranno”.
Il pacchetto di mischia renziano ha messo ai blocchi di partenza un quartetto formato dai big del partito. C’è Luigi Marattin proprio per la Bilancio, Maria Elena Boschi per la Affari costituzionali. Poi Raffaella Paita ai Trasporti, posto cruciale per il buon andamento del “piano shock” che caratterizza la principale proposta renziana per la Fase 2.
E Lucia Annibali alla Giustizia, nella top 5 per importanza secondo Cirino Pomicino e contraltare perfetto a via Arenula in una delle partite più a cuore a Renzi, sulla quale ha stressato il dibattito in maggioranza fino a minacciare sconquassi mai portati fino in fondo.
“Poi è fondamentale chi ci metti alla guida – continua Pomicino – se il presidente è politicamente forte si può arrivare alla situazione in cui lui detta e il ministro scrive”.
Chi guida ha un ruolo importante nella definizione del calendario, di cosa mettere in discussione o meno (decreti assegnati a parte). Decide quali sono gli emendamenti inammissibili (compresi quelli dell’esecutivo), può cancellare con un tratto di penna o quasi le proposte che potrebbero mettere in difficoltà  i suoi, stabilisce quale sia la deadline della presentazione degli emendamenti parlamentari. Sul timing di quelli del governo non avrebbe potere, ma uomini di polso hanno messo alle strette il proprio esecutivo: “Azzollini era uno che non la mandava a dire – continua la nostra fonte parlamentare – imponeva scadenze anche all’esecutivo. Anche Francesco Boccia su questo era molto rigoroso”.
All’osservazione di Pomicino risponde netto: “Ha ragione. Per l’attuale maggioranza ha fatto più danni il grillino Pesco al Senato, persona squisita ma inadatta al ruolo, rispetto al dirimpettaio Borghi alla Camera”.
La partita che si sta iniziando a giocare si delinea nei suoi contorni. Sarebbe troppo bizantino spiegare per filo e per segno i due diversi meccanismi che impongono un cambio. Per brevità  diremo che, pur senza termini perentori, a metà  legislatura tutti i presidenti si rinnovano, con metodi di elezione che differiscono ma che richiedono, nella sostanza, la maggioranza assoluta dei componenti. Renzi dunque sa che quelle poltrone sono strategiche.
Basta guardare il diverso ritmo con il quale si sono mosse le due Affari Costituzionali.
Alla Camera il grillino Giuseppe Brescia lavora a spron battuto: ha incardinato proposte sui migranti, sui flussi, sul conflitto d’interessi, sulla legge elettorale, che non a caso da Montecitorio è partita.
Perchè da quando il governo ha cambiato segno il leghista Andrea Ostellari, suo omologo al Senato, ha iniziato a zavorrare i lavori. Come? Semplicemente sfrondando il calendario e non facendo lavorare la Commissione se non sul dovuto. Strategia opposta a quella di Nitto Palma, che da forzista si ritrovò presidente della Giustizia con il governo Renzi-Alfano, e iniziò a sovraccaricare i lavori. Dodici, tredici proposte di legge per convocazioni lunghe un paio d’ore, con il risultato di mandare in tilt l’iter di qualunque legge.
Il ruolo permette di plasmare le decisioni. Sono fresche le polemiche di quando Brescia consentì il voto determinante di alcuni deputati 5 stelle anche se non registrati prima allorchè Iv votò con le opposizioni sulla prescrizione. Basta immaginare l’effetto sostituendo Brescia con Boschi. Pomicino ricorda che su un voto determinante per il governo “finì 20 a 20, con l’effetto che la proposta sarebbe stata bocciata. Io capii chi aveva votato contro, lo squadrai e con un pretesto feci ripetere la votazione: finì 21 a 19”.
Italia viva un po’ per realismo un po’ per opportunità  sta guardando a scranni che attirano molte meno responsabilità  e pressioni dal punto di vista mediatico rispetto a quelle che ruotano intorno a un sottosegretario o a un ministro, ma possono condizionare assi di più gli equilibri di maggioranza. Pomicino racconta un aneddoto che fa aiuta assai: “Quando mi proposero di fare il ministro della Funzione pubblica fui tormentato. Era un ministero, ma io sapevo che potevo fare di più dalla presidenza della Bilancio. Passai una notte insonne”. Prevalse la sapienza democristiana e il consiglio di un amico: “Stare troppo tempo sulla stessa poltrona non ti fa bene”. Cencelli ha un moto nostalgico: “Ricordo i miei tempi, allora sì che avevano valore, ma con il Parlamento di oggi…”.
Probabilmente c’è un pezzo di verità , ma solo un pezzo. Nel 2011 quando l’impatto della crisi economica investì il paese, Azzollini ricorda le maratone notturne, il rapporto con le opposizioni, le pressioni: “E’ un posto per il quale ti chiamano in continuazione i ministri, ma spesso anche il presidente del Consiglio”. “Sembra che Renzi abbia superato le perplessità ”, ha dichiarato uno speranzoso Giuseppe Conte. Commissioni pemettendo.
(da “Huffingtonpost“)
				argomento: Renzi |   Commenta »
			 
		
			
				
				Maggio 1st, 2020 Riccardo Fucile 
			
					LA FRASE DI RENZI GIUDICATA “GRAVISSIMA E INCOMMENTABILE” DAI SINDACI DI BRESCIA E BERGAMO
 È arrabbiato anche Giorgio Gori, che pure era un renziano. Ma la frase del senatore di Rignano sui bergamaschi morti che “se potessero parlare” direbbero “ripartite per noi” ha fatto arrabbiare molti in una delle zone falcidiate dal Coronavirus SARS-COV-2 e da COVID-19.
È arrabbiato anche Giorgio Gori, che pure era un renziano. Ma la frase del senatore di Rignano sui bergamaschi morti che “se potessero parlare” direbbero “ripartite per noi” ha fatto arrabbiare molti in una delle zone falcidiate dal Coronavirus SARS-COV-2 e da COVID-19.
Un’uscita che ha lasciato senza parole i sindaci di Brescia e Bergamo, entrambi esponenti della maggioranza di cui il leader di Italia Viva fa parte.
Il Fatto Quotidiano dice che è stata “Una dichiarazione gravissima e incommentabile”, secondo il sindaco di Brescia Emilio Del Bono, che sul territorio della provincia ha visto morire in due mesi più persone di quelle che morirono sullo stesso territorio in tutta la seconda guerra mondiale.
Ma il clou è quello che dice Gori:
“Mi pare un’uscita a dir poco infelice. Se Renzi voleva rendere omaggio ai nostri morti, il modo — coinvolgerli a sostegno della sua proposta di riapertura Renzi ha pieno rispetto del dolore di queste province: quella pronunciata al Senato — conclude — è però una frase decisamente fuori luogo.”
È proprio quell’attaccamento al lavoro, per usare le parole di Gori, tra le altre cose, quello che ha fatto sì che in queste settimane di lockdown le province di Bergamo e Brescia fossero quelle in cui la chiusura ha funzionato meno: decine di migliaia di aziende aperte, molte grazie al sistema delle autocertificazioni in prefettura, che hanno continuato a produrre in nome delle attività  essenziali e che hanno indubbiamente contribuito alla circolazione delle persone, e con loro del virus.
Non solo: anche Il sindaco di Albino, 17 mila abitanti in provincia di Bergamo, Fabio Terzi, è costernato: “Passavo il mio tempo a fare le condoglianze. Certi giorni ne morivano anche sette od otto”.
Eppure in Senato Renzi ha detto che i morti riaprirebbero se potessero. Ha sbagliato?
Tutti noi sindaci della Bassa Valle Seriana siamo molto provati. Per questo io dico che non ci devono essere fughe in avanti sulle riaperture, questo è fondamentale. Servono ancora tante precauzioni.
È ancora tempo di stare fermi e tenere tutto chiuso, quindi?
Io posso anche aprire i parchi, ma poi ci metto il personale a controllare. E se il personale non ce l’ho, faccio come con il mercato ambulante: ieri ho fatto una ordinanza per annullarlo. Ovviamente i commercianti si sono lamentati. Ma dobbiamo seguire la linea della cautela.
(da “NextQuotidiano”)
				argomento: Renzi |   Commenta »
			 
		
			
				
				Marzo 28th, 2020 Riccardo Fucile 
			
					LA PROPOSTA DELL’EX PREMIER: “NON POSSIAMO STARE CHIUSI IN CASA AD ASPETTARE IL VACCINO”
 Matteo Renzi propone di riaprire gradualmente l’Italia, ma sbatte contro il muro degli scienziati. “Riapriamo. Perchè non possiamo aspettare che tutto passi” ha detto l’ex premier in un’intervista ad Avvenire, “perchè se restiamo chiusi la gente morirà  di fame. Perchè la strada sarà  una sola: convivere due anni con il virus. Serve un piano per la riapertura e serve ora. Le fabbriche devono riaprire prima di Pasqua. Poi il resto. I negozi, le scuole, le librerie, le Chiese. Serve attenzione, serve gradualità . Ma bisogna riaprire” afferma Renzi.
Matteo Renzi propone di riaprire gradualmente l’Italia, ma sbatte contro il muro degli scienziati. “Riapriamo. Perchè non possiamo aspettare che tutto passi” ha detto l’ex premier in un’intervista ad Avvenire, “perchè se restiamo chiusi la gente morirà  di fame. Perchè la strada sarà  una sola: convivere due anni con il virus. Serve un piano per la riapertura e serve ora. Le fabbriche devono riaprire prima di Pasqua. Poi il resto. I negozi, le scuole, le librerie, le Chiese. Serve attenzione, serve gradualità . Ma bisogna riaprire” afferma Renzi.
Proposta che viene cestinata dagli scienziati che stanno seguendo in prima persona la diffusione della pandemia di coronavirus in Italia.
Fra questi,il virologo del San Raffaele di Milano Roberto Burioni, secondo cui “in questo momento la situazione è ancora talmente grave da rendere irrealistico qualunque progetto di riapertura a breve”.
“Pensare di riaprire le scuole è prematuro” commenta il virologo dell’Università  di Milano Fabrizio Pregliasco, “giusto pensare al futuro ma serve molta attenzione. Dovremmo convivere con il fatto che pandemie come questa possono anche tornare, è accaduto con la Spagnola. Questo virus non ce lo toglieremo dai piedi velocemente, ma in questa fase è necessario agire per poter arginare la dimensione di morti che c’è stata in Lombardia”
“Pensare di riaprire le scuole il 4 maggio è una follia e fare proclami in questo momento è sbagliato” dice all’Adnkronos Salute l’epidemiologo dell’università  di Pisa Pierluigi Lopalco, presidente del Patto trasversale per la Scienza (Pts).
“Dobbiamo essere cauti e dare illusioni se non abbiamo dati – rimarca Lopalco – oggi abbiamo solo una flebile speranza in Lombardia, ma ad esempio a Milano la situazione non è ancora sotto controllo. Come facciamo a riaprire le scuole se non lo abbiamo certezze. Non diamo false aspettave e speranze”.
“Come epidemiologo devo guardare la salute pubblica e ora occorre rallentare e arrestare l’epidemia” commenta Gianni Rezza, direttore del dipartimento Malattie Infettive dell’Iss:,“Non possiamo tenere l’Italia chiusa per sempre, ma occorre vedere prima vedere gli effetti delle misure importanti messe in campo dal Governo. In questo momento non si può dire nulla non prima della fine del mese. Poi si posso studiare provvedimenti magari ‘stop and go’ o misure complementari. Vedremo cosa accadrà ”.
“Riaprire prima di Pasqua? Governo e Parlamento decidano prima quante vite umane vogliono sacrificare per far ripartire economia. Renzi dalla tragedia di Bergamo non ha imparato proprio nulla” commenta Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe.
Calenda, leader di Azione, attacca: “Caro Matteo Renzi, la tua dichiarazione è poco seria. Potremo riaprire quando la curva inizierà  a flettere seriamente. Altrimenti il lockdown sarà  stato inutile e dovremo riapplicarlo al primo riaccendersi di un focolaio”.
Il capo politico del M5s Vito Crimi commenta a Skytg24: “Non vorrrei che quella di Renzi sia di nuovo un’uscita del tipo ‘apriamo tutto’, ‘chiudiamo tutto’. Bisogna ragionare con intelligenza e progressione. Conte ha dimostrato di saper affrontare con moderazione e tempestività  la questione”.
Nicola Fratoianni di Sinistra italiana-Leu si chiede: “Su quali basi scientifiche il senatore di Italia Viva fa queste affermazioni? Non abbiamo bisogno di apprendisti stregoni irresponsabili”.
Mario Adinolfi del Popolo della famiglia: “Folle intervista di Renzi, che al 2,2 nell’ultimo sondaggio, prova a fare il Craxi della trattativa quando tutti erano per la fermezza”. Mentre la giornalista Selvaggia Lucarelli in un tweet lo invita a farsi un giro negli ospedali lombardi.
(da agenzie)
				argomento: Renzi |   Commenta »
			 
		
			
				
				Febbraio 20th, 2020 Riccardo Fucile 
			
					L’ATTESA SI RISOLVE IN VECCHI PROCLAMI E IN UN GOFFO TENTATIVO DI AGGANCIARE LA DESTRA SUL TERRENO DELLE RIFORME… E RIVELA LA PAURA DI VOTARE CON LO SBARRAMENTO DEL 5%
Alla fine, l’atteso “discorso alla nazione” dalla terza Camera, annunciato come una “bomba” sul  governo, si rivela un semplice fuoco d’artificio. Il solito Renzi.
governo, si rivela un semplice fuoco d’artificio. Il solito Renzi.
Perchè, al netto di minacce, penultimatum, politicismo esasperato all’interno di una narrazione dove è assente l’Italia reale, con i suoi drammi e le sue urgenze, manca l’atto o, se preferite, la “pistola di Sarajevo” che determini l’incidente.
E l’intera vicenda — l’attesa caricata ad arte, le cene notturne, la tensione permanente — si rivela per quella che è: una sorta di operazione di marketing di un leader ossessionato dalla perdita di consenso, impegnato a cercarlo sul terreno del logoramento al governo.
La sfiducia a Bonafede (un già  detto) è annunciata entro Pasqua, se non cambia la legge sulla prescrizione, il che può significare entro Natale o, perchè no, entro Capodanno visto che nessuno avrà  fretta di calendarizzarla.
Sulle intercettazioni Italia Viva voterà  la fiducia domani, “sia pur per carità  di patria”, ma comunque voterà .
Il gioco del “se vuole ci cacci” è l’opposto di un adamantino “me ne vado”, chiaro e motivato, se davvero “così non si va avanti”.
In definitiva anche il tentativo di aggancio della destra sul terreno delle riforme con la proposta del “sindaco d’Italia” è una mossa non riuscita. Perchè in questo gioco di bluff sia Salvini sia la Meloni, i veri destinatari dell’appello, dicono di no, sia nella formula di un nuovo Nazareno sia nella formula di un governo per le riforme sul modello del “governo Maccanico” che, peraltro, non vide mai la luce.
E non la vide perchè, allora proprio come oggi, la destra puntava al voto, non ad allungare la legislatura.
L’idea tuttavia racconta di una paura e di uno schema. La paura è di non superare lo sbarramento al cinque per cento, previsto dall’attuale legge elettorale proporzionale, che proprio Renzi volle quando era convinto che uno sbarramento altro avrebbe favorito l’aggregazione di un polo dei moderati, con pezzi di centrodestra e altre forze riformiste.
Adesso, preso atto che il disegno è fallito, riscopre il maggioritario proprio nel momento in cui fa saltare le alleanze maggioritarie nelle regioni, dalla Puglia alla Campania, al Veneto.
Solo in Toscana Italia Viva è in coalizione, dove si gioca quella partita della vita che, secondo chi lo conosce bene, giustifica questo protagonismo esasperato, perchè se non fa un risultato a due cifre siamo al game over pubblico
Lo schema, detto in chiaro per la prima volta, è quello di una interlocuzione con la destra, sia pur sul terreno delle riforme. Di un governo istituzionale.
Diciamolo senza tanti giri di parole, il ragionamento per arrivare a togliere l’attuale inquilino di palazzo Chigi è questo: la situazione è drammatica, c’è la crisi, la quasi recessione, il governo è fermo, l’ipotesi migliore sarebbe un governo per le riforme, guidato da Draghi, con l’idea di farne il nuovo Ciampi, l’uomo che salva l’Italia da palazzo Chigi per poi andare al Quirinale.
A quel punto Renzi sarebbe il grande artefice dell’operazione politica e avrebbe il merito storico di aver “costituzionalizzato” la destra.
Peccato che per un disegno così perfetto manchi il principio di realtà : la destra vuole il voto, e Salvini mai andrebbe a sostenere un governo con Renzi, col rischio di precipitare nei sondaggi o peggio di regalare voti alla Meloni.
Il Pd considera lunare l’ipotesi di un governo con Salvini, non essendo pervenuto tutto questo suo spirito costituente. E soprattutto, per un governo di emergenza, manca l’emergenza.
C’è poco da fare: per fare un nuovo governo prima deve saltare l’attuale, ma poichè l’alternativa a questo è un governo che porti il paese al voto, magari anche con Conte, Renzi minaccia ma non affonda. E avanti così, con l’imposizione di una verifica permanente per non farne una vera, rivendicando le mani libere, fino ad agitarle a vuoto.
Nella reazione del Pd, priva del pathos che si riserva di fronte ai fondamenti di una crisi, c’è la consapevolezza che siamo ancora sul piano delle “chiacchiere”.
Così come nella riflessione di Conte, oggi poco propenso a drammatizzare con un passaggio d’Aula per chiedere la fiducia. Se ci sarà  un fatto concreto il premier andrà  in Aula in una sorta di remake del 20 agosto, parlamentarizzando la crisi di fronte all’esuberanza di questo Matteo. Che, come l’altro, interpreta il governo che ha voluto senza un minimo di vincolo e disciplina di coalizione.
Come si possa andare così questo è un altro discorso. È opinione comune al Nazareno che “così non si va avanti” e in tal senso va letta la volontà  di approvare la legge elettorale proporzionale con “maggioranza ampia”, ovvero con chi ci sta, anche con Forza Italia.
In fondo è una legge che mette in sicurezza il paese dai “pieni poteri”. Almeno è un punto fermo che consente di avere, nel novero delle opportunità , anche il ritorno al voto. Quantomeno come deterrente di fronte alle minacce quotidiane. Almeno.
(da “Huffingtonpost”)
				argomento: Renzi |   Commenta »
			 
		
			
				
				Febbraio 19th, 2020 Riccardo Fucile 
			
					ATTACCA MA NON VA FINO IN FONDO
 Alza la tensione ma non supera la linea rossa della crisi di governo.
Alza la tensione ma non supera la linea rossa della crisi di governo.
Ci gira intorno, la evoca ma non affonda il colpo. Matteo Renzi, a “Porta a Porta”, vuole accendere i riflettori su di sè e su Italia Viva per dettare lui le regole del gioco tenendo il governo sulle spine.
Pone delle condizioni, chiede di avviare un percorso di riforme che porti all’elezione diretta del premier, che lui chiama “sindaco d’Italia”.
Per far questo rispolvera il patto del Nazareno, l’accordo del Pd con Forza Italia che era all’opposizione. In questo caso si tratterebbe del governo Conte con il sostegno delle opposizioni, ma dire che questa strada sia difficilmente percorribile è un eufemismo.
La seconda ipotesi è un governo Maccanico. Ed è questo il punto di caduta a cui il leader di Italia Viva vuole arrivare, ovvero un governo istituzionale per far fuori l’attuale presidente del Consiglio. In fondo in ogni frase che l’ex premier pronuncia c’è sempre questo leit motiv sullo sfondo.
Renzi non esprime una preferenza, ma più voci nella maggioranza parlano della sua volontà  di mettere fuori gioco Conte e la strada del governo istituzionale comporterebbe un avvicendamento a Palazzo Chigi.
Per dare forza alla sua proposta, l’ex premier la accompagna anche da una raccolta firme, una petizione online. Non è sufficiente, tuttavia, a suscitare l’interesse degli interlocutori di maggioranza e opposizione.
Inoltre, come se non bastasse, insieme alla proposta di riformare le regole del voto e la Costituzione, Renzi infila anche una stilettata contro la legge simbolo del Movimento 5 stelle, quella che istituisce il Reddito di cittadinanza: “Se Conte vuole una cura da cavallo per l’economia cominci con l’abolizione del reddito di cittadinanza”.
Ci si attendeva, dal ‘Rottamatore’, una parola definitiva sul futuro del governo, uno strappo insanabile che avrebbe portato allo show down. Ma non è andata così, seppure gli ‘schiaffi’ da parte del leader di Italia Viva a Conte e al resto della maggioranza non siano mancati.
Eccone qualche esempio: “Non è che diventiamo la sesta stella. Io non voglio morire grillino. Sono colpito dal modo in cui il Pd ha inseguito i grillini sul tema della giustizia”.
Dunque Renzi ribadisce che se non verranno modificate le nuove norme sulla prescrizione si andrà  dritti verso la sfiducia al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede che è anche il capo delegazione M5s al governo.
Ma gli viene fatto notare come questo sia un modo per buttare la palla in tribuna perchè alla fin fine Renzi oggi non oltrepassa il punto di non ritorno. Non risparmia bordate al suo ex partito, il Pd: “Ci sono due modi di far politica. Il primo modo è il modo Lines notte assorbe tutto. Quello di chi assorbe qualsiasi proposta fatta pur di mantenere la seggiola”.
Poi, ancora, l’attacco agli alleati di governo: “Hanno provato a farci fuori dalla maggioranza, non ci sono riusciti. Hanno provato a mettere insieme i parlamentari ‘responsabili’. La prossima volta farebbero meglio a riuscirci”.
E al premier manda a dire: “Il reddito di cittadinanza è un fallimento, se hai messo soldi per 2,3 milioni di persone e l′1,7% ha trovato lavoro e oggi Gaetano Scotto, mafioso, è stato interrogato e ha detto che ha il reddito di cittadinanza. Se Conte vuole fare la cura da cavallo” per l’economia “inizi ad abolire il reddito di cittadinanza e metta i soldi per il taglio delle tasse alle aziende”
Da parte del fondatore di Italia Viva poi, uno sguardo al futuro prossimo: “Occhio che arriva una recessione e allora i posti di lavoro saltano. Allora in un clima normale forse Pd e 5 Stelle respingerebbero la proposta dei commissari per far ripartire le opere ma in questo clima straordinario dobbiamo finalmente sbloccare opere pubbliche per cui i soldi ci sono già ”.
I commissari per Renzi dovrebbero essere cento. Insomma, proposte indigeribili per gli alleati che servono solo ad alzare ancora la tensione senza strappare. Almeno per ora.
(da “Huffingtonpost”)
				argomento: Renzi |   Commenta »