RIMPASTO, LA FAME DI RENZI
ITALIA VIVA PUNTA SU PRESIDENZE DI COMMISSIONE MA ANCHE SU UN MINISTERO PER LA BOSCHI
“Per il mio manuale indiscutibilmente pesava più un presidente di Commissione che un sottosegretario o viceministro”. Si potrebbe chiudere qui la spiegazione del perchè nella discussione politica abbia fatto prepotentemente irruzione il rinnovo di chi dovrà guidare le Commissioni di Camera e Senato.
A spiegarlo all’Huffpost è direttamente quel Massimiliano Cencelli che costruì il pamphlet che tra mito e realtà è diventato il vademecum per la spartizione negli anni della Dc. Spesso usato spregiativamente per indicare la fame di poltrone, ieri Ettore Rosato, coordinatore di Italia viva, se ne è candidamente fatto scudo: “Esiste un manuale Cencelli, chiediamo una rappresentanza istituzionale come gli altri”.
E in effetti Matteo Renzi ha più volte rintuzzato i colleghi della maggioranza, dicendo che Iv ha la metà dei senatori del Pd, ma meno di un terzo dei ministri, i suoi hanno fatto circolare pallottolieri sui numeri al Senato, dopo il voto di ieri hanno subito inviato la velina: “Siamo determinanti”. Non per chiedere poltrone, per carità , ma per amor di verità . Se il rimpasto è operazione complessa e politicamente difficile da realizzare a tavolino, un assist arriva dalla naturale scadenza delle presidenze di Commissione, prevista nella seconda metà di giugno.
Il partito dell’ex rottamatore punta a fare la voce grossa soprattutto alla Camera. Sono sei a Montecitorio i leghisti votati nell’era gialloverde che lasceranno le cadreghe, cinque al Senato, dove però la maggioranza risicata rende gli equilibri delicatissimi ed è consigliabile un tagliando più che uno stravolgimento.
Renzi sa come Cencelli che una fetta ben più robusta di potere passa da lì piuttosto che da posti di sottogoverno. Un colonnello di Italia viva spiega che “non ci dispiacerebbe uno dei nostri alla Giustizia o alle Infrstrutture. Ma bisogna aspettare che quella partita si apra, e poi comunque richiamo che rimangano per mesi senza deleghe, e siano ridotti a un ruolo di molta apparenza e poca sostanza”.
Un posto libero sarebbe la delega ai Servizi, ma Conte ha già detto no, e allora i renziani hanno rilanciato con l’idea di un sottosegretario a Palazzo Chigi con un ruolo molto politico, si vedrà .
L’ex premier spergiura che non sia così, ma lavora per un terzo ministro in squadra, dopo Teresa Bellanova ed Elena Bonetti. Le Infrastrutture, di gran portafoglio e di grande interesse per le proposte dei renziani, o un dicastero più politico per la Boschi. C’è poi l’Agcom, una girandola di nomine ancora da completare, ma le Commissioni sono diventate oggi il vero rimpasto.
Paolo Cirino Pomicino fa una classifica: “Le più importanti sono quelle che hanno competenza su interni, esteri, giustizia, difesa ed economia”.
Ma sui posti più ambiti non ha dubbi: “Sono sicuramente, in quest’ordine, la Bilancio e la Affari costituzionali”. E guardacaso il borsino di Palazzo dà i renziani interessati proprio a queste due.
Un funzionario parlamentare di lungo corso spiega il perchè: “Bilancio e Affari costituzionali sono le cosiddette Commissioni filtro. Da queste due, per un motivo o per l’altro, finiscono per passare tutti i provvedimenti. Anche la Affari europei, per certi versi, ma con minore impatto”. La prima, guidata fino a oggi da Claudio Borghi, ha il potere di intervenire su tutte le norme che comportino un esborso di denaro pubblico, fornendo un parere che è vincolante, con tanto di riserva costituzionale come previsto dall’articolo 81. Allo stesso modo la Affari costituzionali non si occupa solamente delle pur importanti riforme e della legge elettorale, ma è chiamata a intervenire su tutte le leggi di carattere ordinamentale.
Insomma, chi controlla Bilancio e Affari costituzionali controlla l’intera macchina, e non è un caso che M5s e Lega se le siano spartite in perfetta alternanza. E non è un caso che sia dai 5 stelle sia dal Pd filtri la stessa posizione: a un paio di Commissioni hanno diritto, ma Bilancio e Affari Costituzionali insieme non se ne parla.
“Tecnicamente, e senza scendere in un giudizio politico, la richiesta di Renzi ha un senso”. A dirlo Antonio Azzollini, per dodici anni mitologico presidente della Bilancio a Palazzo Madama, dove la sua inconfondibile coppola e l’impermeabile svolazzante incutevano un misto tra simpatia e timore.
“Lui era un treno – spiega il funzionario di cui sopra – sapeva quello che voleva e lo otteneva a colpi di regolamento, interpretandolo o forzandolo a seconda della necessità ”. “La richiesta di Renzi ha un senso – dice dunque Azzollini – perchè dalla presidenza della Bilancio puoi avere il quadro completo di tutto quello che si muove in Parlamento, tra decreti del governo e proposte di legge. Se un partito vuole sapere cosa succede deve sedersi su quello scranno”.
Il pacchetto di mischia renziano ha messo ai blocchi di partenza un quartetto formato dai big del partito. C’è Luigi Marattin proprio per la Bilancio, Maria Elena Boschi per la Affari costituzionali. Poi Raffaella Paita ai Trasporti, posto cruciale per il buon andamento del “piano shock” che caratterizza la principale proposta renziana per la Fase 2.
E Lucia Annibali alla Giustizia, nella top 5 per importanza secondo Cirino Pomicino e contraltare perfetto a via Arenula in una delle partite più a cuore a Renzi, sulla quale ha stressato il dibattito in maggioranza fino a minacciare sconquassi mai portati fino in fondo.
“Poi è fondamentale chi ci metti alla guida – continua Pomicino – se il presidente è politicamente forte si può arrivare alla situazione in cui lui detta e il ministro scrive”.
Chi guida ha un ruolo importante nella definizione del calendario, di cosa mettere in discussione o meno (decreti assegnati a parte). Decide quali sono gli emendamenti inammissibili (compresi quelli dell’esecutivo), può cancellare con un tratto di penna o quasi le proposte che potrebbero mettere in difficoltà i suoi, stabilisce quale sia la deadline della presentazione degli emendamenti parlamentari. Sul timing di quelli del governo non avrebbe potere, ma uomini di polso hanno messo alle strette il proprio esecutivo: “Azzollini era uno che non la mandava a dire – continua la nostra fonte parlamentare – imponeva scadenze anche all’esecutivo. Anche Francesco Boccia su questo era molto rigoroso”.
All’osservazione di Pomicino risponde netto: “Ha ragione. Per l’attuale maggioranza ha fatto più danni il grillino Pesco al Senato, persona squisita ma inadatta al ruolo, rispetto al dirimpettaio Borghi alla Camera”.
La partita che si sta iniziando a giocare si delinea nei suoi contorni. Sarebbe troppo bizantino spiegare per filo e per segno i due diversi meccanismi che impongono un cambio. Per brevità diremo che, pur senza termini perentori, a metà legislatura tutti i presidenti si rinnovano, con metodi di elezione che differiscono ma che richiedono, nella sostanza, la maggioranza assoluta dei componenti. Renzi dunque sa che quelle poltrone sono strategiche.
Basta guardare il diverso ritmo con il quale si sono mosse le due Affari Costituzionali.
Alla Camera il grillino Giuseppe Brescia lavora a spron battuto: ha incardinato proposte sui migranti, sui flussi, sul conflitto d’interessi, sulla legge elettorale, che non a caso da Montecitorio è partita.
Perchè da quando il governo ha cambiato segno il leghista Andrea Ostellari, suo omologo al Senato, ha iniziato a zavorrare i lavori. Come? Semplicemente sfrondando il calendario e non facendo lavorare la Commissione se non sul dovuto. Strategia opposta a quella di Nitto Palma, che da forzista si ritrovò presidente della Giustizia con il governo Renzi-Alfano, e iniziò a sovraccaricare i lavori. Dodici, tredici proposte di legge per convocazioni lunghe un paio d’ore, con il risultato di mandare in tilt l’iter di qualunque legge.
Il ruolo permette di plasmare le decisioni. Sono fresche le polemiche di quando Brescia consentì il voto determinante di alcuni deputati 5 stelle anche se non registrati prima allorchè Iv votò con le opposizioni sulla prescrizione. Basta immaginare l’effetto sostituendo Brescia con Boschi. Pomicino ricorda che su un voto determinante per il governo “finì 20 a 20, con l’effetto che la proposta sarebbe stata bocciata. Io capii chi aveva votato contro, lo squadrai e con un pretesto feci ripetere la votazione: finì 21 a 19”.
Italia viva un po’ per realismo un po’ per opportunità sta guardando a scranni che attirano molte meno responsabilità e pressioni dal punto di vista mediatico rispetto a quelle che ruotano intorno a un sottosegretario o a un ministro, ma possono condizionare assi di più gli equilibri di maggioranza. Pomicino racconta un aneddoto che fa aiuta assai: “Quando mi proposero di fare il ministro della Funzione pubblica fui tormentato. Era un ministero, ma io sapevo che potevo fare di più dalla presidenza della Bilancio. Passai una notte insonne”. Prevalse la sapienza democristiana e il consiglio di un amico: “Stare troppo tempo sulla stessa poltrona non ti fa bene”. Cencelli ha un moto nostalgico: “Ricordo i miei tempi, allora sì che avevano valore, ma con il Parlamento di oggi…”.
Probabilmente c’è un pezzo di verità , ma solo un pezzo. Nel 2011 quando l’impatto della crisi economica investì il paese, Azzollini ricorda le maratone notturne, il rapporto con le opposizioni, le pressioni: “E’ un posto per il quale ti chiamano in continuazione i ministri, ma spesso anche il presidente del Consiglio”. “Sembra che Renzi abbia superato le perplessità ”, ha dichiarato uno speranzoso Giuseppe Conte. Commissioni pemettendo.
(da “Huffingtonpost“)
Leave a Reply