“CI CHIAMANO PARASSITI PERCHE’ PRENDIAMO IL REDDITO DI CITTADINANZA, MA NOI VOGLIAMO LAVORARE”
“COSI’ CI SIAMO ORGANIZZATI: PULIAMO STRADE E SCUOLE”
“Ci chiamano parassiti ma noi ci siamo messi al lavoro”, dice subito Pasquale D’Amato dall’associazione Basta Volerlo di Palermo. Gli fanno eco Mimmo Ippolito e Toni Guarino: tutti sono parte di questa associazione fondata “appena abbiamo iniziato a ricevere il reddito di cittadinanza, nel 2019”, spiegano.
Un’associazione nata per svolgere lavori socialmente utili e “restituire allo Stato quel che riceviamo”, sottolineano. Sono 80 persone circa, di cui 50 percepiscono la misura introdotta dal primo governo Conte.
Puliscono le strade, le scuole, hanno fatto servizio anti-assembramento durante la pandemia, vanno dove sono richiesti: “All’inizio ci chiamavano poco, poi sempre più spesso”, spiega D’Amato. Un servizio che dovrebbe essere previsto dall’amministrazione comunale, con i cosiddetti Progetti di pubblica utilità. “Ma il sindaco non lo ha mai attivato”, sottolineano i tre.
Nel frattempo hanno fatto da soli, auto organizzandosi e restando in attesa di un impiego: “Mai neanche un’offerta di lavoro in due anni”, indica D’Amato.
E comincia raccontare la sua storia: “Ho sempre lavorato, sin da quando ero ragazzino, ora ho 45 anni. Prima di prendere il reddito facevo l’ambulante, vendevo frutta. Lavoravo dalle 5 del mattino fino alle 9 di sera, senza sosta, al mercato ortofrutticolo. Tornavo a casa dopo 16 ore di lavoro, qualche volta senza guadagnare nulla, soprattutto d’estate, quando il gran caldo fa marcire la frutta. Altre volte riuscivo a guadagnare da 20 a 25 euro. E dovevo decidere che fare con quei soldi: pagare l’affitto o dare da mangiare a mia moglie e mio figlio. E così mi hanno notificato lo sfratto”.
Con il reddito, però, la vita diventa più sopportabile: “Adesso pago l’affitto con regolarità e ho sempre il cibo in frigo, sono riuscito anche a comprare dei giochi per mio figlio di sei anni: sono importanti i giochi per un bambino”.
Ma non senza fare nulla: “Nessuno vuole prendere soldi a sbafo. Ci siamo messi subito al lavoro ma abbiamo incontrato solo difficoltà: all’inizio abbiamo messo 1 euro a testa – eravamo una trentina – per comprare sacchi per l’immondizia e qualche scopa, poi le richieste sono diventate sempre di più, in quella scuola, o in quell’istituto, e c’era da spendere troppo per tutti i servizi, così abbiamo chiesto alla Rap (la partecipata comunale che si occupa della raccolta di rifiuti a Palermo, ndr) di donarci delle scope e dei sacchi. E lo hanno fatto”.
Ma poco dopo è arrivato lo stop: “In consiglio comunale hanno presentato un’interrogazione – continua D’Amato – Si sono riuniti tre volte, spendendo migliaia di euro in gettoni per sottoscrivere che per dare 200 euro di scope a qualcuno bisogna prima passare dal consiglio comunale, invece di aiutarci: questa è la politica”. Un’amministrazione quella di Palermo “inadempiente”, sottolineano loro, perché non ha attivato i puc, i Progetti di pubblica utilità, previsti da un decreto del ministero del Lavoro già da gennaio del 2020: “Noi eravamo attivi già da prima del decreto, ci diamo da fare, mentre ci mettono i bastoni tra le ruote, mentre la gente ci guarda male e ci chiama parassiti…”. A questo punto D’Amato interrompe il racconto, prende fiato, e riprende: “Mi scusi lo sfogo ma c’è un clima pesantissimo contro di noi e molti non reggono psicologicamente”.
“Mi rivolgo direttamente a Meloni e Salvini”, interviene allora Toni Guarino. E insiste: “Ci chiamano fannulloni, ma non è così: da anni chiediamo l’apertura dei puc ma a Palermo siamo indietro. Nonostante tutto noi ci mettiamo a disposizione volontariamente per la città. Siamo pronti a scendere in campo contro questi due partiti che si sono accaniti contro la gente facendo di tutta l’erba un fascio, mettendo i propri figli gli uni contro gli altri. Lo Stato dovrebbe essere come un padre di famiglia, e quale padre metterebbe contro i suoi figli e non darebbe a chi ha più bisogno?”.
Guarino, 41 anni, ho lavorato in ditte per la pulizia, poi dal 2012 anche come animatore turistico nei villaggi: “Poi la ditta è fallita e non ho più trovato lavoro”. Ha tre figli, il più grande di 21 anni: “Ancora non ha un lavoro, mandiamo curriculum a tutti ma ci propongono solo paghe che neanche uno schiavo”.
E sottolinea: “C’è una campagna di denigrazione contro di noi, ma non pensano che siamo persone, esseri umani, che vogliono vivere dignitosamente e lavorare. Certo, ci sono anche i fannulloni, come ci sono i finti invalidi, ma questo non vuol dire che non ci siano gli invalidi veri”.
Scuote la testa Domenico Ippolito, 51 anni: “Lavoravo al mercato di Ballarò, come ambulante. Poi nel 2020 ho avuto un infarto e non posso più farlo”.
Ippolito ha tre figli di 24, 21 e 8 anni: “I più grandi studiano: il primogenito come tecnico informatico, la seconda all’alberghiero. Speriamo in un futuro più dignitoso per loro e per la piccola di 8 anni”.
Ma vorrebbe lavorare? “Certo e accetterei qualsiasi cosa, mi basta non lavorare più in nero. Come si fa a vivere senza diritti? Se tornassi a lavorare in nero in che pensione potrei sperare?”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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