“COSI’ HO FATTO ARRESTARE I BOSS CHE MI CHIEDEVANO IL PIZZO”: DECAPITATA LA COSCA, 17 ARRESTI A PALERMO
PARLA UNO DEI COMMERCIANTI: “IO LAVORAVO E LORO SI PRENDEVANO I SOLDI, HO DETTO BASTA”
«Come mi sento? Sollevato, finalmente libero. Non c’è più da avere paura. Più avanti si va e meglio è».
Vivere con l’ipoteca delle estorsioni, maledire il Natale e la Pasqua, perchè quello è il periodo in cui «loro» si presentano. Vivere più sereni dopo avere denunciato.
Parla uno dei venti commercianti del quartiere palermitano del Borgo Vecchio che si sono ribellati al racket del pizzo: grazie al contributo delle vittime sono stati diciassette, ieri, gli arresti eseguiti dai carabinieri del Comando provinciale, che contestano una serie di estorsioni ai danni di esercenti, titolari di panifici, salumerie, distributori di carburante, ristoranti, centri scommesse.
Piccoli importi, ma una vessazione continua alla quale hanno detto di no in tanti, stavolta.
L’uomo che accetta di parlare in forma anonima con La Stampa è stato sostenuto dall’associazione Addiopizzo, il gruppo di ragazzi ed ex ragazzi che con discrezione professionale offre assistenza nelle denunce e segue le vittime che si costituiscono parte civile.
Cominciando dall’inizio: lei denunciò di sua volontà ?
«Non proprio. Anche io, come tanti, avevo molte remore. Diciamolo subito chiaro: io pagavo dai primi anni dello scorso decennio, da quando rilevai la mia attività da un precedente proprietario. Lui, quello che c’era prima, pagava…».
E lei comprò l’attività ereditando pure l’estorsione.
«Più o meno. Con una differenza, anzi uno sconto: il mio predecessore pagava mille euro a Natale e Pasqua e a me fecero lo sconto, 500 per volta. A modo mio volevo stare tranquillo pure io».
Ma ogni volta che si avvicinavano le feste…
«Era una iattura. Mi prendeva una cosa allo stomaco. Snervante, insopportabile. Io lavoravo e loro si prendevano i miei soldi. Venivano prima di Natale, verso l’Immacolata. Non chiedevano, non ne avevano bisogno. Le facce dei soliti noti, lo stesso attuale pentito Giuseppe Tantillo. Gli davo i soldi, glieli maledicevo, dentro di me mandavo al diavolo gli esattori e poi mi sentivo più leggero. Ma la rabbia rimaneva».
Ma non pensò mai di denunciarli?
«Sinceramente no. Sei-sette anni fa subimmo un furto in negozio: portarono via tutto, di notte. Il carabiniere che raccolse la mia denuncia mi chiese se pagassi il pizzo, se avessi mai ricevuto richieste. Risposi di no. Non me la sentivo».
Poi però, attraverso le intercettazioni, i pentiti, i «libri mastri», risalirono a voi...
«Fui richiamato per confermare o smentire ciò che emergeva dalle indagini. Avevo visto che altri colleghi avevano denunciato. Così decisi di ammettere e raccontai i fatti, così come erano andati. Devo dire che i carabinieri ci misero nelle condizioni ideali, consentendoci di salvaguardare famiglia e attività . La svolta, da parte delle forze dell’ordine, fu raccolta da noi con Addiopizzo, che fu subito al nostro fianco».
Subì conseguenze, la minacciarono?
«No, per fortuna. Il Borgo è come un paese, ci conosciamo tutti. Magari non vengono più, a comprare, i parenti di quelli che hai denunciato. Ma questa in fondo è una liberazione, un’altra».
Si è sentito un eroe?
«Io? No, nient’affatto. Avevo pensato che la mia vita sarebbe cambiata in peggio, invece mi sono sentito molto più sereno e sicuro di prima. Il clima è cambiato. Tantissimo, non c’è più da avere paura».
Ma non sono tornati alla carica?
«Assolutamente no. Addiopizzo me lo aveva detto: “Non verranno più”. Ed è stato vero. Forse in futuro, chissà , si risveglieranno: non me lo auguro, ma per ora non è così. Denunciare è la strada risolutiva e più siamo a farlo e più siamo protetti. Ma è decisiva la cultura. Non serve l’esercito ma l’educazione a scuola, occorre che i bambini non stiano tutto il giorno in giro randagi. Altrimenti non ci sarà futuro».
(da “La Stampa”)
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