DALLA GUINEA A LAMPEDUSA, LA STORIA DI MICHEL IVO CERESOLI: “SONO ITALIANO, MI SONO AFFIDATO AI TRAFFICANTI PERCHE’ NESSUNO CREDEVA AI MIEI DOCUMENTI”
L’ODISSEA DURATA NOVE MESI PER ARRIVARE IN ITALIA: “ERA MIO DIRITTO VENIRE LEGALMENTE IN ITALIA, INVECE MI HANNO OBBLIGATO A METTERE A RISCHIO LA VITA”
Un’odissea durata nove mesi. Prima il viaggio dall’Africa via mare, poi la detenzione in un centro. Una storia simile a tante altre, se non fosse che Michel Ivo Ceresoli risulta, per la legge del Belpaese, italiano. Nato da padre italiano e cresciuto in Guinea, Michel decide di partire per la Sicilia alla ricerca della sua famiglia paterna. «Sono nato nel 1990 in Guinea Conakry. Mio padre è un italiano, era il direttore dei lavori della multinazionale Astaldi che stava realizzando strade», racconta a Repubblica. Quando aveva solo sei anni, suo padre lasciò il Paese. «Ci ha abbandonati – racconta -. Questo sangue italiano nelle vene ci ha ostacolato: con ci consideravano guineani puri e venivamo discriminati».
L’iter burocratico e i documenti mai arrivati
Nel 2006 si convince a lasciare la Guinea, ma da qual momento iniziano i problemi “burocratici”: «Io avevo il mio atto di nascita con il riconoscimento di paternità ufficiale, mi serviva un visto che nessuno mi poteva dare – dice Michel -. Quattro anni dopo, tramite un’amica di mia madre che vive in Italia siamo riusciti a rintracciare mio padre. Lui, al telefono con il console onorario, prima negò di avere dei figli in Guinea. In Italia aveva una moglie, un altro figlio, ma poi richiamò il console e ammise la verità», sottolinea. Dopo un primo contatto, il padre sparì di nuovo. «Il console onorario mi aveva promesso che ai miei 18 anni avrei avuto il passaporto italiano», precisa il giovane. I documenti, però, non arrivarono mai. Nemmeno l’ambasciata italiana, che nel frattempo aveva aperto una sede in Guinea, riuscì ad aiutarlo. «Non capisco perché le autorità italiane non mi abbiano aiutato», afferma.
Il viaggio via mare
L’unica (e ultima) alternativa per arrivare in Italia era affidarsi ai trafficanti. E, così, è stato. Sei mesi di viaggio, in macchina fino al Mali, poi in taxi in Niger. Una volta arrivato in Algeria lo hanno beccato, messo in carcere e riportato nuovamente in Niger. «Lì – racconta – mi sono rifugiato con gli altri migranti in una casa diroccata nel deserto. Non avevamo viveri, pochissima acqua. Un ragazzo mi ha permesso di chiamare la mia famiglia, che ha mandato i soldi ai trafficanti per portarmi in Algeria». Da lì, fino in Tunisia «400 chilometri a piedi», spiega. E, infine, il viaggio sulla rotta del Mediterraneo: «Ci ho provato tre volte, due ci hanno riportato indietro, la terza ce l’ho fatta». Il 4 luglio scorso, Michel è arrivato in Tunisia. «In Guinea ci trattavano malissimo, con razzismo. Non potevo più restare lì. Era mio diritto venire in Italia legalmente, e invece mi hanno obbligato a viaggiare clandestinamente e a mettere a rischio la vita», dice.
«Io sono italiano»
L’odissea sembrava essere giunta al termine. Ma neppure nell’hotspot di Lampedusa credono alla sua storia. «Mi chiamo Ceresoli, non ho i documenti ma sono italiano, ho detto alla polizia. Ma non mi credevano: ho la pelle scura, non parlo italiano. Alla fine mi hanno chiesto da dove venivo e quando ho risposto Guinea hanno messo quel Paese nella mia scheda e mi hanno spedito in un centro di accoglienza in Calabria», racconta.
«Sembra incredibile, ma è così. Volevano farmi fare la richiesta di protezione internazionale. Ma io sono italiano, accidenti. E devo dire grazie al direttore del Cara di Isola Capo Rizzuto, al prefetto e alla polizia che alla fine si sono mossi per ricostruire la mia storia», conclude Michel.
(da agenzie)
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