Maggio 5th, 2020 Riccardo Fucile
IL NUOVO QUOTIDIANO DI DE BENEDETTI SCEGLIE L’EX VICE-DIRETTORE DEL “FATTO QUOTIDIANO”
La direzione del nuovo quotidiano fondato dall’Ingegnere sarà affidata all’ex vicedirettore del Fatto quotidiano, un giovane di 35 anni, come aveva anticipato Open
È nata ufficialmente la nuova avventura editoriale di Carlo De Benedetti, con la costituzione dal notaio della società “Editoriale Domani spa”, che sarà posseduta da due società con l’Ingegnere come azionista unico. A presiedere l’azienda che darà vita al nuovo quotidiano ci sarà il senatore del Pd Luigi Zanda, che proprio oggi si è dimesso da tesoriere dem, mantenendo il seggio in Senato.
La società parte con un capitale di 10 milioni e avrò nel Consiglio di amministrazione, oltre Zanda, Giovanni Canetta, Federica Mariani, Virginia Ripa di Meana, Massimo Segre e Grazia Volo. Sia Zanda che il padre di Virginia Ripa di Meana erano stati per diversi anni nel Cda de l’Espresso, quando era ancora di proprietà proprio di De Benedetti.
Come anticipato da Open, la direzione del nuovo quotidiano nato per sfidare la Repubblica era sin dall’inizio orientata su un giovane. E la scelta, secondo Prima comunicazione, sarebbe caduta sull’ex vicedirettore del Fatto quotidiano, il 35enne Stefano Feltri, oggi alla guida di ProMarket.org e collaboratore dell’economista Luigi Zingales.
Un profilo da giornalista economico, una carriera rapida e brillante. Prima al Foglio di Giuliano Ferrara e al Riformista di Antonio Polito, quotidiani garantisti, oggi negli Stati Uniti con il professor Luigi Zingales, l’economista liberista che piaceva molto alla candidata vicepresidente Sarah Palin.
Giovane e brillante, liberale e manettaro, populista e antipopulista. Ora la svolta a sinistra di Repubblica, con l’idea di rubare una fetta di pubblico al giornale fondato da Eugenio Scalfari. Un’area potenzialmente florida, ma non facile da conquistare. Chi conosce bene Stefano Feltri non ha dubbi sulla sua bravura, semmai sull’operazione: «Il mondo di riferimento di questo giornale potrebbe non riconoscerlo come uno di loro. Rischierebbe di essere un pesce fuor d’acqua. Lo considererebbero quasi di destra».
(da agenzie)
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Maggio 4th, 2020 Riccardo Fucile
SI DELINEA L’ORGANIGRAMMA DEL NUOVO QUOTIDIANO DI DE BENEDETTI
Il senatore Luigi Zanda ha rassegnato oggi le dimissioni da tesoriere del Partito Democratico.
“Auguri a Luigi Zanda — scrive il segretario Nicola Zingaretti — che ringrazio per il lavoro di questi mesi da Tesoriere del Partito. Gli avevo chiesto, per la sua autorevolezza e per le sue indiscutibili capacità , di ricoprire questo delicato e fondamentale incarico, anche a fronte di una situazione molto difficile per le finanze del partito e per i dipendenti, che Luigi ha saputo esprimere al meglio affrontando diverse sfide elettorali e organizzative”.
E proprio oggi è stata costituita oggi a Torino, presso il notaio Silvia Lazzaroni, con un capitale di 10 milioni di euro, la società Editoriale DOMANI S.p.A, posseduta da due società il cui azionista unico è l’ingegner Carlo De Benedetti. Presidente è proprio Luigi Zanda. Il Consiglio di amministrazione è formato, oltre che da Zanda, da Giovanni Canetta, Federica Mariani, Virginia Ripa di Meana, Massimo Segre e Grazia Volo. Secondo quanto si è appreso, è iniziato l’iter per costituire la Fondazione Domani, presieduta dall’ingegner De Benedetti, alla quale, dopo la fase di avvio, andrà la proprietà dell’Editoriale Domani
(da agenzie)
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Maggio 3rd, 2020 Riccardo Fucile
SI CHIAMERA’ “DOMANI” E SARA’ DIRETTO DA UN GIOVANE
Che qualcosa bollisse in pentola lo si era già capito nei giorni scorsi con una serie di voci che non avevano trovato conferma ma neanche smentita.
Oggi siamo in grado di rivelarvi che l’ingegner Carlo De Benedetti, a lungo proprietario di Repubblica, ha deciso di fondare un nuovo giornale che andrà su carta e su web e si chiamerà Domani.
Il quotidiano sarà diretto da un giovane — non si sa di più per ora — e farà concorrenza, manco a dirlo, a Repubblica. De Benedetti divenne proprietario ed editore del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari 35 anni fa.
Col suo giornale-partito e con il settimanale l’Espresso l’ingegnere ex proprietario della Olivetti ha compiuto tante battaglie, vinte e perse, per poi progressivamente lasciare la proprietà e la guida operativa della casa editrice ai figli Rodolfo e Marco. Pochi mesi fa papà Carlo aveva tentato di riacquistare direttamente azioni e guida del giornale a cui era rimasto legato, ma i figli avevano preferito trattare e poi cedere agli Elkann che da 3 anni erano già soci dei De Benedetti nella Gedi, risultato della fusione tra l’editoriale della Stampa e del Secolo XIX e appunto Repubblica-L’Espresso.
Era stato un addio amaro e certo non voluto quello dell’ingegner Carlo De Benedetti e le recenti convulsioni che hanno portato alla sostituzione di Carlo Verdelli con Maurizio Molinari alla guida della quotidiano romano sono state forse l’occasione che De Benedetti aspettava per tornare in pista: oggi ha scritto a molti amici e conoscenti per informarli di aver preso la decisione.
Non solo: insieme al giornale nascerà una fondazione, che diventerà proprietaria di “Domani” quando l’editore non ci sarà più. “Basta eredi!!!”, conclude il suo messaggio De Benedetti senior. E in quei tre punti esclamativi c’è tutto.
(da Open)
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Aprile 26th, 2020 Riccardo Fucile
EXOR, LA HOLDING DEGLI EREDI AGNELLI, DISPONE DI 11 MILIARDI DI LIQUIDITA’… COSA VOLETE CHE SIANO 102 MILIONI SPESI PER PRENDERSI IL GRUPPO STAMPA-REPUBBLICA-SECOLO XIX, LA RETE DEI GIORNALI LOCALI E LE RADIO?
Purtroppo è così: bisogna partire dai bilanci, dai profitti, dai soldi. Non c’è poesia, nè avventura. I cedimenti romantici sono roba per i nostalgici.
Solo il denaro, l’esercizio brutale del potere spiegano come sia possibile che il nipote dell’Avvocato Agnelli abbia concesso una mancia ai figli di Carlo De Benedetti e si sia preso la Repubblica e tutto il resto, abbia cacciato il direttore Carlo Verdelli, minacciato di morte, senza nemmeno avvertire il fondatore Eugenio Scalfari. Un po’ di rispetto, almeno per l’età .
Un comportamento che forse ha scosso i fragili pensieri dei teorici delle “radici comuni” — un mix di Fiat, di nostalgia delle amanti dell’Avvocato e di Platini, di Giustizia e Libertà in pillole, di giornalisti “de sinistra” ma compiacenti coi potenti perchè tutti teniamo famiglia — pronti a giustificare il matrimonio tra la Stampa e Repubblica-Espresso quando comandava De Benedetti e oggi sorpresi per l’arroganza di John Elkann che non solo compra tutto, ma affonda lo sfregio sull’immagine di Repubblica portando alla direzione Maurizio Molinari, totalmente estraneo a questa storia, comunque la si giudichi una bella storia di editoria, di giornalismo, di cultura e di società .
Ma non c’è da discutere, i soldi pesano. Exor, la holding degli eredi Agnelli, dispone di circa 11 miliardi di euro di liquidità , fondi spendibili per cogliere occasioni nel mondo della finanza e dell’industria, utili magari per diversificare dall’industria dell’auto.
Negli ultimi mesi Elkann ha rimpinguato le casse con la promessa di un dividendo straordinario Fca di 1,5 miliardi, a valle della fusione con Psa, e con la cessione dell’americana Partner Re alla francese Covèa per 9 miliardi di euro, con una plusvalenza di 3 miliardi.
Prima aveva venduto la Magneti Marelli, un gioiello, ai giapponesi. Cosa volete che siano 102 milioni di euro spesi da Elkann per prendersi tutto il gruppo Stampa-Repubblica-Secolo XIX, la rete dei giornali locali, le radio?
Un’inezia, il vassoio dei pasticcini della domenica. Elkann, che ha comprato anche le quote di minoranza di Giacaranda Caracciolo e della famiglia Perrone, forse spenderà altri 80, 90 milioni di euro per rastrellare con un’offerta pubblica tutte le azioni. Ma non è un grande sforzo se hai in cassa 11 miliardi da spendere.
Questa novità , il blitz di Elkann, giunge in un momento drammatico per l’editoria italiana, non solo per gli effetti della pandemia che colpisce il Paese.
I giornali soffrono da anni. Il mercato della pubblicità pure. Le tirature dei principali quotidiani sono inguardabili tanto sono scese in basso. In questa congiuntura è impossibile fare miracoli.
Il mercato della pubblicità vale in Italia circa 9 miliardi di euro l’anno (2018, fonte Upa), la quota maggiore va ancora alle tv (3,8 miliardi, pari al 43% del totale), poi c’è Internet (3,1 miliardi, pari al 34,9%). I quotidiani non arrivano a 600 milioni (6,7% del mercato), le radio raccolgono 431 milioni (4,9%), i periodici confermano la loro debolezza (4,4%).
I nuovi padroni della pubblicità sono Facebook e Google, con il loro monopolio nelle piattaforme e tecnologie.
Solo un intervento politico, sanzionatorio, almeno a livello europeo, come quello che spezzò il monopolio delle telecomunicazioni in America può aprire di nuovo il mercato. Se guardiamo solo ai giornali viene da piangere.
L’Agcom sostiene che dal giugno 2015 al giugno 2019 le copie cartacee sono passate da 2,34 milioni a 1,58 milioni al giorno, con una contrazione del 30%. Economicamente bisognerebbe riequilibrare questa flessione con le copie digitali, ma sarebbe necessario seguire criteri condivisi da tutti gli editori.
Comunque si può dire che il digitale, anche nei suoi risultati migliori, non compensa i ricavi persi dall’editoria tradizionale in Italia.
Cosa farà allora il nuovo polo di giornali radio internet di Elkann? C’è la promessa della trasformazione digitale, di valorizzazione dell’indipendenza.
Sembra probabile che verrà creata una sola piattaforma editoriale, produttrice di contenuti, capace di elidere doppioni e costi, mantenendo l’apparente autonomia delle testate per difendere marchi territoriali e nazionali.
Ovviamente la “razionalizzazione” comporterà dei sacrifici in termini occupazionali: perchè avere tre redazioni a Genova, o un paio a Milano, Torino, Roma?
Ora che una quindicina di quotidiani, tra grandi e piccoli, sono controllati dalle stesse mani la cosa più semplice da ipotizzare è che ci sia una direzione editoriale unica (Molinari, appunto), un risparmio di risorse da una parte per investirle altrove, il taglio di rami secchi e l’apertura di strade nuove.
La trasformazione digitale non c’è stata nella nostra editoria, tutti i treni sono passati ma gli editori hanno preferito vivacchiare per difendere i loro margini, sempre più bassi, scaricando i costi sociali delle ristrutturazioni sui fondi pubblici e gli enti di previdenza.
Nessun ha rischiato nulla. Non basta portare pezzi del giornale di carta sul web per fare la rivoluzione digitale.
Oggi l’editoria nazionale è questa: il neofita Elkann da una parte e Urbano Cairo, con il Corriere della Sera, la Gazzetta dello Sport e la7 dall’altra.
Non si scappa, questa è la realtà . Restano i giornalisti. Resta il giornalismo, un mestiere bellissimo.
I giornali, anche se malmessi, non sono carta straccia, meriterebbero più rispetto sia da parte dei padroni che dei lettori. Raccontano il nostro tempo, seguono le stagioni della vita, sostengono la nostra memoria, sono portatori di passioni.
I giornalisti, in questo brutto momento, possono ricorrere al pensiero di un grande collega. Giorgio Bocca, tra i fondatori di Repubblica, scrisse amare considerazioni sullo stato dell’informazione in Italia, prima di lasciarci, ma con una speranza: “Sono convinto che ci sarà ancora bisogno di un giornalismo etico, d’informazione, d’inchiesta. Sarà sempre indispensabile per una società civile”.
(da TPI)
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Aprile 23rd, 2020 Riccardo Fucile
GIANNINI NUOVO DIRETTORE DE LA STAMPA E MATTIA FELTRI ALLA GUIDA DI HUFFINGTON POST
Proprio nel giorno in cui la Federazione nazionale della Stampa (il sindacato dei giornalisti) e l’associazione Articolo 21 mettono in atto un tweet storm in difesa di Carlo Verdelli, direttore di Repubblica, da tempo bersaglio di minacce di morte sui social per lettera , la casa editrice della Repubblica e della Stampa, la Gedi, ha deciso di sostituire Verdelli.
Al suo posto arriverà il direttore della Stampa Maurizio Molinari che verrà sostituito a sua volta alla guida del quotidiano torinese da Massimo Giannini, storica firma di Repubblica e volto noto anche ai telespettatori.
Sempre dalla Stampa arriverà al giornale on line Huffington Post (pure di proprietà della Gedi) Mattia Feltri, che prenderà il posto di Lucia Annunziata, dimessasi da qualche settimana.
(da agenzie)
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Dicembre 1st, 2019 Riccardo Fucile
LE VARIE VOCI CHE SI RINCORRONO
John Elkann non ha intenzione di acquistare il gruppo GEDI per poi rivendere La Repubblica a Carlo De Benedetti. L’indiscrezione era rimbalzata nei giorni scorsi dopo la nota alla Consob che confermava la trattativa fra i figli dell’Ingegnere e l’erede della famiglia Agnelli ma è smentita oggi nell’articolo a firma di Sergio Bocconi sul Corriere della Sera: l’operazione dovrebbe prevedere come primo passo la vendita della quota di GEDI che fa capo a CIR, pari al 45,7% del capitale, a Elkann che già possiede il 6,2%. Smentite anche le dimissioni di Carlo Verdelli, arrivato da poco alla guida del quotidiano
Sempre gli ambienti vicini a Elkann sottolineano che l’obiettivo è assicurare a Gedi condizioni di stabilità che «consentano alla società di evolvere velocemente, compiendo scelte che non possono più essere rimandate».
In sostanza si ritiene necessario procedere a un risanamento, all’integrazione organizzativa all’interno di Gedi, nata nel 2017 con la fusione fra Espresso e Itedi, e a un rilancio in una prospettiva prioritariamente digitale.
Garantendo, si sottolinea inoltre, «l’autonomia redazionale, perchè il giornalismo di qualità troverà sempre un mercato, a condizione sia autorevole e indipendente».
Intanto Marco Palombi sul Fatto mette insieme tutti i dubbi sull’operazione:
Si vedrà se i prati sono davvero in fiore, ma resta la domanda sul senso economico dell’operazione. L’ultima trimestrale di Gedi, quella al 30 settembre, parla di una situazione non piacevole: -18,3 milioni di risultato netto e fatturato in discesa in tutte le voci (vendite, pubblicità , etc.), ma il bilancio senza la vendita del gestore delle reti Persidera sarebbe in sostanziale equilibrio.
Il valore della società , secondo l’ultimo report Mediobanca, è di circa 240 milioni (al lordo di un passivo ingente) per il 75% grazie alle radio: il problema più grosso, nel medio periodo, sono Repubblica e i suoi 400 dipendenti.
La verità però è che si fatica a comprendere il senso industriale di un’operazione del genere:
La direzione industriale sembra essere quella di costruire una rete di quotidiani locali e la prima cosa che balza all’occhio è la duplicazione delle redazioni in almeno due città (Torino e Genova), senza contare — parlando di Repubblica- il costo non compensato dai ricavi di alcuni dorsi locali (ad esempio Palermo e Bari).
Insomma, se Elkann vuole gestire probabilmente dovrà tagliare, ma la realtà è che il giornale fondato da Eugenio Scalfari, a forte vocazione nazionale e politica, pare il meno sensato in un progetto del genere: venderlo potrebbe essere quasi naturale.
A meno che non siano vere le voci malevole che già circolano: la fusione con Peugeot & C. alla fine sarà un bagno di sangue per le fabbriche italiane in termini di occupazione. Quando si licenzia, avere qualche giornale a disposizione certo non fa male.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 2nd, 2019 Riccardo Fucile
NEL 90% DEI CASI GLI OMICIDI SONO RIMASTI IMPUNITI
Negli ultimi 10 anni, almeno 881 giornalisti sono stati uccisi nel mondo per aver raccontato la verità . In nove casi su 10, gli omicidi restano impuniti.
Le uccisioni sono aumentate del 18 per cento nel mondo nel quinquennio 2014-2018 rispetto ai cinque anni precedenti, e il 55% degli omicidi ha avuto luogo in Paesi “in pace”. Quasi il 90% dei responsabili delle uccisioni dei 1.109 giornalisti assassinati tra il 2006 e il 2018 non è stato punito.
I Paesi con il più alto tasso di vittime tra i giornalisti sono gli Stati Arabi, seguiti da America Latina, Caraibi e Asia. L’Unesco, registra tuttavia un calo del numero di omicidi nei primi 10 mesi del 2019 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, con 44 omicidi di giornalisti segnalati al 30 ottobre 2019, rispetto ai 90 della stessa data del 2018.
Sono i dati diffusi dall’Unesco nella Giornata mondiale per mettere fine all’impunità per i crimini contro i giornalisti.
La direttrice generale dell’organizzazione delle Nazioni unite per l’educazione, la scienza e la cultura, Audrey Azoulay, li definisce “preoccupanti”. Quest’anno il 2 novembre si concentra sui giornalisti locali, sottolinea, attraverso la campagna #KeepTruthAlive per sfidare la percezione che gli omicidi avvengano solo lontano dagli occhi del pubblico, colpendo principalmente i corrispondenti di guerra stranieri.
“Accende i riflettori sui giornalisti locali che lavorano sulla corruzione e sulla politica in situazioni non conflittuali, che hanno rappresentato il 93% delle morti dei giornalisti negli ultimi 10 anni. L’Unesco chiama a rispondere tutti coloro che mettono a rischio i giornalisti, che li uccidono e che non fanno nulla per fermare questa violenza. La fine della vita di un giornalista non dovrebbe mai essere la fine della ricerca della verità “, dichiara Azoulay in una nota.
Anche il presidente del Parlamento europeo David Sassoli ha voluto partecipare alla celebrazione di questa Giornata. “Non c’è democrazia senza la libertà di stampa – scrive su Twitter -. Nel giorno internazionale per porre fine all’impunità dei crimini contro i giornalisti, rendiamo omaggio a Daphne Caruana Galizia, Jan Kuciak e a tutti quelli in tutto il mondo che hanno perso la vita e hanno subito attacchi per aver svolto il loro lavoro”.
Daphne Caruana Galizia, giornalista e blogger maltese, impegnata in numerose inchieste e attiva contro la corruzione, è stata assassinata in un attentato dinamitardo nel 2017, mentre Jan Kuciak, giornalista slovacco, impegnato in indagini sulla gestione di fondi strutturali dell’Unione europea nel suo paese è stato trovato ucciso nella sua abitazione nel febbraio 2018.
“Quando i giornalisti sono presi di mira, la società nel suo complesso paga il prezzo” ha dichiarato il Segretario Generale dell’Onu, Antonio Guterres. “Se non riusciamo a proteggerli, sarà estremamente difficile per noi rimanere informati e contribuire al processo decisionale. Se i giornalisti non riescono a fare il loro lavoro in sicurezza, il mondo di domani sarà segnato da confusione e disinformazione”, ha aggiunto. Infine, ha detto “senza libertà d’espressione e media liberi sarà impossibile far progredire la democrazia e raggiungere gli obiettivi di sviluppo durevole che ci siamo preposti”.
(da agenzie)
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Agosto 31st, 2019 Riccardo Fucile
FINANCIAL TIMES: “SALVINI ALL’ANGOLO DOPO UNA MOSSA SBAGLIATA”
Parla di «resurrezione politica» per il premier incaricato Giuseppe Conte il New York Times, che nella sua edizione internazionale dedica alla situazione politica italiana un pezzo di cronaca e un editoriale.
Nella ricostruzione dello scenario in corso, il corrispondente a Roma del quotidiano statunitense Jason Horowitz definisce «rimarchevole» sia l’alleanza «tra due forze politiche che si erano dette di tutto» sia «la resurrezione» di Conte che nel precedente esecutivo «non sembrava contare» ed era «messo in ombra» dal suo vicepremier Matteo Salvini.
Mentre adesso avrebbe «un’opportunità , come spera l’establishment europeo, di aiutare l’Italia a guarire le sue spaccature all’interno dell’Ue, ritrovare una briciola di responsabilità finanziaria e tornare al tavolo dei leader europei».
Anche il Financial Times continua a tenere la crisi politica italiana in primo piano con due articoli in seconda pagina da Roma: uno di cronaca dedicato alle richieste del M5s per la nuova coalizione e l’altro incentrato sul leader della Lega Matteo Salvini, che per il quotidiano finanziario si troverebbe «all’angolo, dopo una mossa sbagliata». L’articolo mette in fila quelli che ritiene essere stati gli errori del leader della Lega, che per il quotidiano avrebbe sottovalutato la riluttanza del presidente Sergio Mattarella verso eventuali elezioni d’autunno, visto l’impegno della manovra, e la volontà dei propri oppositori di mettere da parte le loro divergenze per restare in parlamento. Il leader del Pd Nicola Zingaretti, evidenzia ancora il Ft, aveva insistito più volte che in caso di caduta del governo si sarebbe andati a votare e «Salvini l’ha preso in parola, un ulteriore errore».
(da agenzie)
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Agosto 1st, 2019 Riccardo Fucile
INVECE CHE ESPRIMERE INDIGNAZIONE A POSTERIORI, ABBIATE UNO SCATTO DI DIGNITA’: LASCIATE A SALVINI SOLO L’USO DELLE DIRETTE FB
Osserva un amico: “In quale democrazia, in quale Paese dell’Occidente sarebbe consentito un tale grado di arroganza nei confronti della stampa?”.
L’amico si riferisce all’atteggiamento di Salvini, la sprezzante decisione di non rispondere al collega di Repubblica che gli chiedeva di quanto era accaduto in spiaggia, con l’uso improprio di una moto d’acqua della polizia, ma soprattutto delle sostanziali intimidazioni a lui rivolte dai poliziotti in costume che volevano vietargli di riprendere la passeggiata e i giochi in mare di Salvini junior.
L’amico ha ragione, ma bisogna aggiungere altro.
Intanto, ha ragione perchè in tutti i Paesi mediamente democratici mai e poi mai potrebbe accadere che in una conferenza stampa il ministro dell’Interno, anzichè rispondere, dia del pedofilo al giornalista che lo incalza.
Seconda considerazione.
Il collega di Repubblica non era il solo giornalista presente. Erano in tanti, quanti sono soliti stare appresso al leader della Lega per darci conto quotidianamente di ogni strumentale cattiva parola che il ministro getta nello stagno.
Che si sappia, non uno ha pensato di alzarsi e lasciare la conferenza stampa per protestare contro l’atteggiamento offensivo dell’informazione intera e del suo ruolo. Non uno.
Si, ci sono state e ci saranno le rituali proteste ufficiali, non ci sarà , come non c’è stata d’istinto, la decisione di girare la schiena a chi disprezza e usa a suo piacimento una funzione chiave della democrazia.
Un aut aut, o si cambia registro, o il ministro faccia le sue dirette Facebook senza l’eco della stampa.
L’informazione non si svende, è baluardo di civiltà .
(da Globalist)
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